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sabato 31 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 31 agosto.
Il 31 agosto 1867 muore a Parigi Charles Baudelaire.
Charles Baudelaire nasce il 9 aprile del 1821 a Parigi, in una casa del Quartiere Lartino, dal secondo matrimonio dell'ormai sessantaduenne Joseph-Francois, funzionario al Senato, con la ventisettenne Caroline Archimbaut-Dufays.
La madre, in seguito alla morte prematura del marito, sposa un aitante tenente colonnello, il quale, a causa della proprio freddezza e rigidità (nonché del perbenismo borghese di cui era intriso), si guadagnerà l'odio del figliastro. Nel nodo doloroso dei rapporti con la famiglia e, in primo luogo, con la madre, si gioca gran parte dell'infelicità e del disagio esistenziale che accompagnerà Baudelaire per tutta la vita. Dopotutto, come fra l'altro testimonia l'intenso epistolario rimasto, egli chiederà sempre aiuto e amore alla madre, quell'amore che crederà mai ricambiati, perlomeno rispetto all'intensità della domanda.
Nel 1833 entra al Collège Royal per volontà del patrigno. Nel giro di poco tempo, però, la fama di dissoluto e scavezzacollo prende a circolare all'interno del collège fino ad arrivare, inevitabilmente, alle orecchie dell'odiato patrigno il quale, per ripicca, lo obbliga ad imbarcarsi sul Paquebot des Mers du Sud, una nave che faceva rotta nelle Indie.
Questo viaggio ha su Charles un effetto inaspettato: gli fa conoscere altri mondi e culture, lo pone a contatto con gente di tutte le razze, facendogli scoprire una dimensione lontana dalla pesante decadenza mondana e culturale che grava sull'Europa. Da questo, dunque, nasce il suo grande amore per l'esotismo, lo stesso che filtra dalle pagine della sua opera maggiore, i celeberrimi "Fiori del male".
Ad ogni modo, dopo appena dieci mesi interrompe il viaggio per fare ritorno a Parigi, dove, oramai maggiorenne, entra in possesso dell'eredità paterna, che gli permette di vivere per qualche tempo in grande libertà.
Nel 1842, dopo aver conosciuto un grande poeta come Gerard de Nerval, si avvicina soprattutto a Gautier, e gli si affeziona in maniera estrema. La simbiosi tra i due è totale e Charles vedrà nel più anziano collega una sorta di guida morale e artistica. Sul fronte degli amori femminili, invece, dopo aver conosciuto la mulatta Jeanne Duval, si scatena con lei un'intensa e appassionata relazione. Contrariamente a quanto spesso succede agli artisti di quegli anni, il rapporto è solido e dura a lungo. Charles trae linfa vitale da Jeanne: lei è tutrice e amante ma anche musa ispiratrice, non solo per ciò che riguarda l'aspetto "erotico" e amoroso della produzione baudeleriana, ma anche per quel timbro intensamente umano che traspare da molte sue poesie. In seguito, poi, con il sopraggiungere della vecchiaia, sarà amorevole e presente nei momenti tormentosi della paralisi che colpirà il poeta.
Intanto, la vita che Baudelaire conduce a Parigi non è certo all'insegna della parsimonia. Quando la madre, infatti, scopre che ha già speso circa la metà del lascito paterno, consigliata dal secondo marito intraprende una procedura per poter ottenere un curatore a cui venga affidato il compito di amministrare con maggiore accuratezza il resto dell'eredità. Da ora in avanti, Baudelaire sarà costretto a chiedere al proprio tutore persino i soldi per comprarsi i vestiti.
Il 1845 segna il suo esordio come poeta, con la pubblicazione di "A una signora creola", mentre, per vivere, è costretto a collaborare a riviste e giornali con articoli e saggi che furono poi raccolti in due libri postumi, "L'Arte romantica" e "Curiosità estetiche".
Nel 1848 partecipa ai moti rivoluzionari di Parigi mentre, nel 1857, pubblica presso l'editore Poulet-Malassis i già citati "I fiori del male", raccolta che comprende un centinaio di poesie.
La rivelazione di questo capolavoro assoluto sconcerta il pubblico del tempo. Il libro viene indubbiamente notato e fa parlare di sé, ma più che di successo letterario vero e proprio, forse sarebbe più giusto parlare di scandalo e di curiosità morbosa. Sull'onda della chiacchera confusa e del pettegolezzo che circonda il testo, il libro viene addirittura processato per immoralità e l'editore si vede costretto a sopprimere sei poesie.
Baudelaire è depresso e la sua mente sconvolta. Nel 1861, tenta il suicidio. Nel 1864, dopo un fallito tentativo di farsi ammettere all'Acadèmie francaise, lascia Parigi e si reca a Bruxelles, ma il soggiorno nella città belga non modifica la sua difficoltà di rapporti con la società borghese.
Malato, cerca nell'hashish, nell'oppio e nell'alcol il sollievo alla malattia che nel 1867, dopo la lunga agonia della paralisi, lo ucciderà a soli quarantaquattro anni. A quelle esperienze, e alla volontà di sfuggire alla realtà, sono ispirati i "Paradisi artificiali" editi sempre nell'"annus horribilis" del 1861. È sepolto nel cimitero di Montparnasse, insieme alla madre e al detestato patrigno. Nel 1949 la Corte di Cassazione francese riabilita la sua memoria e la sua opera.

venerdì 30 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 30 agosto.
Il 30 agosto 1918 in un attentato viene ucciso Moisei Uritski e ferito gravemente Vladimir Lenin.
Lenin (pseudonimo di Vladimir Ilic Uianov) nasce il 22 aprile 1870 a Simbirsk (oggi Uianovks). Gli anni di studio e di adolescenza coincisero con uno dei periodi più travagliati della storia sociale e politica della Russia, con il governo zarista che, dopo l'uccisione dello zar Alessandro II nel 1881 da parte dei populisti, si affretta ad annullare quelle limitate riforme che erano state introdotte durante il decennio precedente.
Studia giurisprudenza presso la facoltà di Kazan, ma dopo poco tempo viene espulso dall'università a causa di manifestazioni studentesche; decide allora di continuare i suoi studi a San Pietroburgo, dove, nel 1883, fonda il primo nucleo operaio russo.
Si avvicina allo studio del marxismo, e in particolare al "Capitale" di Marx, poi nel 1893 si trasferisce a Pietroburgo entrando in contatto con il movimento fondato da Plechanov, "Emancipazione nel lavoro". Movimento che confluisce nel 1898 al Congresso di Minsk, nel partito operaio socialdemocratico di Russia (POSDR). Lenin sempre sotto stretta sorveglianza politica, viene alla fine arrestato e condannato a tre anni con la deportazione in Siberia.
E' qui che nel 1899, porta a compimento il suo primo saggio: "Lo sviluppo del capitalismo in Russia", che rappresenta l'ennesima polemica contro i populisti, iniziata nel 1894 con l'articolo " Che cosa sono "Gli amici del Popolo" e come lottano contro i socialdemocratici ". Il nocciolo della questione era che i populisti ritenevano che la Russia sarebbe passata dal feudalesimo al socialismo (senza in pratica attraversare la fase dello sviluppo capitalistico), mentre Lenin era del parere che l'agricoltura russa fosse di fatto già entrata nella fase del suo sviluppo capitalistico. Senza contare che per Lenin la Russia faceva parte dell'Europa (contrariamente a quanto pensavano altri intellettuali), ed era quindi sottilmente intrisa di capitalismo.
Questo, in altri termini, significava che fosse già presente nel tessuto sociale quella classe operaia indispensabile per guidare la rivoluzione, spinta che non sarebbe mai potuta venire, a detta del teorico russo, dalla sola classe contadina, esaltata da larghe frange rivoluzionarie. Gli operai, insomma, sono per Lenin indispensabili per scatenare una reazione al capitalismo, soprattutto attraverso un lavoro effettuato da intellettuali "organici" che fossero in grado di rendere consapevole questa classe circa le sue reali condizioni di sfruttamento. E' questa, in sostanza, l'opzione rivoluzionaria che prenderà il nome di "bolscevismo". Al successivo congresso del partito socialdemocratico russo, tenutosi a Londra nel 1903, il partito si spaccò in due fazioni; quella maggioritaria (bolscevica) capeggiata da Lenin e quella minoritaria (menscevica) capeggiata da Plechanov e altri.
Intanto, nel 1901, Lenin emigra in Svizzera, dove fonda un periodico intitolato "Iskra" ("La scintilla"): lo scopo è quello di guidare e organizzare all'estero le lotte e le agitazioni degli operai russi. Lenin intendeva creare l'organizzazione del partito con una struttura fortemente centralizzata alla quale dovevano essere ammessi solo i "rivoluzionari di professione" e non le masse popolari. La divisione interna si approfondì in occasione della rivoluzione del 1905, scoppiata a seguito alla sconfitta inflitta dai Giapponesi ai Russi. I menscevichi intendevano lasciare la guida della rivoluzione alle forze della borghesia liberale russa, mentre Lenin pur riconoscendo il carattere democratico-borghese della rivoluzione, sosteneva che essa dovesse essere capeggiata dalla classe operaia e dai contadini, giudicando che la borghesia russa, per la sua debolezza, sarebbe stata incapace di portare la rivoluzione sino all'abbattimento dello zarismo e avrebbe sempre ripiegato su un compromesso con la monarchia e con l'aristocrazia terriera.
Dopo il fallimento della rivoluzione del 1905 (conclusasi in un bagno di sangue), le polemiche fra bolscevichi e menscevichi si inasprirono sempre di più, con questi ultimi sempre più propensi ad identificarsi ed aderire ai movimenti di "revisione" del marxismo rivoluzionario. La rottura definitiva giunge a compimento nella II Internazionale, in concomitanza con lo scoppio della prima guerra mondiale. Lenin, infatti, punta a trasformare quella che interpreta come "guerra imperialista" in una "guerra civile", vedendo in questo uno degli aspetti positivi della guerra in sé e per sé. In buona sostanza insomma, per Lenin quella poteva essere un'occasione propizia per mettere finalmente in pratica le sue idee rivoluzionarie, cercando di trasformare la guerra in rivoluzione. I moti russi del '17 possono considerarsi il successo annunciato di questa precisa prospettiva.
Ad ogni modo, quando scoppia la Rivoluzione in Russia, nel febbraio del 1917 appunto, Lenin era ancora esule in Svizzera. Rientrato a Pietroburgo traccia il programma per l'abbattimento del governo liberal-democratico nel frattempo salito al potere e per il passaggio della rivoluzione alla sua fase socialista. Nei successivi mesi compone la famosa opera "Stato e Rivoluzione", poi guida l'insurrezione di Ottobre che si conclude con la formazione del primo governo sovietico da lui capeggiato. Gli anni successivi sono quelli della costruzione del nuovo stato comunista e dei forti contrasti con Stalin, che Lenin non può più avversare ma di cui ha già presagito la pericolosità (celebre è lo scritto "Quello Stalin è pericoloso"). Gravemente ammalato muore il 21 gennaio del 1924, all'età di 54 anni.
Subito dopo la morte il 23 gennaio la salma fu trasferita da Gorkij a Mosca, dove ricevette l'ultimo saluto dalla folla che sfidò il gelido inverno russo per l'ultimo omaggio al capo della rivoluzione. Il 26 gennaio fu celebrata una cerimonia nel grande teatro di Mosca e all'uscita, mentre il feretro percorreva la Piazza Rossa, l'enorme folla accorsa intonò L'Internazionale. In tutta la Russia le attività cessarono, la città natale di Lenin, Simbirsk, fu chiamata in sua memoria Uljanovsk, e Pietrogrado (l'antica Pietroburgo) prese il nome di Leningrado.
