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venerdì 5 settembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 5 settembre.

Il 5 settembre 1918 inizia in Russia il periodo del "Terrore rosso".

Il Terrore Rosso fu una campagna di arresti di massa, deportazioni ed esecuzioni indirizzata ai controrivoluzionari durante la Guerra civile russa. Dichiarata ufficialmente il 5 settembre 1918 in una risoluzione speciale adottata dalla leadership dei bolscevichi, questa campagna affermava che “tutti coloro che avessero a che fare con organizzazioni Bianche, cospirazioni e rivolte sarebbero stati uccisi”.

La campagna venne ufficialmente abolita nell’arco di due mesi, ma il termine Terrore Rosso viene utilizzato per indicare tutte le repressioni politiche del governo sovietico nel corso della guerra civile in Russia: dall’ottobre del 1917, quando i bolscevichi rovesciarono il governo provvisorio, fino al 1922, quando l’intera opposizione venne eliminata.

Subito dopo essere saliti al potere, i bolscevichi non rivelarono una particolare crudeltà. I loro avversari venivano spesso rilasciati, salvo poi essere inseriti in cima alla lista dei loro peggiori nemici. Quando la lotta si fece più intensa, però, questo scenario cambiò radicalmente.

Il Terrore Rosso venne annunciato dai Bolscevichi subito dopo un attentato al proprio leader, Vladimir Lenin, il 30 agosto. Al termine di un discorso davanti agli operai di una fabbrica di Mosca, Lenin venne raggiunto da tre volpi di pistola.

Questo episodio fu seguito da una serie di omicidi e tentativi di colpire gli alti funzionari. Nel complesso, solamente nel luglio del 1918, mentre la Guerra Civile stava prendendo piede, furono assassinati nel paese 4.110 funzionari sovietici. I bolscevichi consideravano il Terrore Rosso la risposta legittima agli attacchi dei loro nemici.

Subito dopo il tentato omicidio di Lenin e l’uccisione del dirigente della Cheka Uritskij, 512 rappresentati della borghesia e delle classi alte fino a quel momento tenuti in ostaggio dai bolscevichi (una pratica ampiamente utilizzata all’epoca) furono uccisi a Pietrogrado. Nella seconda metà di settembre altre 300 persone vennero eliminate.

Il 5 settembre a Mosca quasi 80 persone vennero giustiziate pubblicamente. Fra coloro che finirono fucilati, c’erano anche due ministri degli Interni e l’ultimo presidente della camera alta del parlamento imperiale, Ivan Shcheglovitov.

Secondo gli storici, quell’autunno in tutto il paese vennero uccise tra le 1.600 e le 8.000 persone.

Non tutta la leadership bolscevica era allineata con la politica del terrore. Già in ottobre, molti funzionari del partito, fra cui un ministro degli Interni, chiedevano di fermare la repressione. Il 6 novembre questa campagna venne ufficialmente conclusa.

Ma più si avvicinava lo scoppio della guerra civile, più l’ondata di violenza sembrava rafforzarsi. E molti leader bolscevichi ricominciarono a sostenere la pratica del Terrore Rosso. “Bisogna sterminare le classi inutili. Non serve cercare le prove che una persona abbia agito contro i sovietici per mezzo di un atto o delle parole. La prima domanda da porsi è: a quale classe appartiene? Quali sono le sue origini? Quale la sua educazione, l’istruzione, la sua professione? Queste domande potranno definire il destino dell’imputato. È questo il senso del Terrore Rosso”, disse uno dei più influenti funzionari della Cheka, Martin Latsis.

Lenin rispose alle parole di Latsis definendole “delle assurdità”. E aggiunse che il compito non era quello di sterminare fisicamente tutta la borghesia, ma di eliminare le condizioni sociali che portarono alla formazione di questa classe sociale.

Le cifre variano molto. Secondo lo storico Sergej Volkov, tra il 1917 e il 1922 i bolscevichi fecero fuori almeno due milioni di persone. Dall’altro lato, gli storici che fanno riferimento ai materiali d’archivio degli organi responsabili delle politiche repressive, affermano che le vittime furono circa 50.000. Alcuni tendono a moltiplicare questa cifra per due, includendo le vittime delle rivolte contro il regime sovietico avvenute nelle campagne.

100.000 morti è un numero impressionante. Ma si tratta di una cifra incompleta, che non tiene conto di tutte le vittime della guerra civile, che si stima siano pari a 10 o 12 milioni di persone.

