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giovedì 10 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 10 luglio.

Il 10 luglio 2002 Sotheby's vende il dipinto °Il massacro degli innocenti" di Rubens (la sua prima versione) per 49,5 milioni di sterline.

Pieter Paul Rubens nasce il 28 giugno del 1577 a Siegen, in Westfalia, figlio di Maria Pupelynckx e di Jan, un avvocato calvinista fiammingo. Cresciuto a Colonia, dove il padre si era rifugiato per evitare la persecuzione spagnola nei confronti dei protestanti, a dodici anni si trasferisce ad Anversa, dove studia il latino, riceve un'educazione umanista e diventa cattolico; due anni dopo, inizia un apprendistato artistico presso Tobias Verhaeght.

Nel 1596 realizza con Otto van Veen e Jan Brueghel il Vecchio il "Parnaso"; nello stesso periodo, porta a termine anche la "Battaglia delle amazzoni" e il "Peccato originale". Nel 1598 Rubens viene iscritto alla corporazione dei pittori della gilda locale come maestro, mentre due anni più tardi si reca in Italia: vi rimarrà fino al 1608.

Dapprima fa tappa a Venezia, dove entra in contatto con le opere di Tintoretto, di Veronese e di Tiziano; poi, conosciuto il duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga, viene nominato pittore di corte. Nel 1601 viene spedito a Roma allo scopo di copiare alcuni dipinti: in questa occasione scopre le opere di Raffaello e di Michelangelo, ma anche di Federico Barocci, di Caravaggio e del Carraggi.

Successivamente realizza l'"Innalzamento della croce", l'"Incoronazione di spine" e il "Trionfo di Sant'Elena" per la cappella di Sant'Elena nella Basilica di Santa Croce Gerusalemme, oltre al "Martirio di San Sebastiano" e al "Compianto sul corpo di Cristo". Nel 1603, sempre in missione per Vincenzo I Gonzaga, si sposta in Spagna; tornato a Mantova, soggiorna a Genova, dove realizza il "Ritratto di Brigida Spinola Doria", per poi ritrovare Roma: qui vive con suo fratello Philipp e viene incaricato di decorare l'abside di Santa Maria in Vallicella.

Una volta completato il dipinto, si accorge che la sua posizione sull'altare riceve una luce eccessiva che ne compromette la fruizione: per questo sceglie di ritirarlo e di creare in sua vece la "Madonna della Vallicella", i "Santi Domitilla, Nereo e Achilleo" e i "Santi Gregorio, Papia e Mauro": tre dipinti su ardesia.

Nel 1608, come detto, Rubens torna in patria, dove trova il sostegno di Nicolas Rockx, scabino e borgomastro, e di un altro potente protettore, l'arciduca Alberto, al tempo governatore dei Paesi Bassi meridionali. Sul fronte artistico, in questo frangente il suo stile si indirizza verso contrasti luministici evidenti e figure michelangiolesche in gruppi: lo si nota, per esempio, nel "Sansone e Dalila" portato a termine nel 1610, ma anche nell'"Erezione della croce" destinata alla Cattedrale di Anversa conclusa l'anno successivo.

Dal 1612 in poi, tuttavia, il suo modo di dipingere si evolve, forse anche per effetto delle istanze della Controriforma Cattolica, con opere che diventano più chiare e con colori più freddi, ma anche una distribuzione più armoniosa dei personaggi: accade in "Discesa della croce", realizzata sempre per la Cattedrale di Anversa e conclusa nel 1614, che per il corpo del Cristo è ispirata direttamente al "Laocoonte".

Mentre si occupa dell'"Incredulità di San Tommaso", Rubens organizza una bottega in cui tenta di applicare i metodi industriali al lavoro artistico: per esempio, scegliendo i suoi collaboratori a seconda delle particolari specializzazioni, sulla base di parametri razionali. Accogliendo un gran numero di commissioni, è coinvolto nei progetti finalizzati alla realizzazione di sette arazzi dedicati alla "Storia di Decio Mure", richiestigli da alcuni nobili genovesi.

Nel 1620 si occupa della decorazione dei soffitti della Chiesa di San Carlo Borromeo di Anversa, con quaranta dipinti di grandi dimensioni che raffigurano scene tratte dalle vite dei santi, dall'Antico Testamento e dal Nuovo Testamento.

