Buongiorno, oggi è il 17 giugno.
Il 17 giugno 1983 Enzo Tortora, popolare presentatore televisivo, viene arrestato alle 4 del mattino con l'accusa di traffico di stupefacenti e associazione a delinquere di stampo camorristico.
In un’intervista di Giuseppe Marrazzo, il 14 maggio ‘84, Tortora ha ricordato così quel momento: «Ero in una stanza d’albergo, dove scendo da circa 20 anni; bussarono alle 4:15 del mattino, tenga presente che il giorno precedente avevo respinto con un sorriso la notizia che alcuni colleghi giornalisti (ex colleghi perché sono stato sospeso dall’ordine) mi diedero: “C’è un’Ansa che dice che ti hanno arrestato…” Dissi (all’epoca avevo ancora un po’ di ironia): “Credo che la notizia sia leggermente esagerata!”».
Quel giorno Enzo Tortora doveva recarsi ad un appuntamento per firmare un contratto che lo avrebbe legato alla trasmissione “Portobello” per una nuova stagione. Si trova invece a entrare nelle case degli italiani ammanettato, trattato come un delinquente. Queste le parole della figlia minore, Gaia: “Vedevo un mostro alla Tv che mi dicevano essere il mio papà, ma non era mio padre…”
L'accusa si basa su un’agendina, trovata nell’abitazione di un camorrista, con sopra un nome scritto a penna ed un numero telefonico: in seguito le indagini calligrafiche proveranno che il nome non era Tortora bensì Tortona e che il recapito telefonico non era quello del presentatore.
Le prime supposizioni riguardo al suo arresto, intanto, sono due: è stato coinvolto per uno “sgarro” di 40 milioni con dei trafficanti di droga, oppure è stato coinvolto dall’organizzazione camorristica di Francis Turatello, detto “Faccia d'angelo”, con il quale sarebbe entrato in rapporti di amicizia.
Quel giorno, definito in seguito il “venerdì nero” della camorra, vengono emessi dai Sostituti procuratori di Napoli, Lucio di Pietro e Felice di Persia, 856 ordini di cattura; la Campania in quel periodo contava infatti 30 clan camorristici con 5mila affiliati e 100mila persone che direttamente o indirettamente erano coinvolte nella malavita. Nella sola Campania, quell’anno, ci furono più di 350 omicidi e, come ricorda il difensore di Cutolo, Alfonso Martucci, «stava avvenendo un passaggio storico tra la tradizionale forma di delinquenza individuale che era tipica del sud, con piccolo gruppi di associati, a una grande organizzazione criminale che si inserisce nella tradizione della camorra dell’‘800 - primo ‘900 che scomparve poi negli anni del regime fascista”».
Il padre fondatore della Nuova Camorra Organizzata è il camorrista Raffaele Cutolo, boss di Ottaviano detto anche “‘o prufessore”, il quale nel ’71 ebbe l’intuizione di riunire tutte le famiglie della camorra napoletana per costituirne una potente organizzazione in grado di competere con la mafia siciliana, e iniziò a reclutare così, dal carcere di Poggioreale, il suo “esercito” che in breve tempo raggiunse le 5.000 unità.
Cutolo per anni agì come unica forza finché, all’inizio degli anni Ottanta, sulla scena della malavita campana inizia a operare in sua contrapposizione una nuova organizzazione camorristica: la cosiddetta “Nuova Famiglia”, ovvero una sorta di cartello di clan capeggiati, inizialmente, dai Nuvoletta di Marano.
Enzo Tortora era nato nel ’28 a Genova; dopo aver conseguito la laurea in giornalismo, inizia a lavorare in alcuni spettacoli con Paolo Villaggio, finché, a ventitré anni entra in RAI con lo spettacolo radiofonico “Campanile d'oro”. La sua prima apparizione in video è del 1956, quando presenta, in coppia con Silvana Pampanini, “Primo Applauso”: da questo momento parteciperà a trasmissioni di successo come “Telematch” e “Campanile sera”, arrivando alla conduzione di “Il gambero” e “la Domenica Sportiva”.
