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lunedì 15 dicembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 15 dicembre.

Il 15 dicembre 1974 esce nelle sale americane Frankenstein Junior.

Frankenstein Junior è con ogni probabilità il film più celebre (e, a distanza di oltre cinquant'anni dalla sua realizzazione, più attuale) della carriera di Mel Brooks. Entrato di diritto nella memoria collettiva, anche e soprattutto per le sue battute folgoranti e per il personaggio dell’assistente gobbo Igor, interpretato da un sublime Marty Feldman, il film è anche una sapiente rilettura satirica ma non priva di spirito filologico dell’horror classico, e del suo significato recondito nella messa in scena del deforme, del diverso.

Si… Può… Fare!

Nella New York degli anni Trenta del Ventesimo Secolo Victor Frankenstein è un giovane e brillante medico, apprezzato docente universitario e fidanzato con la bella Elizabeth. Nonostante faccia pronunciare il suo cognome Frankenstin per prendere le distanze dagli esperimenti medici del celebre nonno, non può rifiutare l’eredità che gli spetta al momento del decesso dell’avo. L’eredità è un castello in Transilvania, dove il dottore si reca con l’intenzione di tornare il prima possibile negli Stati Uniti… 

Non è facile dopo oltre 50 anni approcciarsi con buona volontà critica a un film come Frankenstein Junior. La difficoltà non è dettata dall’opera in sé, tra i parti più interessanti dell’ondivaga filmografia di Mel Brooks, ma dal fatto che in mezzo secolo sia sempre venuta meno una reale e compiuta storicizzazione del film. Una mancanza dovuta a fattori differenti, a partire proprio dal primo dato evidente anche per gli sguardi più miopi o distratti: Brooks filma una commedia parodistica e demenziale. Un terreno, questo, nel quale il regista newyorchese si muove con estrema naturalezza, ma che accende una spia automatica nei ranghi della critica, che lo guarda con malcelato sospetto fin da tempi antichi, quando il cinema non era di certo annoverabile tra le arti. A questo dato se ne aggiunge però un altro: nel corso dei decenni Frankenstein Junior è divenuto un oggetto di culto, cui approcciarsi non più come semplici spettatori, ma come devoti. Le battute vengono sciorinate a memoria, collettivamente, alla stregua di una vera e propria liturgia. Non che la rilettura sarcastica della storia gotica per eccellenza, quella che Mary Shelley ideò durante la celeberrima permanenza estiva (nel 1816, definito come “anno senza estate”) nella ginevrina Villa Diodati, ospite con il marito di Lord Byron, rappresenti un’unicità. Dopotutto come ogni arte anche il cinema è radicalmente politeista, e gli oggetti di culto possono essere molteplici. La critica, già poco propensa a interessarsi in una forma compiuta e approfondita di un’opera dichiaratamente frivola come quella di Brooks – sul fatto che manchi un’analisi strutturata della cinematografia del regista di Per favore, non toccate le vecchiette, Mezzogiorno e mezzo di fuoco e Balle spaziali si tornerà più avanti –, preferisce tenersi a distanza dagli oggetti di venerazione, da ciò che ha oramai trasceso il proprio senso per approssimarsi alla devozione, all’amore cieco e privo di riflessione.

È davvero un peccato che a nessuno sia venuto in mente di riprendere in mano Frankenstein Junior non per fermarsi per l’ennesima volta ai giochi di parole – intraducibili eppure ben tradotti nella versione italiana, dimostrazione di un adattamento che non depaupera l’originale ma lo affina e finisce perfino per arricchirlo: un discorso che nei rapporti con il comico basato sulla verbalizzazione trova altri esempi fertili, a partire da Clerks di Kevin Smith, letteralmente riscritto nella versione doppiata in italiano, senza per questo tradire in alcuna misura le volontà autoriali originarie –, ai ribaltamenti sarcastici delle regole del gotico, alla perfetta interpretazione di eccellenti protagonisti quali Gene Wilder, che è anche l’artefice del soggetto, Peter Boyle, il già citato Feldman, Cloris Leachman e Teri Garr, ma per tentare di scavare in profondità, per accorgersi di come Brooks abbia saputo trasformare un perfetto marchingegno comico in una colta speculazione sulle strutture dell’immaginario, sulle strade obbligatorie, sui punti fermi dell’intera cultura occidentale.

