Cerca nel web

venerdì 12 giugno 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 12 giugno.
Il 12 giugno 1994 vennero uccisi Nicole Brown Simpson, ex moglie di O.J. Simpson e il suo amante Ronald Goodman. Della loro morte venne accusato l'ex marito, l'ex giocatore di football e attore cinematografico Oriental James Simpson, noto soprattutto per la trilogia della "pallottola spuntata", catturato dopo uno spettacolare inseguimento sulle autostrade della California ripreso dalla maggior parte dei network televisivi americani.
“Ricordo di aver pensato subito: “Mio Dio, devo stare attento a non finire in questo lago di vernice rossa”… Poi capii che era invece sangue umano. C’erano 2 cadaveri, una donna e un uomo. La donna aveva la testa quasi recisa dal collo. L’uomo era pieno di ferite di coltello. Ne contai almeno 10, ma poi scoprimmo che erano 17. Non avevo mai visto un massacro simile”. Così il detective della polizia di L. A., Fuhrman, descrisse la scena del crimine come gli si presentò la notte del 12 giugno 1994, quando le autorità accorsero alla telefonata allarmata di un residente della zona che aveva notato una sagoma stesa a terra sul viale d’ingresso di una delle abitazioni vicine.
Le vittime – La donna era Nicole Brown, 35 anni, ex moglie del campione di football, attore e star TV, Orenthal James Simpson. L’uomo si chiamava Ronald Lyle Goldman, 25 anni, cameriere e presunto amante della donna, entrambi uccisi nella casa di lei. Il sangue era ovunque ma l’arma del delitto, presumibilmente una lama di 13 cm, sembrava introvabile. L’assassino, tuttavia, aveva lasciato parecchi indizi a partire da un guanto sporco di sangue, rinvenuto accanto ai cadaveri. Inoltre, alcune analisi rivelarono anche la presenza di tracce ematiche di una terza persona. Dunque – conclusero gli inquirenti – chiunque avesse ucciso la coppia aveva incautamente scordato il guanto e forse, nella concitazione dell’aggressione, si era ferito perdendo sangue. Un elemento determinante per stabilire il DNA del killer. I primi sospetti caddero subito sull’ex campione Simpson già accusato dalla moglie, tempo prima, di maltrattamenti.
I rapporti tra i 2 ex coniugi erano molto tesi. Queste le parole di Nicole a proposito della vita con Simpson, in una lettera che la donna scrisse al consorte poco prima della separazione: “Sono rimasta incinta 2 volte, e ogni volta mi hai lanciato occhiate di disgusto per i chili che avevo preso. Dicevi che ti facevo schifo… Dopo aver dato alla luce Justin, mi hai picchiato così violentemente che ho dovuto mentire al medico […]. Non c’è stato un solo giorno della nostra vita insieme in cui tu non mi abbia fatto rimpiangere di averti sposato”.
Le accuse nei confronti di Simpson divvennero prove di reato quando la polizia – ottenuto a poche ore dal rinvenimento dei corpi il permesso di perquisire la casa dello sportivo – trovò il secondo guanto della scena del crimine, anch’esso intriso di sangue. E questo fu solo l’inizio di una lunga serie di indizi a carico.
La notte dell’omicidio, il giocatore di football era a Chicago all’O’Hare Plaza Hotel e tornò nella sua casa di  L.A. solo il mattino dopo, atteso da una folla di cronisti interessati ad un commento della star sulla vicenda e sui sospetti intorno alla sua persona. I giornalisti volevano lo scoop e questo non tardò ad arrivare: mentre Simpson era impegnato a spiegare la propria estraneità ai fatti, le telecamere inquadrarono il suo braccio bendato. O.J. era ferito. A queste evidenze si unirono la testimonianza di un negoziante che sostenne di aver venduto, qualche giorno prima, a Simpson uno Stiletto tedesco e quella dell’autista del campione, Allan Park, il quale diede indicazioni molto precise sugli spostamenti del datore di lavoro la sera del 12 giugno. Il dipendente raccontò che alle 22.30 avrebbe dovuto recarsi a casa Simpson al fine di accompagnare l’uomo all’aeroporto in tempo per il volo verso Chicago delle 23.30. L’autista era arrivato puntuale a