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lunedì 24 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 24 novembre.

Il 24 novembre 1951 debutta a Broadway la commedia Gigi, la cui protagonista è una quasi sconosciuta Audrey Hepburn.

Audrey Kathleen Ruston (nome cambiato poi in Edda Van Heemstra durante la guerra) nasce il 4 maggio 1929 a Bruxelles da padre banchiere inglese e da madre baronessa olandese; di famiglia agiata, frequenta la scuola di ballo, sognando di diventare come quella grande danzatrice che risponde al nome di Margot Fonteyn. Negli anni della guerra deve a lungo soffrire la fame, e si dice che la sua struttura fisica, così snella e flessuosa, si sia in fondo determinata quando la ragazza dovette cibarsi solo di povere cose (narra la leggenda che per un periodo lei e la sua famiglia non trovarono di meglio per cibarsi che bulbi di tulipano).

La prima persona che la nota è la scrittrice - allora ottantenne - Colette (un mostro sacro della cultura del Novecento), in vacanza a Montecarlo, che la vuole come protagonista della sua commedia teatrale "Gigi", tratta da un suo romanzo. In seguito, a ventidue anni, agli albori della carriera, ottiene un ruolo di principessa birichina nel film "Vacanze Romane" di William Wyler, che le porta anche un Oscar come miglior attrice protagonista.

Poi nel 1954 arriva "Sabrina" (di Billy Wilder, con Humphrey Bogart), uno dei film più belli che oggi la storia del cinema ricordi, che la lancia nell'Olimpo delle star. Nel ruolo dell'omonima protagonista Audrey Hepburn risulta più bella ed elegante che mai, ma soprattutto dotata di una vena di ingenuità e di freschezza che la rendono unica.

La bellezza eterea di Audrey Hepburn non è l'unico elemento che la consacra regina di Hollywood. Alle spalle vi è anche un'indiscutibile bravura, tale da venir richiesta da tutti i maggiori registi del tempo. Gira così "Arianna", "Colazione da Tiffany" (con George Peppard), "My fair lady", "Verdi dimore", "Guerra e pace", "Come rubare un milione di dollari e vivere felici", "Storia di una monaca", "Robin e Marian"; e, ancora, "Due per la strada", "Cenerentola a Parigi" (con Fred Astaire) e tanti altri.

Nel 1954 sposa Mel Ferrer che gli darà il suo primo figlio, Sean, mentre nel 1969, a causa della relazione clandestina con il medico italiano Andrea Dotti nascerà Luca, il secondo figlio. Divorziata da Ferrer, troverà nel 1981, finalmente, il compagno della sua vita, Robert Wolders, ex-marito di Merle Oberon.

Ritiratasi dalle scene, si è dedicata attivamente negli ultimi anni di vita al volontariato, tanto da divenire ambasciatrice UNICEF.

Audrey Hepburn muore di cancro al colon a 64 anni, il giorno 20 gennaio 1993, presso Tolochenaz, paesino svizzero vicino Losanna dove risiedeva e dove venne sepolta.

Alle esequie, oltre ai figli e a Wolders, erano presenti gli ex-mariti Mel Ferrer e Andrea Dotti, il grande amico Hubert de Givenchy, rappresentanti dell'UNICEF e gli attori e amici Alain Delon e Roger Moore. A officiare il funerale fu chiamato il sacerdote Maurice Eindiguer che, trentanove anni prima, aveva sposato la Hepburn e Ferrer.

Lo stesso anno della sua morte, il figlio Sean fondò l'Audrey Hepburn Children's Fund per favorire la scolarizzazione nei Paesi africani.

domenica 23 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 23 novembre.

Il 23 novembre 1925 due carbonari, Angelo Targhini e Leonida Montanari, vengono ghigliottinati a Roma presso la Porta del Popolo.

L'alone di mistero che circonda le attività della carboneria affonda le sue radici nella vaghezza stessa delle sue origini. Secondo alcuni studiosi rimontano addirittura all'XI secolo. Lo storico Giuseppe Ricciardi ha scritto che "credesi fondatore di essa un Teobaldo, detto poi Santo [...]. Nacque in Francia Teobaldo nel 1017 nella città di Provins. 

Fattosi prete in Italia, si ritrasse, indi a poco, in Svezia, provincia germanica, ove dicesi nata la setta, alla quale, morto Teobaldo, non vennero meno le forze". Ma con quali intenti e propositi non è mai stato ben chiarito. Altri studiosi hanno indagato le origini straniere della setta, trovandole di volta in volta in Germania, in Svizzera, in Spagna e in Polonia.

Ma forse la genesi più attendibile è quella francese. Notizie certe risalgono alla seconda metà del XVIII secolo, epoca in cui si ha notizia dell'esistenza di una setta dei bons cousins charbonniers (buoni cugini carbonari) che dissimulava i propri programmi politici entro associazioni di carattere mutualistico professionale (compagnonnage). Il carbonarismo prese vita da una costola della massoneria di Besançon e della Franca Contea nel periodo precedente la Rivoluzione francese. Numerosi furono infatti i massoni di questa regione che avevano sposato i valori e i principi modernizzatori del Secolo dei Lumi. Del resto, la massoneria è stata la generatrice di tutte le sette fiorite nei secoli XVIII e XIX. I massoni credevano in Dio, "Grande Architetto Dell'Universo", ma negavano i dogmi della Trinità e dell'Incarnazione ed avversano il cattolicesimo e il clero.

Volevano favorire il progresso, in ciò condividendo le idee dell'Illuminismo e i concetti di libertà e uguaglianza degli uomini, ma in un certo senso si piegarono al dispotismo napoleonico. Negli ultimi anni di vita dell'impero Napoleonico numerose logge si sciolsero e quelle che rimasero non ebbero più seria importanza politica. Molti affiliati, che non approvarono l'atteggiamento elitario e i loro intenti puramente teoretici, si erano però già divisi dalla massoneria fondando nuove sette. Alcuni adepti diedero vita a cellule segrete destinate a tradurre nella pratica i valori dell'illuminismo.

Queste cellule assumeranno nomi diversi, i Carbonari, i Filadelfi, gli Adelfi, il Palladio, la Società della Rigenerazione Europea. Spesso guidate da militari, seguiranno una linea politica costituzionalista, repubblicana e rivoluzionaria, in opposizione ai principi monarchici di diritto divino. Il programma prevedeva l'opposizione ad ogni forma di assolutismo, la lotta per l'indipendenza, la libertà dei popoli oppressi, l'affermazione di governi costituzionali e di ispirazione democratica e repubblicana.

Quando Napoleone Bonaparte fece il colpo di stato del 18 Brumaio, alcune organizzazioni segrete entrarono nell'opposizione repubblicana e antibonapartista, senza tuttavia cessare di far parte dell'amministrazione dello Stato francese.

Fu così che i bons cousins charbonniers del XVIII secolo francese si trasformarono in un attivisti repubblicani in seno ad un paese, la Francia napoleonica, in cui gli ideali della Rivoluzione francese sembravano essere stati traditi dal Consolato prima e dall'Impero poi.

Fin qui le origini. Ma come abbiamo visto sopra, tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX la carboneria era solo una delle tante società segrete diffuse in Europa. Come poi sia invece riuscita a trasformarsi, nei primi tre decenni dell'Ottocento, in uno dei primi strumenti del Risorgimento italiano è questione che merita un approfondimento a sé.

La carboneria fu portata in Italia dai soldati francesi (e per altre vie penetrò anche in Germania e Spagna), diffondendosi negli anni che vanno dal 1806 al 1812 soprattutto nell'Italia meridionale, a partire dal Napoletano, dall'Abruzzo e dalla Calabria. In seguito prese piede anche in Puglia e nel Salento, in Terra d'Otranto. Negli anni successivi fu presente un po' in tutta la penisola, collegandosi con altre società simili o assorbendole.

Ma anche sulle precise origine della carboneria italiana permangono dubbi e interpretazioni diverse. A partire dall'effettivo luogo di nascita.

C'è chi sostiene infatti che abbia avuto i natali nei monti Abruzzesi, altri sostengono invece sia sorta in Calabria.

Secondo alcuni autori nacque nel napoletano portata tra il 1809 e il 1810 da alcuni Filadelfi francesi, venuti nel Regno di Napoli come funzionari o ufficiali dell'esercito, ed incontratisi con gli oppositori del regime in nome dei princìpi giacobini. È probabile che fra i Filadelfi vi fosse Joseph Briot, ex seguace di Gracco Babeuf, il rivoluzionario della Congiura degli Eguali, amico di Buonarroti (tant'è che secondo alcuni Babeuf sarebbe il vero padre della carboneria). Una volta organizzatisi, i carbonari napoletani strinsero relazioni con gli inglesi - che in tutta Europa appoggiavano qualsiasi setta manifestasse la benché minima contrarietà verso Napoleone - per ricevere aiuti economici nella lotta contro il dominio di Murat e della Francia. Il primo tentativo insurrezionale di stampo carbonaro, favorito anche dai Borboni, prese infatti piede nel 1813 nel napoletano, a Cosenza. Il tentativo fu subito circoscritto dalle truppe di Murat, che saccheggiarono la cittadina di Altilia (Cosenza), considerata il centro operativo della setta.

Secondo lo storico e patriota Carlo Botta, che visse in prima persona gli avvenimenti del primo Risorgimento, nella carboneria "entravano principalmente uomini del volgo", sarti, commercianti, contadini e operai. Ma al suo interno si potevano trovare anche ampia rappresentanza della borghesia cittadina e fondiaria, esponenti delle professioni liberali una quota consistente di nobili vicini alle idee riformatrici e anche alcuni membri del basso clero.

La struttura della carboneria era regolata dall'alto e il comportamento degli affiliati era ispirato alla massima segretezza. E per soddisfare fino in fondo le esigenze di riservatezza, si faceva ricorso a nomi ed espressioni tipici di uno dei più antichi mestieri del popolo, diffuso, e non è un caso, proprio nell'Italia centromeridionale: il carbonaro, cioè colui che trasforma la legna in carbone, un mestiere che si praticava nei boschi e che comportava continui spostamenti.

L'organizzazione era diretta dal centro, cioè dalla cosiddetta "grande vendita", di cui faceva parte un ristretto numero di membri. Da qui gli ordini venivano trasmessi alle "vendite locali", composte da una ventina di affiliati, i cosiddetti "cugini". I "cugini" entravano nella carboneria con il grado più basso, quello di "apprendisti". Dopo un periodo di prova, entravano a far parte del grado superiore, diventando "maestri" e poi "gran maestri".

Nella carboneria, così come in gran parte delle logge e delle sette segrete, vigeva una sorta di gradualismo: i principi di massima erano noti, ma le finalità pratiche venivano rivelate progressivamente, mano a mano che gli adepti venivano ritenuti degni di essere iniziati ai segreti.

Non a caso, nel grado più basso di affiliazione venivano genericamente professati principi umanitari, vagamente democratici e di stampo religioso e moraleggiante. Diventando "maestri" si accedeva invece a dibattiti intorno ad argomenti politici: il sistema costituzionale, l'indipendenza nazionale, le libertà individuali ecc. Ma era solo con il grado di "gran maestro" che si accedeva finalmente al ristretto club dei rivoluzionari di professione: la lotta per la repubblica, per l'uguaglianza sociale e la spartizione dei grandi latifondi.

Minimo comune denominatore era la conquista di una costituzione. Ma poi esistevano notevoli differenza tra la carboneria dell'Italia settentrionale, quella dell'Italia centrale e quella del Mezzogiorno. Del resto, nei primi decenni dell'Ottocento la coscienza nazionale era ancora acerba: chi aspirava all'indipendenza dell'Italia, chi a quella della propria regione, chi voleva la monarchia costituzionale e chi la repubblica. Per i carbonari del Lombardo-Veneto, ad esempio, era fondamentale la questione dell'indipendenza dal dominio austriaco.

