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domenica 28 giugno 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 28 giugno.
Il 28 giugno 1914 un nazionalista serbo spara e uccide a Sarajevo l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austriaco, e sua moglie Sofia.
Questo omicidio fu la scintilla che infiammò la prima guerra mondiale.
Fra ‘800 e ‘900 l’uccisione di regnanti in Europa in seguito ad atti di terrorismo non era un evento raro; nel 1881 era stato ucciso lo zar Alessandro II Romanov e nel 1900, a Monza, il re d’Italia Umberto I. In entrambi i casi si era trattato di fatti circoscritti per cause e conseguenze ai confini interni degli Stati, ma così non avvenne per l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando (1863-1914) erede al trono dell’impero austro-ungarico e di sua moglie la contessa Sofia. L’omicida Gavrilo Princip, l’unico dei sette attentatori che venne arrestato insieme al compagno N. Cabrinovic, faceva parte di un’organizzazione segreta, la Mano Nera, che si batteva per l’unificazione degli slavi della Serbia con quelli che abitavano nel sud dell’impero austro-ungarico. Per la verità si trattava di un gruppo di giovani alquanto sprovveduti che nella mattina del 28 giugno 1914 tentarono per ben due volte l'attentato, prima con una bomba a mano poi, a distanza di pochi minuti, con una pistola Browning calibro 7,65 con la quale Princip colpì a morte l’Arciduca e sua moglie. L’Impero dell’Austria-Ungheria era, all'inizio del ‘900, uno Stato che aveva al suo interno molte nazionalità, una caratteristica tipica degli imperi, ma che in quel preciso momento storico costituiva un nucleo di tensioni formidabili e di forze centrifughe. Infatti, dopo la Prima guerra mondiale, l'effetto disgregante dei diversi nazionalismi avrebbe portato al completo dissolvimento di un organismo statale secolare come l’impero d’Austria. Tali movimenti rivendicavano, infatti, l’indipendenza per tutti quei popoli - cechi, slovacchi, ungheresi, italiani, serbi, croati - che, a vario titolo, facevano parte del vasto impero di Francesco Giuseppe d’Austria. Le stesse forze nazionalistiche avevano, ormai dai primi decenni del XIX secolo (guerra per l’indipendenza della Grecia), avviato alla disgregazione l'impero turco. Le spoglie di questo vasto e secolare impero (dall'Adriatico al Mar Rosso), infatti, erano e sarebbero state oggetto di guerre e contese diplomatiche fra le potenze europee. Due momenti di crisi nella penisola balcanica si ebbero nel 1908 e soprattutto nel 1912-13 (le cosiddette guerre balcaniche), periodo di scontri e annessioni che ridisegnò gli equilibri geopolitici della regione con queste conseguenze: 1. ridimensionamento della presenza turca alle porte dell’Europa dalle quali è praticamente espulsa; 2. sconfitta delle ambizioni austriache di dominio nella penisola e controllo dell’Adriatico; 3. ulteriore rafforzamento in chiave antiaustriaca dell’alleanza fra Serbia e Russia e dell’espansione di interessi finanziari francesi in Serbia; 4. aumento delle preoccupazioni austriache nei confronti dei nazionalismi interni all'impero; 5. rafforzamento dell’asse Austria-Germania in funzione antirussa. In questo contesto la dinastia che nel 1903 si era impadronita della Serbia puntava a inglobare tutti i serbi che vivevano sotto il dominio straniero nel sud dell’impero d’Austria. Oltre alle rivendicazioni nazionalistiche, un’altra variabile di contesto era quella religiosa: i serbi come i russi appartengono alla Chiesa ortodossa di ascendenza bizantina, mentre l’Austria era in Europa, l’erede del Sacro romano impero cattolico. È bene ricordare questa fondamentale distinzione culturale e religiosa poiché sarà una delle cause dei molti genocidi che si verificheranno negli anni ‘90 del XX secolo dopo la dissoluzione dell’ex Jugoslavia, nelle guerre che vedranno opporsi nella penisola balcanica serbi, croati, bosniaci e kosovari.
A seguito dell'omicidio il 23 luglio l’Austria dà un ultimatum alla Serbia. Al di là dell’atto di per sé gravissimo dell’uccisione dell’erede al trono, questo assassinio fornì un eccellente pretesto all'Austria per avviare una definitiva iniziativa contro la Serbia ed eliminare alla radice questa minaccia separatista. Il pretesto, dunque, fu l’ultimatum che conteneva tutta una serie di richieste che limitavano fortemente la sovranità serba all'interno del proprio Stato, fra le quali quella dell’arresto di un certo numero di ufficiali dell’esercito serbo accusati di cospirazione, e di far partecipare rappresentanti dell’impero austro-ungarico alle indagini su Princip e sul suo gruppo terroristico. La risposta era attesa entro 48 ore. Quando il testo dell’ultimatum venne conosciuto nelle cancellerie degli altri Stati europei, il commento degli uomini politici del vecchio continente fu quasi unanime: “la guerra sta per cominciare”. E non si trattava di una guerra circoscritta; il gioco delle alleanze, quella franco-russa e quella austro-tedesca, disegnarono uno scenario che apparve subito agli occhi di molti assolutamente catastrofico. La guerra che gli Stati maggiori degli eserciti di mezza Europa preparavano da almeno trent'anni (il più famoso di questi “piani” era quello tedesco che prese il nome dal generale Schlieffen) stava per concretizzarsi.
Il 30 luglio la Russia ordina la mobilitazione del proprio esercito, convinta che questo atto di forza avrebbe frenato l’Austria e, soprattutto, la Germania. Ciononostante il 1 agosto la Germania dichiara la guerra alla Russia. Oggi non appare strano che, in effetti, la prima a entrare in guerra fosse stata la Germania contro la Russia, due Stati che inizialmente non erano affatto direttamente coinvolti nella crisi successiva a Sarajevo. Soprattutto la Germania colse l’occasione per dispiegare la politica di potenza mondiale voluta dal Kaiser tedesco Guglielmo II almeno a partire dall'epoca successiva alla guerra franco-prussiana del 1870.
Il 3 agosto la Germania dichiara la guerra alla Francia, convinta di potere avere la meglio, rapidamente, in una guerra su due fronti. Questa previsione verrà meno con il passaggio, durante le operazioni militari del 1915, dalla guerra di movimento alla guerra di trincea.
Quella che scaturì fu invece una guerra su vasta scala lunga e logorante, come non se ne erano mai viste prima.

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