Se i grandi eretici della comicità hanno sempre trovato una corsia preferenziale nel pensiero analitico, da Chaplin a Keaton passando per i fratelli Marx o (in Italia) Totò, la stessa attenzione non è mai stata riservata a chi lavora non sul sovvertimento delle regole in quanto tali ma sul loro riflesso, sulla parodia. L’intento parodistico è infatti generalmente ridotto a mera storpiatura di un pensiero nobile, a uso e consumo della pancia degli spettatori – o dei lettori – e non del loro cervello. Perfino un capolavoro quale Amore e guerra di Woody Allen è stato riscoperto solo quando l’autore si è dimostrato in grado di esulare dalla pura e semplice rilettura goliardica del classico. Quasi si soffrisse ancora della sindrome del venerabile Jorge narrata da Umberto Eco ne Il nome della rosa la resistenza è strenua verso chi osa svelare il ridicolo di fronte alla grandezza culturale conclamata.

Sotto questo punto di vista Brooks è un cineasta a dir poco coerente: nel corso della sua carriera, che si articola tra il 1968 e il 1995 (da allora Brooks, nonostante sia ancora vivo e vegeto, a 99 anni, si è considerato di fatto in pensione), ha preso in giro – e allo stesso tempo omaggiato, perché c’è l’atto di riverenza alla base di qualsivoglia parodia – il musical, la letteratura russa, il western classico e il mito di Frankenstein, il cinema di Hitchcock e la saga di Guerre stellari, Robin Hood e Dracula. Per quanto i risultati estetici e comici siano abbastanza alterni e si avverta un forte saliscendi creativo – che perde via via di spessore con il passare degli anni: si prenda la forma tutt’altro che curata nel mettere in scena Robin Hood – Un uomo in calzamaglia, distante anni luce dalla filologia che pervade Frankenstein Junior – non si può far finta che non vi sia una forte componente autoriale e poetica alla base delle scelte operate.

All’interno di questo vasto panorama Frankenstein Junior rappresenta la punta di diamante, il risultato più compiuto e stratificato. Duplice è già la fonte che si decide di riscrivere, perché se è vero che da un punto di vista basico Wilder e Brooks si stanno confrontando con un capolavoro letterario, denso di sottotesti politici e filosofici, dall’altro la scelta è quella di ragionare su Frankenstein avendo come punto di riferimento reale il dittico a lui dedicato da James Whale nei primi anni Trenta. Frankenstein e La moglie di Frankenstein, dunque, elevati a livello di un vero canone espressivo. L’horror classico permette a Brooks di lavorare sull’immaginario in una forma mai solo dissacrante. Si veda l’accurata fotografia di Gerald Hirschfeld, che lavora il bianco e nero con un’attenzione ai chiaroscuri che sembra quasi preconizzare gli anni Trenta visti dagli occhi di Steven Spielberg in Schindler’s List, o si ascoltino le note della colonna sonora di John Morris, così puntuali nel contrappuntare la composizione della Hollywood del tempo che fu allo stesso tempo giocando sui ritmi e sulle timbriche dell’Europa dell’est – il film è ambientato in una bizzarra Transilvania, quasi a voler scomporre la geografia orrorifica creando un ibrido tra i due mostri per eccellenza dell’immaginario cinematografico classico, Frankenstein e Dracula: per non lasciare nulla al caso in un dialogo, reso in italiano con “lupo ululì, castello ululà”, si fa riferimento anche al werewolf, l’uomo lupo.

Senza alcun intento di svilire il proprio riferimento culturale, Brooks lavora al contrario per far esplodere il comico come elemento dissacrante dell’ovvio, del precostituito, del generalmente accettato come parte della morale dominante. Tutto ciò che è egemone, culturalmente e politicamente, viene in modo programmatico messo alla berlina, destituito dallo scranno che senza meriti ha occupato. Nella sua ora e tre quarti di durata Frankenstein Junior svela il ridicolo dietro il mito della verginità (“Sempre libera degg’io folleggiare di gioia in gioia”), racconta il potere politico come ben più mostruoso e deforme della Creatura stessa – l’ispettore Kemp –, sghignazza dell’élite borghese di New York e si diverte perfino a smantellare l’incontro della Creatura con l’eremita cieco, qui interpretato da uno spassoso Gene Hackman. Non si tratta solo di quel “ridere per ridere” che sarà il mantra ossessivo della triade Zucker-Abrahams-Zucker, ma della volontà ferrea di non cedere mai alla grassa comodità della morale corrente, al gioco al massacro messo in atto tenendosi ben al sicuro. Brooks rischia, utilizzando il bianco e nero in un’epoca dominata dal colore (farà lo stesso pochi anni dopo con L’ultima follia di Mel Brooks, riappropriandosi del muto e dello slapstick), e dando nuova vita a Hollywood a un “mostro” che era stato abbandonato alle cure esclusive dell’Europa. Rischia, e vince la sfida, ridefinendo i confini del comico e creando un oggetto di culto, da imparare a memoria e recitare collettivamente. Una liturgia.

domenica 14 dicembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 14 dicembre.