Per i carbonari sudditi dello Stato Pontificio, invece, non c'era un dominio straniero da abbattere, ma un governo ecclesiastico da sostituire con un'autorità laica (anche se, occorre aggiungere, quando l'obiettivo si spostava verso la meta finale dell'unità del Paese, l'opposizione carbonara allo Stato Pontificio diventava tutt'uno con l'opposizione al papato e gli aspetti dottrinari del suo potere). Nel Regno delle Due Sicilie i "cugini" chiedevano la fine dell'assolutismo borbonico, ma nell'isola molti aspiravano a uno stato separato e autonomo.

Differenze sul piano ideologico esistevano poi in merito alla religione. A differenza della massoneria la carboneria non era atea, sosteneva anzi di trarre ispirazione dall'esempio di Gesù Cristo. Tuttavia la realtà delle cose era decisamente più articolata.

"I carbonari mostrano una fede sincera nella religione di Gesù quale si trova nell'Evangelo, e liberata di tutti gli elementi estranei che i teologi vi hanno introdotto in diciotto secoli. Essi sono a una volta riformatori politici e religiosi". Così recitava il credo carbonaro. Ma è evidente come in questa dichiarazione ci fosse in realtà un invito a tornare ai principi cristiani delle origini (fede, umiltà e povertà) contro il magistero papale e il suo dominio temporale. Un ritorno, se vogliamo, alle eresie medievali, intese come recupero di una purezza di fede priva di intermediazioni di sorta. Una critica all'autorità dogmatica del Papa, quindi, ma non il proposito di creare un'alternativa al cristianesimo.

Non deve quindi stupire più di tanto se Papa Pio VII nel 1821, in una lettera apostolica, condannò aspramente la "società volgarmente detta de' Carbonari, la cui mira principale è dare ad ognuno una gran licenza di formarsi la Religione a capriccio, a seconda delle proprie opinioni…; di profanare e lordare la passione di Gesù Cristo con certe nefaste loro cerimonie; di spezzare i sacramenti della Chiesa che vogliono sostituirne de' nuovi da loro scelleratamente inventati e, di rovesciare questa Sede Apostolica, contro la quale essi hanno un odio particolarissimo e, non fan che macchinare quanto vi è di più pestifero e di pernicioso… Nostri predecessori… condannarono e proibirono la Società de' Liberi Muratori, ossia Francs-Maçons, delle quali la Società deve stimarsi un rampollo o per certo un'imitazione questa Società de' Carbonari". E per i carbonari, e contro chiunque nutrisse simpatia verso di loro, era pronta la scomunica.

Concludeva infatti Pio VII: "abbiamo stabilito e determinato di condannare e proibire la predetta Società de' Carbonari o, comunque, altro nome si chiami, i di lei ceti, uomini, congreghe, logge, combriccole… comandiamo a tutti i fedeli cristiani che niuno ardisca intraprendere, formare o propagandare la predetta Società de' Carbonari, fomentarla, ricettarla, occultarla o, nelle case o edifici o, altrove, non ardisca a farsi ascrivere o aggregarsi a lei, intervenire o essere presente alle di lei unioni, darle consiglio, aiuto o favore in palese o, in segreto, sotto pena di scomunica, ipso facto… comandiamo oltre a ciò a tutti sotto pena di scomunica, che siano tenuti a denunciare a' Vescovi tutti coloro che sapranno aver dato il nome a questa Società, o di essersi imbrattati in alcuni di quei delitti, de' quali si è fatta menzione".

Da una serie di lettere carbonare saltate fuori dagli archivi pontifici sembra però che alcuni timori del Papa non fossero del tutto infondati. Nell'epistolario di due carbonari si legge infatti che l'obiettivo dell'unità d'Italia era in realtà uno specchietto per le allodole. "L'indipendenza e l'unità d'Italia - scriveva un carbonaro a un altro affiliato - sono chimere. Pure queste chimere producono un certo effetto sopra le masse e sopra la bollente gioventù. Noi sappiamo quello che valgono questi principii. Sono palloni vuoti […] Il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della rivoluzione francese: cioè l'annichilimento completo del cattolicismo e perfino dell'idea cristiana", nel nome di una rigenerazione universale. Del resto, che tra i carbonari esistessero posizioni le più disparate lo abbiamo già visto sopra, a proposito dei vaghi obiettivi politico immediati. Allo stesso modo, quindi, possono aver convissuto al suo interno generiche spinte per un rinnovamento religioso nel solco di una tradizione cattolica originaria, così come spinte più marcatamente anticlericali, se non addirittura - come si evince dalla lettera tra i due carbonari - ostilmente atee o di ispirazione neopagane.

Ma quale fu il ruolo effettivo della carboneria nella prima stagione risorgimentale, quella cioè immediatamente successiva alla fine del dominio napoleonico?

Fu proprio tra il 1814 il 1815 che la setta iniziò a diffondersi in molte regioni, sovrapponendosi o integrandosi ad altri associazioni cospirative, come la Guelfia nel Lazio e nelle Marche (territori allora compresi nello Stato Pontificio), i Federati in Piemonte e in Lombardia.

E fu nelle Marche, a Macerata, che nel giugno del 1817 si ebbe il secondo tentativo carbonaro insurrezionale, dopo quello del 1813 contro Murat. Ne risultò un fallimento totale, cui seguì una dura repressione.

Il carbonarismo diede il meglio di sé nel meridione, dove si fece interprete del malcontento della popolazione verso l'assolutismo borbonico. Dalle prime manifestazioni di intolleranza verso i governanti ritornati sul trono con la restaurazione, si passò a vere e proprie insurrezioni e ammutinamenti dentro gli eserciti. Nel luglio 1820, a Nola, due ufficiali carbonari appartenenti a un reggimento della cavalleria reale borbonica, Michele Morelli e Giuseppe Silvati si ammutinarono marciando su Avellino.

A loro si unirono anche i carbonari salernitani. Ferdinando I di Borbone, mandò l'esercito a reprimere la rivolta, ma nelle stesse file dell'esercito avvennero molte defezioni che andarono così a rafforzare i rivoltosi. Si aggiunse anche il generale Guglielmo Pepe, che con il suo esercito appoggiò gli ammutinati di Salerno, mettendosi poi a capo della rivolta. Pepe chiese al sovrano la concessione della Costituzione di Spagna, che fu inizialmente accordata ma subito dopo rinnegata. Anche in questo caso il risultato ultimo fu una dura repressione, culminata in una serie di arresti e nella condanna a morte per tutti i militari che avevano preso parte alla rivoluzione.

La diaspora dei carbonari sfuggiti alla repressione contribuì a diffondere il sentimento dell'unità nazionale, a costruire una primitiva idea di Risorgimento, anche se pur sempre a livello di élites e non di popolo. L'eco della rivolta raggiunse rapidamente il Lombardo-Veneto, i ducati di Modena, di Parma, la Romagna, il Piemonte, creando così nuovi legami tra le varie società segrete. In Piemonte la rivolta di Guglielmo Pepe trovò una rielaborazione nell'insurrezione del marzo 1821 ad Alessandria, dove i dragoni del re, comandati da Isidoro Palma, occuparono la cittadella proclamando la Costituzione di Spagna. Ma le ambiguità e le reticenze della corte sabauda, temporaneamente retta da Carlo Alberto, e la successiva repressione di Carlo Felice stroncarono anche questa iniziativa.

Ma quanti erano di fatto i carbonari in Italia? Alcuni autori hanno avanzato una cifra attorno ai seicentomila affiliati nel periodo di maggior sviluppo, cioè tra il 1819 e il 1821. Ma il dato è in sé scarsamente verificabile, anche perché con il termine "carbonaro" allora si era soliti indicare tutti gli scontenti della situazione politica-amministrativa dell'Italia: anti-austriaci, liberali sabaudi, anti-papisti, anti-borbonici, rivoluzionari moderati ed estremisti. C'era, oltre alla borghesia, anche un certo numero di preti "progressisti" ostili alla Santa Alleanza.

Quel che è certo, però, è che, nonostante i numeri, quando la parola passò ai tribunali per i cospiratori non ci fu via d'uscita. Sulle gazzette dell'epoca i carbonari venivano descritti come assassini capaci di ogni nefandezza. Sui fogli cattolici, gli affiliati delle sette segrete venivano paragonati a Satana. Nel Lombardo-Veneto fu ordinato ai parroci di leggere in chiesa un invito ai fedeli a denunciare eventuali sospetti: come premio un sacco di sale per le informazioni, 500 corone per la cattura di un ribelle vivo o morto. A Rovigo, la polizia austriaca aveva già fatto una serie di arresti nel 1818, cui erano seguite diverse condanne ed esecuzioni. A Milano i provvedimenti contro i "sobillatori" portarono all'arresto di Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, entrambi vicini al cenacolo carbonaro che si riuniva attorno al Conciliatore di Confalonieri. A Modena, nel settembre del 1823 Francesco IV fece giustiziare nove cospiratori.

Intanto Pio VII aveva comminato la scomunica nei confronti della carboneria, rivestendo così il reato politico di insurrezione anche di un aspetto religioso. Il suo successore, Leone XII, infierì duramente sui carbonari. In Romagna tra il 1824 e il 1826, quindi anche a Roma, dove nel 1825 furono giustiziati due affiliati, Targhini e Montanari.

Un'inattesa ripresa delle cospirazioni carbonare si ebbe nel giugno 1828 nel Regno delle Due Sicilie. Nel Cilento e nel salernitano scoppiarono nuove rivolte. Nella cittadina di Bosco è un ecclesiastico, Antonio De Luca, a mettersi alla guida dell'insurrezione, chiedendo la proclamazione della Costituzione rivoluzionaria francese del 1791. Nello stesso tempo scoppiano rivolte appoggiati da soldati ammutinati nella zona di Palinuro. Ma ancora una volta gli insorti vennero sconfitti dalle truppe fedeli al Re, che rasero al suolo alcuni paesi ritenuti epicentro dell'attività carbonara. I vertici insurrezionali furono tutti arrestati e fucilati.

Il canto del cigno della carboneria si può fissare idealmente nelle insurrezioni del 1831 nello Stato Pontificio e nei ducati di Modena e Parma, nate sulla scia della rivoluzione parigina del 1830. Ma ormai era evidente che l'improvvisazione, l'ambito ristretto a pochi iniziati in cui si muoveva l'organizzazione, così come la mancanza di un vertice capace di collegare fra loro le diverse iniziative regionali secondo criteri unitari e organici, costituivano limiti insormontabili. Fu così che la carboneria andò incontro a una rapida disgregazione. Visse ancora per qualche tempo in Francia, dove si rese responsabile di una rivolta a Lione, nel 1834. Ma in Italia, quasi due decenni di insurrezioni fallimentari richiedevano una svolta.

"Chi pensava allora all'Italia, alla sua indipendenza, alla sua rigenerazione? Meno poche eccezioni, la schiuma sopraffina della canaglia, che si riuniva misteriosamente nelle vendite dei Carbonari", così Massimo D'Azeglio, esponente moderato del primo risorgimento, in polemica con i democratici e i rivoluzionari. A partire dal 1831 i singoli affiliati confluirono quindi verso altre strutture, guidate però da esponenti borghesi non improvvisati (Confalonieri, Mazzini) e portatori di ideali costituzionali moderati.

Lo storico E. J. Hobsbawm ha scorto nei movimenti carbonari nel meridione d'Italia, una manifestazione di primitiva rivolta sociale del popolo diseredato, che così acquisì una sua coscienza storica. Carboneria quindi come strumento di democratizzazione ed emancipazione, pur tra le mille contraddizioni che abbiamo cercato di esporre sopra. Ma carboneria anche come idealismo democratico punteggiato di aspirazioni umanitarie e socialistico-rivoluzionarie. O, ancora, come confuso laboratorio costituzionale oscillante tra la monarchia costituzionale e le aspirazioni repubblicane. Tutte antinomie la cui soluzione non poteva trovarsi in un'unica organizzazione misteriosa e dai rituali segreti. Un'organizzazione che però è passata alla storia come il brodo primordiale, il big-bang dal quale si sarebbe poi sviluppato il Risorgimento con tutte le sue inevase contraddizioni.

sabato 22 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 22 novembre.