casa di O. J. ma nessuno aveva risposto al suono del campanello. Il dipendente aveva atteso circa 25 minuti fuori dalla porta e durante l’attesa aveva notato la sagoma di un uomo che correva dietro la casa del campione. Gli era parso che si trattasse di un uomo di colore ma il buio gli aveva impedito di distinguere la figura. Un fatto certo fu che dopo aver visto la sagoma, Park provò nuovamente a suonare alla porta ottendo, questa volta, risposta. Simpson si giustificò sostenendo che si era appisolato e non aveva sentito i ripetuti richiami dell’autista, dopodichè i 2 erano partiti in direzione aeroporto.
Quando gli agenti giunsero alla villa di O. J. per arrestarlo, il campione era già fuggito. Dopo aver sequestrato l’amico Al Cowlings sotto la minaccia di un’arma da fuoco, i 2 si erano lanciati in una corsa senza meta a bordo di un Branco Ford. La fuga si concluse ore dopo con il fermo di Simpson per omicidio, resistenza a pubblico ufficiale, sequestro di persona e tentata fuga.
Al processo l’accusa sostenne che Simpson, colto da un raptus incontrollabile di gelosia, avesse massacrato la moglie e il di lei amico trovandoli a casa insieme. Inoltre, il test del DNA aveva confermato che la terza persona presente sul luogo del delitto era l’imputato. Tutto sembrava incolpare il giocatore, tuttavia, l’opinione pubblica era divisa sulla vicenda e il processo assunse presto i toni di una questione razziale. L’America nera vedeva nel caso Simpson l’ennesima ingiustizia perpetrata ai danni della gente di colore con un’imputazione priva di vero movente. L’America bianca, invece, viveva la questione con imbarazzo: se le stesse prove avessero riguardato qualsiasi altro individuo e non un Simpson mito del football la condanna sarebbe stata certa ed immediata.
Poi arrivò la svolta. Mentre l’agente Fuhrman veniva accusato dalla difesa di razzismo e di inquinamento della prove, Simpson venne invitato dall’accusa ad indossare i guanti dell’assassino per accertarsi che fossero della taglia giusta. Gli indumenti erano troppo piccoli. Il 3 ottobre del 1995 Simpson fu prosciolto con formula piena. Dieci anni dopo, uno dei legali del campione, Lee Bailey, dichiarò pubblicamente che Simpson, al tempo del processo, aveva fallito il test della macchina della verità e che i risultati erano stati nascosti per non aggravare la sua posizione. Simpson non si scompose: “[…] Io sono sereno in ogni caso. Se anche i cadaveri uscissero dalle tombe e mi accusassero di essere l’assassino, non si può essere processati 2 volte per lo stesso crimine. Sono stato assolto […]. Questa è la verità e l’America e il mondo devono accettarla”.
Attualmente O.J. Simpson sta scontando una pena di 33 anni per rapina a mano armata e sequestro di persona; dopo i primi 9 anni presso il penitenziario di Lovelock, nel Nevada, dal 2017 è in libertà vigilata. La condanna è stata comminata poiché fu ritenuto colpevole di aver rubato in una stanza d'albergo a Las Vegas, il 16 settembre 2007, dei cimeli che a suo dire gli erano stati sottratti tempo prima.
Un investigatore privato, William Dear, ha pubblicato un libro nel quale sostiene che O.J. sia davvero innocente.
Secondo l'investigatore privato, il vero colpevole sarebbe Simpson junior, all'epoca dei fatti 24enne, proprietario del fodero di cuoio in cui è custodita l'arma. A incastrarlo anche il diario segreto e alcune email sospette inviate ai compagni di college. Ma è soprattutto una foto - in possesso di Dear - in cui James indossa un berretto rinvenuto poi sulla scena del delitto.
Un omicidio compiuto per i problemi psichici del figlio di O.J. (disordini di rabbia a intermittenza), tanto che il crimine non sarebbe stato premeditato.
O.J. ha deciso di non commentare le rivelazioni contenute nel libro dell'investigatore; al momento, la magistratura americana non ha riaperto il caso e in sede penale il duplice omicidio resta ancora senza un colpevole.


Nessun commento:

Posta un commento

Cerca nel blog

Archivio blog