Negli anni Settanta viene licenziato dalla RAI a causa della pubblicazione di un’intervista in cui aveva definito l'Ente radiotelevisivo come un jet supersonico pilotato da un gruppo di boy-scout che litigano ai comandi, rischiando di mandarlo a schiantarsi sulle montagne. Inizia così a lavorare per diverse emittenti private e testate giornalistiche. Fu grande sostenitore di Telebiella e partecipò alla fondazione di Antenna 3 Lombardia.
Il ‘77 è l'anno del suo nuovo ritorno, al fianco di Raffaella Carrà, con “Accendiamo la lampada”, ma il vero grande successo arriva subito dopo con “Portobello” (1977-1983), trasmissione che batterà ogni precedente record di ascolti. Ispirata al celebre mercatino londinese, la trasmissione condotta da Tortora è stata considerata la madre della televisione anni Novanta: si possono infatti vedere, seppur in fase embrionale, alcune delle idee che saranno protagoniste dei successivi format televisivi come “Stranamore”, “Carràmba che sorpresa!”, “I cervelloni” e “Chi l'ha visto?”.
Sua figlia Silvia ricorda così il programma del padre: «Si aggirava tra bersaglieri, brigadieri, donnine che piangevano, in un mondo per me insopportabile, vecchio, antico, muffoso…Rivisto adesso delizioso, rispetto alla volgarità trascinante di oggi. Tornassi indietro e dovessi dirgli adesso quello che penso di “Portobello” gli direi: “Era un programma strepitoso, geniale!”».
Il 29 maggio dell’‘82 il Parlamento italiano aveva votato la cosiddetta “legge sui pentiti” che prevedeva possibili riduzioni della pena a chi decideva di “collaborare” con lo Stato nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Michele Morello, il Giudice del processo d’Appello di Tortora, spiega: «Non si aveva ancora l’esperienza di questi pentiti…persone che non erano come i terroristi o come (non vorrei bestemmiare) i mafiosi, che hanno un’ideologia, sballata, come volete voi , ma comunque un’ ideologia; questi erano senza ideologia, senza niente, non avevano niente da perdere…». E proprio perché non si ha nulla da perdere, ma tutto da guadagnare, nel processo a Enzo Tortora sono i pentiti, che arrivano ad essere ben 15, a fare il suo nome.
Tra questi ci sono:
- Giovanni Pandico, in carcere da 13 anni dove diviene lo scrivano e il segretario di Cutolo. Egli fa il nome di Tortora solo al quarto interrogatorio dove, in un elenco di malavitosi, lo cita al sessantesimo posto con il titolo di camorrista “ad honorem”. Le perizie psichiatriche descrivono Pandico come “uno schizoide affetto da paranoia, uno psicopatico abnorme, una di quelle persone che a causa della loro anormalità soffrono e fanno soffrire la società”.
- Pasquale Barra, nativo di Ottaviano, portavoce di Cutolo, definito il “boia delle carceri” o “ ‘o animale”, per la crudeltà con cui uccide le sue vittime. Questi decide di pentirsi in seguito a uno sgarro subito dallo stesso Cutolo, affermando che l’unico modo che aveva per salvarsi era affidarsi ai giudici. Per 17 interrogatori, nonostante gli fosse stato mostrato l’elenco compilato da Giovanni Pandico, non fa mai il nome di Tortora, finché poi, al diciottesimo, improvvisamente cambia idea.
- Gianni Melluso, detto “il bello”, uomo intelligente e calcolatore. Fa il nome di Tortora solo 7 mesi dopo l’arresto del presentatore genovese.
- A queste accuse si aggiungeranno quelle di altri sei imputati appartenenti alla N.C.O., rivelatesi in seguito anch'esse false, e del pittore Giuseppe Margutti, già pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie Rosalba Castellini: i coniugi dichiareranno di aver visto Tortora spacciare droga negli studi di Antenna 3.
Il numero dei pentiti che fa il nome di Tortora arriva a 19, e se le accuse inizialmente sono generiche e piene di contraddizioni, con il tempo si fanno sempre più dettagliate: questo a causa del fatto che i pentiti potevano parlare tra di loro, scambiarsi opinioni; durante i processi, per esempio, quando si ritrovavano tutti nella stessa cella.