Il 22 novembre 1968 per la prima volta va in onda in televisione un bacio interrazziale sulla TV americana, grazie a una puntata del telefilm Star Trek.

In un episodio della serie Star Trek il capitano James T Kirk e l’ufficiale capo dell’Enterprise, Nihota Uhura, si baciano non senza qualche pressione: il telefilm era alla sua terza stagione, gli ascolti stentavano a decollare e la troupe temeva la cancellazione imminente. I dirigenti della rete erano preoccupati che la scena del bacio potesse sconvolgere i telespettatori degli Stati del Sud. Nichelle Nichols – alias Nihota Uhura – racconterà che i produttori inizialmente volevano girare due diverse versioni del famigerato bacio tra lei e William Shatner – il capitano Kirk – di cui una con le labbra serrate per evitare ogni polemica.

Ma alla fine la decisione fu presa e la scena fu girata come previsto, e con un occhio verso gli Emmy la rete annunciò su Hollywood Reporter che il primo bacio interrazziale della TV americana stava per andare in onda.

Nel Vecchio Continente fu la britannica BBC a mandare in onda il primo bacio televisivo interrazziale della storia. A detenere il primato era Emergency Ward 10 che nel 1964 trasmetteva il bacio tra Joan Hooley e John White. Solo recentemente la medical soap è stata spodestata, nel 2015 il British Film Institute ha scoperto negli archivi il film tv You in Your Small Corner, in cui i due protagonisti Elizabeth MacLennan e Lloyd Reckord vivono un amore contrastato lottando contro le contraddizioni razziste della società dell’epoca, e precorrendo i tempi in una scena sfiorano le loro labbra.

Mandato in onda un’unica volta nel giugno del 1962, del film per la Tv se ne erano poi perse completamente le tracce.

Tra curiosità e indignazione sul grande schermo già nel 1896 andava in scena il primo bacio del cinema. Meno di diciotto secondi che avevano fatto gridare allo scandalo, all’epoca le effusioni in pubblico erano perseguibili, ma consegneranno alla storia i due interpreti John C. Rice e May Irwin. Saltando nel tempo a piè pari, nel 2014 i baci fanno ancora notizia, a calamitare l’attenzione del mondo del web è il cortometraggio sperimentale First Kiss, della film maker Tatia Pilieva; per chi non l’ha visto, riprendeva 10 coppie di sconosciuti che si baciavano sotto l’occhio della telecamera per la prima volta, che ha raggiunto in poche ore oltre un milione di visualizzazioni. Scopriamo con una carrellata alcuni tra i baci più famosi della storia.

Ingrid Bergman e Cary Grant nella pellicola Notorious, del 1946, scandalizzeranno Hollywood, complice il leggendario regista Alfred Hitchcock, con il bacio più lungo e intenso del cinema.

Greta Garbo e John Gilbert ne La carne e il diavolo del 1927 inauguravano il primo bacio a bocca aperta della storia del cinema e lo scandalo fu enorme.

Nel 1933, Greta Garbo - ancora lei - interpreta la sovrana di Svezia ne La regina Cristina di Rouben Mamoulian e in una scena schiocca uno dei primi baci lesbo del cinema all'attrice Elizabeth Young.

È entrato nella storia come il V-Day kiss, il bacio appassionato tra un marinaio e una crocerossina alla fine della seconda guerra mondiale a Times Square, a New York, il 4 agosto 1945.

Tra le immagini che hanno scritto la storia, quella del bacio che suggella l’intesa tra Leonid Breznev e Erich Honecker ha poche rivali.

Del 1968 è il primo bacio tra specie diverse. Charlton Heston bacia Kim Hunter ne Il pianeta delle scimmie.

Baci bollenti sul set del film Getaway tra Ali MacGraw e Steve McQueen, che in men che non si dica lasceranno i rispettivi coniugi per vivere uno degli amori più tormentati e turbolenti di Hollywood.

Nella vita reale Carlo e Diana rompono la tradizione in mondovisione scambiandosi, per primi nella storia della monarchia britannica, un bacio sul balcone di Buckingham Palace.

Nel 1996 Roberto Benigni stravolge tutti i presenti baciando sulla bocca Walter Veltroni alla festa dell'Ulivo.

Nell'estate del 1992 Sarah Ferguson viene colta in flagrante intimità con il miliardario texano John Bryan, che tra le molte effusioni la bacia con disinvoltura e a bordo piscina le succhia l’alluce sinistro.

Il bacio tra un prete e una suora è la campagna Benetton firmata da Oliviero Toscani nel 1991. Provocatoria e scandalosa viene subito censurata per le pressioni del Vaticano.

Fernando Aiuti, immunologo alla Sapienza di Roma, nel 1991 per dimostrare che il bacio non trasmette il virus dell'Aids, bacia la giovane donna sieropositiva Rosaria Iardino.

Vent'anni dopo, nel 2003, Maurizio Costanzo ripete il gesto in tv e bacia anche lui Rosaria Iardino.

Nel 2000 ai Golden Globe Awards, Angelina Jolie stampa un bacio sulle labbra al fratello James Haven.

Tre mesi dopo alla cerimonia degli Oscar, Angelina Jolie replica e bacia ancora una volta il fratello James Haven, tutti gridano allo scandalo.

Al festival di San Remo del 2003, suggellano con un appassionato bacio la 53a edizione, Pippo Baudo e Luciana Littizzetto.

Tra i baci indimenticabili un posto d'onore va a quello scoccato da Adrien Brody a Halle Berry dopo aver vinto l'Oscar come miglior attore per il film Il pianista.

Sempre nel 2003, Britney Spears e Madonna sorprendono la platea agli MTV Video Music Awards con un intenso e appassionato bacio.

Barak Obama è il primo presidente americano che non si trattiene dal baciare apertamente la first Lady, Michelle.

Nel 2011, per la prima volta nella storia l'onore del tradizionale bacio dopo una lunga missione di un’unità della marina Usa, va a una coppia omosessuale. E Marissa Gaeta, sottufficiale, sulla banchina bacia la compagna Citlalic Snell, anche lei sottufficiale di marina.

I thailandesi Ekkachai e Laksana con il loro bacio di 58 ore, 35 minuti e 58 secondi detengono il record del Guinness dei primati.

Nel 2002, per la prima volta il bacio tra due uomini, Jason Biggs e Seann William Scott, protagonisti di American Pie 2, è giudicato il migliore dell'anno agli MTV Movie Award.

Ne le Mine vaganti, Riccardo Scamarcio schiocca il suo primo bacio cinematografico a un uomo, Carmine Recano, e commenta: «Non è stato difficile, ho chiuso gli occhi e l'ho fatto: ma non so come la prenderanno i miei genitori pugliesi».

Il bacio tra Alex Thomas con il suo boyfriend Scott Jones nel pieno dei disordini di Vancuver nel 2011, è entrato nella storia.


venerdì 21 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 21 novembre.

Il 21 novembre 1902 termina la Guerra dei mille giorni in Colombia.

La guerra dei mille giorni fu una guerra civile combattuta in Colombia tra gli anni 1899 e 1902. Il motivo di base alle origini del conflitto è furono gli attriti tra liberali e conservatori, dunque fu una guerra ideologica piuttosto che regionale. Raggiunti circa 100.000 caduti, entrambe le fazioni in lotta hanno chiesto un cessate il fuoco.  

Nel 1899, la Colombia aveva già alle spalle una lunga tradizione di conflitto tra liberali e conservatori. Le questioni fondamentali riguardavano per i conservatori un forte governo centrale, il diritto di voto limitato e forti legami tra Stato e Chiesa. I liberali, d’altra parte, chiedevano governi regionali più forti, il diritto di voto universale  e una netta divisione tra Stato e Chiesa. Le due fazioni erano in contrasto dalla dissoluzione della Gran Colombia nel 1831.

Nel 1898, il conservatore Manuel Antonio Sanclemente venne eletto presidente della Colombia. I liberali si indignarono, convinti che alla base del risultato ci fossero stati brogli elettorali. Sanclemente aveva partecipato ad un rovesciamento conservatore del governo nel 1861 ed era estremamente impopolare tra i liberali. Tuttavia la salute del nuovo presidente era molto cagionevole, e ciò portò a una debole conduzione del Paese. I liberali ne approfittarono e nel 1899 scoppiò una ribellione. 

La rivolta liberale ebbe inizio nella provincia di Santander. Il primo scontro avvenne quando le forze liberali cercarono di prendere Bucaramanga nel novembre 1899, ma vennero respinti. Un mese dopo, i liberali misero a segno la loro più grande vittoria nella guerra, quando il Generale Rafael Uribe Uribe sconfisse una grande forza conservatrice nella battaglia di Peralonso. La vittoria di Peralonso diede ai liberali la speranza e la forza di proseguire il conflitto per altri due anni nonostante la inferiorità numerica.

Ma il generale liberale Vargas Santos evitò stupidamente di approfittare del vantaggio ottenuto a Peralonso, e rimase in attesa invece che proseguire la campagna. Ciò consentì alle forze conservatrici di recuperare le perdite ed inviare un nuovo esercito al contrattacco. Il nuovo scontro si ebbe nel maggio 1900 a Palonegro, sempre nel dipartimento di Santander. La battaglia fu brutale e si protrasse per due settimane. Verso la fine del combattimento il caldo opprimente e la mancanza di cure mediche resero il campo di battaglia un inferno, con i morti in decomposizione che nessuno rimuoveva. Alla fine della battaglia, con oltre 4000 morti da ambo i lati, l'esercito liberale si sfaldò. 

Fino a quel momento, il vicino Venezuela aveva sempre aiutato l'esercito liberale, con l'invio di uomini e armi. Ma la sconfitta di Palonegro convinse il presidente venezuelano Cipriano Castro a sospendere gli aiuti. Solo una visita personale del Generale Rafael Uribe Uribe lo convinse a riprendere l'invio di aiuti. 

Dopo la rotta di Palonegro, la sconfitta dei liberali era solo una questione di tempo. I loro eserciti erano a brandelli, e per il resto della guerra poterono operare solo con tattiche di guerriglia. Riuscirono ad ottenere solo alcune vittorie nella odierna Panama, tra cui una battaglia navale di piccole dimensioni che vide la cannoniera Padilla affondare la nave cilena ( “presa in prestito” dai conservatori) Lautaro nel porto di Panama City. Queste piccole vittorie tuttavia, nonostante i rinforzi provenienti dal Venezuela,  non poterono cambiare le sorti della guerra. Dopo le disastrose perdite umane a Peralonso e Palonegro, il popolo della Colombia aveva perso ogni desiderio di continuare il combattimento.

I liberali moderati cercarono a lungo di giungere ad una fine pacifica della guerra. Anche se la loro causa era persa, si rifiutarono di prendere in considerazione una resa incondizionata: volevano una rappresentanza liberale nel governo come un prezzo minimo per la fine delle ostilità. I conservatori sapevano quanto fosse debole la posizione liberale e rimasero fermi nelle loro richieste. Il trattato di Neerlandia, firmato il 24 ottobre 1902, era fondamentalmente un accordo di cessate il fuoco che includeva il disarmo di tutte le forze liberali. La guerra venne formalmente conclusa il 21 novembre 1902, quando un secondo trattato fu firmato sul ponte della nave da guerra degli Stati Uniti Wisconsin.

