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domenica 26 febbraio 2012

#riflettere le scarpe rotte


Avere avuto le scarpe rotte nell’infanzia ci ha fatto crescere più in fretta e meglio?
Stavolta invece che un divertissement vi propongo una riflessione se vi va.
Le scarpe rotte
Aspettando l’autobus osservo dei ragazzi alla fermata, sono appena usciti da scuola: chiacchierano, ridono, si prendono in giro e tutti, noto, hanno delle scarpe super ai piedi. Costeranno tra i 150 e i 250 euro. Non è moda nuova quella di possedere scarpe “firmate”, ma da un po’ di tempo a questa parte, ha preso una dimensione enorme, soprattutto tra i giovani e gli adolescenti e i rispettivi genitori sono pronti a pagare, per l’acquisto, una sproporzionata somma di denaro.
Tutto questo per me non è che un vacuo capriccio per poter apparire alla gente…     Apparire…
Ma questa è soltanto la mia personalissima opinione.
Scarpe di “grandi firme”, che poi, molto  probabilmente, sono opera del lavoro minorile di qualche paese dell’est asiatico…

Lasciamo da parte le considerazioni etico-morali sulla loro produzione e riflettiamo che, per comprare un paio di scarpe di moda, si  parte da 120 €, per arrivare  a 300 euro e forse più.
Mi viene da pensare che l’euro, senza tutti quegli zeri della lira, abbia cancellato anche il giusto valore che si dovrebbe dare ad ogni acquisto.

Ripensando alle scarpe viste ai piedi degli adolescenti, mi son ricordata  di un bellissimo passo in un libro di Natalia Ginzburg, scritto nel 1945, nell’immediato dopo guerra, mentre all’epoca la scrittrice era residente a Roma, era sola, era lontana dai figli e viveva un  momento molto tragico della sua vita.
Lo riporto:
<Io ho le scarpe rotte e l’amica con la quale vivo in questo momento ha le scarpe rotte anche lei. Stando insieme parliamo spesso di scarpe. Se le parlo del tempo in cui sarò una vecchia scrittrice famosa, lei subito mi chiede: “Che scarpe avrai?” Allora le dico che avrò delle scarpe di camoscio verde,con una gran fibbia d’oro da un lato.
Io appartengo a una famiglia dove tutti hanno scarpe solide e sane. Mia madre anzi ha dovuto far fare un armadietto apposta per tenerci le scarpe, tante paia ne aveva. Quando torno fra loro, levano alte grida di sdegno e di dolore alla vista delle mie scarpe. Ma io so che anche con le scarpe rotte si può vivere. Nel periodo tedesco ero sola qui a Roma, e non avevo che un solo paio di scarpe. Se le avessi date al calzolaio avrei dovuto stare due o tre giorni a letto, e questo non mi era possibile. Così continuai a portarle, e per giunta pioveva, le sentivo sfasciarsi lentamente, farsi molli ed informi, e sentivo il freddo del selciato sotto le piante dei piedi. E’ per questo che anche ora ho sempre le scarpe rotte, perché mi ricordo di quelle e non mi sembrano poi tanto rotte al confronto, e se ho del denaro preferisco spenderlo altrimenti, perché le scarpe non mi appaiono più come qualcosa di molto essenziale. Ero stata viziata dalla vita prima, sempre circondata da un affetto tenero e  vigile, ma quell’anno qui a Roma fui sola per la prima volta…
>

In un altro passaggio l’autrice fa delle considerazioni sui suoi figli: <I miei figli dunque vivono con mia madre, e non hanno le scarpe rotte finora. Ma come saranno da uomini? Voglio dire: che scarpe avranno da uomini? Quale via sceglieranno per i loro passi? Decideranno di escludere dai loro desideri tutto quel che è piacevole ma non è necessario, o affermeranno che ogni cosa è necessaria e che l’uomo ha il diritto di avere ai piedi delle scarpe solide e sane?>
Ed infine Natalia Ginzburg conclude dicendo che, quando sarà di nuovo a casa, e tornerà ad occuparsi dei suoi figli, sarà una madre sollecita: <guarderò l’orologio e terrò conto del tempo, vigile ed attenta ad ogni cosa, e baderò che i miei figli abbiano i piedi sempre asciutti e caldi, perché so che così deve’essere se appena è possibile, almeno nell’infanzia. Forse anzi per imparare poi a camminare con le scarpe rotte, è bene avere i piedi asciutti e caldi quando si è bambini.>
Con queste parole si chiude lo scritto di Natalia Ginzburg [Tratto da “Le scarpe rotte” in “Le piccole virtù”  edizione Einaudi]
e mi fa riflettere su due punti!
Chiaramente le scarpe sono un’allegoria e mi fa meditare su cosa sia meglio: avere un’infanzia protetta o no? Se nell’infanzia abbiamo avuto scarpe calde e asciutte siamo più forti poi nella vita di adulti?      O è vero il contrario?
L’altra cosa a cui ho riflettuto è che oggi le scarpe rotte sono state sostituite da costosissime scarpe da duecentocinquanta euro, e i piedi, meno male, sono al caldo. Ma è la testa che si è rotta. Forse perché, con scarpe da duecentocinquanta euro ai piedi, non si capisce davvero più cosa sia veramente importante e cosa no.
Ed infine concludo domandandomi:
è un bene coccolare e viziare i figli in modo alle volte irragionevole?
Li farà sentire più forti o no in futuro?
(Ipazia Accademica)

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