Il 14 dicembre del 1955 l’Italia ha aderito alla Carta delle Nazioni Unite, divenendo membro dell’Organizzazione. 

Ha avuto inizio allora una lunga storia di collaborazione, sostegno e impulso alle attività dell’ONU, che è la logica conseguenza dell’approccio multilateralista che caratterizza la politica estera italiana.

Settanta anni dopo, l’Italia partecipa alle attività delle Nazioni Unite con impegno sempre crescente, contribuendo al perseguimento degli obiettivi della Carta, dal mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, alla promozione e difesa dei diritti umani, allo sviluppo sostenibile.

In questi sette decenni l’Italia ha contribuito con determinazione all’elaborazione delle Risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza che hanno dato vita a grandi innovazioni sul piano delle norme internazionali. Le campagne in favore della moratoria della pena capitale, quelle per promuovere l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne e delle bambine (anche attraverso la lotta a pratiche quali le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati), le battaglie contro ogni forma di discriminazione religiosa e in favore della libertà di opinione, sono alcuni dei temi che vedono il nostro Paese in prima fila. 

Grazie anche alla costante opera di mediazione svolta dall’Italia, è stato possibile, con il trascorrere degli anni, attenuare le differenze di posizione tra Paesi, avvicinando le rispettive visioni e consentendo quindi di ampliare il consenso su molti argomenti. 

L’Italia ha altresì condiviso direttamente le responsabilità che derivano dalla sicurezza collettiva, ricoprendo per sette volte il ruolo di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza, e partecipando a circa 30 operazioni di pace delle Nazioni Unite. 

Il nostro Paese, che è l'ottavo contributore finanziario delle missioni di pace, detiene  il primato, tra i Paesi occidentali, di fornitore di truppe. In particolare, l’Italia partecipa alla missione UNIFIL, schierata nel Libano del Sud. 

In occasione del sessantesimo Anniversario, il nostro Paese ha presentato  la propria candidatura al Consiglio di Sicurezza ed è stato eletto come membro non permanente del Consiglio per il 2017. In continuità con la sua storia e il suo impegno, l'Italia ha fornito un contributo significativo in questa delicata congiuntura internazionale.  

Dal 1955 ad oggi il mondo ha compiuto progressi straordinari, ma a 70 anni da quella data ed a 80 anni di attività delle Nazioni Unite, occorre guardare al futuro. L’Italia, infatti, appoggia il progetto di riforma dell’Organizzazione promosso dal Segretario Generale Antonio Guterres, incentrato sulla revisione delle operazioni di pace, sulla riorganizzazione delle strutture dedicate al  peacebuilding, sulla riforma del management e del sistema di sviluppo delle Nazioni Unite. Tutto questo in omaggio alla filosofia che valorizza l’efficacia d'un approccio preventivo e multisettoriale alle crisi. L’Italia è altresì impegnata nell’attuazione della nuova Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, che rappresenta un piano ambizioso per eliminare la povertà e promuovere la prosperità economica, lo sviluppo sociale e la protezione dell’ambiente su scala globale. Il nostro contributo alla crescita sostenibile è, inoltre, al centro dell’attività delle tre agenzie del Polo agro-alimentare delle Nazioni Unite di Roma (FAO, IFAD e PAM) ed ha trovato concreta attuazione con l’EXPO2015 (Milano, 1 maggio-31 ottobre 2015), un evento dedicato alla sicurezza alimentare e alla nutrizione con cui l’Italia si è fatta portatrice di una visione che si fonda sul passaggio dal concetto di "assistenza" a quello di una "cooperazione fra pari", basata sulla condivisione delle risorse, delle capacità e delle esperienze di sviluppo.” 


sabato 13 dicembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 13 dicembre.

Il 13 dicembre 1996 Kofi Annan viene eletto Segretario Generale delle Nazioni Unite.

Kofi Annan nasce a Kumasi, in Ghana, il giorno 8 aprile 1938. Studia presso l'Università della Scienza e Tecnologia del proprio paese e completa gli studi universitari in economia al Macalester College di St. Paul, nel Minnesota, Stati Uniti. Dal 1961 al 1962 intraprende gli studi post-universitari in economia presso l'Institut universitaire des hautes études internationales a Ginevra. In qualità di Sloan Fellow al Massachusetts Institute of Technology (dal 1971 al 1972) riceve un Master in Gestione Aziendale.

Sposato con Nane Annan, avvocato ed artista svedese da cui ha avuto tre figli, parla correntemente l'inglese, il francese e diverse lingue africane.