La guerra dei mille giorni non portò alcuna diminuzione degli attriti di lunga data tra i liberali e i conservatori, che sarebbero di nuovo andati in guerra nel 1940 nel conflitto noto come La Violencia. Anche se nominalmente fu una vittoria conservatrice, non ci furono veri vincitori, ma solo vinti. Gli sconfitti erano i cittadini colombiani: migliaia di vite andarono perdute  e il Paese venne devastato dalla guerra civile. In più, quasi una beffa, il caos provocato dalla guerra permise agli Stati Uniti di realizzare l’indipendenza di Panama, togliendo alla Colombia questo territorio prezioso per sempre.

La guerra dei mille giorni è un evento storico ben noto in Colombia, ma venne portato all’attenzione internazionale grazie ad un romanzo straordinario. Il Premio Nobel Gabriel García Márques nel suo capolavoro del 1967 "Cent’anni di solitudine" copre un secolo nella vita di una famiglia colombiana immaginaria. Uno dei più famosi personaggi di questo romanzo è il colonnello Aureliano Buendía, che lascia la piccola città di Macondo e va a combattere per anni nella guerra dei mille giorni (per la cronaca, ha combattuto per i liberali e si pensa che sia stato liberamente tratto dal personaggio di Rafael Uribe Uribe).

giovedì 20 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 20 novembre.

Il 20 novembre 1959 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approva la prima stesura della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo.

La dichiarazione dei diritti del fanciullo, conosciuta anche come dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo è un documento ufficiale, la cui ultima revisione risale al 1989 e approvata dalle Nazioni Unite, nel quale si descrive quali sono i diritti che sempre devono essere riconosciuti ai bambini. Questo testo, non ha alcun valore legale per gli stati membri delle nazioni Unite, tuttavia è un impegno morale che ogni Stato ha assunto. La dichiarazione si articola in 10 principi, tanto attuali quanto ancora poco applicati. Purtroppo, nel mondo, ancora oggi a troppi bambini questi diritti sono negati. Il nostro auspicio è che con il tempo ogni Stato, governo e Nazione possa impegnare sempre più risorse affinché possa essere riconosciuto ogni diritto ad ogni singolo bambino.

La dichiarazione afferma quanto segue:

Principio primo: il fanciullo deve godere di tutti i diritti enunciati nella presente Dichiarazione. Questi diritti devono essere riconosciuti a tutti i fanciulli senza alcuna eccezione, senza distinzione e discriminazione fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua la religione od opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, le condizioni economiche, la nascita, od ogni altra condizione sia che si riferisca al fanciullo stesso o alla sua famiglia.

Principio secondo: il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione e godere di possibilità e facilitazioni, in base alla legge e ad altri provvedimenti, in modo da essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico intellettuale morale spirituale e sociale in condizioni di libertà e di dignità. Nell’adozione delle leggi rivolte a tal fine la considerazione determinante deve essere del fanciullo.

Principio terzo: il fanciullo ha diritto, sin dalla nascita, a un nome e una nazionalità.

Principio quarto: il fanciullo deve beneficiare della sicurezza sociale. Deve poter crescere e svilupparsi in modo sano. A tal fine devono essere assicurate, a lui e alla madre le cure mediche e le protezioni sociali adeguate, specialmente nel periodo precedente e seguente alla nascita. Il fanciullo ha diritto ad una alimentazione, ad un alloggio, a svaghi e a cure mediche adeguate.

Principio quinto: il fanciullo che si trova in una situazione di minoranza fisica, mentale o sociale ha diritto a ricevere il trattamento, l’educazione e le cure speciali di cui esso abbisogna per il suo stato o la sua condizione.

Principio sesto: il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità ha bisogno di amore e di comprensione. Egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d’affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre. La società e i poteri pubblici hanno il dovere di aver cura particolare dei fanciulli senza famiglia o di quelli che non hanno sufficienti mezzi di sussistenza. È desiderabile che alle famiglie numerose siano concessi sussidi statali o altre provvidenze per il mantenimento dei figliuoli.

Principio settimo: il fanciullo ha diritto a una educazione, che, almeno a livello elementare deve essere gratuita e obbligatoria. Egli ha diritto a godere di un’educazione che contribuisca alla sua cultura generale e gli consenta, in una situazione di eguaglianza di possibilità, di sviluppare le sue facoltà, il suo giudizio personale e il suo senso di responsabilità morale e sociale, e di divenire un membro utile alla società. Il superiore interesse del fanciullo deve essere la guida di coloro che hanno la responsabilità della sua educazione e del suo orientamento; tale responsabilità incombe in primo luogo sui propri genitori. Ogni fanciullo deve avere tutte le possibilità di dedicarsi a giochi e attività ricreative che devono essere orientate a fini educativi; la società e i poteri pubblici devono fare ogni sforzo per favorire la realizzazione di tale diritto.

Principio ottavo: in tutte le circostanze, il fanciullo deve essere fra i primi a ricevere protezione e soccorso.

Principio nono: il fanciullo deve essere protetto contro ogni forma di negligenza, di crudeltà o di sfruttamento. Egli non deve essere sottoposto a nessuna forma di tratta. Il fanciullo non deve essere inserito nell’attività produttiva prima di aver raggiunto un’età minima adatta. In nessun caso deve essere costretto o autorizzato ad assumere un’occupazione o un impiego che nuocciano alla sua salute o che ostacolino il suo sviluppo fisico, mentale, o morale.

Principio decimo: il fanciullo deve essere protetto contro le pratiche che possono portare alla discriminazione razziale, alla discriminazione religiosa e ad ogni altra forma di discriminazione. Deve essere educato in uno spirito di comprensione, di tolleranza, di amicizia fra i popoli, di pace e di fratellanza universale, e nella consapevolezza che deve consacrare le sue energie e la sua intelligenza al servizio dei propri simili.

mercoledì 19 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 19 novembre.

Il 19 novembre 1493 Cristoforo Colombo sbarca per primo sull'isola che in seguito verrà battezzata Porto Rico.

Non si hanno informazioni certe relative alla storia dell’isola di Porto Rico prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo. La ricostruzione delle origini è dovuta alle scoperte archeologiche e dalle trascrizioni dei racconti degli spagnoli.

Il primo libro sulla storia di Porto Rico fu scritto 283 anni dopo l’insediamento degli spagnoli sull’isola.

I primi abitanti dell’isola furono gli Ortoiroid che si sono insediati intorno al 2000 a.C.

Tra il VII e l’XI secolo la cultura dei Taino si sviluppò notevolmente e attorno all’anno 1000, divennero il popolo dominante di Porto Rico. Essi mantennero questo dominio fino all’arrivo degli spagnoli, nel 1493.

Le tribù indiane Arawak  e Taino chiamarono l’isola Borikén.

Cristoforo Colombo fu il primo europeo a raggiungere l’isola durante il suo secondo viaggio alle Antille, il 19 novembre del 1493. Tuttavia alcuni sostengono che non fu Colombo a scoprire Porto Rico, bensì Martín Alonso Pinzón, che nel 1492 si era separato da Colombo continuando da solo le sue esplorazioni. La Corte spagnola diede a Pinzón un anno di tempo per poter iniziare l’opera di insediamento e colonizzazione che avrebbe permesso loro la rivendicazione dell’isola, ma il progetto fallì.

Cristoforo Colombo dette il nome a quest’isola in onore di San Giovanni Battista, ma ben presto divenne Puerto Rico che letteralmente significa “porto ricco”. Il nome originale rimase a designare la città più grande, nonché capitale, San Juan. Il conquistador spagnolo Juan Ponce de León divenne l’effettivo governatore in carica di Porto Rico, poiché Vicente Yáñez Pinzón, eletto governatore prima di Juan Ponce, non raggiunse mai l’isola.

Porto Rico fu subito colonizzata dagli spagnoli, i quali vi portarono un gran numero di schiavi africani che furono obbligati a lavorare per la corona spagnola. L’isola divenne in breve tempo porto strategico dell’Impero spagnolo nei Caraibi. Per difendersi dai nemici europei che miravano alla conquista dell’isola, gli spagnoli costruirono numerosi forti e muraglioni per proteggere la capitale.

Nel 1809, venne riconosciuto Porto Rico come territorio spagnolo d’oltreoceano con il diritto di inviare deputati alla Corte spagnola. Il deputato Ramón Power y Giralt divenne vice presidente e le sue riforme costituzionali del XIX secolo favorirono l’incremento demografico e la crescita economica, e soprattutto conferirono una maggiore notorietà all’isola.

Successivamente, la povertà e l’allontanamento politico dalla Spagna portarono a una piccola ma significativa insurrezione, nel 1868, conosciuta come Grito de Lares (Pianto di Lares) che fu facilmente e immediatamente soppressa.

Pochi anni dopo sorse il movimento autonomo portoricano, iniziato da Román Baldorioty de Castro e portato avanti da Luis Muñoz Rivera verso la fine del secolo. Nel 1897, Muñoz Rivera e altri indipendentisti persuasero il governo liberale spagnolo a riconoscere e accettare lo Statuto per l’autonomia di Porto Rico. L’anno seguente venne organizzato il primo, anche se di breve durata, governo autonomo portoricano. Si raggiunse quindi il compromesso di mantenere un governatore nominato dalla Spagna, il quale aveva il potere di annullare qualsiasi decisione legislativa con cui non era d’accordo, e una struttura parlamentare parzialmente eletta.

Il 25 luglio 1898, con lo scoppio della guerra ispano-americana, Porto Rico fu invasa dagli Stati Uniti d’America. Con il trattato di Parigi del 1898 la Spagna fu obbligata a cedere Porto Rico, assieme a Guam e alle Filippine, agli USA.

Negli anni successivi alla grande depressione del 1929, Pedro Albizu Campos fondò un movimento nazionale a favore dell’indipendenza: il Partito Nazionalista Portoricano. Ma il vero cambiamento politico del paese avvenne negli ultimi anni delle amministrazioni Roosevelt e Truman. Nel 1946 con la nomina, da parte del presidente Truman, del primo governatore di origine portoricana, Jesus Piñero. Nel 1947 gli Stati Uniti concessero il diritto di eleggere democraticamente il governatore di Porto Rico ed il 2 gennaio 1949 Luis Muñoz Marín divenne il primo governatore di Porto Rico ad essere eletto dal popolo.

Il 1º novembre 1950 due nazionalisti portoricani tentarono di assassinare il presidente Truman, e come conseguenza immediata egli autorizzò il referendum democratico in Porto Rico. Ciò avvenne nel 1952, e tale costituzione assunse i connotati di un Commonwealth politico.  Finalmente durante gli anni cinquanta l’isola conobbe una rapida industrializzazione, grazie ad ambiziosi progetti quali l’operazione Bootstrap, che si proponeva di cambiare le basi dell’economia portoricana da agricole a manifatturiere.

Negli ultimi decenni ci sono stati diversi plebisciti per decidere se Porto Rico dovesse consolidare il Commonwealth oppure richiedere di diventare uno stato federato statunitense a tutti gli effetti. Ma gli Stati Uniti hanno avuto sempre la vittoria e di conseguenza nulla è mutato nel sistema politico di Porto Rico.

martedì 18 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 18 novembre.

Il 18 novembre 1481 cede la diga del Zuiderzee in Olanda, allagando 72 villaggi e uccidendo 100.000 persone.

“Dio ha creato tutto il mondo, tranne l’Olanda, che è stata creata dagli olandesi“. Così dice un antico proverbio, perchè buona parte del territorio olandese è stato strappato al mare dall’uomo. La lotta contro l’acqua ha radici nel passato. Nel 1287 una violenta tempesta permise al mare di inondare l’Olanda, formando il golfo dal nome “Zuiderzee“ e quando i primi olandesi misero piede in questi acquitrini, dovettero prosciugare, nel tempo, intere zone di terra e difendersi dalle continue inondazioni per riuscire a sopravvivere. 

Dal XV secolo il mare interno di Zuiderzee rimase più o meno invariato, grazie alle migliorie apportate alle dighe naturali; tuttavia con il tempo, diventava sempre più perentoria la possibilità di contrastare la volatilità della natura. Nel 1481 le inondazioni provocarono la scomparsa di 72 villaggi e la morte di oltre 100000 persone.

