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martedì 2 dicembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


Buongiorno, oggi è il 2 dicembre.

Il 2 dicembre 1852 Napoleone III diventa imperatore dei francesi.

Carlo Luigi Napoleone nasce a Parigi il 20 aprile 1808, anno nefasto per lo zio Napoleone I in quanto segna l'inizio, con la campagna di Spagna, dello sgretolamento dell'impero.

Terzogenito di Luigi Bonaparte, re d'Olanda, e di Ortensia di Beauharnais, ancora bambino viene portato in Svizzera dalla madre in conseguenza della caduta dell'impero. Qui frequenta ambienti vicini alla Rivoluzione francese e ne assimila le idee.

Nel 1830 è a Roma dove aderisce alla carboneria antipontificia, ma un'efficace repressione lo costringe alla fuga; si sposta in Romagna, dove replica l'esperienza carbonara ed è nuovamente obbligato a partire; nel 1831 ripara in Francia, ma anche da qui è costretto ad allontanarsi perché Luigi Filippo, "il re borghese" ed antibonapartista non tollera i suoi espliciti programmi di ascesa al trono (aspirazione peraltro legittimata dalla morte di suo fratello maggiore); nel 1836 viene mandato in esilio negli Stati Uniti, ma l'anno successivo rientra in Europa e riprende i suoi piani di conquista del potere.

Nel 1840 viene arrestato e condannato al carcere a vita, ma nel 1846 riesce ad evadere. Si trova quindi in libertà quando scoppia la rivoluzione del febbraio 1848, ed egli può, dall'Inghilterra dove si era rifugiato, precipitarsi nuovamente in Francia. Grazie al nuovo regime repubblicano, può candidarsi ed essere eletto nell'Assemblea Costituente che, nel dicembre dello stesso anno, lo elegge Presidente della Repubblica Francese.

Fra le prime iniziative intraprese, nel nuovo ruolo, vi è quella della restaurazione pontificia a Roma, dove era stata proclamata la Repubblica, a guida del triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi: l'intervento francese consente al papa Pio IX di rientrare a Roma, il 12 aprile 1850, ed a Napoleone III di assicurarsi per circa vent'anni una notevole influenza sulla politica romana.

Trascorsi appena tre anni dall'insediamento, ricalcando le orme dello zio, nel 1851 dichiara decaduta l'Assemblea e, sostenuto dal clero, dalla borghesia e dalle forze armate, si avvia alla proclamazione dell'impero assumendo il 2 dicembre 1852 il nome di Napoleone III. Del grande avo, che egli considera un mito, replica lo stile di governo: limitazioni alla libertà di stampa e stato di polizia. Quanto alla politica estera, ne coltiva le stesse mire imperialistiche. L'anno successivo sposa Eugenia Maria di Montijo.

Nel 1856, con Gran Bretagna e Piemonte, prende parte alla spedizione in Crimea - tesa a contrastare le mire espansionistiche della Russia verso la Turchia - che si conclude con la pace di Parigi, nel 1858. Nello stesso anno, coinvolto da Cavour, sottoscrive con lo stesso i patti di Plombieres, in virtù dei quali prende parte alla seconda guerra d'indipendenza contro l'Austria: nei reali intendimenti di Napoleone III vi è quello di riprendere potere in Italia, ma la piega che ad un certo punto rischia di assumere il conflitto, con la sua estensione ad altre potenze europee, lo induce a promuovere un armistizio con l'Austria che ponga fine alla guerra. L'accordo viene stipulato a Villafranca, l'11 luglio del 1859.

Nel 1861, in seguito ad una posizione ostile assunta dal Messico nei confronti di Francia, Spagna ed Inghilterra, si determina, dietro sua iniziativa, un'alleanza fra le tre potenze che invadono con successo lo Stato d'oltreoceano e vi insediano un sovrano amico (soprattutto della Francia): Massimiliano d'Asburgo, con il titolo di imperatore del Messico. Ma l'intervento degli Stati Uniti e l'esplicita richiesta alla Francia di ritiro delle truppe - richiesta prontamente accolta - determina la caduta di Massimiliano ed un epilogo drammatico dell'intera vicenda.