Nel 1621 Rubens riceve l'incarico di realizzare alcuni dipinti monumentali che andranno ad arricchire la galleria del Palazzo del Luxembourg: ad assegnargli il compito è la madre del re Luigi XIII, Maria de' Medici. Il ciclo, di carattere allegorico ed encomiastico, viene completato nel 1625, e illustra - secondo i canoni della pittura del Seicento, con l'unione di ritratti e allegorie - la vita e il pensiero politico di Maria, mostrando i suoi sette anni di reggenza e il suo tentativo di favorire la pace con l'impero asburgico. Tra i dipinti più celebri di questo periodo ricordiamo l'"Arrivo della regina a Marsiglia".

Nella seconda metà degli anni Venti del XVII secolo, Rubens è impegnato nella preparazione dei bozzetti relativi a quindici arazzi di grandi dimensioni commissionatigli dall'arciduchessa Isabella, che dovranno essere collocati nel convento delle Carmelitane scalze di Madrid; nel frattempo, riceve un altro incarico da Maria de' Medici, cioè la decorazione della Galleria di Enrico IV. Tale progetto, tuttavia, viene abbandonato nel 1631.

Dopo avere comprato una casa di campagna ad Ekeren, il pittore fiammingo si reca in Spagna in missione diplomatica, alla corte del re Filippo IV, per poi visitare la corte di Carlo I d'Inghilterra: proprio su commissione di quest'ultimo lavora, all'inizio degli anni Trenta, a nove opere con la "Glorificazione di Giacomo I" per la Banqueting House di Whitehall a Londra.

Dopo avere completato otto arazzi con la "Storia di Achille", Rubens acquista nel 1635 la tenuta dello Steen a Elewyt e si dedica alla creazione degli apparati per l'entrata trionfale dell'arciduca Ferdinando d'Austria, nuovo governatore generale dei Paesi Bassi, ad Anversa.

Dopo essere stato chiamato a decorare venticinque stanze del padiglione di caccia di Filippo IV, re di Spagna, Rubens muore ad Anversa il 30 maggio del 1640, poco prima di compiere sessantaquattro anni.


 

mercoledì 9 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 9 luglio.

Il 9 luglio 2004 la Commissione Americana al Senato sui servizi di Intelligence assolve la Casa Bianca, poiché la decisione di attaccare l'Iraq sulla base delle (false) notizie sulla presenza nel Paese di armi di distruzione di massa era basata su rapporti falsati.

Dopo che Saddam Hussein era stato praticamente solleticato a prendersi il Kuwait, e dopo che l'Iraq si era svenato per dieci anni in una guerra contro l'Iran, la mossa gli scatenò contro la più grande coalizione militare della storia ai tempi di Bush senior nel 1991.

Poi, nel 2003, c'era da finire il lavoro e il segretario di stato Powell si presentò all'Onu con la storia delle armi di distruzione di massa. E il lavoro fu finito. Però, sul campo tali armi non vennero mai trovate e solo nel 2010 si insinuò che forse non c'erano mai state. Ma ormai le cose erano fatte. Peccato che non siano mai finite, da quelle parti. Senza la dittatura di Saddam l'Iraq è finito nel caos, così come la Libia senza la dittatura di Gheddafi. Stesso servizio doveva essere fatto con la Siria, ma qui le cose si sono rivelate più complicate.

Comunque, un fatto poco noto riguarda l'Inghilterra di Tony Blair, nel 2003 alleato di ferro degli Usa di Bush jr. In quell'anno una traduttrice inglese, Katharine Gun, lavorava all'ente governativo di comunicazioni per i servizi segreti GCHQ (Government Communications HeadQuarters, con sede a Cheltenham). La giovane donna intercettò un messaggio di tal Frank Koza, dell'NSA (National Security Agency) americano. In esso si raccomandava, ovviamente in via top secret, di far pressioni sui membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu perché autorizzassero l'intervento anglo-americano in Iraq. Il fatto era che il governo inglese aveva qualche difficoltà a far digerire la guerra sia al popolo che allo stesso apparato.

Infatti, il procuratore generale, lord Goldsmith, aveva dato parere negativo: senza mandato Onu, la Gran Bretagna non aveva alcun diritto di attaccare l'Iraq. Goldsmith, però, viaggiò a Washington e al ritorno aveva cambiato misteriosamente idea. Ora, la traduttrice Katharine Gun era sposata con un curdo. Così, pensò bene di far pervenire quel che aveva scoperto alla redazione dell'Observer, quotidiano fin lì favorevole alla guerra. 