Ma nel 1916, quando i Paesi Bassi furono colpiti da un’ondata di marea molto grande, gli olandesi decisero di riprendere in mano il piano di una diga che era stata progettata nel 1891 dall’ingegnere Cornelis Lely. I lavori iniziarono nel 1919 e la diga fu inaugurata il 28 Maggio 1932 dalla regina Guglielmina.

La diga fu costruita fra la Frisia e l’ Olanda Settentrionale e così il golfo fu separato dal mare e trasformato nel lago “Ijsselmeer“. Quest’ultimo, in parte prosciugato, ha dato poi origine alla provincia dello “Flevoland“. Successivamente questo enorme lago artificiale venne diviso in due parti con la costruzione di una seconda diga, Markerwaarddijk, la parte più interna del lago venne chiamata Markermeer. Fino al 1932, lo Ijsselmeer si chiamava ancora Zuider Zee (Mare Meridionale). La diga è lunga 32 km, larga 90 m ed arriva ad un’altezza di 7,25 m sopra il livello del mare, è attraversata da un’autostrada (A7, due corsie per senso di marcia) che, intorno al sedicesimo chilometro (a metà della diga), ha un punto di ristoro con tanto di parcheggio, bar, torretta panoramica, un negozietto di souvenir, aree di sosta e una struttura dotata di una sopraelevata che permette ai pedoni di attraversare l’autostrada e ammirare il panorama.

La diga è dotata di chiuse poste su entrambi i lati est ed ovest, che permettono di mantenere costante il livello del mare interno, scaricando l’acqua in eccesso nel Waddenzee. Il Waddenzee è quel piccolo mare che diventa Mare del Nord oltre le cinque     Isole Frisone: Texel, Vlieland, Terschelling,  Ameland e Schiermonnikoog che si trovano all’estremo settentrione dei Paesi Bassi. L’operazione di scarico deve essere svolta continuamente, dal momento che nuova acqua si riversa nell’Ijsselmeer dal fiume Ijssel, emissario del Reno. Le chiuse permettono di svuotare oltre la diga 5000 metri cubi d’acqua, l’equivalente di due piscine olimpioniche, al secondo.

Essa collega la provincia dell’Olanda Settentrionale (villaggio di Den Oever nella municipalità di Wieringen), con la provincia della Frisia (villaggio di Zurich, municipalità di Wunseradiel). ( La Frisia è una provincia olandese verde e pianeggiante famosa per le celebri mucche frisone bianche e nere ). L’autostrada sopra la diga, è percorsa ogni giorno da migliaia di veicoli e neanche a dirlo, accanto alla strada ad alto scorrimento, trova posto una comodissima pista ciclabile a due corsie, con vista mare. L’Afsluitdijk risulta essere undicesima tra le dighe più grandi al mondo e notevole sforzo è stato compiuto nello sviluppo di modelli matematici per il calcolo delle correnti di marea, la selezione di adeguati materiali da costruzione e gli aspetti organizzativi. Con il passare degli anni, lo specchio d’acqua da salato (lago “Ijsselmeer“) è diventato dolce, permettendo a un milione di persone di berne l’acqua, dopo la depurazione e recuperando terreno per l’agricoltura e lo sviluppo urbano.

Questo cambiamento radicale ha avuto anche aspetti negativi, influendo pesantemente sulla vita di interi paesi che vivevano solo di pesca; infatti sono scomparse molte specie di pesci ed i pescatori si sono dovuti trovare altri lavori. La diga fu costruita allo scopo di proteggere le coste e impedire le inondazione delle provincie circostanti, ma riducendo così la lunghezza della costa olandese di quasi 300 chilometri. Per costruire la diga sono stati necessari circa 25 milioni di metri cubi di sabbia, 13 milioni di metri cubi di blocchi di argilla, 16 milioni di tipiche mattonelle olandesi e 6000 uomini.

Sulla punta ovest della diga si trova la statua che raffigura l’ingegnere e ministro dei lavori pubblici Cornelis Lely che progettò nel 1891 il piano della chiusura dello Zuiderzee. Essa è stata scolpita da Mari Andriessen e a lui dedicata in occasione del 100 ° anniversario della sua nascita, il 23 settembre 1954. Nelle vicinanze della torretta (dal 1982, in occasione del 50° anniversario della diga), si trova un monumento che ricorda i lavoratori che hanno contribuito alla creazione di questa grande opera lavorando in condizioni molto difficili. La diga fu infatti realizzata grazie all’enorme sforzo e il grande lavoro degli olandesi con i macchinari e le attrezzature di quel periodo storico in un’impresa in cui lo stesso uomo ha superato se stesso dimostrando di riuscire a sconfiggere le forze della natura che altrimenti l’avrebbero sopraffatto.

lunedì 17 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 17 novembre.

Il 17 novembre 1997, 36 turisti svizzeri morirono a Luxor, in Egitto, sotto i colpi di un gruppo di estremisti islamici. Si tratta dell’attentato terroristico più grave contro dei cittadini elvetici. Quasi trent’anni dopo, il terrorismo continua a far paura. Ma contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, gli attacchi e le vittime sono in diminuzione.

«Il massacro degli innocenti», «La morte sul Nilo», «Orrore nella Valle dei Re», «Svizzeri massacrati a Luxor»: era il 18 novembre e su tutte le prime pagine dei quotidiani elvetici c’era la notizia della strage del giorno prima.

Sul sito archeologico di Deir el-Bahari, nei pressi di Luxor, un gruppo di terroristi appartenenti all’organizzazione islamista al-Gama’at al-Islamiyya aveva aperto il fuoco contro una comitiva di turisti. Pesante il bilancio: 62 morti, di cui 36 svizzeri.

Dal 1970, le vittime svizzere di attentati terroristici sono state una sessantina. Quello di Luxor rimane ad oggi il peggior attacco contro dei cittadini elvetici.

Gli svizzeri non sono ovviamente le uniche vittime del terrorismo. E l’Egitto non è il solo paese confrontato col fenomeno. Tra il 2012 e il 2016, gli attacchi terroristici nel mondo sono stati oltre 33'000 e hanno causato più di 153'000 morti in decine di paesi, secondo il Global Terrorism Database (GTD) dell’Università del Maryland, la più ampia banca dati sul terrorismo. Con quasi 6'300 vittime, il giugno 2014 è stato il mese più nero.

In particolare dopo l’attentato del gennaio 2015 a Charlie Hebdo, a Parigi, la minaccia terroristica è ritornata in primo piano in Europa. Dalla capitale francese a Bruxelles, da Londra a Berlino, senza dimenticare l'attacco a Barcellona, il terrorismo ha colpito periodicamente le principali città del continente. 

Tuttavia, l’Europa non è il principale teatro di violenze. Dal 2012, i morti dovuti al terrorismo nell’Europa occidentale rappresentano meno dello 0,3% del numero totale di vittime. La stragrande maggioranza delle vittime degli attentati si concentra in cinque paesi dell’Asia e dell’Africa.

Nonostante il costante aumento degli attentati dall’inizio del Millennio, collegati in gran parte alle attività di Al Qaida, dei Talebani, di Boko Haram e del sedicente Stato islamico, gli atti terroristici nel mondo sono in calo, indica il GTD. Dopo il picco del 2014, sia il numero di attacchi sia quello delle vittime sono diminuiti negli anni successivi.

domenica 16 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 16 novembre.

Il 16 novembre 1960 scompare Clark Gable, un'icona del cinema.

William Clark Gable, soprannominato "re di Hollywood", nasce a Cadiz (Ohio) il giorno 1 febbraio 1901. Prima di diventare uno degli attori più contesi dai produttori di Hollywood a suon di dollari, ha dovuto affrontare una dura gavetta nel mondo dello spettacolo, spinto dagli incoraggiamenti dalle donne che lo amavano.

La prima è l'attrice e regista teatrale Josephine Dillon (14 anni di lui più anziana), che convinta che Clark Gable abbia un autentico talento lo scrittura e lo aiuta ad affinarlo. Insieme vanno ad Hollywood dove, il 13 dicembre 1924, si sposano. La regista ha il merito di avergli insegnato l'arte della recitazione, a muoversi con disinvoltura ed eleganza, e a tenere sul palcoscenico e nella vita privata un contegno ineccepibile. E' lei infine a persuaderlo a tralasciare il nome William e a farsi chiamare semplicemente Clark Gable.

Grazie a lei Gable ottiene le prime parti, per lo più in ruoli marginali in film come "White Man" (1924), "Plastic Age" (1925). Tornò in teatro, e dopo parti di minore importanza, debuttò sul palcoscenico di Broadway nel 1928 in Machinal, interpretando la parte dell'amante della protagonista, e raccolse lusinghieri consensi dalla critica.

E' in tournée nel Texas con un'altra compagnia quando incontra Ria Langham (17 anni più anziana), ricca e pluridivorziata, inserita in un giro di alte relazioni sociali. Ria Langham farà dell'attore un raffinato uomo di mondo. Dopo il divorzio da Josephine Dillon, Clark Gable sposa Ria Langham il 30 marzo 1930.

Intanto ottiene un contratto di due anni con la MGM: gira film come "The Secret Six" (1931), "Accadde una notte" (1934), "Gli ammutinati del Bounty" (1935) e "San Francisco" (1936). Spinto e pagato dalla produzione, Gable utilizza una protesi dentaria per render perfetto il suo sorriso e si sottopone ad un intervento di chirurgia plastica per correggere la forma delle orecchie.

Nel 1939 arriva il grande successo con l'interpretazione per cui ancora oggi è identificato come simbolo: l'affascinante e rude avventuriero Rhett Butler in "Via col vento" (Gone with the wind), di Victor Fleming. Il film, tratto dal romanzo di Margaret Mitchell, lo consacra definitivamente come divo internazionale, insieme all'altra protagonista, Vivien Leigh.

Durante la lavorazione del film "Via col vento", Clark Gable ottiene il divorzio da Ria Langham. Ancor prima di finir le riprese, se ne va in Arizona, dove sposa in forma privata l'attrice Carole Lombard, conosciuta tre anni prima.

Dopo gli avvenimenti di Pearl Harbor, nel 1942 Carole Lombard partecipa attivamente alla campagna di raccolta dei fondi di finanziamento dell'esercito americano. Durante il ritorno da un viaggio di propaganda a Fort Wayne, l'aereo con a bordo Carole Lombard si schianta contro una montagna. In un telegramma inviato poco prima di partire, Carole Lombard suggeriva al marito di arruolarsi: distrutto dal dolore, Clark Gable troverà nel consiglio della moglie nuove motivazioni.

Dopo le riprese di "Incontro a Bataan" (1942), Gable si arruola nell'aviazione.

Torna poi alla MGM, ma cominciano i problemi: Gable è cambiato e anche la sua immagine pubblica ha perso il suo smalto originale. Interpreta una serie di film che riscuotono buoni successi commerciali, ma che tuttavia risultano oggettivamente mediocri: "Avventura" (1945), "I trafficanti"(1947), "Mogambo" (1953).

Nel 1949 sposa Lady Sylvia Ashley: il matrimonio durerà poco, fino al 1951.

Successivamente conosce e sposa la bella Kay Spreckels, le cui fattezze ricordavano molto quelle della scomparsa Carole Lombard. Con lei Gable sembrava avere ritrovato la felicità perduta.

Il suo ultimo film "Gli spostati" (1961), scritto da Arthur Miller e diretto da John Huston, segna una piena rivalutazione in campo professionale. Nel film Clark Gable interpreta la parte di un attempato cowboy che si guadagna da vivere catturando cavalli selvaggi. L'attore si appassiona moltissimo al soggetto, impegnandosi con grande scrupolo nello studio della parte.