Entra nel sistema delle Nazioni Unite nel 1962 in qualità di funzionario amministrativo e di budget presso l'Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra. Da quel momento ricopre diversi incarichi presso la Commissione Economica delle Nazioni Unite per l'Africa, ad Addis Abeba; la Forza di Emergenza delle Nazioni Unite (UNEF II) in Ismailia; l'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati a Ginevra; e la sede delle Nazioni Unite a New York, in qualità di Sotto Segretario Generale nell'Ufficio di gestione delle Risorse Umane e di Coordinatore per la Sicurezza nel sistema delle Nazioni Unite (1987-1990) e come Sotto Segretario Generale per la Pianificazione Programmata, il Budget, la Finanza ed il Controllo (1990-1992).

Prima di essere nominato Segretario Generale, ha ricoperto l'incarico di Sotto Segretario Generale per le operazioni di mantenimento della pace (marzo 1992-febbraio 1993) e, poi, di Segretario Generale Aggiunto (marzo 1993-dicembre 1996). Il suo servizio come Segretario Generale Aggiunto è coinciso con una crescita senza precedenti delle dimensioni e dei compiti delle operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, con uno spiegamento complessivo, che ha raggiunto la sua vetta massima nel 1995, di quasi 70.000 militari e personale civile proveniente da 77 Paesi.

Dal novembre 1995 al marzo 1996, in seguito agli accordi di pace di Dayton che hanno segnato la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina, ricopre la carica di Rappresentante Speciale del Segretario Generale nella ex Jugoslavia, supervisionando la transizione in Bosnia-Erzegovina dalla Forza di Protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR) alla Forza Multinazionale di Attuazione (IFOR) guidata dall'Organizzazione del Patto Atlantico (NATO).

In qualità di Segretario Generale, la prima importante iniziativa di Kofi Annan è stata il suo programma di riforma, "Rinnovare le Nazioni Unite".

Nel 1990, in seguito all'invasione irachena del Kuwait, viene inviato dal Segretario Generale, in missione speciale, per agevolare il rimpatrio di oltre 900 persone appartenenti allo staff internazionale ed il rilascio dei cittadini occidentali in Iraq. Conseguentemente guida il primo team delle Nazioni Unite incaricato di negoziare con l'Iraq la vendita del "petrolio in cambio di cibo", al fine di finanziare l'acquisto di aiuti umanitari.

Kofi Annan ha utilizzato i suoi buoni uffici in diverse e delicate situazioni politiche, tra cui si include: il tentativo nel 1998 di ottenere dall'Iraq il rispetto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza; una missione nel 1998 per aiutare a promuovere la transizione della Nigeria verso un governo civile; un accordo nel 1999 per risolvere una situazione di stallo tra la Libia ed il Consiglio di Sicurezza per l'attentato di Lockerbie del 1988; un'azione diplomatica nel 1999 al fine di forgiare una risposta internazionale alla violenza in Timor Est; attestare il ritiro nel settembre del 2000 delle truppe israeliane dal Libano; ed ulteriori sforzi dopo la recrudescenza della violenza, nel settembre del 2000, per incoraggiare Israeliani e Palestinesi a risolvere i loro contrasti con negoziazioni, fondate sulle risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza e sul principio della "terra per pace".

Nell'aprile 2000 ha pubblicato il Rapporto del Millennio, intitolato "Noi i popoli: il ruolo delle Nazioni Unite nel 21o secolo", esortando gli Stati Membri a impegnarsi in un piano di azione per fronteggiare la povertà e l'ineguaglianza, migliorare l'istruzione, ridurre l'HIV/AIDS, salvaguardare l'ambiente e proteggere i popoli dai conflitti cruenti e dalla violenza. Il rapporto costituisce la base della Dichiarazione del Millennio adottata dai Capi di Stato e di Governo in occasione del Vertice del Millennio, tenutosi nel settembre del 2000, presso la sede delle Nazioni Unite a New York.

Il 10 dicembre 2001, il Segretario Generale e le Nazioni Unite hanno ricevuto il Premio Nobel per la Pace.

Kofi Annan è stato il settimo Segretario Generale delle Nazioni Unite. Come primo Segretario Generale ad essere eletto tra le fila dello staff delle Nazioni Unite, ha assunto l'incarico il 1 gennaio 1997. Il 29 giugno 2001, è stato rieletto per acclamazione dall'Assemblea Generale, su raccomandazione del Consiglio di Sicurezza, ad un secondo mandato, dal 1 gennaio 2002 al 31 dicembre 2006.

Il Consiglio di Sicurezza ONU ha designato come suo successore il sudcoreano Ban Ki-Moon.

Kofi Annan si è spento in Svizzera, a Berna, il 18 agosto 2018 all'età di 80 anni.

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