Quando, per la prima
volta, sono salita lassù, tra le Alpi Cozie e il Rocciamelone,
ammirando incantata quel gigantesco “guerriero” di pietra che
domina la sottostante vallata, qualcuno mi ha raccontato una storia
che mi ha affascinata. E’ la leggenda della “Bell’Alda” che
da molti secoli i piemontesi hanno racchiuso all’interno della
SACRA DI SAN MICHELE.
Ve la voglio
raccontare.
Si racconta che Alda,
una fanciulla di rara bellezza, attorno al XVI secolo, per sfuggire
all’inseguimento dei soldati e salvare la sua verginità, si
rifugiò dentro la “Sacra” e si gettò, da una torre, nel
sottostante dirupo. Miracolosamente si salvò e i soldati,
spaventati, fuggirono. Orgogliosamente fiera della grazia ricevuta
tentò nuovamente il “volo” ma questa volta si sfracellò contro
le rocce.
Devo dirvi che,
visitando questo luogo, la mescolanza tra leggenda e storia mi ha
trasportata in una sottile atmosfera di mistero e inusitata bellezza
come di un luogo fatto di presenze affascinanti e, al tempo stesso,
inquietanti.
Ma partiamo
dall’inizio.
Questo imponente
monumento, costruito fra il 984 e il 990 è situato all’imbocco
della Valle di Susa.
Lasciata la tangenziale
che da Torino si immette sulla strada del Frejus, sullo sfondo già
si staglia la scura sagoma dell’abbazia. Ancora confusa per la
lontananza, sembra che la natura, in un momento di bizzarria, abbia
“costruito” sulle rocce le torri e i muraglioni. Costeggiando uno
dei due laghi di Avigliana si inizia la salita e questo gigante di
pietra appare e scompare, a tratti, animandosi improvvisamente
stagliato contro un cielo azzurro che ne addolcisce le forme e
creando uno strano contrasto fra le pietre e il vuoto che sembra
sostenerle.
Tutt’intorno boschi
di castagni e betulle alternano salite erte e brevi discese.
Arriviamo finalmente sul piazzale del “sepolcro dei monaci”. Uno
spazio che pare sospeso nel vuoto. Qui i Frati Benedettini avevano il
loro cimitero, eretto sulle rovine di un antico tempio pagano.
Imbocchiamo il viale
che porta all’entrata dell’abbazia. Le pareti laterali della
montagna, a strapiombo, mi danno la sensazione di entrare in una
dimensione non abituale, quasi di sospensione sul vuoto e di distacco
dal paesaggio circostante. Sensazione che aumenta con il vento che
soffiando tra le chiome dei cipressi, compone voci e rumori e crea
un’invisibile barriera che separa dal resto del mondo.
La “Porta di Ferro”
ci dà il benvenuto al primo incontro con il patrono del monastero:
San Michele Arcangelo dipinto nei resti di due affreschi raffigurato
nell’atto di trafiggere il demonio, sull’arco esterno della
torretta.
Usciamo e siamo a
diretto confronto con la facciata dell’abbazia. L’emozione è
intensa e misteriosa. Sostiamo. Sopra di noi, le pietre squadrate del
basamento grigio-ferro sembrano in fuga verso il cielo e sostengono
le absidi verdognole della chiesa in un vortice di eleganza e di
forza, di raffinata essenzialità.
Superato il portone abbiamo di
fronte lo “Scalone” e l’”Atrio dei Morti”, due rampe di
scale ripidissime da togliere il respiro
Qui venivano sepolti, fino al 1890, gli abati e i benefattori del monastero. Lo “Scalone” è in pura arte romanica, mentre tutt’intorno vi è un miscuglio di stili dove prevale il gotico. Regna il silenzio dell’eternità e delle ombre di chi ci ha preceduti nell’aldilà, eppure l’atmosfera non è cupa, direi serenamente spirituale. Lo “Scalone” acquista il significato simbolico della salita liberatoria verso l’alto.
Varchiamo la “Soglia
dello Zodiaco” e dopo le ombre e i chiaroscuri dello Scalone, la
salita alla chiesa assume la luminosità di un’ascesa mattutina.
Quasi come passare da un tempo carico di inquietudini e domande alla
distensione di una risposta che sta per arrivare. Ed eccola qui, in
uno splendido portale romanico, l’entrata alla chiesa mi scioglie i
nodi che imprigionavano i miei pensieri ed è quasi come ricevere una
spinta a guardare le cose e le persone da quella pace e da quella
serenità. Il silenzio intorno a me è perfetto, tutto diventa
essenziale. Devo fare una precisazione che mi è d’obbligo: quel giorno non era né
festivo né domenicale. I turisti e i pellegrini erano pochissimi,
quasi assenti. Il tempo giusto e perfetto per visitare questo luogo.
E adesso, difesa da quella pace regalatami dalla salita, entro nella chiesa, un magnifico esempio del progressivo trasformarsi dell’arte romanica in gotica
Divisa in tre navate,
la chiesa ha tre absidi, rivestite di caldi mattoni che creano
un’atmosfera raccolta ed intima. Molti gli affreschi, a cominciare
dalla Sepoltura
di Gesù,
la Madonna
morta
e la Madonna Assunta.
Sull’Altare Maggiore
ammiro estasiata una dolcissima Vergine
Maria
avvolta in un lungo abito azzurro-verde che tiene i piedi sopra un
arco di luna e allatta Gesù Bambino posato su di un lino bianco.
Nella chiesa vi sono
sedici sarcofagi di pietra verde, Vi riposano ventiquattro salme di principi reali di casa Savoia.
Dalla chiesa,
attraverso lo splendido “Portale dei monaci” in stile romanico si
esce su un vasto terrazzo che offre una vista indimenticabile sulla
Valle di Susa. Di fianco c’è il ballatoio roccioso dal quale si
sarebbe buttata la “Bell’Alda” della leggenda. Da questo
terrazzo, un tempo, si accedeva al sottostante monastero costruito
alla fine del X secolo, non solo per ospitare i monaci, ma anche i
pellegrini che da nord si dirigevano a Roma.
I Liguri e i Celti, i
Romani e i Goti, i Franchi e i Bizantini, i Longobardi e i Carolingi
e infine i Saraceni, passarono di lì, lasciando tracce della loro
presenza e dei loro saccheggi. In una stanza ristrutturata del
monastero soggiornò Clemente Rebora, rosminiano poeta che veniva
spesso qui a trascorrere alcuni mesi d’estate. Nel 1943-44. durante
la guerra partigiana, otto Rosminiani tennero a bada tedeschi e
fascisti. La “Sacra” in quegli anni divenne rifugio non solo di
partigiani, ma anche di uomini della valle, e i Rosminiani, più
volte, durante le perquisizioni, rischiarono la vita.
Ogni anno quassù
vengono migliaia di persone ma sono in pochi a ricordare che questa è
anche un’abitazione sacra.
Ecco, il mio viaggio
all’interno della “Sacra di San Michele” è terminato. Non è
stata una scampagnata, ho avuto la fortuna di evitare chiassose e
alquanto fastidiose carovane di turisti come fiumi in piena. Scendo
lentamente verso la valle lasciando rocce, monti, vento e cipressi
alla loro guardia eterna.
Francesca Girotto
imm dal web :www.rosmini.it - www.it. wikipedia.org
Si dice che Umberto Eco abbia preso ispirazione proprio dalla Sacra di San Michele per il suo celebre romanzo "Il nome della rosa".
RispondiEliminaSi, Primula, si è ispirato a questa Abbazia per l'ambientazione.
RispondiEliminaFrancesca
grazie della conferma.:)
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