Nonostante le riprese avvenissero in luoghi molti caldi e le scene d'azione fossero al di sopra delle forze di un uomo dell'età di Gable, rifiutò la controfigura, sottoponendosi a un duro sforzo, soprattutto nelle scene della cattura dei cavalli. Intanto la moglie aspettava un bambino, che chiamerà John Clark Gable. Il padre non visse abbastanza per vederlo: il 16 novembre 1960, due giorni dopo aver terminato le riprese dell'ultimo film, a Los Angeles, Clark Gable veniva colpito da infarto.

La scomparsa di quello che sarebbe stato definito "re di Hollywood", segnò per molti la fine di una generazione di attori che incarnava il personaggio ideale di uomo, tutto d'un pezzo, temerario e virile.

Venne sepolto nel Forest Lawn Memorial Park a Los Angeles, California, accanto alla terza moglie ed amore della sua vita, Carole Lombard.

sabato 15 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 15 novembre.

Il 15 novembre 1859 viene promulgata la Legge Casati sull'ordinamento scolastico, approvata due giorni prima con Regio Decreto del Regno di Sardegna.

L’inizio della storia della Scuola Elementare Italiana si può far risalire al 1859, anno in cui  il ministro della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna, Gabrio Casati, presentò e fece approvare una legge: il regio decreto legislativo 13 novembre 1859, n. 3725 del Regno di Sardegna, noto come “legge Casati”. Lo scopo principale della legge Casati era che i bambini dovevano saper “…leggere, scrivere e far di conto…” e la stessa legge sanciva l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione elementare per il corso inferiore, impartita dallo stato per mezzo dei comuni, ai quali spettava anche il compito di assumere i maestri.

Egli progettò una scuola elementare divisa in due bienni  e un successivo percorso formativo che si divaricava in formazione tecnica e formazione ginnasiale, quest’ultima solo a pagamento. I due bienni (inferiore e superiore) furono fatti per rispondere alle esigenze di uno stato laico moderno, quale voleva essere il Piemonte, che ambiva a togliere alla Chiesa il suo secolare predominio nel campo dell’educazione.

Non bisogna dimenticare infatti che tradizionalmente in tutta Italia l’istruzione era impartita, sia al livello elementare sia a quello superiore, da istituti ecclesiastici, spesso controllati dai Gesuiti, e che i preti esercitavano un controllo e potere tale che addirittura alcuni erano nominati anche Ispettori Scolastici.

L’istruzione elementare era a carico dei comuni, ma il secondo biennio era istituito solo nei comuni con più di quattromila abitanti o che avessero nel loro territorio un istituto secondario. I comuni dovevano quindi finanziare le proprie scuole e questo costituì un punto debole della “legge Casati”, perché i comuni con minori risorse o quelli delle aree più disagiate (caratteristiche spesso coincidenti) avevano difficoltà ad assumere per la scuola elementare maestri sufficientemente qualificati.

Ciò incentivò così l’istruzione privata da parte delle famiglie più ricche  che si affidarono spesso ad un precettore domestico, o a istituti privati. Lontana dal divenire veramente “pubblica” la scuola italiana non riusciva quindi neanche a divenire “d’obbligo” (la stessa legge Casati non prevedeva sanzioni per i genitori che non mandavano i figli a scuola) e quindi molte famiglie preferivano tenere i bambini a casa per i lavori dei campi, fenomeno questo che riscontriamo, anche se in misura minore negli anni 50/60 del secondo dopoguerra.

L’analfabetismo alla fine dell’800 riguardava il 74% degli uomini e l’84% delle donne.

Sulla scuola elementare si concentrò però, con speranze eccessive, una grande aspettativa sociale e politica: si voleva plasmare in senso unitario e nazionale la coscienza del popolo allo scopo di unificare una nazione nata dalla somma di stati che per secoli avevano vissuto separati. Se la politica aveva creato lo stato italiano, la scuola doveva crearne lo spirito, quasi rispondendo al celebre aforisma attribuito a Massimo D’Azeglio: “L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani!”.

Nel 1877 fu ministro della Pubblica Istruzione del Governo Depretis l’ex rettore dell’Università di Torino, Michele Coppino.  Durante il suo mandato egli portò a tre gli anni di obbligatorietà per quanto riguarda la scuola elementare inferiore, introducendo anche norme sanzionatorie per i genitori che non rispettassero questa riforma. Tale obbligatorietà salì poi fino al dodicesimo anno d’età dell’allievo con la legge Orlando del 1904. Siamo a inizio secolo e la discussione sul tema della scuola è molto accesa. Infatti appena sette anni dopo la legge Orlando (1911) viene promulgata la legge Daneo-Credaro che definì la scuola elementare come una scuola di tipo statale e i maestri diventarono quindi impiegati dello Stato. Tale trasformazione mirava ad un maggior controllo sulla frequenza degli scolari, e ad una più efficace lotta all’analfabetismo , puntando anche all’unificazione del sistema scolastico nazionale, disattesa quest’ultima a causa dell’arretratezza sociale ed economica di molte zone del sud che mettevano ancora più in evidenza il forte divario esistente con il nord.

Una delle svolte decisive nella storia della scuola italiana però si verificò nel 1923 con la riforma Gentile,  definita da Mussolini “la più fascista delle riforme”:  essa fu un insieme di decreti emanati senza discussione parlamentare che rimase sostanzialmente in vigore inalterata anche dopo l’avvento della Repubblica fino a quando il Parlamento italiano nel 1962 diede vita alla scuola media unificata. La scuola elementare con la riforma Gentile assunse una struttura più autoritaria e gerarchizzata. I programmi di studio per le scuole elementari, di chiara ispirazione idealista, sono redatti dal pedagogista catanese Giuseppe Lombardo Radice, Direttore Generale dell’istruzione elementare. La religione cattolica venne posta come base dell’educazione e moralità del fanciullo che attraverso essa doveva saper essere da esempio alle generazioni future.

Al maestro venne concesso di usare tutti i mezzi che riteneva più opportuni per l’insegnamento in relazione alla cultura e alla  tradizione popolare del luogo in cui si trovava ad insegnare. Egli doveva sapere accostare “il sapere del libro al sapere del popolo” anche attraverso l’uso del dialetto. Il maestro doveva essere non solo il punto di riferimento per i suoi allievi e modello a cui essi dovevano ispirarsi ma doveva anche rappresentare il centro di tutta la cultura del paese, ragion per cui viene stabilito con la circolare n°49 del 19 Aprile 1923 l”Obbligo di residenza” per i maestri nel comune della loro scuola.

Altro punto saliente della riforma fu l’innalzamento dell’obbligo scolastico sino al quattordicesimo anno di età. Dopo i primi cinque anni di scuola elementare uguali per tutti, l’alunno doveva scegliere tra liceo scientifico, ginnasio e scuola complementare per l’avviamento al lavoro. Solo la scuola media consente l’accesso ai licei e a sua volta solo il liceo classico permette l’iscrizione a tutte le facoltà universitarie. Inoltre furono disciplinati i vari tipi di istituzioni scolastiche, statali, private e parificate e fu creato l’istituto magistrale per la formazione dei futuri insegnanti elementari. Una grande innovazione si ebbe con l’istituzione di scuole speciali per gli alunni portatori di handicap, anche se già nell’800 si era fatto qualcosa di simile e l’apprendimento da parte degli alunni del senso civico e della correttezza nei confronti del prossimo. Era compito dei maestri far comprendere agli alunni il rispetto e la tutela della natura e verso gli animali, nei confronti dei quali spesso veniva usata violenza da parte dei piccoli.

Le conseguenze che le vicende della guerra 1940-45 portarono nel campo scolastico sono facilmente intuibili: fabbricati distrutti, occupati da sfollati, ridotti a dormitori o a cucine popolari, insegnanti dispersi, disorganizzati, studenti disorientati. Su tutto questo gravava inoltre un governo inefficiente e per un certo periodo messo in sottordine dall’esercito di liberazione

Torna la libertà per il docente per la scelta dei libri di testo e nel 1947 sono ricostituiti i Patronati scolastici che saranno attivi fino al 1977. Sul momento tuttavia si dovettero concentrare gli sforzi soprattutto nella ricostruzione, che si presentava più difficile per la presenza di un organismo straniero incapace di valutare in senso realistico la situazione italiana.

venerdì 14 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 14 novembre.

Il 14 novembre 1951 il Po rompe gli argini e il Polesine viene travolto dall'alluvione.

Il 1951 fu un anno particolare. Da gennaio a ottobre su tutto il territorio nazionale si susseguirono piogge, inondazioni e frane che complessivamente causarono oltre 150 morti, 90 dei quali nel solo mese di ottobre in Calabria (72), Sicilia (12) e Sardegna (6). Nei primi giorni di novembre il nord Italia venne colpito da piogge intense e persistenti che in val Padana raggiunsero l’apice tra il 6 e il 12. In questi sei giorni sul bacino del Po vennero misurati mediamente circa 30 millimetri di pioggia al giorno, con picchi che superarono anche di quattordici volte la media mensile dei cinque anni precedenti. Una tale quantità di acqua, caduta su terreni già saturati dalle piogge del mese di ottobre, determinò la piena di tutti i corsi d’acqua del bacino. I primi fenomeni di dissesto geo-idrogeologico si verificarono in Piemonte e in Lombardia, dove si registrarono anche alcune vittime. Il Po crebbe velocemente, ingrossato dalle acque di tutti i suoi affluenti di destra e sinistra e col deflusso verso il mare ostacolato da venti di Scirocco. Tra l’11 e il 12 novembre il fiume ruppe nella zona del parmense, sommergendo migliaia di ettari di terreno. Due giorni dopo la piena raggiunse il Polesine. Con questo nome si identifica l’area del Veneto compresa tra i corsi inferiori dell’Adige e del Po, e comprende l’intera provincia di Rovigo e la zona del cavarzerano in provincia di Venezia. Questo territorio pianeggiante è caratterizzato da ampie depressioni, con molti ettari a quote inferiori al livello del mare. Per fronteggiare i ripetuti allagamenti nel tempo erano stati costruiti canali e argini che, danneggiati durante il periodo bellico e malridotti per la scarsa manutenzione, si trovavano in precarie condizioni. Particolarmente critica era la situazione nel tratto fra Santa Maria Maddalena e Occhiobello, e fu proprio in questa zona che il giorno 14 novembre l’argine cedette, dando inizio alla più estesa alluvione del XX secolo in Italia. Le rotte furono tre, in rapida successione: la prima, che raggiunse i 220 metri di lunghezza, si verificò nel tardo pomeriggio nel territorio di Canaro, a Paviole; le altre due, lunghe rispettivamente 312 e 204 metri, si aprirono nel comune di Occhiobello, a Bosco e a Malcantone. In poche ore le acque dilagarono e raggiunsero, rimanendovi bloccate, l’argine della Fossa Polesella, un canale navigabile di comunicazione tra il fiume Po e il Canalbianco che produsse una sorta di effetto diga. Per favorire il deflusso verso il mare, sarebbe stato opportuno aprire dei varchi nell’argine, ma le autorità tergiversarono e così le acque iniziarono a risalire anche verso monte. L’enorme quantità di acqua proveniente dalle rotte ben presto superò la quota dell’argine della Fossa e si riversò anche nel Canalbianco, dove si aprirono alcune rotte in sinistra mettendo a rischio i due maggiori centri del Polesine, Adria e il capoluogo Rovigo. Adria venne completamente inondata. Oltre 20 mila persone rimasero bloccate in città e isolate per diverse ore, prima di essere tutte evacuate. A Rovigo, dove era stato organizzato il quartier generale dei soccorsi ed erano stati ospitati molti sfollati, le acque furono in parte trattenute dall’argine del canale Adigetto che, fungendo da diga, salvò il centro storico.