Stalin e soprattutto Feliks Dzeržinskij, capo della Čeka, vollero fare del corpo di Lenin un simbolo da esporre e da venerare in un apposito mausoleo ai piedi delle mura del Cremlino, nonostante egli avesse espressamente dichiarato di voler essere seppellito accanto ai suoi compagni. All'inizio si pensò di congelare il corpo, ma il rapido deteriorarsi nell'attesa che venisse costruita un'apposita camera refrigerata ne rese necessaria l'imbalsamazione. Neppure i ripetuti appelli della vedova di rispettare le ultime volontà del marito servirono a far cambiare idea a Stalin.
L'anatomista ucraino Vladimir Vorobiov e il dottor Boris Zbarsky, a capo di un gruppo di medici, utilizzarono una tecnica che non è stata ancora completamente svelata. Da più di novant'anni la salma viene fatta oggetto di trattamenti periodici e attenzioni costanti affinché conservi sempre un aspetto "da vivente": oltre a essere ispezionata settimanalmente per rivelare eventuali tracce di muffa o fenomeni degenerativi, ogni anno e mezzo viene immersa per trenta giorni in un bagno di glicerolo e acetato di potassio.

giovedì 29 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 29 agosto.
Il 29 agosto 1533 il conquistatore Pizarro uccide Atahualpa, ultimo imperatore del popolo Inca.
Nel 1512, vent'anni dopo il primo sbarco di Colombo sul continente americano, un navigatore spagnolo, Vasco Nunez de Balboa, partì dall'Istmo di Darien, l'attuale Panama, a capo di una spedizione esplorativa diretta a Sud, nel bacino che si estende tra la Cordigliera delle Ande e la costa dell'Oceano Pacifico.
La bramosia dei conquistadores spinse Balboa a sud alla ricerca del fantastico regno di El Dorado. L'esplorazione del navigatore spagnolo collassò poco dopo a causa di un complotto, di cui lo stesso Balboa rimase vittima. Dieci anni dopo un altro esploratore, Pascual de Andagoya, raggiunse le coste della Colombia e dell'Ecuador, entrando in contatto per la prima volta con le popolazioni della magnifica terra conosciuta come Sud America.
I primi approcci avvennero durante la guerra civile tra le truppe di Atahualpa, che risiedeva a Nord vicino a Quito, e Huascar, che dominava dall'antica Cuzco. Tutto ebbe inizio quando Atahualpa inviò una delegazione alla corte del fratello, Huascar, per assicurare la propria fedeltà ma anche per chiedere una maggiore indipendenza. Gli ambasciatori furono torturati e condannati alla pena capitale, tutti tranne uno che aveva il compito di tornare da Atahualpa per riportare gli ordini di Huascar: il regnante di Quito doveva recarsi a Cuzco e consegnare degli abiti femminili che avrebbe indossato all'atto del suo ingresso nella città.
Così ebbe inizio la guerra civile tra le popolazioni dell'impero Inca.
Malgrado la preponderanza dell'esercito di Huascar, si giunse alla cattura del comandante supremo da parte delle forze di Atahualpa grazie ad un efficace stratagemma: Huascar si spinse audacemente contro il nemico con le insegne spiegate; il comandante di Atahualpa, Chalcochima, lo riconobbe e concentrò tutte le truppe verso il luogo in cui Huascar risiedeva con un piccolo drappello di uomini. Con un audace colpo di mano, le truppe di Quito riuscirono a catturare vivo Huascar.
Quando giunse la notizia della vittoria, Atahualpa non mostrò troppo desiderio di recarsi a Cuzco.
Il motivo di tale decisione?
Il sovrano di Quito era stato avvertito dell'arrivo di strane genti provenienti da Nord, giunte dal mare su enormi case galleggianti. I resoconti parlavano di una razza straniera, bianca e barbuta, con strani bastoni lucenti che provocavano il tuono e la folgore e con enormi animali dai piedi d'argento.
I bastoni lucenti altro non erano che gli archibugi, gli animali con i piedi d'argento erano i cavalli al seguito delle truppe spagnole.
Le informazioni che seguirono le prime indicazioni tranquillizzarono il regnante, poiché i bastoni d'argento non erano micidiali come pensato all'inizio perché dovevano essere ricaricati ogni volta e gli animali dai piedi d'argento non potevano agire di notte e, soprattutto, non uccidevano nessuno.
Anche il numero degli uomini bianchi con la barba era esiguo, qualche centinaio.
Atahualpa decise d'attendere gli stranieri a Cajamarca, protetto da circa 80.000 uomini.
Francisco Pizarro giunse a Cajamarca il 15 novembre del 1532.
Nei giorni seguenti decise d'inviare due ambasciatori, scortati da un drappello di soldati. I due cavalieri, Hernando de Soto e Hernando Pizarro, furono accolti da Atahualpa con calici d'oro e bevande dissetanti. I due spagnoli invitarono il regnante ad una cena con il comandante in capo della spedizione. Il sovrano all'inizio respinse l'invito, ma ripromise di fare visita agli stranieri il giorno seguente.
Come promesso, Atahualpa arrivò a Cajamarca sul far della sera. Scortato da numerosi sudditi disarmati decise d'entrare nella città, ma all'ultimo momento s'arrestò. Pizarro decise d'inviare uno spagnolo che conosceva alcune parole della lingua parlata dal sovrano, Quechua, per convincerlo ad entrare. Atahualpa entrò nella piazza principale, sempre scortato dal numeroso seguito. Brevi istanti ed un frate si fece incontro al regnante. Il prete, Vicente de Valverde, si presentò come uomo mandato da Dio, dicendo al sovrano di Quito che il Papa aveva inviato gli spagnoli nelle loro terre perché potessero convertirsi al cristianesimo. Per questo motivo l'impero Inca avrebbe dovuto riconoscere l'autorità di re Carlo I di Spagna.
Atahualpa rispose che non avrebbe chinato il capo di fronte a nessuno, chiedendo da quale potere derivasse una simile richiesta. Il prete gli mostrò una Bibbia. Il sovrano la prese e l'accostò all'orecchio per ascoltare, non sentendo alcun suono la gettò per terra e chiese una spiegazione sulla presenza degli stranieri nell'impero Inca.
Il frate raccolse la Bibbia e corse da Pizarro per raccontare l'accaduto, descrivendo Atahualpa come un cane orgoglioso.
Il comandante spagnolo non attendeva altro che un gesto per sferrare l'attacco al sovrano. Il frate incitava le truppe, indignato dal fatto d'aver visto gettate per terra quella che considerava le sacre scritture.
Il frate, Vicente de Valverde, non si limitava ad incitare le truppe, ma impartì una preventiva benedizione, assoluzione compresa, per i crimini che avrebbero commesso in battaglia.
I soldati spagnoli si lanciarono selvaggiamente sui sudditi disarmati di Atahualpa, uccidendoli a migliaia grazie alle loro armi tecnologicamente superiori e all'effetto sorpresa dell'agguato sulla piazza principale di Cajamarca.
Almeno 5000 amerindi persero la vita nella ferocia dell'agguato.
Un numero enorme pensando che gli spagnoli erano 160.
Atahualpa rimase sempre in piedi sulla lettiga sorretta dai suoi nobili più fedeli. Gli spagnoli cercavano di catturarlo ma si trovavano di fronte un muro umano. Alla fine Pizarro riuscì ad afferrare il regnante ad una gamba, proprio nel momento in cui un soldato spagnolo sferrò un fendente per colpire Atahualpa.
Il comandante spagnolo risultò l'unico ferito nei combattimenti di Cajamarca.
Il regnante Inca fu trasportato velocemente in un luogo sicuro, nel Tempio del Sole della città. Il sovrano propose uno scambio a Pizarro: per la propria libertà avrebbe fatto riempire la stanza in cui era imprigionato di metalli preziosi. Atahualpa si era accorto dell'ingordigia con cui il comandante spagnolo guardava i manufatti d'oro e d'argento degli Inca.
Pizarro accettò, facendo redigere un regolare contratto dal notaio della spedizione.
In realtà non aveva nessuna intenzione di liberare Atahualpa, ma l'Inca convinto dagli spagnoli diede ordine di portare tutto l'oro e l'argento necessari per il riscatto.
Durante la permanenza in custodia, ad Atahualpa fu permesso di tenere una piccola corte a Cajamarca. L'imperatore Inca imparò rapidamente il gioco dei dadi e quello degli scacchi; si dimostrò estremamente interessato alla scrittura ed alla storia spagnola.
Durante la prigionia dell'imperatore, Pizarro fu profondamente combattuto tra il desiderio d'onorare la parola data ed il mancato rispetto dell'accordo. Pizarro si piegò di fronte alle insistenze del frate spagnolo, Vicente de Valverde, il cattolico che si era presentato al regnante spiegando che doveva credere immediatamente ad un Dio diverso dal suo, venuto da terre che nemmeno immaginava esistessero.
Atahualpa fu processato da un ristretto numero di capitani.
Furono mosse accuse risibili all'indirizzo dell'imperatore Inca.
Fu giudicato colpevole.
La pena che spettava ad Atahualpa era il rogo.
Vincente de Valverde, il prete spagnolo, sino all'ultimo chiese all'imperatore di convertirsi, poiché questo atto avrebbe mitigato la pena: sempre di morte si sarebbe trattato, ma almeno avrebbe evitato il rogo.
Dato che la religione Inca aborriva la distruzione del cadavere, Atahualpa decise di farsi battezzare.
Non fu bruciato sul rogo ma giustiziato mediante garrota.
Atahualpa fu ucciso selvaggiamente il 29 agosto del 1533.
Dopo la sua morte l'impero fu governato dal giovane Tupac Huallpa e successivamente da Manco Inca Yupanqui.
La scomparsa di Atahualpa comportò la fine dell'Impero Inca poiché gli spagnoli erano prossimi alla conquista definitiva del Perù.

mercoledì 28 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 28 agosto.
Il 28 agosto 1986 l'ufficiale della marina americana Jerry Whitworth viene condannato a 365 anni di carcere per spionaggio.
Robert Philip Hanssen, nel lontano 2001, passò alle cronache internazionali per essere stato, durante la sua lunga carriera di oltre quindici anni all’FBI, un agente segreto passato dall’altra parte della cortina di ferro, al soldo di Mosca. Ma l’intelligence di Washington, ancora prima delle rivelazioni di Wikileaks e di Snowden, venne travolta da un altro scandalo, forse ancora più pericoloso per l’intera sicurezza nazionale di tutti gli Stati Uniti e, soprattutto, delle sue forze schierate all’estero. Era il 1986 e il mondo assisteva ad una nuova acutizzazione di quella guerra fredda non guerreggiata, di quei missili pronti sulle rampe di lancio ma di cui nessuno aveva il coraggio di premere il fatidico bottone. Era un periodo teso, dove il minimo errore poteva risultare fatale. E allora, la United States Navy decise di effettuare delle grandi manovre nell’Oceano Pacifico, al largo delle Isole Aleutine, a soli 720 chilometri dal territorio sovietico: era parere comune che una “difesa aggressiva”, fatta di esercitazioni e sfoggio di potenza, avrebbe ridotto il rischio di un confronto diretto. Così, per tre settimane, dal marzo 1983, una grande flotta guidata dalla Portaerei USS Enterprise, effettuò delle manovre più vicino all’Unione Sovietica di quanto non fosse mai successo prima: vi presero parte portaerei, cacciatorpediniere, sommergibili, caccia F15, bombardieri B52, aerei AWACS  e oltre 23.000 tra soldati, marinai e avieri.