Ufficialmente, tra i motivi principali che causarono l’inizio della repressione bolscevica ci fu l’esistenza del Terrore Bianco. Quando la lotta ai bolscevichi si fece più intensa, nella metà del 1918, giunse anche la risposta dei comunisti.

Il numero di vittime della repressione dei bianchi non ha cifre precise. Risulta molto più difficile avanzare delle ipotesi, giacché, a differenza dei rossi, i bianchi non avevano una struttura statale organizzata, ma erano solo delle forze in lotta contro i bolscevichi.

Non venne proclamata nessuna campagna ufficiale di terrore e per questo i crimini commessi dai Bianchi attirarono meno l’attenzione. Secondo molti storici, la repressione fu però pari a quella dei loro nemici comunisti.

Così come afferma l’autore di un recente studio, per mano dei Bianchi vennero uccise almeno 500.000 persone, anche se le stime degli storici indicano cifre minori.

giovedì 4 settembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 4 settembre.

Il 4 settembre 1260 fu combattuta la celebre Battaglia di Montaperti.

Il colle di Montaperti, pochi chilometri a sud est di Siena, rimane famoso per la cruenta battaglia che si svolse nella piana antistante fra Guelfi fiorentini e Ghibellini senesi il 4 settembre 1260.

Le truppe fiorentine giunsero da nord attraverso le Colline del Chianti il 2 settembre e si accamparono sulle alture cretacee di Monselvoli e del Paradiso, nei dintorni di Pievasciana. La marcia del loro esercito, composto da circa 35.000 uomini e dalle necessarie salmerie, aveva seguito il corso del torrente Arbia la cui valle garantiva un tragitto più pianeggiante e assicurava un facile approvvigionamento idrico.

L’esercito di Siena, al comando di Provenzano Salvani, composto da 20.000 uomini fra cui 800 cavalieri inviati dall’imperatore Manfredi e i fuoriusciti ghibellini scacciati da Firenze come Farinata degli Uberti, si accampò di rimpetto al nemico sulle colline di Ropole e di Mociano.

All’alba del 4 settembre i due eserciti si scontrarono; la battaglia procedette a fasi alterne fino al pomeriggio quando si racconta che ne causarono la rotta il tradimento di Bocca degli Abati, uno dei capi fiorentini, che avvicinatosi a Jacopo de’Pazzi, portastendardo fiorentino, gli tagliò di netto la mano con un colpo di spada facendo precipitare a terra l’insegna e causando scompiglio nell’esercito, insieme alla contemporanea carica della cavalleria imperiale contro il fianco dello schieramento guelfo.

Da questo momento iniziò il massacro che fece l’Arbia colorato in rosso, i senesi si scagliarono sui fiorentini in fuga con l’intenzione di non fare prigionieri. La strage continuò fino al calar del sole quando gli ultimi superstiti rifugiatisi sul colle di Montaperti furono fatti prigionieri e successivamente incarcerati a Siena e liberati molti mesi dopo dietro compenso di pesanti riscatti. Il campo guelfo fu messo al sacco: furono catturati 9000 cavalli e 9000 tra buoi ed animali da soma; furono prese bandiere e stendardi, tra le quali il gonfalone di Firenze che fu attaccato alla coda di un asino e trascinato nella polvere. Le perdite dei guelfi furono di circa 10.000 morti e circa 15.000 i prigionieri di cui rispettivamente 2500 e 1500 fiorentini. I ghibellini persero 600 uomini con 400 feriti. In città i festeggiamenti durarono per giorni e furono fatti sfilare tutti i prigionieri catturati nel corso della battaglia.

L’epico scontro dette origine a varie leggende. In una si esaltava l’astuzia dei senesi che, essendo le truppe ghibelline numericamente assai inferiori a quelle guelfe, escogitarono un trucco per abbattere il morale dei nemici: giunti in prossimità del luogo dove erano accampati i fiorentini fecero sfilare il proprio esercito per tre volte davanti all’esercito guelfo, cambiando ogni volta i vestiti con i colori dei terzi di Siena cercando di far credere agli avversari che le proprie forze fossero tre volte più numerose di quello che erano in realtà.

In un’altra veniva esaltata la pietà di Usilla, una vivandiera senese, che mossa a compassione salvò 36 fiorentini scampandoli da morte sicura. La storia è legata all’esistenza di un tunnel sotterraneo sulla sommità della collina sotto il cippo piramidale eretto alla fine dell’Ottocento in ricordo della battaglia:  alla base di quest’ultimo si apre un tunnel che anticamente pare sbucasse oltre i torrenti Malena e Biena. La donna avrebbe condotto i 36 soldati ghibellini attraverso il tunnel senza farli passare dal campo di battaglia e poi si dice che si fosse diretta verso Siena fingendo che fossero servi al suo servizio, per poi liberarli prima dell’ingresso in città.