Intanto in Europa va crescendo l'influenza diplomatica e la potenza militare della Prussia: un dissidio sorto intorno al trono di Spagna è causa - o pretesto - per un nuovo conflitto. Napoleone III, con un'opposizione interna sempre più vasta ed agguerrita, ed un calo notevole del suo prestigio all'estero, dichiara guerra alla Prussia, sancendo in questo modo il proprio definitivo declino.

Sconfitto più volte, imprigionato dopo una disastrosa disfatta a Sedan, nella battaglia del 2 settembre 1870, viene incarcerato nel castello di Wilhelmshohe. Da qui, dopo la proclamazione della nuova Repubblica e la dichiarazione di decadenza della dinastia napoleonica, Napoleone III è lasciato partire per l'Inghilterra, a Chislehurst, dove muore il 9 gennaio 1873, all'età di 65 anni.

In origine fu sepolto a Chislehurst, presso la chiesa cattolica di Santa Maria; tuttavia, dopo che suo figlio, ufficiale dell'esercito del Regno Unito, morì nel 1879 combattendo contro gli Zulu in Sud Africa, Eugenia decise di costruire un monastero e una cappella per le spoglie del marito e del figlio: così, nel 1888, Napoleone e il figlio furono definitivamente traslati nella cripta imperiale nell'Abbazia di San Michele a Farnborough, nella contea dello Hampshire nel Regno Unito.

Tra una guerra e l'altra è riuscito a dare, probabilmente, il meglio di sé in una produzione letteraria di un certo interesse: la sua opera più importante è una "Vita di Giulio Cesare". Fra i tanti avversari politici ne annovera uno del calibro di Victor Hugo che gli dedica la definizione, rimasta celebre, di "Napoleon le petit". 

lunedì 1 dicembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il primo dicembre.

Il primo dicembre 1923 crolla la diga del Gleno provocando il disastro della Valle di Scalve.

Messa in ombra dalla più grave (per dimensioni e numero di morti) tragedia del Vajont, la catastrofe della Diga del Gleno rimane ancora oggi un capitolo di storia delle Alpi sconosciuto alla maggioranza della popolazione, nonostante nei primi decenni del '900 abbia portato morte e distruzione in un'intera vallata.

Lo sbarramento realizzato sul torrente Gleno, realizzato con l'intento di produrre energia elettrica, il 1 Dicembre del 1923 crollò, riversando il suo bacino idrico e creando una tragedia che sconvolse letteralmente la Valle di Scalve in provincia di Bergamo e la Val Camonica in provincia di Brescia.

I ruderi della diga sono ancora là, a oltre 1500 metri in alta val di Scalve, al cospetto delle vette orobiche più elevate, ma la loro storia è nota solamente alla popolazione locale e a pochi altri.

Il forte sviluppo industriale delle aree prealpine centrali, ed in particolare della Val Camonica, dove si era sviluppata un'intensa attività metallurgica, richiedeva una sempre maggior quantità di energia elettrica, fatto che spinse le autorità dell'epoca a cercare località alpine adatte alla costruzione di invasi. Già all'inizio del secolo era nata l'idea di uno sbarramento sul torrente Povo (affidata nel 1907 all'ingegner Tosana di Brescia) in Val di Scalve; il progetto rimase incompiuto per anni, anche a causa della Grande Guerra, fino a vedere la realizzazione nel 1919, quando la ditta brianzola Galeazzo Viganò di Triuggio, iniziò la realizzazione della struttura, completata poi nel 1923.

Il progetto iniziale di una diga a gravità (alta 52 metri e lunga ben 260 metri) è stato poi sostituito in corso d'opera da una struttura ad archi multipli, dando origine a non pochi problemi tecnici, poiché i due diversi progetti furono in un certo qual modo "mischiati" senza prendere le dovute precauzioni architettoniche. Era anche l'unico esempio al mondo di diga mista a gravità ed archi multipli

L'invaso così costruito aveva una capienza di circa sei milioni di metri cubi d'acqua, una dimensione notevole per il periodo.

Dopo diversi il giorni di piogge, durante il mese di ottobre il bacino si riempì per la prima volta, vennero anche valutate delle considerevoli perdite di acqua. Le perdite continuarono fino a quando avvenne il vero e proprio disastro: la notte del 1 dicembre 1923 parte della murata della diga crollò, creando uno squarcio di 80 metri e riversando l'intero contenuto dell'invaso in Val di Scalve.