Tra queste migliaia di militari, vi era anche Jerry Alfred Whitworth, ufficiale di marina e responsabile della direzione del centro messaggi della USS Enterprise: un incarico delicato, il suo, fatto di codici e comunicazioni segrete, di parole d’ordine e autenticazioni di altissimo livello. Dal suo centro messaggi a bordo della portaerei dipendeva, quindi, tutta la sicurezza delle comunicazioni scambiate dalla squadra navale operante nel Pacifico. Il 4 aprile 1983, intanto, avvenne il primo incidente: alcuni caccia americani violarono lo spazio aereo sovietico, determinando le dure proteste da parte di Mosca. Ovviamente, il fatto venne fatto passare come semplice incidente, con i piloti che avevano accidentalmente perso la rotta: ma non era così. Due mesi dopo, Jerry Whitworth lasciò alcuni sacchi di immondizia in una foresta: prontamente raccolti da agenti del KGB, contenevano le copie dei piani di volo del 4 aprile precedente, che dimostravano che la violazione dello spazio aereo fu tutt’altro che accidentale. L’ufficiale americano continuò per altri due anni a passare informazioni riservate agli agenti di Mosca: frequenze delle comunicazioni, codici segreti, dispiegamento delle forze armate e capacità di reazione ad un eventuale attacco. Ma anche la CIA e la NSA si attivarono: iniziarono pedinamenti, contro intercettazioni, vennero addirittura fatti “uscire” alcuni messaggi ritenuti top-secret ma che erano stati preparati appositamente per scoprire la talpa. Ma quello che si trovarono di fronte gli 007 a “stelle e strisce” fu sconcertante: non uno, ma ben due militari della United States Navy erano coinvolti (oltre a Whitworth, venne incriminato e arrestato anche John Anthony Walker) e il danno alla sicurezza nazionale enorme. Arrestato il 3 giugno 1985, il tribunale militare ha condannato Jerry Whitworth a scontare ben 365 anni di carcere con l’accusa di spionaggio e tradimento.
Jerry sta scontando la sua pena nel penitenziario federale di Atwater, in California.

martedì 27 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 27 agosto.
Il 27 agosto 1883 quattro esplosioni del vulcano Krakatoa distruggono quasi completamente l'isola.
Il Krakatoa era rimasto inattivo per due secoli prima che si manifestasse l'inizio dell'eruzione il 20 maggio 1883. Per diversi anni prima di questa eruzione si verificarono fortissimi maremoti e gli effetti di alcuni di questi si avvertirono anche in Australia. L'eruzione iniziò con emissioni di vapore e ceneri dal cono del Perboewatan, che raggiunsero un'altezza di quasi 11 chilometri. Nel corso dei mesi di giugno e luglio il vulcano Perboewatan continuò ad eruttare, e nelle acque dello stretto della Sonda furono visti galleggiare blocchi di pomice.
L'11 agosto tre aperture eruttavano regolarmente dal vulcano. In questo periodo le maree furono stranamente alte (molte imbarcazioni ormeggiate affondarono) ed erano ordinari fenomeni come il frantumarsi improvviso di finestre. L'11 agosto ebbe inizio un'eruzione di più ampia portata, con una colonna eruttiva carica di cenere proveniente da 11 aperture. Il 24 agosto l'eruzione si intensificò; il culmine del cataclisma iniziò domenica 26 agosto verso mezzogiorno: le nuvole di cenere generate dall'eruzione raggiunsero un'altezza di 36 km e si verificò il primo tsunami.
Il 27 agosto altre eruzioni avvennero alle 05:30, 06:45, 8:20 e alle 10:02 ora locale. L'ultima di queste aprì delle fessure nella roccia del vulcano e in questo modo l'acqua del mare si riversò nella camera magmatica, vaporizzandosi e provocando l'esplosione che distrusse gran parte dell'isola. Il boato fu avvertito fino in Australia, lontana 3500 km (2200 miglia), e nell'isola di Rodriguez vicino a Mauritius, lontana 4800 km (3000 miglia). Fu il rumore più forte registrato nella storia: tale primato è però conteso dal suono generato dall'eruzione del monte Tambora nel 1815, sempre nell'arcipelago indonesiano.
Benché sembri che nessuno sia stato ucciso dall'esplosione iniziale, lo tsunami generato provocò effetti disastrosi uccidendo circa 36.000 persone e spazzando numerosi villaggi nelle isole di Giava e Sumatra; 165 villaggi vennero distrutti e 132 gravemente danneggiati. Altre 1.000 persone circa morirono per gli effetti dei fumi vulcanici e della cenere. Navi lontane, nel Sudafrica, si capovolsero quando vennero colpite dall'onda di maremoto, e i corpi delle vittime furono trovati nell'oceano per diverse settimane dopo il tragico evento. Ci sono numerosi rapporti che documentano la presenza di gruppi di scheletri umani vaganti alla deriva per l'oceano Indiano su zattere di pomice vulcanica e finiti sulle coste orientali dell'Africa fino a un anno dall'eruzione.
L'eruzione del 1883 fu tra le più dannose esplosioni vulcaniche nell'era moderna, classificata con VEI pari a 6, equivalente a 200 megatoni (200 milioni di tonnellate di TNT), una potenza quattro volte maggiore della più grande bomba mai costruita dall'uomo, la Bomba Zar, che durante il test atomico sprigionò 50 megatoni. Le onde d'aria generate dall'esplosione "viaggiarono" sette volte intorno al mondo e il cielo si oscurò per i giorni successivi. L'isola di Rakata quasi cessò di esistere, dal momento che oltre due terzi della superficie fu polverizzata, e il fondo dell'oceano che la circondava fu drasticamente alterato. Due isole vicine, Verlaten e Lang, incrementarono la loro superficie. La cenere vulcanica continua a costituire una parte significativa della composizione geologica di queste isole.
Ci sono alcune prove che dimostrano come l'esplosione finale possa non essere stata causata dall'ingresso dell'acqua di mare nel vulcano. La camera magmatica sotto il vulcano era composta da materiale di colore chiaro e relativamente freddo. Dopo l'eruzione del 20 maggio entrò nella camera, dalla profondità, materiale più caldo e di colore scuro. Il nuovo materiale riscaldò la roccia fusa originaria, emettendo gas disciolti, ed aumentando la pressione. Le eruzioni del 25 e 26 agosto liberarono la gola del vulcano rilasciando la pressione nella devastante esplosione che distrusse gran parte dell'isola. La pietra pomice dell'eruzione evidenzia una miscela di materiali di colore chiaro e scuro.
L'eruzione generò tramonti spettacolari in tutto il mondo per diversi mesi successivi, a causa del fatto che la luce solare si rifletteva sulle particelle di polvere sospese nell'aria, eruttate dal vulcano nell'atmosfera. L'artista inglese William Ashcroft realizzò centinaia di schizzi a colori dei tramonti rossi intorno al mondo (generati dall'eruzione del Krakatoa) negli anni successivi all'eruzione. Nel 2004 alcuni ricercatori supposero che il cielo color rosso sangue del famoso quadro di Edvard Munch L'urlo, realizzato nel 1893, sia in realtà una riproduzione accurata del cielo norvegese dopo l'eruzione. Tuttavia tale ipotesi azzardata è priva di fondamento, visto che l'episodio che ispirò l'artista risalirebbe all'estate del 1889 - sei anni dopo l'eruzione - quando, con gli amici Christian Krohg e Frits Thaulow (identificabili con le due silhouette del quadro), affittò una piccola abitazione nei pressi dell'Oslofjord. A causa delle particelle di cenere emesse nell'aria, la Luna mantenne per anni un colore bluastro. Inoltre la temperatura media terrestre si abbassò. Il livello dell'acqua si alterò dall'epicentro fino al canale della Manica.

lunedì 26 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 26 agosto.
Il 26 agosto 1260 Papa Alessandro IV ordina il totale sterminio della famiglia Ezzelini a Treviso.
La politica veneziana per tutto il XIII secolo poteva considerarsi ancora una politica prettamente marittima e per questo, come da sempre del resto, maggiormente rivolta verso l’Oriente ed il Mediterraneo piuttosto che verso la terraferma dove Venezia non aveva tuttavia mancato già di scontrarsi una volta coi padovani nel corso del XII secolo.
Tuttavia, rispetto all’entroterra veneto, ai suoi violenti e convulsi mutamenti politici e sociali, ai suoi Comuni e alle loro turbolente vicende, la città lagunare aveva da sempre mantenuto un atteggiamento sostanzialmente estraneo e disinteressato. E’ solo con il nuovo secolo, il XIII, e con i primi seri scontri con il vicino comune di Padova in costante espansione, che anche il governo veneziano riconobbe sempre più l’utilità e l’opportunità di intervenire in qualche modo nella politica dei Comuni veneti attraverso, per esempio, l’elezione alla carica podestarile di cittadini veneziani.
Un imprevisto, tuttavia, arrivò a turbare i programmi di Venezia e con essi la vita politica e sociale di tutte le città venete, imprevisto che portava il nome di Ezzelino III da Romano. Nel giro di pochi anni, da semplice esponente di una delle più ricche famiglie dell’antica nobiltà feudale, Ezzelino, spalleggiato dall’imperatore Federico II di Svevia, riuscì infatti ad affermare il proprio dominio su tutti i principali Comuni dell’allora Marca Trevigiana: Vicenza, Verona, Padova e Treviso che tra il 1236 ed il 1237 caddero tutti sotto il personale dominio del da Romano.
Fu allora che Venezia, per la prima volta dopo tanti anni, si sentì nuovamente e seriamente minacciata alle spalle. La costituzione di una potente e personale signoria nella regione da parte di Ezzelino non poteva naturalmente che impensierire il governo veneziano che, tuttavia, scese in campo contro il “tiranno” solo nel 1256, quando il potere ezzeliniano era ormai chiaramente destinato al tramonto sotto l’urto di una vastissima coalizione perorata dallo stesso pontefice.
Dopo tre anni Ezzelino infatti sarebbe stato sconfitto definitivamente a Cassano d’Adda lasciando l’ultima, disperata speranza di un impossibile riscatto, al fratello Alberico signore di Treviso.
Della città trevigiana Alberico da Romano si era insignorito conquistandola militarmente il 14 maggio del 1239. Inutilmente il suo Podestà, il veneziano Pietro Tiepolo, figlio dello stesso doge, aveva tentato una coraggiosa difesa della città contro l’esercito di Alberico: il fratello di Ezzelino inaugurava in questo modo un ventennio di indiscusso e personale dominio.
Vent’anni durante i quali il da Romano, pur facendo di Treviso e della sua corte uno dei centri più importanti e raffinati della produzione lirica cortese, non mancò di usare un pesante pugno di ferro contro oppositori o semplicemente presunti tali. Si intensificarono così, specie dopo il 1245, le defezioni, le fughe e le fuoriuscite di molti illustri esponenti della vita pubblica trevigiana. Le persecuzioni che ne seguirono non fecero altro che incrementare l’odio verso il da Romano ed accelerare il suo progressivo isolamento. Nessuno poteva ormai lasciare o entrare a Treviso senza il suo personale consenso mentre i superstiti della dura repressione, in numero sempre più crescente, trovavano in Venezia un vicino e sicuro rifugio.
Nel 1257 Alberico si era pure riavvicinato al potente fratello Ezzelino dopo lunghi anni di antagonismi, gelosie e scontri per il predominio nella regione, siglando in questo modo la sua rovina.