La Gun fu scoperta e processata per tradimento. Ma poi, a ridosso delle elezioni, le accuse a suo carico vennero ritirate per non dare ulteriore pubblicità alla faccenda. Sulla vicenda è stato scritto un libro, The Spy who tried to stop a War, di Marcia e Thomas Mitchell e infine tratto un film. 

Intervistata sul perché avesse deciso di tradire il suo Paese rivelando quel che sapeva alla stampa (e rischiando, oltre al carcere, l'espulsione del marito), disse che non aveva tradito il Paese, bensì i suoi governanti del momento che quella guerra non era solo a Saddam ma anche a 30 milioni di irakeni.

In effetti, di questi ne morirono circa un milione, pare. Più, 4600 inglesi e americani. Il film non risparmia nemmeno i particolari grotteschi che la vicenda a un certo punto assunse. Per esempio, la stampa filogovernativa, per sostenere che si trattava di un falso, puntò i riflettori su certe parole del messaggio trafugato, parole che gli americani scrivono in modo leggermente diverso dagli inglesi, come recognise anziché recognize. Ebbene, venne fuori che la redattrice dell'Observer, nel batterle al computer, aveva fatto ricorso, meccanicamente, al correttore automatico.

Furono l’intelligence americana e quella tedesca – che gestì le sue informazioni – a dare a Rafid Ahmed Alwan al-Janabi, l'ingegnere iracheno il cui racconto fu usato dagli USA,  il nome in codice di “Curveball” (palla a effetto). Janabi era stato un ingegnere chimico in Iraq, ma era scappato nel 1995 per poi ottenere asilo nel 2000 in Germania. Tre settimane dopo, a quanto ha raccontato Janabi in una confessione durata due giorni con i giornalisti del Guardian, un responsabile dei servizi segreti tedeschi lo andò a cercare dopo aver saputo della sua professione in Iraq. Janabi allora gli raccontò molte cose sulla produzione di armi chimiche in Iraq, e quelle cose furono così interessanti e articolate da diventare, nel giro di tre anni, la fonte principale del famoso discorso di Colin Powell all’ONU, quello con cui gli Stati Uniti accusarono l’Iraq di essere in possesso di armi di distruzione di massa e costruirono le ragioni della guerra contro Saddam Hussein.

Ma della fondatezza di quell’accusa è stata ormai  acclarata la falsità, e le nuove confessioni di Janabi al Guardian le danno un durissimo colpo: l’uomo ha ammesso di essersi inventato gran parte di ciò che raccontò allora, a quanto si legge negli articoli sul quotidiano inglese.

«Forse era vero, forse no. Mi dettero questa opportunità, di costruire qualcosa per abbattere il regime. Io e i miei figli siamo fieri di averlo fatto e di essere stati la ragione per dare all’Iraq la possibilità di una democrazia»

«Avevo un problema col regime di Saddam: volevo liberarmene e ne ebbi la chance»

Janabi – che vive ancora in Germania, a Karlsruhe – ha raccontato di avere dato all’agente tedesco informazioni inventate su camion di armi biologiche con cui aveva lavorato a Baghdad. Raccontò di ruoli e dettagli inventati, che vennero messi in dubbio da altre testimonianze, in particolare da quella del suo ex capo interpellato a Dubai. Quei racconti arrivarono all’intelligence americana, e nel 2003 Colin Powell parlò di “descrizioni di prima mano su fabbriche mobili di armi biologiche” e disse che “la fonte è un testimone diretto, un ingegnere chimico iracheno che ci ha lavorato. Era presente durante la produzione di agenti biologici e anche quando nel 1998 un incidente uccise dodici tecnici”. Janabi aveva avuto successivi incontri con l’intelligence tedesca che aveva girato le sue informazioni agli Stati Uniti.

Ma la storia delle armi di distruzione di massa è diventata via via più fragile negli anni successivi all’inizio della guerra, e il racconto di Jalabi era già stato molto contestato. Poi ha confessato.

