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domenica 14 giugno 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 14 giugno.
Il 14 giugno 1994 Felice Maniero, capo della cosiddetta "Mala del Brenta", evade clamorosamente per la terza volta. Questa volta addirittura dal supercarcere di Padova.
Carismatico, imprendibile, Felice Maniero negli anni Ottanta regnava con le armi sul Veneto, sul Friuli e sull'Emilia Romagna. Era il boss della Mala del Brenta, una sorta di piccola ma potente Cosa Nostra della valle padana che puntava in alto, ad accumulare denaro e potere, attraverso atroci azioni di sangue.
Nella sua carriera ha collezionato una serie di incredibili evasioni: la prima nel 1987 quando fuggì dal carcere di Fossombrone. Viene catturato nuovamente nel 1988 ma riesce a scappare l'anno successivo dal carcere di Portogruaro, per poi essere arrestato nuovamente a Capri nel 1993 e, dopo un'altra evasione, la terza nel 1994 a Padova, è riacciuffato a Torino nel novembre dello stesso anno. È così che per lui arriva la condanna: 33 anni, poi ridotti a 11.
Questa volta Maniero si arrende. È stanco e decide di pentirsi. Comincia a collaborare. Ma poi nel marzo del 2000 gli viene revocato il programma di protezione. Motivo, l'ex boss viene sorpreso in pubblico al volante di una bella auto sportiva e poi ha anche smesso di rendere informazioni interessanti ai magistrati. La Procura di Venezia conclude l'indagine 'Rialto', sintetizzata in un dettagliato fascicolo di 150 faldoni, e scaturita proprio da molte delle dichiarazioni rese dall'ex boss in qualità di pentito.
È l'agosto del 2004, dopo 10 anni sulla Mala del Brenta, la banda di 'Faccia d'Angelo' che per anni ha imperversato nel Veneto e nelle regioni di confine, il cerchio si chiude. Per 142 affiliati il sostituto procuratore Paola Mossa chiede il rinvio a giudizio per reati che vanno dall'associazione a delinquere al traffico di droga, dalle rapine ai sequestri di persona, alla detenzione di armi, al riciclaggio. Oltre 300 capi di imputazione che riassumono 20 anni di storia del crimine organizzato in Veneto e in Friuli, e i cui primi episodi risalgono al 1976 e gli ultimi a metà degli anni Novanta.
In gran parte ricostruiti da Felice Maniero e altri pentiti dalla Banda. Un'ìnchiesta avviata dai pm Antonio Fojadelli e Michele della Costa, ma rimasta a lungo ferma per motivi burocratici anche tra molte polemiche. Il maxiprocesso, dopo il primo che si concluse nel 1994 con 79 condanne - ma all'epoca Maniero non aveva ancora cominciato a collaborare - prende il via l'8 novembre del 2005, giorno della prima udienza preliminare.
Per 32 dei 142 indagati chiamati alla sbarra nell'aula bunker di Mestre il capo d'accusa è: associazione a delinquere di stampo mafioso. Tra questi figurano anche l'ex legale di Maniero, Enrico Valdelli che, secondo il magistrato avrebbe agito come consulente della banda per operazioni illecite.
Quanto alle rapine, tra gli episodi al centro del processo, quella drammatica al treno Venezia-Milano, che il 13 dicembre del 1990 costò la vita a una studentessa, morta nell'esplosione provocata dalla banda per aprire un vagone portavalori.
La storia della Mala del Brenta inizia tra la fine degli anni Settanta e i primi dell'Ottanta. È in questo periodo che gli uomini di Maniero mettono a segno spettacolari colpi all'Hotel «Des Bains» al Lido di Venezia (1982) e alla stazione ferroviaria di Mestre (1982) e sono protagonisti del celebre assalto all'aeroporto di Venezia (1983): i 170 chili di oro rubato presso il caveau della dogana aeroportuale sanciscono la definitiva consacrazione della banda veneta nel panorama criminale.
Tra gli anni Ottanta-Novanta la mala del Brenta dà prova sempre più di esercitare un efficace controllo del territorio, imponendo la propria legge. Nel periodo di massima potenza, l'organizzazione, composta inizialmente da una quarantina di elementi, arriva a contarne quasi quattrocento, tra effettivi e fiancheggiatori a vario titolo.
Nonostante i numerosi arresti, compreso quello dello stesso Maniero, e una feroce faida interna per la supremazia, scoppiata durante la sua carcerazione, gli affari per la mala del Brenta non subiscono flessioni. Dalle carceri di massima sicurezza e dai suoi nascondigli di latitante, «Faccia d'Angelo» continua a dirigere le operazioni e le attività dei suoi uomini.
Sul finire degli anni Ottanta, alle molte attività della banda si aggiunge anche il contrabbando di armi con la ex Iugoslavia. Durante il processo, che si apre il 27 novembre 1993 nell'aula bunker di Mestre e che vede alla sbarra Maniero insieme ad altri 109 imputati, viene ricostruito l'intero percorso criminale della mala del Brenta e vengono circostanziate accuse pesantissime: dagli omicidi alle rapine, dalle estorsioni e l'usura al riciclaggio, dal traffico di eroina ai sequestri di persona, per finire con l'accusa più grave, e per certi versi esaustiva, di associazione mafiosa.
Le condanne nei confronti dei membri della mafia del Brenta sono esemplari e l'organizzazione viene spazzata via, grazie soprattutto alle rivelazioni di Maniero che fa arrestare più di trecento persone.
Nel febbraio 2006 il suo nome ritorna sui giornali per il suicidio della figlia trentunenne.
Dal 23 agosto 2010 torna in libertà dopo la scadenza dell'ultima misura restrittiva nei suoi confronti con una nuova identità. Nell'ottobre 2019 viene arrestato dalla polizia per accuse di maltrattamenti nei confronti della compagna. L'ordinanza di custodia cautelare per Maniero è stata firmata il 17 ottobre 2019 dal gip di Brescia secondo il Codice rosso, la nuova legge firmata ad agosto 2019 con lo scopo di velocizzare l'avvio del procedimento in caso di maltrattamenti familiari.

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