Avuta infatti notizia della morte del fratello caduto prigioniero nella battaglia di Cassano d’Adda, Alberico sentì prossima anche la sua fine. Non considerando più Treviso sicura e fidata, il da Romano si rifugiò così in uno dei suoi più fortificati ed inaccessibili castelli, quello di S. Zenone. Lo seguivano i soli membri della famiglia, la moglie e gli otto figli oltre i pochi uomini di masnada rimasti fedeli in virtù di uno speciale vincolo di giuramento che li legava al loro signore.
Intanto a Treviso veniva eletto il nuovo Podestà, ancora un veneziano, nella persona di Marco Badoer. Il suo governo come primo atto decretò la morte di Alberico e di tutti i membri della sua famiglia, adulti e fanciulli. Alberico, che nel frattempo resisteva ai colpi degli assalitori, rimaneva rinchiuso nel suo castello. Era solo, tuttavia, questione di pochi giorni.
Probabilmente a seguito del tradimento del comandante della cinta inferiore, Mesa da Porcilia, il castello venne infatti ben presto in gran parte conquistato e distrutto. Restava quale unica ed ultima via di scampo la torre centrale dove Alberico infatti si rifugiò rendendosi conto troppo tardi della trappola senza uscita in cui si era cacciato. Dopo tre giorni di disperata resistenza, preso più dalla fame e dalla sete, Alberico decise per la resa nella speranza di salvare almeno in questo modo la vita dei suoi cari e dei suoi uomini.
Questi, sciolti dal vincolo di fedeltà assoluta al loro signore, avrebbero dovuto consegnarlo al nemico chiedendo in cambio la salvezza della moglie Margherita e degli otto figli, pregando il marchese d’Este – uno dei più accaniti nemici dei da Romano ma imparentato con la famiglia di Alberico per averne sposato una figlia -, di prenderli sotto la sua protezione.
Nessuna delle pietose richieste di Alberico venne tuttavia accolta. Una volta avuti fra le mani il da Romano e la sua famiglia, gli assalitori non si risparmiarono quanto ad atrocità e nefandezze. Alberico fu costretto ad assistere alla decapitazione dei suoi due figlioli maschi, il più piccolo dei quali ancora bambino, mentre la moglie e le altre figlie venivano arse vive su dei roghi. Dopo tanto strazio Alberico veniva infine giustiziato ed il suo corpo trascinato barbaramente da un cavallo. Era il 26 agosto del 1260.
Così, tra il sangue e la polvere, si era consumata un’atroce vendetta che aveva posto miseramente fine alla gloriosa e rapida ascesa di una famiglia che aveva trovato in Ezzelino e nel fratello Alberico, gli ultimi, estremi fautori di un inconfessato ed ambizioso sogno di potere.

domenica 25 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 25 agosto.
Il 25 agosto 1835 il New York Sun pubblica il primo dei sei articoli successivamente divenuti noti con il termine "The great Moon hoax".
Quel 25 agosto venne pubblicato il primo di una serie di sei articoli a firma del fantomatico Dottor Andrew Grant nei quali venivano annunciate al mondo sensazionali scoperte astronomiche.
Il servizio trattava delle scoperte dell’astronomo britannico John Herschel (figlio di William Herschel scopritore del pianeta Urano). Secondo l’autore, Herschel, grazie all’utilizzo di nuove tecniche astronomiche e di un gigantesco telescopio aveva in primo luogo risolto tutti i problemi dell’astronomia e della matematica, scoperto l’esistenza di nuovi pianeti e nuovi sistemi solari e, ad abbundantiam, individuato vita e civiltà extraterrestre sulla Luna.
Nel dettaglio l’insolito cronista riportava con dovizia di particolari le presunte osservazioni lunari dell’astronomo britannico che comprendevano: vaste foreste, mari, piramidi di quarzo lilla, un unicorno blu e mandrie di bisonti.
Inoltre dall’articolo si evinceva come John Herschel avesse trovato ben due diverse tribù di alieni. Una più primitiva dalla vita simile a quella degli uomini preistorici ed una più evoluta composta da bipedi alati ed armati che viveva in un enorme tempio dal tetto d’oro.
Inutile dire come la notizia ebbe un eco enorme, in pochi giorni il New York Sun divenne il quotidiano più letto del pianeta aumentando la sua tiratura originale di ben cinque volte e raggiungendo la ragguardevole cifra (per l’epoca) di 19.000 copie vendute.
Nel giro di un mese la bufala “The Great Moon Hoax” si diffuse a macchia d’olio uscendo anche dai confini statunitensi, venendo ripubblicata da diversi bollettini delle più importanti accademie scientifiche europee.
“The Great Moon Hoax” venne diffusa in forma anonima anche a Napoli nel 1836 con il titolo “Delle scoperte fatte nella Luna del Dottor Giovanni Herschel”. L’opuscolo, contenente quattro dei sei articoli, ottenne un discreto successo anche in Italia venendo altresì pubblicato in una seconda edizione titolata “Nuove scoperte lunari”.
Con il passare del tempo venne scoperta la natura fittizia di Andrew Grant ma il vero autore di questa fake news non fu mai reso pubblico. Alcune fonti dell’epoca accreditano la bufala a Richard Adams Locke, reporter statunitense che avrebbe creato ad hoc la notizia per aumentare la tiratura del suo giornale.
L’ipotesi più convincente è che Locke avesse scritto la fake news sia per aumentare le vendite del quotidiano, sia per ridicolizzare alcune “fantasiose” teorie astronomiche dell’epoca come quelle dell’astronomo tedesco Franz von Paula Gruithuisen, che sosteneva di aver osservato abitanti, vegetazione ed infrastrutture presenti sul suolo lunare.
“The Great Moon Hoax” è rimasta nell’immaginario collettivo una delle più grandi bufale della storia statunitense e mondiale. Ancora oggi a distanza di più di cento anni la notizia viene ricordata col sorriso sia dai lettori che dagli addetti ai lavori.
Questa è stata una delle prime testimonianze di fake news che abbiano raggiunto dimensioni tali da venir considerate vere in larga parte del mondo civile.
Ancora oggi dopo più di un secolo le persone rimangono “vittime” di questa categoria di notizie. Le fake news grazie anche all’amplificazione dei social network e di internet trovano terreno fertile nella credulità della gente. Oggi come nel 1835 le persone sono propense a credere ed infiammarsi per qualunque tipo di questione se la fonte sembra autorevole.

sabato 24 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 24 agosto.
Il 24 agosto 1847 Charlotte Bronte finisce il suo romanzo Jane Eyre.
Jane Eyre fu pubblicato per la prima volta nel 1847 con lo pseudonimo di Currel Bell. Si tratta di un romanzo di formazione: racconta cioè tutte le tappe della vita della protagonista Jane. È scritto inoltre in forma autobiografica: ella si rivolge in maniera diretta al lettore.
L’importanza fondamentale del romanzo risiede nella descrizione dei cambiamenti di Jane, non soltanto dal punto di vista fisico ma soprattutto dal punto di vista psicologico: da giovane ragazza, la ritroviamo donna piena di passioni. Il romanzo risulta abbastanza attuale anche al giorno d’oggi soprattutto per l’attenzione dedicata alla psicologia e all’analisi interiore dei personaggi, in particolar modo della protagonista, donna dotata di grande coraggio e forti sentimenti. Il romanzo riscosse all’epoca grande successo, ed è ancora oggi molto venduto nelle librerie.
Il romanzo narra la storia di Jane Eyre, una bambina orfana che viene cresciuta da alcuni zii. Qui però viene derisa dai suoi cugini e maltrattata dalla zia. L’unico ad amarla è lo zio, che muore prematuramente. La zia pertanto la affida ad una sorta di collegio, dove vengono ospitate tutte bambine senza genitori.
È tenuta a dare una mano e a fare tanti sacrifici, crescendo in fretta, affrontando ogni giorno un’ambiente difficile e soprattutto la morte della migliore amica, avvenuta per tubercolosi a causa delle pessime condizioni igieniche della struttura. Qui però continua i suoi studi e riesce anche a diventare insegnante.
Da donna indipendente trova un lavoro presso Thornfield Hall, come istitutrice della figlia adottiva di Mr. Rochester, la piccola Adele.
Jane lavora molto bene in questo clima fino all’arrivo di Mr. Rochester, un uomo arrogante che però viene subito colpito dalla ragazza. Egli le chiede la mano ma c’è un segreto nascosto tra quelle mura: l’uomo è già sposato con una tale Bertha Mason, una donna che è diventata pazza e viene tenuta rinchiusa nel castello. Jane quindi scappa, profondamente delusa e decide di andare a vivere presso un ecclesiastico St. John e le sue sorelle. Questi le propone di sposarlo e di andare con lui in missione in India ma Jane rifiuta, perché ancora innamorata di Mr. Rochester.
Torna a Thornfiel Hall e trova uno scenario devastato: il castello era stato bruciato da un incendio, in seguito al quale Bertha era morta e Mr. Rochester aveva perso la vista. Jane e il padrone di casa convolano finalmente a nozze e lui ritrova parzialmente la vista.
La scrittura della Brontë è così introspettiva che sembra quasi di dimenticare la vita reale per calarsi direttamente nei panni della protagonista. Jane è una donna sicuramente molto moderna per l’epoca, indipendente e passionale ma dotata anche di una forte integrità morale. Bertha sembra essere quasi il suo alter ego: quel lato bestiale che doveva essere represso nella società Vittoriana ma che riemerge sconvolgendo l’equilibrio di tutti. Un romanzo che lascia soddisfatti i lettori per il suo lieto fine, raggiunto però ad un alto costo.

venerdì 23 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 23 agosto.
Il 23 agosto 1923 viene ucciso da squadristi fascisti il parroco di Argenta, Don Giovanni Minzoni.
Don Giovanni Minzoni, parroco di Argenta, comune in provincia di Ferrara, non era di certo un rivoluzionario e tanto meno un socialista.
 Era un religioso che applicava sino in fondo la parola evangelica, ascoltando, confortando e aiutando tutti, senza distinzione di credo.
 Educato a Ferrara, di famiglia borghese, Minzoni si scontra presto con la dura realtà del suo tempo, prima partecipando alla Grande Guerra come cappellano poi, nel 1919, come arciprete. Erano gli anni in cui trionfavano le sinistre. In Emilia Romagna, terra di braccianti e di operai, roccaforte dei socialisti più rivoluzionari, il clero non era visto di buon occhio. Ma Don Minzoni, ad Argenta, riuscì a farsi accettare, anzi a farsi apprezzare da tutti, anche dai più ostili.
 Il parroco giocava coi ragazzi a calcio, andava al bar in bicicletta (allora proibita) a bere una birra e a partecipare a qualche partita a carte. Diventò uno di loro, uno del popolo. Diede vita anche un centro giovanile, un oratorio, una compagnia filo-drammatica per le ragazze e un circolo per adulti aperto tutte le sere fino a mezzanotte, volutamente lasciato gestire a laici.
 Il suo insinuarsi tra la gente comune, anche tra i socialisti, iniziò ad infastidire i fascisti.
Minzoni era un acceso antifascista e questo lo avvicinava spesso agli avversari di Mussolini, tanto da ricevere critiche sia dai fascisti che dai cattolici. Se, nel corso del ventennio fascista, la chiesa cattolica strizzò l’occhio più volte al regime, Don Minzoni si rifiutò di assecondare un’ideologia meschina e violenta, lontana da ogni principio evangelico.