La leggenda della Martinella, la campana che si trovava in uno dei tanti carrocci fiorentini, narra che  un’umile treccola, ovvero una cenciaiola al seguito delle truppe senesi, dopo la battaglia si recò sul campo a raccogliere vestiti, armature e quanto altro che riusciva a trovare. Finita la battaglia, la donna, fra i tanti oggetti abbandonati trovò la Martinella, la caricò sul suo asino e la portò via con sé insieme a venti soldati delle truppe fiorentine che, pur di non essere catturati ed uccisi dai senesi, si fecero passare per servi che, legati dietro all’asino della donna, sfuggirono la mala sorte.

La treccola entrata a Siena donò la Martinella alla Compagnia di San Giovanni in Pantaneto e ancora oggi essa si trova esposta nel museo della Contrada del Leocorno.

E ancora.

Di fronte al Colle di Montaperti si trova un altro piccolo colle dal nome singolare: Costa dei Berci.

Nella fantasia popolare il nome racchiude due possibili interpretazioni che non si escludono a vicenda. Secondo la prima il termine Berci sarebbe una contrazione di Astimbergh, riferibile al comandante della cavalleria imperiale, il cavaliere tedesco Gualtieri di Astimbergh appunto, che da quel luogo fece partire la carica della cavalleria contro il fianco dell’esercito guelfo decidendo le sorti della battaglia.

L’altra possibile interpretazione è legata al massacro che ne seguì durante il quale si udirono urla strazianti e terribili delle vittime, i “berci” appunto.

Dall’altra parte del campo di battaglia si racconta che l’allora comandante delle milizie fiorentine avesse ricevuto una profezia secondo la quale sarebbe morto tra il bene e il male. Arrivato al luogo dell’ accampamento, situato tra la Biena e la Malena, associò immediatamente il nome dei due fiumi, probabilmente per assonanza con bene e male, alla sorte che gli era stata predetta. In effetti morì in quella battaglia privo della giusta motivazione e tremendamente impaurito e incapace di controllare il suo esercito. La tradizione popolare vuole che l’anima di questo capitano sia ancora impegnata a scampare alla morte e c’è chi racconta di aver udito, nelle notti di plenilunio, il rumore degli zoccoli di un cavallo e di aver scorto tra i cipressi la sagoma bianca di un cavaliere.

Nella "Divina Commedia", Dante non descrive direttamente la battaglia di Montaperti, ma la menziona in due punti cruciali, utilizzando perifrasi per indicare la sanguinosa sconfitta dei guelfi fiorentini ad opera dei ghibellini senesi. In particolare, nel X canto dell'Inferno, durante l'incontro con Farinata degli Uberti, Dante fa riferimento allo "strazio e 'l grande scempio" che fece l'Arbia colorata in rosso, metafora del sangue versato durante la battaglia. 

Ecco come Dante utilizza la battaglia di Montaperti nella sua opera: 

Canto X dell'Inferno:

Dante incontra Farinata degli Uberti, un capo ghibellino fiorentino, e lo colloca nel sesto cerchio dell'Inferno, tra gli eresiarchi. Qui, Farinata fa riferimento alla battaglia, ricordando la vittoria ghibellina e il tradimento di Bocca degli Abati, che tagliò la mano del vessillifero guelfo, causando la rotta dei fiorentini.

Canto XXXII dell'Inferno:

In questo canto, Dante colloca Bocca degli Abati, il traditore di Montaperti, nel nono cerchio dell'Inferno, tra i traditori della patria, a testimonianza della gravità del tradimento e del suo impatto sulla sconfitta fiorentina.

La battaglia di Montaperti, quindi, non è narrata in dettaglio da Dante, ma è presente come sfondo storico e come simbolo della corruzione politica e del tradimento, che sono temi ricorrenti nella sua opera. 

mercoledì 3 settembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 3 settembre.

Il 3 settembre 1967 è ricordato in Svezia come “Dagen H”, cioè “Giorno H”, dalla parola Högertrafik, che significa “circolazione a destra”. In quel giorno in tutto il paese si passò dalla circolazione stradale a sinistra a quella a destra, un’operazione molto impopolare ma ritenuta necessaria per ragioni di praticità – in Finlandia e in Norvegia, i due paesi confinanti con la Svezia si guidava tenendo la destra – e perché il 90 per cento degli svedesi già guidava automobili con il volante a sinistra (quindi adatte a una guida a destra), cosa che peraltro spesso causava incidenti per problemi di visibilità sulle strade più strette.