Difficile quantificare il volume delle acque che per undici giorni sommersero almeno 1.170 chilometri quadrati di terreno, raggiungendo in alcuni punti la profondità di sei metri; le stime oscillano fra i tre e gli otto miliardi di metri cubi. Dopo circa una settimana dalle rotte del Po le acque raggiunsero finalmente l’Adriatico e il livello dell’esondazione iniziò a scendere. Tuttavia gli argini della Fossa Polesella costituivano ancora un ostacolo al deflusso e si decise di farli saltare. L’operazione venne portata a termine tra il 24 e il 26 novembre, dopo alcuni tentativi e con oltre 70 quintali di tritolo. I tre varchi di Canaro e Occhiobello furono chiusi poco più di un mese dopo le rotte, mentre le strutture arginali vennero ricostruite nel corso del 1952. Il numero totale delle persone coinvolte fu molto alto: 101 morti, sette dispersi e circa 180.000 tra sfollati e senzatetto. La maggior parte delle vittime si registrò a Frassinelle, nella notte fra il 14 e il 15 novembre. La dinamica dell’accaduto è ancora oggi non del tutto chiara. Di sicuro si sa che un camion adibito al trasporto degli sfollati, inadeguato ad accogliere il gran numero di persone che vi erano salite, finì per impantanarsi e venne completamente sommerso dalle acque. Alla fine persero la vita 84 persone, molti annegati, altri per sfinimento e per il freddo. Dei 180.000 che dovettero lasciare la propria casa, 80.000 non vi fecero più ritorno, con un conseguente impatto sociale ed economico negativo di lungo periodo in un’area geografica già prima dell’alluvione economicamente depressa. I danni materiali furono ingentissimi: 60 km di argini e oltre 950 km di strade distrutti o danneggiati, 52 ponti crollati o danneggiati; 4100 abitazioni, 13.800 aziende agricole, 5.000 fabbricati e 2.500 macchinari agricoli distrutti o danneggiati. Furono allagati 1.130 chilometri quadrati di terreno agricolo, che sebbene prosciugati nel tempo relativamente breve di sei mesi, rimasero sterili per molto più tempo a causa dei consistenti depositi sabbiosi. Andarono persi oltre 16.000 capi di bestiame e due milioni di quintali di derrate. Secondo quanto riportato da Botta, i danni causati dell’alluvione del Polesine del 1951 furono stimati (ex-post) in 400 miliardi di Lire, corrispondenti a più di 6,5 miliardi di Euro di oggi. Immediatamente dopo l’evento, lo Stato stanziò 35 miliardi di Lire (quasi 600 milioni di Euro) per gli interventi urgenti. A meno di un anno dall’accaduto, l’ingegner Tortarolo, presidente del Magistrato delle Acque, dichiarò che “il problema di fondo poteva dirsi ormai risolto” e che “alla completa ricostruzione del Polesine” mancava “la soluzione di pochi marginali problemi”. Una dichiarazione a dir poco ottimistica in quanto fra il 1952 e il 1981 (30 anni) lo Stato ha complessivamente erogato 1.868 miliardi di Lire (più di 30,5 miliardi di Euro) attraverso undici diverse Leggi nazionali.

giovedì 13 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 13 novembre.

Il 13 novembre 1960 desta grandissimo scalpore in USA il matrimonio interrazziale tra Sammy Davis Jr e May Britt.

May Britt Wilken ha 25 anni, è svedese di Stoccolma e ha iniziato la carriera in Italia, grazie a Carlo Ponti. Ha recitato anche a Hollywood, pure con due grandissimi: Marlon Brando e Montgomery Clift (l'anti James Dean) in "I giovani leoni". Si ritirerà dalla carriera proprio per il matrimonio.

Sammy Davis Jr ha 33 anni ed è nato ad Harlem, ma è di origini portoricane: cantante, ballerino, batterista e soprattutto membro del clan artistico forse più famoso della storia, i Rat Pack composto da Frank Sinatra, Dean Martin, Peter Lawford, Joey Bishop.

Non risultano fino a ora matrimoni interrazziali, almeno da prima pagina, anche perché negli USA sono vietati in 31 dei loro 50 stati: ci saranno quindi conseguenze, ma credo che loro lo sappiano bene. Sono forse le star ad aprire la strada al cambiamento, più di altri riescono nella rottura degli schemi, un po' perché si finisce per perdonare loro tutto o quasi o, almeno, è più difficile combatterli. I due non eviteranno minacce e si dice pure che Frank Sinatra, seppur amico e testimone, non sarà troppo entusiasta della cosa. Sinatra è il "capo" dei Rat Pack ed è amico dei Kennedy e in particolare di John Fitzgerald, che è in corsa per la Casa Bianca. JKF, l'anno prossimo sarà, seppur brevemente e con un'interruzione traumatica, il primo Presidente cattolico della storia statunitense e artefice di un rilevante appoggio ai diritti degli afroamericani.

Sammy Davis Jr deve avere un debole per le bionde: ma se questa volta la conclusione è felice, la relazione con Kim Novak, una delle attrici in ascesa e destinata a diventare un mito del cinema, si era interrotta bruscamente. In proposito attorno a Sammy Davis Jr vi sono due storie interessanti e che finiscono con il legarsi: la conversione all'ebraismo e il motivo per il quale ha un occhio di vetro. L'approdo alla religione ebraica sarebbe a seguito di un incidente stradale nel quale sarebbe uscito miracolato, seppur con la perdita dell'occhio sinistro. A salvarlo, dice Sammy, un portafortuna dimenticato al collo e regalatogli da un amico ebreo. Fin qui la versione ufficiale.

I maligni, invece, dicono che quell'occhio di vetro, con l'incidente tra Los Angeles e Las Vegas non c'entri nulla. Sarebbe invece dovuto a un intervento tutt'altro che gentile da parte di due scagnozzi ingaggiati dalla casa cinematografica di Kim Novak e che non gradiva la relazione. Questa è la versione che qui definirebbero dei rumors. 

Un altro pettegolezzo, che uscirà molti anni dopo sarà quello che Sammy Davis Jr, oltre ad essere un conquistatore di belle donne, sarebbe stato bisessuale.

Tornando al 13 novembre, entrambi sono al secondo matrimonio. Non sanno ancora che l'anno prossimo nascerà Tracey Hillivi, mentre nel 1962 adotteranno Mark e, infine, Jeff nel 1965. Il loro matrimonio non facile si concluderà nel 1968 e a May Britt verranno affidati i tre figli.

Storicamente in questo decennio anche cinema e Tv romperanno con il tabù delle coppie miste: quanto sarà storico nel 1967 "Indovina chi viene a cena" con Katharine Hepburn, Spencer Tracy, Sidney Poitier e Katharine Houghton, quando una figlia bianca presenta un fidanzato nero a un padre apparentemente di idee liberal. E il 22 novembre dell'anno dopo sarà il capitano Kirk di Star Trek nell'episodio "Umiliati per forza maggiore" a baciare il Tenente Uhura, l'addetto alle comunicazioni che arriva dall'Africa.

E mentre si sta rompendo il bicchiere, come prevede il rito ebraico, si sta compiendo un altro passo verso i diritti civili.

Sammy Davis Jr morirà nel 1990 per un tumore alla gola, a dimostrazione di quanto il destino sia beffardo nel colpire proprio nell'arte chi ha saputo regalare emozioni al mondo dello spettacolo.

May Britt dopo il divorzio si è dedicata principalmente alla pittura.

mercoledì 12 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 12 novembre.

Il 12 novembre 1918 l'Austria diventa una Repubblica.

A.E.I.O.U.: le 5 vocali sono le iniziali delle parole latine che formano un famoso motto austriaco: “Austriae Est Imperare Orbi Universo”, cioè “è destino dell’Austria comandare al mondo intero”.

Alcune tracce di capanne costruite su  palafitte, scoperte nei laghi alpini, dimostrano che la regione austriaca era abitata fin dall’età della pietra. I villaggi sorgevano soprattutto vicino ai laghi ed alle miniere di sale, fonti di ricchezza e di commerci.

Attratti da quelle risorse naturali, molti popoli invasero la regione austriaca: dapprima i Celti, nel IV secolo avanti Cristo, poi i Romani, nel 113 avanti Cristo, che vi crearono fiorenti colonie, quali Vindobona (oggi  Vienna) e Juvavum (oggi Salisburgo). Nell’anno 15 dopo Cristo il territorio fu annesso a Roma.

Nel IV secolo dopo Cristo i territori del bacino danubiano subirono l’invasione di popolazioni tedesche, provenienti da est e da nord: Unni, Vandali, Goti e Slavi. Essi annientarono la civiltà latina ed imposero la loro dominazione barbarica.

Successivamente, all’arrivo di Carlo Magno, il territorio entrò a far parte del Regno Franco.  Fu chiamato “Ostmark”, cioè “marca”, (regione di confine) orientale dell’impero, da cui derivò la parola “Osterreich”, nome germanico dell’Austria (in tedesco: Regno di Oriente).

Altre lotte per il predominio portarono nel paese gli Ungheresi, sconfitti a loro volta dall’imperatore Ottone I il Grande, re di Germania. Infine, quest’ultimo donò la “marca” al conte Leopoldo di Badenberg, nel 976, la cui famiglia governò il paese per circa tre secoli, creando uno stato indipendente. Il dominio, poi, si allargò ad est, fino al Danubio ed all’Ungheria: dopo poco più di un secolo l’estensione del territorio era raddoppiata.

Nel 1246, con la morte di Federico il Battagliero, si estinse la dinastìa dei Badenberg. Ottocaro II, re di Boemia, ne approfittò per impadronirsi dell’Austria, della Stiria e della Carinzia. Ma il suo dominio durò poco:  nel 1273 venne eletto imperatore di Germania Rodolfo d’Asburgo, che sconfisse Ottocaro II e si impossessò del territorio e si stabilì a Vienna. Da quel momento e fino al 1918 la Casa di Asburgo fu a capo dell’Austria, con i due rami di Asburgo e Asburgo-Lorena.

Nel 1382, prendendo Trieste sotto la sua protezione, l’Austria si assicurò uno sbocco al mare, indispensabile per i suoi commerci.

Con Massimiliano I, che regnò dal 1493 al 1519, l’Austria entrò in possesso della Borgogna e dei Paesi Bassi portati in dote dalla moglie Maria di Borgogna, figlia di Carlo il Temerario.

Per assicurare altri domini alla casa d’Austria, Massimiliano I combinò i matrimoni dei suoi discendenti: il figlio Filippo il Bello sposò Giovanna la Pazza, figlia del re di Spagna, che ereditò nel 1500 i troni di Castiglia e di Aragona. Due nipoti, inoltre, sposarono i figli dei re di Boemia e di  Ungheria.

Alla sua morte, nel  1519, fu eletto imperatore Carlo V, figlio di Filippo il Bello e di Giovanna la Pazza, che era già re di Spagna. Egli divise l’impero ed affidò il governo dell’Austria al fratello Ferdinando I, che nel 1526 ereditò anche i regni di Boemia e di Ungheria. Tutta la regione carpato-danubiana era così riunita sotto un solo governo, che comprendeva popolazioni diverse fra loro; austriaci, boemi, ungheresi, slavi. Una fede comune li riuniva: la religione cattolica, particolarmente minacciata in quel periodo dai musulmani e dalla Riforma.

La necessità di difenderla avvicinò tutti questi popoli e contribuì a legarli alla casa d’Austria, che divenne così il baluardo del Cattolicesimo. Fu in Austria che si  sviluppò la Controriforma; a Trento, allora città austriaca, si tenne il famoso Concilio e si diffuse la predicazione dei Gesuiti.

Altre vicende minacciarono l’Austria: nel 1683 fu attaccata dai Turchi, ma poté respingerli con l’aiuto del re di Polonia.  La morte del re Carlo II di Spagna, ultimo Asburgo del ramo spagnolo, portò ad una lunga guerra di successione con la Francia. L’Austria perse la Spagna, ricevendo in cambio Napoli, Milano, la Sardegna, che scambiò poi con la Sicilia. Più tardi, con la guerra di successione polacca, perse anche Napoli e la Sicilia, ottenendo però il Ducato di Parma e Piacenza ed il Granducato di Toscana.