“Quando penso che qualcuno viene ucciso – non solo in Iraq ma in qualunque guerra – sono molto triste. Ma ditemi un’altra soluzione. Sapete dirmela? Credetemi, non c’era altro modo di portare la libertà in Iraq. Non c’era nessuna altra possibilità»

martedì 8 luglio 2025

#AlmanaccoQUotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è l'8 luglio.

L'8 luglio 1497 Vasco da Gama salpa da Lisbona alla volta dell'India.

L'esploratore Vasco da Gama nacque a Sines, in Portogallo, intorno al 1460. Nel 1497, fu incaricato dal re portoghese di trovare una rotta marittima verso est. Il suo successo nel farlo si è rivelato uno dei momenti più importanti nella storia della navigazione. Successivamente fece altri due viaggi in India e fu nominato viceré portoghese in India nel 1524.

L'esploratore Vasco da Gama nacque in una nobile famiglia intorno al 1460 a Sines, in Portogallo. Poco si sa della sua educazione, tranne che era il terzo figlio di Estêvão da Gama, che era comandante della fortezza di Sines nella parte sud-occidentale del Portogallo. Una volta adulto, il giovane Vasco da Gama si unì alla marina, dove gli fu insegnato come navigare.

Conosciuto come un navigatore duro e senza paura, da Gama consolidò la sua reputazione di rispettabile marinaio quando, nel 1492, il re Giovanni II di Portogallo lo spedì a sud di Lisbona e poi nella regione dell'Algarve, per impadronirsi delle navi francesi come atto di vendetta contro il governo francese per l'interruzione del trasporto marittimo portoghese.

Nel 1495 re Manuele prese il trono e riportò in auge l'intenzione di trovare una rotta commerciale diretta verso l'India. In quel tempo, il Portogallo si era affermato come uno dei più potenti paesi marittimi in Europa.

Gran parte di ciò era dovuto a Enrico il navigatore, che nella regione meridionale del paese aveva riunito una squadra di esperti mappatori, geografi e navigatori. Aveva inviato navi per esplorare la costa occidentale dell'Africa per espandere l'influenza commerciale del Portogallo. Credeva anche di poter formare un'alleanza con Prester John, che governava un impero cristiano da qualche parte in Africa. Enrico non trovò mai Prester John, ma il suo impatto sul commercio portoghese con la costa occidentale dell'Africa durante i suoi 40 anni di lavoro esplorativo fu comunque impareggiabile. Tuttavia, nonostante tutto il suo lavoro, la parte meridionale dell'Africa e ciò che si trovava ad est rimase avvolta nel mistero.

Nel 1487, una svolta importante fu fatta quando Bartolomeu Dias scoprì la punta meridionale dell'Africa e doppiò il Capo di Buona Speranza. Questo viaggio fu molto significativo: dimostrò, per la prima volta, che gli oceani Atlantico e Indiano erano collegati. Il viaggio, inoltre, rinverdì l'interesse nel cercare una rotta commerciale verso l'India.

Alla fine del 1490, tuttavia, re Manuele non stava solo pensando alle opportunità commerciali mentre puntava verso l'Oriente. In effetti, il suo slancio per trovare una rotta era guidato più che dal desiderio di ottenere basi commerciali più redditizie per il suo paese, dal desiderio di conquistare l'Islam e affermarsi come re di Gerusalemme.

Gli storici sanno poco sul perché esattamente Vasco da Gama, ancora un esploratore inesperto, fu scelto per condurre la spedizione in India nel 1497. L'8 luglio di quell'anno, salpò al comando di una squadra di quattro navi, tra cui la sua nave ammiraglia, la San Gabriele, per trovare una rotta per l'India e l'Oriente.

Per intraprendere il viaggio, da Gama puntò le sue navi verso sud, approfittando dei venti dominanti lungo la costa africana. La sua scelta di direzione fu anche un rimprovero per Cristoforo Colombo, che aveva creduto di trovare una rotta per l'India navigando verso ovest.

Dopo diversi mesi di navigazione, girò attorno al Capo di Buona Speranza e iniziò a risalire la costa orientale dell'Africa, verso le acque inesplorate dell'Oceano Indiano. A gennaio, mentre la flotta si avvicinava all'odierno Mozambico, molti membri dell'equipaggio si erano ammalati di scorbuto, costringendo la spedizione ad ancorare per riposare e rimettersi in forze per quasi un mese.