 Dopo l’uccisione del sindacalista Gaiba, per mano di squadristi del luogo, il parroco tenne un discorso di denuncia che ispirerà un articolo sul settimanale cattolico di Ferrara. Fu la prima aperta rottura con il fascio locale.
 A provocare ulteriormente l’ira dei fascisti fu il successo dell’Associazione dei Giovani Esploratori Cattolici, sorta anche ad Argenta, grazie al religioso. I fascisti, dal canto loro, avevano cercato di formare un gruppo numeroso di balilla ma, al momento delle iscrizioni, solo un bambino si presentò. I giovani, nel piccolo comune ferrarese, preferirono le congregazioni cattoliche.
 Don Minzoni ricevette più volte minacce ma non era il tipo da lasciarsi spaventare.
Era veramente intenzionato a contrastare l’opera di indottrinamento fascista dei giovani. La lettera che scrisse al podestà di Ferrara descrive a pieno il suo pensiero contrario ad ogni forma di servilismo, di mala fede e di violenza. Parole molto coraggiose che ahimè si riveleranno essere il suo testamento morale.
 Il parroco fu ucciso con una bastonata in testa la sera del 23 agosto 1923 mentre rientrava a casa dopo avere bevuto una birra al circolo ricreativo.
 Rappresentativo l’episodio che concerne la denuncia ai giornali la mattina successiva. Il clero locale denunciò l’omicidio come un’opera di ignoti, nei confronti di una persona impegnata socialmente. Non una parola sul movente e sui colpevoli. L’atteggiamento delle autorità cattoliche fu davvero disdicevole. Non presero mai una netta posizione nei confronti degli assassini. Non si pronunciarono contro il fascio locale, esecutore e mandante dell’uccisione di Don Minzoni. Lasciarono cadere il tutto nel silenzio. Questa omertà proveniente proprio dall’ambiente religioso fu il secondo colpo mortale inferto al povero parroco.
 Il tenente Borla, che fu trasferito dopo poco, coraggiosamente denunciò l’uccisione dell’arciprete per motivi politici per mano di due squadristi ancora a piede libero. Gli stessi fascisti affermarono che l’episodio era una lezione volutamente data al sacerdote da due di loro, accidentalmente finita male. Ma il caso fu insabbiato per via dei clamorosi risultati delle elezioni politiche che si tennero nella primavera successiva quando il partito fascista raggiunse più del 90% dei voti.
 Solo Donati (che morirà in esilio a Parigi a soli 42 anni), direttore de “Il Popolo”, ebbe la forza di continuare a scrivere del prete di campagna che si oppose al fascismo, accusando del delitto Italo Balbo, il gerarca di Ferrara.
 Accanto al quotidiano popolare si schierò anche “La voce repubblicana”.
Il caso venne riaperto.
 Nel giugno del 1925 vi erano sette imputati ma l’esito del processo li volle nuovamente tutti assolti. A questo punto bisogna ricordare che l’anno dopo l’uccisione di Don Minzoni, anche Matteotti fu picchiato a morte dai sicari di Mussolini. E nuovamente i colpevoli furono lasciati impuniti. “L’Avanti”, quotidiano socialista, paragonò Matteotti a Don Minzoni definendo entrambi due martiri, due esempi, due eroi che non accettarono di ridursi a sudditi.
 Ancora una volta le autorità ecclesiastiche persero l’occasione di schierarsi contro il fascismo. Grazie a documenti certi si riuscì a provare la colpevolezza di Balbo e dei suoi uomini, ma solo nel 1947 a guerra finita, venne resa pubblica la verità. Non solo: la prima commemorazione venne celebrata nel 1973.
 Il 2 ottobre 1983 Sandro Pertini, l’allora presidente della Repubblica, pronunciò le seguenti parole: “Nella figura di don Giovanni Minzoni si riassume il meglio delle tradizioni ideali e politiche nelle quali il movimento cattolico italiano affonda le sue stesse radici genuinamente popolari. Con la sua stessa vita, Don Minzoni testimoniò, in perfetta aderenza all’insegnamento evangelico e in profonda lealtà alla propria missione di pastore, la fede democratica e l’ansia di giustizia che ispirava i lavoratori cristiani, che ne saldava l’animosa resistenza alla lotta che l’intero movimento antifascista andava opponendo all’incombente tirannide”.

giovedì 22 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 22 agosto.
Il 22 agosto 1851 lo yacht America vince la prima America's cup di vela.
L'America's Cup è il più famoso trofeo nello sport della vela, nonché il più antico trofeo sportivo del mondo per cui si compete tuttora.
 Si tratta di una serie di regate di match race, ovvero tra soli due yacht che gareggiano uno contro l'altro. Le due imbarcazioni appartengono a due Yacht Club differenti, una rappresentante lo yacht club che detiene la coppa e l'altra uno yacht club sfidante.
La competizione ebbe origine il 22 agosto 1851 quando il Royal Yacht Squadron britannico con 14 imbarcazioni sfidò il New York Yacht Club, che decise di partecipare con lo schooner America, dal nome di questa agguerritissima goletta il nome di "America's Cup", in un percorso attorno all'Isola di Wight. America vinse con 8 minuti di distacco sulla seconda barca, la britannica Aurora, aggiudicandosi la coppa che era stata messa in palio per celebrare la prima esposizione universale di Londra.
Interessante è un aneddoto ove la regina Vittoria, saputo della vittoria di America, avrebbe chiesto quale barca fosse giunta seconda, sentendosi rispondere "There is no second, your Majesty". Da qui nascerebbe il motto dell'America's Cup "there is no second", non c'è secondo. La coppa in palio si chiamava "Coppa delle cento ghinee" (tanto infatti era costata) o anche "Queen's Cup", ma dopo la vittoria gli americani la ribattezzarono dandole il nome attuale in onore della barca vincitrice.
 Punti da questo duro colpo a quella che veniva percepita come l'invincibile potenza marina del Regno Unito, una serie di "sindacati" britannici cercarono di rivincere la coppa. Il New York Yacht Club riuscì però a rimanere imbattuto per 25 sfide nell'arco di 132 anni, la più lunga serie vincente nella storia dello sport. Le regate si tennero nelle vicinanze del porto di New York fino al 1930, quindi si spostarono al largo di Newport per il resto del periodo in cui il NYYC detenne il trofeo.
Uno degli sfidanti più famosi e determinati fu il Barone del Tè (di origine irlandese ma scozzese per nascita), Sir Thomas Lipton, che organizzò cinque sfide tra il 1899 e il 1930, tutte con yacht chiamati Shamrock. Uno dei motivi di Lipton per portare così tante sfide fu la pubblicità che queste generavano per la sua compagnia, anche se la prima fu fatta in seguito a una richiesta personale del principe di Galles, che sperava così di porre rimedio al rancore transatlantico generato dalle polemiche di uno sfidante precedente. Lipton si stava preparando alla sua sesta sfida, quando morì nel 1931. Gli yacht di quell'era erano enormi per gli standard moderni, e con poche restrizioni sulla progettazione. Dal 1930 al 1937 le regate furono disputate con le imbarcazioni della cosiddetta J-Class.
Dopo la seconda guerra mondiale venne introdotta la classe 12 metri Stazza Internazionale. L'imbattibilità del NYYC continuò per altre otto difese del trofeo, dal 1958 al 1980. Alan Bond, uno stravagante uomo d'affari australiano portò tre sfide per la coppa dal 1974 al 1980.
Nel 1983 ci furono sei sindacati che avanzarono una sfida per la coppa. Allo scopo di stabilire chi sarebbe stato il vero sfidante, si tennero una serie di regate eliminatorie, per le quali venne istituita come premio la Louis Vuitton Cup. A questa edizione risale anche la prima partecipazione di una barca italiana, Azzurra, schierata dallo Yacht Club Costa Smeralda.
 Azzurra, progettata dallo studio Vallicelli di Roma e affidata allo skipper Cino Ricci e al timoniere Mauro Pelaschier coadiuvati da altri noti velisti italiani: Niki Mosca, Massimo Devoto, Lorenzo Mazza, Tiziano Nava, Dondo Ballanti, Chicco Isenburg, ecc. si classificò terza tra gli sfidanti, ma soprattutto fece conoscere al grosso del pubblico italiano l'esistenza di questa competizione.
Nel torneo degli sfidanti, il sindacato di Bond vinse facilmente anche se bisogna ricordare che perse una regata proprio con la barca italiana che schierava in quell'occasione un agguerrito e motivato equipaggio di riserva.
 Gli australiani disponevano di uno yacht, l'Australia II, in rappresentanza del Royal Perth Yacht Club, progettato da Ben Lexcen e timonato da John Bertrand, dotato di una particolare chiglia con bulbo rivoluzionario che tennero gelosamente nascosto - sino al giorno in cui Niki Mosca, riuscì, con una temeraria incursione subacquea, a visionare e riferirne i dettagli ai propri compagni di equipaggio. Gli australiani vinsero l'America's Cup in sette regate, col punteggio di 4-3, spezzando l'imbattibilità statunitense, durata 132 anni.
Lo skipper sconfitto, Dennis Conner, si riprese la coppa quattro anni dopo, con lo yacht Stars and Stripes, in rappresentanza del "San Diego Yacht Club", ma dovette battere la concorrenza di altri 13 sfidanti. Il sindacato di Bond perse invece l'eliminatoria dei difensori e non gareggiò nella finale. In questa edizione del 1987, le barche italiane sono due. Azzurra, che arriverà undicesima su tredici sfidanti, e Italia che farà leggermente meglio giungendo settima.
 La tecnologia giocava ormai un ruolo sempre più importante nella progettazione delle imbarcazioni. Il vincitore del 1983, Australia II, aveva presentato un innovativo e controverso bulbo dotato di alette, mentre la barca neozelandese che Conner sconfisse nella finale della Louis Vuitton Cup a Fremantle, fu il primo 12 metri con uno scafo in fibra di vetro invece che in alluminio. Il sindacato neozelandese dovette respingere le sfide legali della squadra di Conner, che richiedevano il prelievo di campioni dallo scafo in plastica (il che prevedeva l'apertura di fori nello stesso per dimostrare che rispettasse la specifiche della classe.
Nel 1988 un sindacato neozelandese, guidato dal banchiere Michael Fay, presentò a sorpresa una sfida con "grosse barche", che faceva ritorno al regolamento originale della coppa, e sfidò il San Diego Yacht Club con una barca, la KZ1, di ben 36.57 metri. Con poco tempo a disposizione, per non essere battuto, il sindacato di Conner trovò un escamotage tra le pieghe del regolamento, e fabbricò una nuova Stars and Stripes, un piccolo catamarano di 18 metri. I neozelandesi provarono a contestare questa barca, ma una prima corte di giustizia diede loro torto e diede il via a una serie di regate a senso unico, che videro l'agile e velocissimo catamarano americano surclassare sempre e sistematicamente gli sfidanti grazie alle migliori caratteristiche idrodinamiche. Il conflitto si inasprì e approdò per una seconda e una terza volta nelle corti di giustizia. Mentre il secondo tribunale decretò la squalifica della barca americana, il terzo le assegnò definitivamente la coppa.
Sulla scia della sfida del 1988, venne introdotta la International America's Cup Class (IACC) che sostituì i 12 metri in uso sin dal 1958. Questa nuova classe, che gareggiò per la prima volta nel 1992, rimase in uso fino al 2007. Gli scafi della classe IACC sono progettati esclusivamente per dare le migliori prestazioni in regate di tipo match race nei percorsi "a bastone".