In un istante furono spazzati via dalla furia dell'acqua gli abitati di Bueggio e Dezzo di Azzone In Valle di Scalve; rapidamente l'onda folle si abbatté poi sul comune di Darfo, Boario Terme e Gorzone in Val Camonica, per poi concludere la sua folle corsa nel Lago d'Iseo, a oltre 20 chilometri di distanza.

La massa d'acqua del bacino del Gleno lasciò nella valle 356 vittime riconosciute, oltre ad un numero non meglio definito di dispersi.

Per decenni si discusse su quali possano essere state le cause di un tale disastro: alla fine, ciò di cui siamo certi è che la struttura non rispondeva ai requisiti architettonici necessari a garantirne la sicurezza, gli archi erano appoggiati malamente alla precedente struttura a gravità, la murata era costellata di crepe e non erano mai stati eseguiti i controlli e le manutenzioni necessarie.

I responsabili della ditta Viganò, costruttrice della Diga del Gleno, furono processati dal regime fascista e condannati a pochi anni di reclusione per imperizia, lasciando senza colpevoli uno dei disastri più devastanti che hanno caratterizzato le valli alpine italiane nel secolo scorso.

domenica 30 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 30 novembre.

Il 30 novembre 1786 il Granducato di Toscana, primo Stato al mondo, abolisce la pena di morte nel suo territorio.

La pena di morte viola il diritto alla vita. La Dichiarazione universale dei diritti umani e altri trattati regionali e internazionali, che chiedono l’abolizione della pena di morte, riconoscono il diritto alla vita. Un riconoscimento sostenuto anche dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, nel 2007 e nel 2008, ha adottato una risoluzione che chiede, fra l’altro, una moratoria sulle esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di morte.

La pena di morte è una punizione crudele e disumana. La sofferenza fisica causata dall’azione di uccidere un essere umano non può essere quantificata, né può esserlo la sofferenza mentale causata dalla previsione della morte che verrà per mano dello Stato. Sebbene le autorità dei paesi mantenitori continuino a cercare procedure sempre più efficaci per eseguire una condanna a morte, è chiaro che non potrà mai esistere un metodo umano per uccidere.

La pena di morte non ha valore deterrente. Nessuno studio ha mai dimostrato che la pena di morte sia un deterrente più efficace di altre punizioni.

La pena di morte è un omicidio premeditato dello stato. Eseguendo una condanna a morte, lo stato commette un omicidio e dimostra la stessa prontezza del criminale nell’uso della violenza fisica. Alcuni studi hanno non solo dimostrato come il tasso di omicidi sia più alto negli stati che applicano la pena di morte rispetto a quelli dove questa pratica è stata abolita, ma anche come questo aumenti rapidamente dopo le esecuzioni.

La pena di morte è sinonimo di discriminazione e repressione. Nelle mani di regimi autoritari, la pena capitale è uno strumento di minaccia e repressione che riduce al silenzio gli oppositori politici.

La pena di morte non dà necessariamente conforto ai familiari della vittima. Lontana dal mitigare il dolore, la lunghezza del processo non fa altro che prolungare la sofferenza dei familiari della vittima, fino alla conclusione dove una vita viene presa per un’altra vita, in una forma di vendetta legalizzata.

La pena di morte può uccidere un innocente. Una difesa legale inadeguata, le false testimonianze e le irregolarità commesse da polizia e accusa sono tra i principali fattori che determinano la condanna a morte di un innocente. In alcuni paesi, il segreto di Stato che circonda la pena capitale impedisce una corretta valutazione di questo fenomeno.

La pena di morte infligge sofferenza ai familiari dei condannati. La pena capitale ha effetto sulla famiglia, sugli amici e su tutti coloro che sono vicini al condannato a morte.

La pena di morte nega qualsiasi possibilità di riabilitazione. Qualunque sia il metodo scelto per uccidere il condannato, l’uso della pena di morte nega la possibilità di riabilitazione, di riconciliazione e respinge l’umanità della persona che ha commesso un crimine.

La pena di morte non rispetta i valori di tutta l’umanità. I diritti umani sono universali, indivisibili e interdipendenti. Derivano da molte e diverse tradizioni nel mondo e sono riconosciuti da tutti i membri delle Nazioni Unite come standard verso i quali hanno accettato di conformarsi. È sull’insieme di questi valori che Amnesty International basa la sua opposizione alla pena di morte.