Nel 1955 c’era stato un referendum sul cambiamento del senso di marcia e i cittadini svedesi si erano espressi in gran maggioranza (l’83 per cento) contro il passaggio alla guida a destra. Ciononostante il Riksdag, il Parlamento svedese, decise di procedere ugualmente con il cambio, anche per ragioni economiche: negli anni Sessanta la maggior parte delle automobili presenti in Svezia avevano ancora i vecchi fanali tondi, mentre nel resto dell’Europa stavano diventando comuni quelli più specifici, pensati per auto con volante a sinistra che viaggiavano tenendo la destra: per evitare che gli automobilisti svedesi dovessero sostenere un costo maggiore con future sostituzioni di fanali, si decise di effettuare il cambio del senso di circolazione.

Il 3 settembre 1967 era una domenica, e tutto il traffico non indispensabile fu bloccato su tutte le strade dall’una di notte alle 6 del mattino; in questo intervallo i veicoli autorizzati alla circolazione dovevano seguire regole speciali. Tutti i veicoli avevano l’ordine di fermarsi alle 4.50, fare attentamente cambio di corsia, e poi fermarsi di nuovo: ufficialmente il cambiamento del senso di marcia avvenne alle 5.00, quando i veicoli in giro poterono riprendere la circolazione. A Stoccolma e Malmö, le più grandi città della Svezia, il blocco del traffico durò di più, dalle 10 del 2 settembre alle 15 del 3, per consentire agli addetti ai lavori di modificare i segnali stradali in corrispondenza degli incroci.

Già nel periodo precedente al Dagen H erano stati installati nuovi cartelli stradali, ma erano stati coperti con della plastica nera per evitare di confondere le persone: il 3 settembre 1967 furono tutti scoperti, mentre le vecchie strisce sull’asfalto furono coperte con del nastro nero. Cambiò anche il colore delle strisce sulla strada: ai tempi della circolazione a sinistra erano gialle, mentre da allora sono bianche.

La parte più complessa del Dagen H fu quella che riguardava il trasporto pubblico. I tram di Stoccolma, Helsingborg e Malmö furono sostituiti con degli autobus con le porte per i passeggeri che si aprivano a destra: ne furono acquistati più di mille. Ottomila vecchi autobus furono modificati per avere porte anche a destra, oltre che a sinistra, altri – in particolare quelli di Göteborg e Malmö – furono venduti al Pakistan e al Kenya, due paesi in cui si guida a sinistra. Le modifiche agli autobus e alle rispettive fermate furono il costo principale per lo stato. La città di Göteborg decise di mantenere attivo il servizio di trasporto su tram e per questo dovette investire nel loro rifacimento; a Stoccolma si decise invece di eliminare quasi del tutto il servizio dei tram, sostituendoli con autobus e metropolitana. Per i treni e per le metropolitane non ci furono cambiamenti: tuttora hanno la circolazione a sinistra, sui binari.

Dal punto di vista della sicurezza stradale il Dagen H fu un relativo successo: il 3 settembre ci furono soltanto 157 piccoli incidenti, e di questi solo 32 provocarono feriti, alcuni gravi. Il 4 settembre ci furono 125 incidenti stradali (nessuno dei quali mortale), un numero inferiore alla media dei lunedì. Si pensa che la maggiore attenzione degli automobilisti dovuta alla preoccupazione per il cambiamento della circolazione sia stata una delle ragioni per il minor numero di incidenti. Il cambiamento migliorò inoltre la visibilità di chi guidava, cosa che ebbe un effetto positivo nella riduzione immediata degli incidenti. Nel 1969, però, il numero di incidenti stradali tornò ai livelli precedenti al Dagen H.

Per il Dagen H la televisione svedese indisse un concorso musicale per trovare una canzone “ufficiale” per la giornata: vinse “Håll dig till höger, Svensson” (che significa “Tieni la destra, Svensson”) dei Telstars. 

Nel 1968, per la precisione il 26 maggio, l’Islanda seguì l’esempio della Svezia nella giornata chiamata “H-dagurinn”. Il Dagen H italiano invece – sì, in un certo senso ce ne fu uno – avvenne molto tempo prima degli anni Sessanta: il 31 dicembre del 1923 il re firmò un decreto che stabiliva che ovunque si dovesse guidare tenendo la destra, mentre prima c’erano regole diverse da città a città e tra campagne e centri urbani.

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