Nel 1992, America, messa in acqua dal miliardario Bill Koch e condotta dalla leggenda della vela Harry "Buddy" Melges, sconfisse lo sfidante italiano Il Moro di Venezia, di proprietà del ravennate Raul Gardini, condotto dal timoniere statunitense Paul Cayard.
 Nel 1995, Michael Fay e il suo sindacato Team New Zealand, in rappresentanza del Royal New Zealand Yacht Squadron, con al timone Russell Coutts, vinse prima la gara degli sfidanti con NZL 32, soprannominata Black Magic a causa del colore nero dello scafo e della sua sconcertante velocità, e in seguito sconfisse Young America, sempre con Dennis Conner al timone, portandosi a casa la coppa con un netto 5-0.
Nel marzo 1997, una persona si introdusse nella sede del Royal New Zealand Yacht Squadron danneggiando l'America's Cup con un martello. L'assalitore, un delinquente recidivo, sostenne che l'attacco aveva motivazioni politiche, ma ciò non gli evitò la galera.
 Il danno causato era così grave che si temette che la coppa fosse irreparabile. La casa argentiera londinese Garrards, che aveva originariamente fabbricato la coppa nel 1848, riuscì in tre mesi di faticosissimo lavoro a riportare la coppa alle condizioni originali. Non si fece pagare semplicemente perché era l'America's Cup.
Ad Auckland nel 1999-2000, Team New Zealand, guidato da Peter Blake, e nuovamente timonata da Russell Coutts, sconfisse lo sfidante italiano Prada Challenge e la sua barca Luna Rossa dello Yacht Club Punta Ala.
 La barca italiana, condotta dallo skipper napoletano Francesco de Angelis, aveva in precedenza conquistato la Louis Vuitton Cup battendo nella finale la barca statunitense America One, del St Francis Yacht Club, condotta da Paul Cayard, ex-timoniere del Moro di Venezia.
La Louis Vuitton Cup del 2002-2003, viene disputata ad Auckland, Nuova Zelanda, vede nove barche da sei nazioni diverse disputare 120 regate in cinque mesi per selezionare lo sfidante per l'America's Cup.
 Il 19 gennaio 2003 lo sfidante Ernesto Bertarelli - svizzero di passaporto, ma italiano di nascita - vinse la finale della Louis Vuitton Cup con la sua Alinghi timonata da Russell Coutts, sconfiggendo lo sfidante americano, Oracle BMW Racing di Larry Ellison, con il punteggio di 4-1. È curioso notare che la Svizzera ha poco a che fare con il mare.
Il 15 febbraio 2003, iniziò la finale vera e propria. Con una brezza tesa, Alinghi vinse facilmente la prima regata, dopo che New Zealand si ritirò a causa di diverse rotture alle manovre e nel pozzetto, che le fecero imbarcare grosse quantità di acqua. La seconda regata, il 16 febbraio 2003, venne vinta da Alinghi con un vantaggio di soli sette secondi. Fu una delle regate più combattute ed eccitanti da molti anni a quella parte, con le barche che si scambiarono al comando diverse volte e un duello di 33 virate nel quinto bordo.
 Quindi il 18 febbraio, in gara 3, Alinghi vinse una partenza critica, dopo aver ricevuto all'ultimo momento un avvertimento sul cambio di direzione del vento, e condusse per tutta la gara, vincendo con un margine di 23 secondi. Dopo nove giorni senza la possibilità di regatare, inizialmente a causa della mancanza di vento, e successivamente per il troppo vento e il mare grosso, si arrivò al 28 febbraio, inizialmente previsto come giorno di riposo.
La gara 4 venne nuovamente disputata con vento sostenuto e onde, e le difficoltà di New Zealand continuarono, quando il suo albero si spezzò durante il terzo bordo. Il giorno successivo (1º marzo 2003), fu ancora una volta un giorno di frustrante bonaccia, con la gara annullata dopo che le imbarcazioni avevano passato più di due ore in attesa del via con vento leggero.
 Lo skipper di Alinghi, Russell Coutts, non fu in grado di festeggiare il suo 41º compleanno con la vittoria della coppa, ma era in buona posizione per riuscirvi il 2 marzo. Gara 5 partì in orario e con una buona brezza. Alinghi vinse ancora una volta la partenza e si tenne in testa. Nel terzo bordo, New Zealand ruppe un tangone dello spinnaker durante una manovra. Anche se lo gettò a mare e lo sostituì con uno nuovo, non fu in grado di recuperare, perdendo la gara e la coppa.
La vittoria di Alinghi significò per Russell Coutts, che in precedenza aveva regatato per la Nuova Zelanda, la vittoria in tutte e 14 le ultime regate dell'America's Cup alle quali aveva preso parte come skipper. Significò inoltre che aveva vinto il trofeo due volte come sfidante e una come difensore. Coutts non era l'unico neozelandese a regatare per sindacati stranieri nelle regate del 2002-2003.
 La sola Alinghi aveva quattro neozelandesi nell'equipaggio. Chris Dickson, skipper di Oracle BMW, era anch'egli neozelandese, ed era stato coinvolto in una precedente sfida neozelandese per l'America's Cup. Qualunque fosse stato il risultato della finale della Louis Vuitton Cup e della America's Cup, era certo che lo skipper vincente sarebbe stato un neozelandese. Per la prima volta un'imbarcazione europea aveva vinto l'ambito trofeo, ma stranamente proveniva dalla Svizzera, nazione priva di sbocchi sul mare.
La coppa fece dunque ritorno in Europa, dove era rimasta solo per la prima sfida. Tuttavia in Svizzera mancava un luogo adatto ad ospitare la sfida: la scelta del defender cadde sulla città spagnola di Valencia. Tecnicamente sarebbe stato possibile disputare l'America's Cup sul Lemano, ma questa possibilità è stata scartata quasi subito.
 Il nuovo regolamento della coppa ha previsto che si disputassero, in giro per l'Europa, delle regate preliminari di flotta e match race, denominate Louis Vuitton Acts, valide ai fini della classifica finale. Nel quadro di questi Acts, per la prima volta l'Italia ha ospitato, nei mesi di settembre e ottobre del 2005, alcune regate della Louis Vuitton Cup, nel mare di Trapani, con un grosso successo di pubblico.
La squadra di Alinghi ha difeso con successo il trofeo nel 2007. Gli sfidanti di Emirates Team New Zealand vinsero la Louis Vuitton Cup: dopo avere vinto 17 delle 20 regate del Round Robin i neozelandesi si imposero 5-2 la semifinale contro Desafío Español 2007 e col punteggio di 5-0 la finale contro Luna Rossa.
 Le regate dell'edizione numero 32 dell'America's Cup si sono svolte dal 23 giugno al 9 luglio 2007: il challenger sarà di nuovo sconfitto dagli elvetici, che difenderanno la coppa vincendo 5-2.
La 33a edizione della America's Cup si "apre" con una disputa legale tra il "defender" Alinghi in rappresentanza della Société nautique de Genève (SNG), detentrice della coppa, ed il BMW Oracle Racing Team (di Larry Ellison) in rappresentanza del Golden Gate Yacht Club (GGYC). Originariamente infatti Alinghi aveva accettato quale Challenger of Record il team Desafío Español per il Club Náutico Español de Vela sennonché il GGYC impugnava l'"investitura" degli spagnoli eccependo la violazione del "sacro" regolamento dell'America's Cup.
 Con la sentenza del 2 aprile 2009, la Corte Suprema di New York, ribaltando una precedente pronuncia resa in favore di Alinghi il 29 luglio 2008, riconosceva, definitivamente, nel Golden Gate Yacht Club il nome del Challenger of records della 33esima America's Cup.
Dopo varie dispute è stata ufficializzata, dal Defender Alinghi, la data della competizione: la 33esima America's Cup si è svolta dal 1º al 25 febbraio 2010 di nuovo nelle acque di Valencia. Poiché challenger e defender non hanno trovato un accordo sui termini di svolgimento della sfida, la competizione si è svolta seguendo le antiche norme del Deed of Gift (come era già accaduto nel 1988). BMW Oracle Racing (con il trimarano USA17) ha battuto Alinghi (con il catamarano Alinghi 5) per 2-0.
 La 34ª America's Cup si è disputata nel 2013 a San Francisco in California. Il Golden Gate Yacht Club è stato il Defender che ha riportato l'America's Cup negli Stati Uniti dove mancava dal 1995, strappandola nel febbraio 2010 agli svizzeri di Alinghi. Il Challenger of Record era il Club Nautico di Roma che ha lanciato la sfida con l'imbarcazione Mascalzone Latino - Audi Team di Vincenzo Onorato.
L'11 maggio 2011 Mascalzone Latino - Audi Team annunciò il ritiro dalla successiva edizione dell'America's Cup per motivi economici ed il nuovo Challenger of Record divenne il Kungliga Svenska Segelsällskapet rappresentato da Artemis Racing.
 Avendo riportato i nove punti richiesti dal regolamento (un punto per ogni vittoria, tolti due punti per le vittorie annullate dal Comitato di Regata) contro gli otto dello sfidante Emirates Team New Zealand, Oracle Team USA si è aggiudicata l'America's Cup 2013.
L'America's Cup 2017 è stata la 35a edizione della storica regata. Lo sfidante, Emirates Team New Zealand, ha vinto con un punteggio di 7 a 1 sul difensore, Oracle Team USA. La competizione si è tenuta al Great Sound di Bermuda dal 17 giugno al 26 giugno. Le regate sono state condotte utilizzando gli yacht della classe AC50 America's Cup di tipo hydrofoiling, leggermente più grandi degli yacht AC45F utilizzati nelle World Series della Coppa America 2015-16.
Era la seconda difesa di Oracle dell'America's Cup, quattro anni dopo la sua prima vinta. Emirates Team New Zealand ora spera di difendere la coppa della 36a America's Cup.

mercoledì 21 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 21 agosto.
Il 21 agosto la religione cattolica celebra Santa Ciriaca.
E' commemorata il 21 agosto nel Martirologio Romano, inseritavi dal Baronio sull'autorità di una favolosa passio che si conservava nella Biblioteca Vallicelliana. Secondo questo testo, Ciriaca era una nobile romana la quale, rimasta vedova dopo undici anni di matrimonio, mise se stessa e i suoi beni a disposizione dei cristiani che, durante la persecuzione, si riunivano nella sua casa, sita sul Celio, per celebrarvi i divini misteri. Conobbe anche san Lorenzo che la guarì da un mal di capo; dopo la morte del santo, al tempo della persecuzione di Decio, fu arrestata e sottoposta a terribili tormenti durante i quali morì, il 23 agosto. Il suo corpo fu sepolto nell«agro Verano», non lungi da quello di san Lorenzo, in un suo podere.
Già nella complessa passio Polychronii si accennava ai rapporti tra Ciriaca e Lorenzo, ma senza riferimento al martirio della vedova, mentre gli Itinerari del sec. VII indicano la tomba di Ciriaca accanto a quella del famoso martire, e nella biografia di Adriano I ella è detta «beata». Secondo un'iscrizione conservata in San Martino ai Monti, il papa Sergio II (844-47) aveva trasportato il suo corpo in quella chiesa donde, più tardi, sarebbe stato ancora trasferito in quella di Santa Maria in Campitelli. Col nome di Ciriaca è anche indicato, in antichi documenti topografici, il cimitero della via Tiburtina in cui fu seppellito san Lorenzo, ma quel nome dovette essergli attribuito più tardi, poiché nella Depositio Martyrum esso è riferito semplicemente con la denominazione topografica «in Tiburtina». L'origine dell'attribuzione, con molta probabilità, deve ricercarsi in una notizia del Liber Pontificalis, in cui, alla Vita di Silvestro, si legge che Costantino donò alla chiesa di San Lorenzo al Verano «possessio cuiusdam Cyriacae religiosae foeminae quod fiscus occupaverat tempore persecutionis, Veranum fundum». Il «fondo Verano» fu facilmente identificato con «l'agro Verano» e, per conseguenza, col cimitero omonimo. Così Ciriaca entrò nell'agiografia di Lorenzo essendo, naturalmente, anch'essa elevata alla dignità di martire.