All'inizio di marzo del 1498, da Gama e il suo equipaggio calarono le loro ancore nel porto del Mozambico, una città-stato musulmana che si trovava nella periferia della costa orientale dell'Africa ed era governata da commercianti musulmani. Qui, da Gama fu respinto dal sultano dominante, che si sentì offeso dai regali modesti dell'esploratore.

All'inizio di aprile, la flotta raggiunse quella che oggi è il Kenya, prima di salpare per un viaggio di altri 23 giorni per attraversare l'Oceano Indiano. Raggiunsero Calcutta, in India, il 20 maggio. Ma la ignoranza dell'esploratore della regione, così come la sua presunzione che i residenti fossero cristiani, crearono confusione. I residenti di Calcutta erano in realtà indù, religione di cui i portoghesi non avevano mai sentito parlare.

Tuttavia, il sovrano indù locale accolse inizialmente da Gama e i suoi uomini e l'equipaggio finì per rimanere a Calcutta per tre mesi. Non tutti erano amichevoli con loro, in particolare i commercianti musulmani che chiaramente non avevano intenzione di rinunciare ai loro vantaggi commerciali in favore dei visitatori cristiani. Alla fine, da Gama e il suo equipaggio furono costretti al baratto per ottenere il lasciapassare per il ritorno a casa. Nell'agosto del 1498, da Gama e i suoi uomini tornarono in mare, iniziando il loro viaggio di ritorno in Portogallo.

Ma la tempistica del ritorno non avrebbe potuto essere peggiore: la sua partenza coincise con l'inizio di un monsone. All'inizio del 1499, diversi membri dell'equipaggio erano morti di scorbuto e, non avendo sufficienti marinai per governare la sua flotta, da Gama ordinò di bruciare una delle navi. Riuscirono a raggiungere il Portogallo solo il 10 luglio, quasi un anno intero dopo aver lasciato l'India.

In tutto, nel primo viaggio Vasco da gama percorse quasi 24.000 miglia in circa due anni e solo 54 membri dell'equipaggio sui 170 originali  sono sopravvissuti.

Quando da Gama tornò a Lisbona, fu accolto come un eroe. Nel tentativo di assicurare la rotta commerciale con l'India e usurpare i commercianti musulmani, il Portogallo inviò un'altra squadra di navi, guidata da Pedro Álvares Cabral. L'equipaggio raggiunse l'India in soli sei mesi e durante il viaggio si ebbe uno scontro a fuoco con mercanti musulmani, nel quale l'equipaggio uccise 600 uomini su navi mercantili musulmane. Cosa ancora più importante per il suo paese d'origine, Cabral istituì la prima sede commerciale portoghese in India.

Nel 1502, Vasco da Gama guidò un altro viaggio in India che includeva 20 navi. Dieci delle navi erano direttamente al suo comando, con suo zio e suo nipote a comandare le altre. Sulla scia del successo di Cabral, il re incaricò da Gama di proteggere ulteriormente il dominio portoghese nella regione.

Per fare ciò, da Gama compì uno dei massacri più raccapriccianti dell'era dell'esplorazione. Lui e il suo equipaggio terrorizzarono i porti musulmani su e giù per la costa orientale africana e, ad un certo punto, incendiarono una nave musulmana di ritorno dalla Mecca, uccidendo le diverse centinaia di persone (tra cui donne e bambini) che erano a bordo. Successivamente, l'equipaggio giunse a Calcutta, dove distrussero il porto commerciale e uccisero 38 ostaggi. Da lì, si trasferirono nella città di Cochin, una città a sud di Calcutta, dove da Gama formò un'alleanza con il sovrano locale.

Alla fine, il 20 febbraio 1503, da Gama e il suo equipaggio iniziarono a tornare a casa. Raggiunsero il Portogallo l'11 ottobre di quell'anno.

Da Gama si sposò ed ebbe sei figli, ritirandosi in pensione. Mantenne comunque un  contatto con re Manuele, al quale dava consigli su questioni indiane, e infine fu nominato conte di Vidigueira nel 1519. In età avanzata, dopo la morte del re, gli fu chiesto di tornare in India, nel tentativo di contrastare la crescente corruzione da parte di funzionari portoghesi nel paese. Nel 1524, re Giovanni III lo nominò viceré portoghese in India.

Nello stesso anno da Gama morì a Cochin di malaria; il suo corpo fu riportato in Portogallo e lì sepolto, nel 1538.

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