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sabato 11 aprile 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è l'11 aprile.
L'11 aprile 2002 a Caracas, in Venezuela, fu organizzato un corteo di centomila persone che avrebbe dovuto dirigersi verso la sede della PDVSA (Petroleos de Venezuela S.A.). La compagnia petrolifera statale, controllata o quanto meno fortemente influenzata dalle politiche statunitensi, da alcuni mesi aveva cessato la produzione di petrolio per costringere il presidente venezuelano Hugo Chavez a dimettersi ed indire nuove elezioni. La manifestazione fu deviata da una sapiente arringa del capo della confederazione dei lavoratori Carlos Ortega verso il palazzo di Miraflores, sede della Presidenza per cacciare «quel traditore di Chávez», dando alla marcia, fino a quel momento pacifica, ben altro scopo. La marcia, alle 12,30, riprese con in testa i sindaci scortati dalle loro polizie armate e motorizzate, ma senza che da quel momento si avesse più traccia di Ortega e dei suoi colleghi, scomparsi nel nulla.
Già dalla notte attorno a Miraflores erano radunati migliaia di sostenitori di Chávez, in sentore di ciò che poteva accadere. Il corteo non arrivò a contatto con i simpatizzanti di Chávez perché dei cecchini appostati nei palazzi circostanti cominciarono a sparare dapprima sui sostenitori di Chávez, poi sulle prime file del corteo.
La gente segnalò alcuni cecchini sul terrazzo di un palazzo nei pressi di Miraflores, la Guardia Nazionale entrò nel palazzo e arrestò cinque persone armate di fucili di precisione, con documenti falsi, qualcuno di origine colombiana. Imprigionati, furono successivamente liberati dagli insorti e di essi si persero le tracce. La polizia metropolitana cominciò a sparare sulla gente che si trovava sul famoso ponte Laguno e che prese a scappare tentando di mettersi al riparo nei palazzi circostanti.
Le televisioni private solidali ai golpisti sostennero l'idea di scontro provocati dai sostenitori di Chávez (e questa versione, in un primo tempo, fu ripresa anche dai media internazionali), ma le innumerevoli riprese effettuate nella zona dimostrarono che gli scontri a fuoco non erano tra i componenti delle due marce, ma era la polizia metropolitana a sparare contro i sostenitori di Chávez. I primi caduti si ebbero verso le 15,00.
I militari si erano riuniti in Fuerte Tiuna, presidio militare di Caracas, assieme a una schiera di sostenitori e a una nutrita rappresentanza di militari USA. I militari insorti minacciavano Chávez, ancora a Miraflores, intimandogli di arrendersi, pena il bombardamento del palazzo (come avvenne con Juan Domingo Peron e Salvador Allende, anch'essi minacciati da forze filo-statunitensi). Il Generale Rosendo faceva parte del complotto, ma fino all'ultimo ingannò Chávez, che lo credette un fedele alleato.
In un ultimo tentativo di evitare il peggio, Chávez cercò di attuare il "Plan Avila", un piano di emergenza (attuato anche per la visita di papa Giovanni Paolo II) che, grazie alla presenza di mezzi blindati attorno al palazzo, avrebbe permesso la difesa delle istituzioni. Invece, proprio Rosendo fece arrivare con ritardo l'ordine di applicare il Plan Avila. I blindati, poi, usciti da Fuerte Tiuna, furono fatti subito rientrare da un contrordine lanciato dai cospiratori. Nel frattempo da Maracay, Raúl Isaías Baduel era pronto ad inviare mezzi e uomini a Caracas e così mezzi blindati da Maracaibo.
Il 12 Aprile venne resa pubblica la decisione di Hugo Chavez di consegnarsi alle forze golpiste, guidate da Pedro Carmona Estanga. La decisione venne presa per evitare una guerra civile e il giorno stesso Estanga si proclamò presidente della Repubblica Venezuelana. Il golpe venne portato avanti da una serie di personaggi (tra cui Carlos Ortega e Carlos Andres Peres) legati alle televisioni private ed appunto alla PDVSA, da Chavez nazionalizzata, in netta contrapposizione alle politiche governative di matrice socialista.
Il golpe, voluto fortemente dalla dirigenza industriale venezuelana e dalla chiesa (fu il vescovo di Caracas l’uomo incaricato di cercare di convincere Chavez a firmare la rinuncia al governo) aveva l’intento di formare un governo filo statunitense, bloccando così il processo di nazionalizzazione e, soprattutto i rapporti con alcuni paesi del resto del Sud America (Cuba in primis). Gli Stati Uniti riconobbero da subito il Governo di Estanga, seguiti altrettanto celermente dalla Spagna. Da ricordare è senza dubbio la posizione che assunse il quotidiano El Pais, che definì legittimo il golpe, al contrario di molti altri media occidentali che dopo la fase iniziale lo condannarono. Dopo due giorni di scontri e saccheggi, che causarono più di 200 morti, nei quali si manifestò la rabbia popolare contro il colpo di stato, il 14 Aprile Chavez ritornò a Miraflores, riacquistando a tutti gli effetti il potere.
Con il rientro di Chávez, e il suo ritorno al potere, gli scontri e i saccheggi cessarono. Il golpe fallì, dunque, grazie al vastissimo appoggio popolare e all'esiguità del gruppo dei militari golpisti, formato soprattutto da alti ufficiali, mentre il grosso delle forze armate venezuelane, guidate dal generale dell'esercito Raúl Isaías Baduel era rimasto fedele a Chávez e alla nuova costituzione.

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