Nel 1740 salì al trono Maria Teresa, del ramo Asburgo-Lorena. Ella fu una grande imperatrice; cercò, fra l’altro, di migliorare i rapporti con la Francia, dando in sposa la figlia Maria Antonietta al Delfino di Francia. Sotto il suo governo lo Stato assunse un nuovo sviluppo. Attraverso i porti di Fiume e di Trieste aumentarono gli scambi commerciali; fece modificare le leggi in favore dei più poveri e promosse l’istruzione fra il popolo.

Verso la fine del XVIII secolo molti popoli soggetti all’Austria cominciarono a rivendicare le loro libertà: il primo di questi popoli ad ottenere l’indipendenza fu il popolo belga.

Dopo la caduta di Napoleone fu indetto il Congresso di Vienna nel 1815. Il Congresso ebbe il compito di ristabilire l’equilibrio rivoluzionato dalle guerre napoleoniche: all’Austria fu affidato il compito di guidare l’Europa verso la restaurazione.

Ma ormai tutti i popoli aspiravano all’indipendenza; a Vienna, a Praga, a Venezia, a Milano, a Budapest si ebbero moti rivoluzionari. L’Austria si avviava a restringere i suoi confini. Con le guerre di indipendenza italiane perse la Lombardia ed il Veneto; nel 1867 fu costretta a riconoscere l’indipendenza dell’Ungheria.

Gravi disgrazie familiari indebolirono il regno di Francesco Giuseppe: il suicidio del figlio Rodolfo, la fucilazione in Messico del fratello Massimiliano, l’uccisione della moglie Elisabetta ed infine l’assassinio del nipote, erede al trono, Francesco Ferdinando, avvenuto a Sarajevo (Bosnia) nel 1914, ad opera di due studenti serbi. Per vendicarlo Francesco Giuseppe attaccò la Serbia: altre nazioni europee intervennero e quello fu l’inizio della prima guerra mondiale.

Nel 1916 Francesco Giuseppe morì. Il suo successore Carlo I tentò invano di promettere l’autonomia ai popoli dell’impero: l’Austria fu sconfitta ed il suo impero fu distrutto.

Il 12 novembre 1918 fu proclamata la Repubblica Austriaca. L’impero che nel 1914 si estendeva per 670.000 Kmq. e contava 51 milioni di  abitanti, era ridotto a 84.000 Kmq. e 6 milioni e mezzo di abitanti. La fame, la miseria, lasciate dalla guerra, opprimevano il paese che faticosamente iniziò la sua ricostruzione, aiutato anche da un prestito concesso dalle altre nazioni europee.

Ma l’Austria dovette subire una nuova catastrofe: nel 1938 i nazisti la invasero e la ridussero a semplice provincia del Reich, trascinandola nella nuova gravissima sconfitta della seconda guerra mondiale.

Il 15 maggio 1945 venne firmata la pace fra l’Austria e le 4 grandi potenze, Inghilterra, Francia, Stati Uniti ed Unione Sovietica. Dopo un periodo di occupazione alleata, la repubblica austriaca poté ritornare indipendente.

Il 25 novembre 1945 ci furono le elezioni per il Parlamento. Le vinse il Partito Popolare col 51% dei voti ma si formò un governo di coalizione  presieduto dal cancelliere popolare Leopoldo Figl, mentre Presidente della Repubblica era il socialista Karl Renner. Sebbene governo indipendente, quello austriaco non poté per circa un anno deliberare senza il placet del Consiglio Alleato. Questo, nel giugno 1946, dietro proposta degli Stati Uniti, autolimitò le sue prerogative cosicché il governo poté decidere per proprio conto la linea di condotta da tenere e siccome nel frattempo anche alcune frontiere con gli altri paesi erano state abbattute, l’Austria poté ripristinare il libero commercio ed il movimento dei viaggiatori. Rimasero in piedi solo le frontiere fra la zona russa e quella degli altri alleati.

I sempre crescenti contrasti fra Unione Sovietica ed Occidente impedirono di ratificare una volta per tutte il trattato di pace. Solo un punto trovò la definitiva soluzione: quello con l’Italia a proposito dell’Alto Adige, che si costituì Regione Autonoma e con tutte le libertà linguistiche, culturali, religiose e commerciali.

Rimasero invece insolute le questioni relative alle rivendicazioni della Jugoslavia sulla Carinzia e la Stiria Meridionale, nonché quelle russe sulla zona comprendente i pozzi di petrolio di Zisterdorf, che tuttora fanno dell’Austria il terzo produttore europeo, dopo Polonia e Romania.

Il 31 dicembre 1950 Renner morì e furono necessarie nuove elezioni il 27 maggio 1951 per nominare il nuovo presidente, che fu il socialista Theodor Korner. Intanto, però, fra i due principali partiti che formavano il governo di coalizione, e cioè quello cattolico della Volkspartei e quello socialista, erano sorti forti contrasti sul modo di condurre la politica, specialmente quella economica, così fu necessario anticipare le elezioni generali, previste per il novembre 1953, a febbraio.

Ma i due partiti ottennero lo stesso numero di seggi, con la differenza di uno fra loro, e quindi si dovette formare un governo uguale a quello precedente presieduto dal cattolico Julius Raab. Ed intanto, perdurando gli attriti fra i due blocchi, quello occidentale e quello sovietico, il trattato di pace per la restituzione della totale sovranità dell’Austria non ebbe mai conclusione. Cosicchè sul territorio austriaco rimanevano ancora le truppe d’occupazione. Anzi, con la Conferenza dei Ministri degli Esteri, tenuta a Berlino nel gennaio-febbraio 1954, il ministro sovietico Molotov propose di rinviare ancora il ritiro delle stesse. Si giunse, quindi, all’8 febbraio 1955 allorchè Molotov, recedendo dalle sue rigide precedenti posizioni, dichiarò che per la firma del trattato sarebbe bastata una firma con l’impegno solenne che l’Austria non avrebbe mai più operato ricongiungimenti con la Germania e non avrebbe mai concesso la formazione di basi militari sul suo territorio, a favore di qualsiasi altra nazione che glielo avesse chiesto.

Raab fornì ampie assicurazioni; fece persino un viaggio a Mosca per ribadire la ferma intenzione dell’Austria di mantenere tutti gli accordi e nell’ottobre dello stesso anno si completò lo sgombero delle forze d’occupazione. Subito si riunì una Assemblea Nazionale e la prima deliberazione fu quella di dichiarare per il paese la neutralità permanente.

Poi si cercò di risolvere tutti i problemi aperti con i  paesi vicini, pur mantenendo buone relazioni con ambedue i blocchi.

Le divergenze fra i due partiti di governo rimasero sempre forti per cui si dovette ricorrere ad elezioni anticipate per altre due volte. La prima nel maggio 1956 e la seconda nel maggio del 1959. Nessuno dei due partiti ebbe la maggioranza assoluta e Raab dovette sempre presiedere governi di coalizione mentre alla Presidenza della Repubblica, alla morte di Korner, avvenuta nel gennaio 1957, salì un altro socialista: A. Sharf.

Per le elezioni del 1962 si verificò la stessa cosa tanto che il governo si chiamò di “coalizione permanente”. Questa non dette alcun incentivo allo sviluppo ed al progresso del paese che anzi soffrì di un prolungato immobilismo finchè nelle elezioni del 1966 trovò la maggioranza la Volkspartei.

La possibilità di leadership di un partito, o di un altro, aprì finalmente la via alla prospettiva di alternanza di potere. E questo si verificò fino al 4 ottobre del 1975 quando le elezioni tenutesi in quel giorno diedero la maggioranza assoluta ai socialisti, governati da Kreisky.

In politica estera l’Austria tornò a discutere con l’Italia per l’Alto Adige fino alla firma di un trattato ad opera dei due ministri Moro-Waldheim. E con la Jugoslavia per la minoranza slovena in Carinzia.

Nonostante i  limiti imposti dal lento processo di integrazione europea, anche a causa della propria neutralità, l’Austria chiese la piena adesione alla Comunità Europea, voluta fortemente dagli imprenditori, ma altrettanto fortemente avversata sia dai socialisti che dall’Unione Sovietica.

Ma finalmente nel 1972 si arrivò ad un accordo di libero scambio. Nel maggio 1979 si ebbero nuove elezioni  ma la maggioranza del governo socialista fu riaffermata. Quelle del 1983 registrarono, però, una variazione di  tendenza. I socialisti persero la maggioranza assoluta, pur rimanendo il partito principale. Avevano incrementato i loro voti altre formazioni politiche.

In questo periodo si registrò una congiuntura internazionale ed anche l’Austria naturalmente ne sentì le conseguenze. La crescita del paese si fermò e la disoccupazione aumentò, anche rimanendo a bassi livelli. Kreisky rassegnò le dimissioni ed il paese conobbe un periodo di instabilità.

Poi sull’Austria si appuntò l’attenzione di tutto il  mondo quando nel giugno del 1986 fu eletto presidente K. Waldheim. Egli fu accusato di essere stato coinvolto, come ufficiale dell’esercito tedesco, in crimini contro l’umanità, perpetrati in combutta con i nazisti. I rapporti con gli Stati Uniti e con Israele conobbero una grande tensione e l’immagine dell’Austria,  di tutta la nazione, subì danni gravissimi. Sinowatz, il capo del governo, si dimise. Al suo posto fu eletto il socialista F. Vranitzky. Sopraggiunse in pochi mesi una crisi; si effettuò in settembre un “Congresso straordinario” in cui prevalse la destra nazionalista,  alla cui guida pervenne J. Haider.

Le nuove elezioni anticipate del novembre 1986 diminuirono i voti ai socialisti ed ai popolari ed incrementarono quelli nazionalisti e quelli dei verdi. E nel gennaio del 1987 si tornò ad un governo di coalizione. Vranitzky basò la sua politica sul raggiungimento della diminuzione del debito pubblico, privatizzando parzialmente le aziende, e sulla situazione ambientale e sociale.

Nel 1989 l’Austria inoltrò alla Comunità Europea una richiesta di ammissione, pronta a ridefinire i limiti della sua neutralità in politica estera.

Nell’ottobre del 1990 le elezioni riportarono al governo di coalizione. Per l’ingresso del paese nella Comunità Europea fu istituito nel 1994 un referendum, vinto dal partito del “si”. Ma le conseguenze che derivarono da questa entrata nella Comunità Europea non furono motivo di soddisfazione per gli austriaci che si videro costretti ai livelli degli altri paesi europei, alla privatizzazione in tutti i settori e, comunque, ad una politica di sacrifici e di austerità.

Haider invece perseguì il suo programma annunciato nella campagna elettorale: ovverosia principalmente lotta alla corruzione e restrizioni all’immigrazione.

Le elezioni dell’ottobre 1996  assegnarono ad Haider il miglior risultato mai conseguito fino ad allora. Nel gennaio 1997 Vranitzky si dimise e la carica di cancelliere-presidente fu assunta dall’ex Ministro delle Finanze V. Klima, fino alle nuove elezioni dell’aprile 1998 che, invece, la assegnarono a Klestil.

Nel corso degli anni 90, comunque, sotto la direzione di Haider in Austria c’era stata una ampia recrudescenza della xenofobia a sfondo nazista. Molti furono gli episodi terroristici compiuti specialmente verso gli immigrati e gli zingari. Le elezioni dell’ottobre del 1999 confermarono la stragrande maggioranza al partito di Haider.

E sempre per ciò che concerneva la questione con l’Italia per l’Alto Adige, nel 1992 si era definitivamente stabilita la piena autonomia della minoranza di lingua tedesca all’interno, però, del sovrano Stato Italiano.

 

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