Ovunque la pena di morte sia applicata, il rischio di mettere a morte persone innocenti non può essere eliminato. Dal 1973 negli Usa sono stati rilasciati 167 prigionieri dopo che erano emerse nuove prove della loro innocenza. Alcuni di questi sono arrivati a un passo dall’esecuzione dopo aver trascorso molti anni nel braccio della morte.

In ognuno di questi casi sono emerse caratteristiche simili e ricorrenti: indagini poco accurate da parte della polizia, assistenza legale inadeguata, utilizzo di testimoni non affidabili e di prove o confessioni poco attendibili. Ma non solo. Negli Usa, purtroppo, sono diversi i casi di prigionieri messi a morte nonostante l’esistenza di molti dubbi sulla loro colpevolezza.

Il problema della potenziale esecuzione di un innocente non è solo limitato agli Usa.

Nel 2019, almeno undici persone sono state prosciolte in due paesi: Zambia e Stati Uniti d’America. Nel 2018, erano state prosciolte almeno 8 persone in 4 paesi tra cui Egitto, Kuwait, Malawi e Stati Uniti d’America.

Cheng Hsing-tse è stato prosciolto a Taiwan nel 2017 dopo sette procedimenti giudiziari e otto processi in appello. L’uomo ha trascorso 14 anni in stato di detenzione, di cui 10 nel braccio della morte. Nel 2016, Zang Aiyun è stato assolto dall’accusa di omicidio in Cina dopo 11 anni e 9 mesi di prigione. In Vietnam, Tran Van Them, 80 anni, è stato prosciolto da ogni accusa e liberato dal braccio della morte dopo 43 anni.

Sono 28 i paesi che mantengono in vigore la pena di morte, ma nei quali le esecuzioni non hanno luogo da almeno dieci anni, oppure hanno stabilito una prassi o assunto un impegno a livello internazionale a non eseguire condanne a morte: Algeria, Brunei Darussalam, Camerun, Corea del Sud, Eritrea, Eswatini (ex Swaziland), Federazione Russa , Ghana, Grenada, Kenya, Laos, Liberia, Malawi, Maldive, Mali, Mauritania, Marocco/Sahara occidentale, Myanmar, Niger, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone, Sri Lanka, Tagikistan, Tanzania, Tonga, Tunisia, Zambia.

Sono 56 i paesi che mantengono in vigore la pena di morte (tra parentesi il numero delle esecuzioni note effettuate nel 2019; col punto interrogativo si indica il Paese in cui tale dato è secretato (come nel caso della Cina) o non disponibile: Afghanistan, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita (184), Bahamas, Bahrain (3), Bangladesh (2), Barbados, Belize, Bielorussia (2), Botswana (1), Ciad, Cina (?), Comore, Corea del Nord (?), Cuba, Dominica, Egitto (32), Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Gambia, Giamaica, Giappone (3), Giordania, Guinea Equatoriale, Guyana, India, Indonesia, Iran (251), Iraq (100), Kuwait, Lesotho, Libano, Libia, Malesia, Nigeria, Oman, Palestina (Stato di), Pakistan (14), Qatar, Repubblica Democratica del Congo, Singapore (4), Siria (?), Somalia (12), Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Stati Uniti d’America (22), Sudan (1), Sudan del Sud (11+), Thailandia, Taiwan, Trinidad e Tobago, Uganda, Vietnam (?), Yemen (7), Zimbabwe.

Come parte del suo impegno per difendere i diritti umani, l’Unione europea è il più grande donatore nella lotta contro la pena di morte nel mondo. Tutti i paesi europei hanno abolito la pena di morte in linea con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

L’UE combatte la pena di morte in molti modi. Ad esempio vieta il commercio di merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte e utilizza le politiche commerciali per incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo. Inoltre supporta le organizzazioni della società civile nei paesi che ancora applicano la pena di morte, facendo un lavoro di documentazione e di sensibilizzazione.

L’Unione europea, come osservatore permanente dell’ONU, sostiene convintamente tutte le azioni che pongono fine alla pena di morte dove è ancora praticata.

Il Parlamento europeo adotta le risoluzioni e ospita i dibattiti che condannano le azioni dei paesi che ancora utilizzano la pena capitale. Una risoluzione del 2015 sulla pena di morte condannava il suo uso per sopprimere l’opposizione, oppure per ragioni di credo religioso, omosessualità e adulterio.

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