martedì 20 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 20 agosto.
Il 20 agosto 1940, a Città del Messico, Lev Trotsky viene ferito mortalmente.
Lev Davidovic Bronstejn, conosciuto come Lev Trotsky, nasce il 7 novembre del 1879 a Janovka, nell'attuale Ucraina, nella provincia di Kherson, da una famiglia di contadini ebrei piuttosto benestanti. Frequentando l'università di Odessa, ha la possibilità di avvicinarsi agli ambienti rivoluzionari: nel 1898, a diciannove anni, viene arrestato mentre è impegnato nell'Unione Operaia della Russia Meridionale. Due anni dopo viene condannato all'esilio in Siberia per quattro anni, ma riesce a scappare nel 1902: è in questo periodo che prende il nome di Trotsky (derivante da un ex carceriere di Odessa).
Trasferitosi a Londra per raggiungere il redattore capo del giornale "Iskra" Vladimir Lenin, prende parte al secondo congresso del Partito Operaio Socialista Democratico Russo (conosciuto anche come Partito Social Democratico Russo dei Lavoratori) nell'estate del 1903. Nella faida interna sorta nel partito, si schiera contro Lenin e a favore dei Menscevichi. Tornato in Russia due anni più tardi, viene coinvolto nello sciopero generale dell'ottobre del 1905: appoggia la rivolta armata e presiede il Soviet di San Pietroburgo. Viene, per questo motivo, arrestato e condannato all'esilio a vita. Nel 1907 ritorna a Londra, e partecipa al quinto congresso partitico, per poi spostarsi a Vienna.
Qualche anno più tardi viene inviato nei Balcani da un quotidiano radical-democratico per raccontare la guerra del 1912-1913, antipasto della Prima Guerra Mondiale. Proprio con l'avvicinarsi della guerra abbandona quei territori pericolosi per stabilirsi dapprima in Svizzera e poi in Francia. Espulso anche dalla Francia, si trasferisce a New York, prima di ritornare in Russia in occasione della Rivoluzione di febbraio e della rimozione dello Zar. Nel 1917, quindi, Lev Trotsky si unisce ai Bolscevichi, venendo coinvolto nel tentativo di rovesciare il governo di Aleksandr Kerensky. I Bolscevichi riescono a prendere il potere, e Lev viene nominato Commissario del popolo per gli Affari Esteri: uno dei suoi obiettivi più importanti è quello di trattare la pace con i tedeschi.
Ritiratosi dai colloqui nel febbraio del 1918 sperando in una ribellione dei militari della Germania, vede la propria speranza delusa: i tedeschi, di conseguenza, invadono la Russia, obbligando i sovietici alla firma del Trattato di Brest-Litovsk. Trotsky, diventato nel frattempo Commissario del Popolo della Guerra, fonda quindi l'Armata Rossa, e al suo comando sconfigge l'Armata Bianca nella Guerra Civile Russa. Egli, tuttavia, è costretto a dimettersi dalle proprie cariche nel gennaio del 1925, dopo la salita al potere di Stalin (successiva alla morte di Lenin), artefice della lotta al Trotskismo (nel frattempo auto-proclamatosi Opposizione di sinistra).
Lev, intanto, si pone in contrasto con il pensiero stalinista, e in particolare con il suo obiettivo di creare il socialismo in un solo Paese, come dimostra la sua teoria della Rivoluzione Permanente. Ciò che Trotsky contesta ai suoi avversari è il regime autoritario, ma anche la nascita di una nuova borghesia. L'Opposizione trotskista, insomma, reclama una politica di industrializzazione, la promozione di rivoluzioni proletarie anche in altre parti del mondo (in Germania e in Cina) e un piano di collettivizzazione volontaria da attuarsi nelle campagne. Il gruppo di Trotsky nel 1926 si allea con le frazioni Zinovev e Kamenev, dando origine alla cosiddetta Opposizione Unificata.
In seguito a un periodo di forti scontri tra il governo e i gruppi oppositori, questi ultimi nel 1927 decidono di celebrare in autonomia il decimo anniversario della Rivoluzione di Ottobre: evidente, da parte di Lev Trotsky, è l'intento di mostrarsi resistente al nascente regime staliniano. A Leningrado, a Mosca e nelle principali piazze sovietiche migliaia di persone sventolano le bandiere e i vessilli dell'Opposizione Unificata: il 12 novembre del 1927 Lev viene espulso dal Partito Comunista Sovietico. Due anni più tardi, mentre la persecuzione sistematica degli attivisti dell'Opposizione ha ormai preso piede, Trotsky è costretto all'esilio ad Alma Ata, nell'attuale Kazakistan.
Da lì inizia un lungo giro per l'Europa e non solo: dapprima in Turchia, poi in Francia e infine in Norvegia. Dalla Scandinavia Trotsky si sposta in Messico, invitato direttamente dall'artista Diego Rivera, con il quale vive per un certo periodo (prima di intrattenere una relazione con Frida Kahlo, moglie del pittore). Nell'inverno del 1933 conosce Simone Weil, che gli offre ospitalità a Parigi: qui egli organizza una riunione clandestina che raduna numerosi esponenti di partito transalpini. Dopo aver scritto, nel 1936, l'opera "La rivoluzione tradita", in cui vengono elencati e denunciati i delitti compiuti dalla burocrazia staliniana, nel 1938 l'esiliato sovietico fonda la Quarta Internazionale, un'organizzazione internazionale marxista che si propone di sfidare la Terza Internazionale stalinista.
Nel frattempo litiga con Rivera e va a vivere da solo: il 24 maggio del 1940 è vittima di un blitz compiuto da sicari stalinisti, a capo dei quali c'è il pittore Siqueiros, dal quale riesce tuttavia a scappare. Nulla può, invece, tre mesi più tardi: è il 20 agosto del 1940 quando Lev Trotsky in un sobborgo di Città del Messico, Coyoacan, viene aggredito da un agente stalinista, Ramòn Mercader, che lo uccide sfondandogli la testa con una piccozza.

lunedì 19 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 19 agosto.
Il 19 agosto 480 a.C. si combatte la battaglia delle Termopili.
Dopo un viaggio lunghissimo, Serse re dei re di Persia, si trovava ad un passo dal proprio obiettivo: sottomettere i turbolenti e rissosi greci.
La sua diplomazia e le sue spie avevano seminato con successo la discordia tra i nemici e oggi c'erano più greci nel suo esercito che contro di lui: i pochi che resistevano si erano segnalati per l'irritualità con la quale avevano risposto alla sua offerta di cedergli la terra e l'acqua, la formula con la quale egli chiedeva la sottomissione. Gli ateniesi avevano scaraventato i suoi emissari in una fossa e gli spartani in un pozzo, e avevano aggiunto, per colmo di misura, che se volevano la terra e l'acqua le scavassero fuori da lì.
La campagna si sarebbe comunque presto conclusa con l'invasione tanto dell'Attica e quanto del Peloponneso, le ultime aree di resistenza: un'armata mai vista prima in Grecia sarebbe avanzata inarrestabile, seppure a fatica vista la sua mole, lungo le frastagliate coste della Grecia, seguita a distanza da una flotta dalla quale dipendeva il suo sostentamento.
L'unico problema per i Persiani era riuscire a muoversi perché un esercito tanto grande avrebbe dovuto marciare su più strade per essere meno lento. Ma da un lato la Grecia non ne forniva molte e dall'altro la presenza del re dei re rendeva in qualche misura anche "coreografica" (avrebbero detto i greci) la colonna persiana che si estendeva per decine di chilometri.
Così, quando Serse giunse ad un passaggio obbligato del percorso costiero, chiamato le Termopili per via delle fonti calde che vi sgorgavano, luogo scelto dai suoi avversari per sbarrargli la strada, decise di offrire loro l'occasione di andarsene indisturbati: 5 giorni di tempo, quanto a lui serviva affinché la lunga colonna del suo esercito si radunasse.
Le Termopili oggi ricordano appena quello che erano 25 secoli fa. La terra ha preso il posto del mare ed è quindi difficile rendersi conto di quanto fosse stretto allora il passaggio: non più di 15 metri.
In una simile condizione, i persiani non avrebbero potuto impiegare altro piano di battaglia che l'attacco frontale, ammesso che si possa definire tale: sarebbe stato come fare una battaglia in un corridoio.
DI fronte a loro un esercito sicuramente risibile ma comunque nelle migliori condizioni possibili per resistere a lungo.
Erodoto enumera con una certa precisione le forze greche presenti al comando del re spartano Leonida: 300 Lacedemoni (l'Hippeis spartana, ovvero la cavalleria, in effetti la guardia di fanteria montata del re), 500 di Tegeia e altri 500 di Mantineia, 120 dall'Orcomeno, 1.000 dall'Arcadia, 400 da Corinto, 200 da Pilos e 80 da Micene. Quindi 700 da Tespi, 400 da Tebe, 1.000 dalla Focide ai quali si deve aggiungere un numero sconosciuto ma consistente dalla Locride. Quindi oltre 5.200, forse 6.200, secondo Erodoto.
Le cifre di Diodoro Siculo riducono i greci a 4.000, mentre Pausania arriva ad 11.000.
Dovendo aggiungere alle cifre di Erodoto anche gli Iloti al servizio dei Lacedemoni e un po' di truppe ausiliarie non si dovrebbe andare molto lontano dai 7,500 uomini.
Quanti fossero i Persiani non si sa. Per Erodoto tra esercito e truppe di supporto in Grecia entrarono oltre 4 milioni di nemici: un numero che l'avrebbe fatta sprofondare solo per il loro peso.
Erodoto cita però 29 comandanti di Baivabaram, un'unità dell'esercito persiano composta da 10.000 uomini, e quindi in linea teorica i persiani non dovevano essere più di 290.000, probabilmente molti di meno, considerando la fatica compiuta per arrivare fino alle Termopili.
Nonostante la sproporzione dei numeri, i greci non accettarono la proposta di Serse e lasciarono trascorrere i 5 giorni di tregua. Alcuni se ne sarebbero andati volentieri ma non re Leonida e gli Spartani: e il loro esempio valse a trattenere i più titubanti.
Giunto il quinto giorno Serse fece un ultimo tentativo di accordo: offrì a Leonida di nominarlo re di tutta la Grecia, con l'unica condizione di essere subordinato allo stesso re dei re.
Ricevuto il rifiuto di Leonida, Serse allora gli ingiunse di cedere le armi, ma lo Spartano rispose semplicemente "vieni a prenderle".
I Persiani si infilavano nell'imbuto costituito da quella lingua di sabbia tra mare e dirupo: in una colonna lunga quasi un chilometro, 10 mila alla volta, settecento tonnellate di carne umana si gettavano contro uno sbarramento irto di punte di lancia: già dopo poche ore davanti ai Greci dovevano esserci centinaia e centinaia di cadaveri.
La schiera degli opliti greci sembrava inattaccabile: la loro compattezza e le loro armature li difendevano dagli attacchi persiani che si succedevano uno dietro l'altro, e nelle pause i Greci si alternavano al combattimento.