Secondo le dichiarazioni dei pentiti, quindi, Tortora controlla lo spaccio di stupefacenti a Milano, ma queste affermazioni arriveranno solo dopo mesi.
Per Tortora, quindi, inizialmente, l’incubo più grande è quello di non conoscere il motivo del suo arresto. Della Valle, suo avvocato difensore, a questo proposito ricorda: «Solo dopo alcuni giorni, il 23, veniamo a conoscenza di alcuni notizie: si parla di Tortora che avrebbe contatti con il mondo carcerario, allora si scopre che non Tortora, ma la direzione di “Portobello” aveva avuto contatti con il carcere, di natura prettamente commerciale».
Questi fatti vengono alla luce a causa di una serie di lettere che Domenico Barbaro aveva scritto a Tortora, e di cui riporta il contenuto in un interrogatorio il 23 agosto ’83: «Verso la fine del ‘77 dal carcere ebbi modo di seguire la trasmissione televisiva “Portobello” condotta da Enzo Tortora: s’invitavano gli ascoltatori a inviare oggetti vari, e come facevano altri detenuti, io inviai 16 o 17 centrini di seta da me personalmente confezionati. Non ebbi nessuna risposta, né vidi i centrini in Tv. Inizia una ricerca; tale ricerca venne effettuata materialmente da Giovanni Pandico, mio compagno di carcere: tutte le lettere furono materialmente scritte da lui. Per l’affare dei centrini scrissi presso la sua abitazione di Via Piatti 8, l’avevo letta su una rivista.
Il Tortora mi rispose: “Egregio signor Domenico Barbaro, sono spiacente di dirle che del suo invio ignoro tutto e non ne ho mai veduta la traccia, quello che mi dispiace è che lei tragga da ciò conclusioni poco onorevoli per me, e del rispetto che ho sempre avuto per chiunque. Le ricordo che centinaia di migliaia di lettere sono destinate al sottoscritto e i pacchi, se non sollecitati direttamente, vengono restituiti dalla redazione Rai”. Accettai il risarcimento della Rai di 800mila lire».
Quindi, in seguito alla conoscenza di questo scambio di lettere i giudici chiedono a Tortora se conoscesse Barbaro; Della Valle mostra a questi la risposta del presentatore pensando così di aver chiarito tutto, ma in realtà le cose sono molto più complesse: Giovanni Pandico, infatti, inizia ad affermare che lo sgarro che Tortora avrebbe fatto a Barbaro non riguarda affatto i centrini, ma una partita di droga. A queste affermazioni si aggiungono poi quelle di Pasquale Barra che riferisce di un’affiliazione di Tortora alla N.C.O.; Tortora rimane quindi in carcere per 7 mesi, a Regina Coeli prima e a Bergamo poi.
Dal carcere inizia così una lunga corrispondenza con Silvia, la sua figlia maggiore, oggi raccolta in un libro intitolato “Cara Silvia - Lettere per non dimenticare”
Intanto i giornalisti contribuiscono ad accrescere la confusione intorno a questo processo, mettendo in circolazione notizie false o comunque non verificate. Il Giudice Michele Morello ricorda: «Tutti quanti allora eravamo influenzati dalla stampa che era, per la maggior parte, colpevolista”, gli fa eco il giornalista Vittorio Feltri: “Ammetto che mi stava antipatico e davanti a una persona che ci è antipatica, quasi quasi speriamo che sia anche colpevole. Poi una sera mi sono letto gli atti processuali…mi è venuto il dubbio che fosse innocente”». L’Italia quindi, si divide in due: colpevolisti e innocentisti.
Dopo 14 mesi dall’arresto, nell’agosto dell‘84 Tortora viene eletto come Eurodeputato nelle fila del Partito Radicale; per questo quando il 4 febbraio dell’85 inizia a Napoli il maxi processo contro la N.C.O, può seguire il processo da uomo libero. Andreotti allora aveva una rubrica “Bloc notes” sull’“Europeo” e in commento a questo fatto scrisse: “Alcuni detenuti evadono con la lima e altri con la scheda elettorale”. Il maxi processo durerà 7 mesi; le udienze saranno 67.
Tortora, intanto, continua la sua attività al Parlamento Europeo di Strasburgo.
Il 17 settembre dell’85 viene condannato a dieci anni di carcere. Rinunciando all’immunità parlamentare l'ex presentatore resta agli arresti domiciliari.
Nelle motivazioni del suo arresto, si afferma: «Tortora ha dimostrato di essere un individuo estremamente pericoloso, riuscendo a nascondere per anni le sue losche attività e il suo vero volto, quello di un cinico mercante di morte, tanto più pernicioso perché coperto da una maschera di cortesia e savoir fair. L’appartenenza di Tortora alla Nuova Camorra Organizzata è stata provata attraverso le dichiarazioni di Giovanni Pandico, Pasquale Barra e altri…Tutte queste accuse hanno trovato adeguati e convincenti motivi di riscontro; nei confronti di Tortora non è stato posto nessun complotto, nessuna macchinazione, nessuna vendetta personale, non si è voluto coprire nessun omonimo, non vi è stato nessun accordo dei dissociati diretto a ottenere benefici speculando sulla persona di Tortora, il quale non ha fornito nessuna soddisfacente spiegazione alla sua estraneità ai fatti. L’imputato non ha saputo spiegarci il perché di una congiura contro di lui».
Questo il commento del suo avvocato difensore, Della Valle: «Io personalmente avevo pensato di cambiare attività. Si era fatta una perquisizione e non si era trovato nulla, non sono state fatte analisi per vedere se era tossicodipendente: l’analisi del capello in 4 mesi l’avrebbe detto!».
La sentenza di Appello per il processo di secondo grado arriva solo nove mesi dopo: il 15 settembre dell’86; dal giorno dell’arresto sono passati oltre tre anni. La Corte di Appello di Napoli, finalmente, assolve Tortora con formula piena: i suoi accusatori hanno dichiarato il falso sperando in una riduzione della loro pena, oppure al fine di trarre pubblicità dalla vicenda, come nel caso del pittore Giuseppe Margutti, il quale mirava ad acquisire notorietà per vendere i propri quadri.
Il Giudice Michele Morello racconta il suo lavoro d’indagine che ha portato all’assoluzione: «Per capire bene come era andata la faccenda ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all’ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po’ sospetta…In base a quello che aveva detto quello di prima si accodava poi la dichiarazione dell’altro che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti, di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell’imputato. Anche i giudici, oltre ad essere “antropologicamente matti”, soffrono di simpatie e antipatie…” E Tortora in aula fece di tutto per dimostrarsi antipatico, ricusando i giudici napoletani e concludendo la sua difesa con una frase pungente: «Io grido: “Sono innocente”, lo grido da tre anni , lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento, “Io sono innocente”, e spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi!».
La sentenza di assoluzione arriverà il 17 giugno del 1987, esattamente 4 anni dopo l’arresto.
Il 20 febbraio dell’87, Tortora ritorna sugli schermi Rai ancora con “Portobello”; questo il suo discorso in apertura del programma: «Dunque dove eravamo rimasti…potrei dire moltissime cose e ne dirò poche…una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni, molta gente ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me e io questo non lo dimenticherò mai, e questo grazie a questa cara buona gente; dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto e un’altra cosa aggiungo: io sono qui anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti e sono troppi; sarò qui, resterò qui anche per loro…E ora cominciamo come facevamo esattamente una volta….».
Enzo Tortora morirà di cancro un anno dopo, il 18 maggio 1988.
Il caso Tortora porterà, in quello stesso anno, al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati: in quella consultazione voterà il 65% degli aventi diritto, l'80% dei quali si esprimerà per l'estensione della responsabilità civile anche ai giudici. Nessuna azione penale o indagine di approfondimento venne mai avviata, né alcun procedimento disciplinare verrà mai promosso davanti al Consiglio Superiore della Magistratura a carico dei pubblici ministeri napoletani, che proseguiranno le proprie carriere, senza ricevere censure per il loro operato nel caso Tortora.
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