I Persiani avrebbero potuto bersagliare i Greci con giavellotti e frecce, ma l'attacco corpo a corpo sembrò non solo la soluzione più rapida, ma anche l'unica praticabile.
Contro gli arcieri, infatti, i Greci avrebbero potuto chiudere la distanza con una carica e la folla di nemici si sarebbe trasformata in un caotico ingorgo di uomini ancora peggiore.
Per due giorni, Serse insistette negli attacchi, provando anche ad inviare gli Immortali, la sua guardia personale. Ma l'unico risultato visibile era l'innalzarsi della montagna di morti davanti alla posizione dei Greci.
In realtà le fila dei Greci si stavano assottigliando, la loro resistenza fisica doveva essere allo stremo perché non erano abituati a combattimenti così prolungati. Il caldo e il sudore dovevano rendere impossibile l'uso delle armature e degli elmi e persino reggere il pesante scudo oplitico doveva essere una tortura.
Alla fine del secondo giorno, un Greco di nome Efialte spiegò a Serse che il valico delle Termopili poteva essere aggirato percorrendo un sentiero sulle colline. Era un colpo di fortuna inatteso ed era l'unico modo per scardinare la posizione.
Il re dei re non perse tempo e inviò immediatamente truppe sufficienti a prendere i Greci in una tenaglia.
Sulla strada incontrarono un contingente di Focesi che Leonida aveva appositamente collocato a cavallo di un passo proprio per impedire simili eventualità.
La sorpresa fu reciproca: ma i Persiani reagirono per primi inondando di frecce i Focesi che non seppero fare di meglio che ritirarsi su un colle per apprestarsi a resistere.
Ma i Persiani non avevano tempo da perdere e un nemico più importante che li attendeva, e proseguirono per loro strada.
Avvisato dell'imminente apertura di un secondo fronte alle sue spalle Leonida permise a chi voleva di lasciare in tempo la posizione per mettersi in salvo.
Lui con gli Spartani e i loro Iloti, i Tespiesi e i Tebani, sarebbe rimasto a trattenere i Persiani.
Ingiustamente i Tebani sono passati alla storia per essere stati trattenuti come ostaggi: non è  realistico che Leonida tenesse presso di sé tanti possibili disertori, ma è più probabile che fossero fuoriusciti Tebani, oppositori del partito della madrepatria che invece era schierato ormai apertamente per Serse.
Che i Persiani fossero tutt'altro che sprovveduti si può capire dall'abilità con cui gestirono questo doppio attacco: in entrambe le direttrici avevano un'enorme superiorità numerica ma, visto i precedenti, le cose sarebbero potute comunque andare storte.
Invece i due attacchi furono ben coordinati e i Greci furono costretti a trovare rifugio per un'ultima disperata resistenza su un poggio alle spalle del muro.
Leonida era già morto, il suo cadavere conteso cambiò di mano 4 volte e quando alla fine rimase nelle mani di Serse questi lo oltraggiò decapitandolo e facendone crocifiggere il corpo.
Per impadronirsene aveva dovuto vincere l'ultima resistenza dei Greci e sterminarli lì dove si erano arroccati: circondati li fece sommergere di frecce per evitare di subire altre perdite.
La battaglia era finita, ma non la guerra di Serse che però non si sarebbe risolta con una battaglia di terra, ma con lo scontro navale a Salamina.
Qual è il significato militare della battaglia delle Termopili? Alto, perché aveva confermato nei greci il risultato della battaglia di Maratona, ovvero li aveva convinti della propria superiorità morale e materiale sui Persiani, a condizione di individuare la chiave tattica migliore per esplicarla.
Il risultato politico fu forse ancora maggiore, perché dopo le Termopili i margini di trattativa tra i Greci e i Persiani si erano annullati: la coalizione greca non poteva più contemplare la resa ma era ormai costretta a resistere, perché la pazienza e la benevolenza del re dei re si era ormai esaurita.
I Greci erano costretti ad essere compatti e seppero trarne vantaggio.

domenica 18 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 18 agosto.
Il 18 agosto 1940 gli schieramenti che si affrontavano nella Battaglia di Inghilterra subirono entrambi il massimo numero di perdite. Per questo motivo viene ricordato come "il giorno più duro".
Dopo avere ottenuto la resa della Francia, Hitler concentrò i suoi sforzi sulla Gran Bretagna e iniziò a preparare l'invasione dell'Inghilterra, operazione denominata in codice "Leone Marino".
Il piano tedesco si basava sulla superiorità della propria forza aerea rispetto a quella inglese per proteggere i mezzi da sbarco che avrebbero dovuto attraversare la Manica.
Per preparare l'invasione la Luftwaffe di Goring dispiegò 2.820 aerei (costituiti da aerei da caccia, Stuka e caccia-bombardieri) mentre invece la Royal Air Force (RAF), con a capo Sir Hugh Dowding, schierò 591 apparecchi comprendenti gli Spitfire, gli Hurricane e i Defiant.
Churchill preparò una grande trappola agli aerei di Goring, spostando molto a nord della capitale gli aeroporti e tutta la logistica per i rifornimenti ai velivoli. Questa operazione aveva lo scopo di spingere all'interno i caccia tedeschi durante eventuali duelli con quelli inglesi; in questo caso, data la loro scarsa autonomia, anche se fossero scampati al combattimento sarebbero stati impossibilitati a raggiungere le loro basi dato che il carburante non sarebbe stato sufficiente. Molti aerei della Luftwaffe infatti fecero proprio questa fine.
Mussolini inviò pochi velivoli e, per di più, senza radio e senza carlinga; quando provarono ad attraversare la Manica si persero nella nebbia e, al ritorno, non trovarono nemmeno più la base da dove erano partiti; dovettero fare un atterraggio di fortuna e finirono sul territorio di quattro stati diversi!
Le squadriglie tedesche dovevano iniziare i loro attacchi contro la RAF l'11 agosto 1940 (il cosiddetto "Giorno delle Aquile") mentre, secondo i piani di Hitler, l'invasione vera e propria fu fissata per il 15 settembre.
Dato che l'11 ed il 12 agosto il tempo volse al brutto con nubi basse e poca visibilità, i primi imponenti attacchi tedeschi si svolsero il giorno 13. Durante questa giornata la Luftwaffe effettuò 1.485 sortite ma, alla fine, gli inglesi persero solamente 13 aerei contro i 46 nemici.
Il 14, 15 e 16 agosto la Luftwaffe fece più di 1.500 incursioni al giorno dirigendosi verso il Kent, l'area orientale dell'Inghilterra e gli aeroporti del sud; ogni volta però il bilancio di velivoli abbattuti era sempre favorevole alla RAF.
Ormai era chiaro che la RAF era ben lontana dall'essere sconfitta e, anche durante la giornata del 18, i tedeschi persero 71 aerei contro i 17 inglesi.
Dopo una settimana di combattimenti la Luftwaffe non era assolutamente riuscita a conquistare la superiorità aerea; perse anzi 363 aerei contro i 200 inglesi, gli Stuka si dimostrarono meno agili degli Spitfire e degli Hurricane ed inoltre molti aeroporti britannici rimasero ancora operativi nonostante i bombardamenti subiti.
Per ovviare a questa situazione i tedeschi mutarono tattica: essi infatti ritenevano che, attaccando gli aeroporti dell'11° gruppo nel settore sud-est del Paese, avrebbero costretto gli inglesi a schierare tutte le loro forze disponibili, dato che dovevano pensare alla loro difesa. Il piano presentava i suoi rischi perché le squadriglie naziste avrebbero dovuto spingersi più in profondità per raggiungere i loro obiettivi; venne quindi deciso di aumentare il numero dei caccia di scorta ai bombardieri.
Questa nuova strategia, per un certo periodo, sembrava potesse risultare vincente per la Luftwaffe; infatti, fra il 24 agosto e il 6 settembre, i tedeschi effettuarono 33 incursioni che causarono agli inglesi la perdita di 286 velivoli.
In ogni caso, alla fine di agosto, l'operazione "Leone Marino" venne rimandata dal 15 al 21 settembre.
La notte tra il 24 ed il 25 agosto alcune bombe caddero sulla città di Londra; Hitler disse alla radio che si trattava "solo di un errore" ma Churchill trovò il modo di vendicarsi. Mentre l'isola era attaccata da 1500 aerei tedeschi, alcuni bombardieri della RAF sganciarono il loro carico su Berlino in pieno giorno; per il Fuhrer e per i tedeschi fu un colpo psicologico molto forte dato che Goring, in passato, aveva detto più volte che i cieli di Berlino erano praticamente inviolabili per gli Alleati.
Per ritorsione contro il bombardamento inglese, Goring impegnò tutti i suoi bombardieri per attaccare Londra; gli attacchi però furono rivolti verso il centro della città e non verso i punti strategici dove si trovavano gli obiettivi militari. In questo modo alcune zone di Londra divennero un cumulo di macerie ma gli inglesi rimasero sempre in condizione di combattere e la loro aviazione continuò ad essere ben lontana dall'essere annientata.
Nella prima metà di settembre l'aviazione tedesca continuò nelle sue sortite ma la RAF continuò ad abbattere velivoli nemici; per di più, in alcune giornate, le condizioni meteo non furono buone e quindi gli attacchi della Luftwaffe dovettero diminuire di intensità.
Hitler fissò il 27 settembre come data ultima per l'invasione e, siccome fra l'ordine e l'effettivo inizio delle operazioni di sbarco dovevano passare dieci giorni, la RAF doveva essere neutralizzata, al massimo, entro il giorno 17.
La giornata decisiva della Battaglia d'Inghilterra fu il 15 settembre 1940. Infatti in quel giorno i tedeschi organizzarono due massicce incursioni su Londra, che però furono efficacemente contrastate dai piloti inglesi: i bombardieri della Luftwaffe si dovettero disfare in tutta fretta delle loro bombe, impedendo quindi che i loro obiettivi fossero centrati. Anche un attacco diretto contro gli stabilimenti aeronautici Supermarine di Southampton si scontrò contro la violenta reazione della contraerea. In questa giornata la Germania aveva perduto non meno di 60 velivoli contro i 23 inglesi.
Questa ulteriore sconfitta contribuì alla decisione che Hitler prese il 17 settembre: l'operazione "Leone Marino" era rinviata a data da destinarsi.
Goring, però, non volle rassegnarsi ad ammettere il suo fallimento e, tra il 17 e il 30 settembre, mandò i suoi aerei ancora verso Londra e verso le fabbriche di aeroplani. I velivoli tedeschi abbattuti però continuarono ad essere ben superiori di quelli inglesi ed inoltre la RAF aveva rimpiazzato le perdite dei suoi aerei Spitfire ed Hurricane grazie alla produzione dell'industria aeronautica.
Agli inizi di ottobre Hitler non aveva ancora perso la speranza di sbarcare in Inghilterra ma i comandanti dell'esercito e della marina gli suggerirono di abbandonare il piano per evitare di esporre ai bombardieri inglesi le unità ammassate nei porti francesi sulla Manica.
Qualche giorno dopo Alfred Jodl, capo dell'ufficio operativo del Comando Supremo della Wehrmacht, consegnò al Fuhrer un rapporto in cui evidenziò che uno sbarco tedesco era ormai praticamente impossibile. L'11 novembre Hitler rinunciò definitivamente all'invasione.
La rinuncia alle operazioni di sbarco non coincise però con la fine dei bombardamenti della Luftwaffe sull'Inghilterra. Fino a quando le squadriglie tedesche, nel maggio del 1941, non furono trasferite ad est per preparare l'invasione dell'Unione Sovietica, i bombardieri nazisti continuarono le loro azioni su Londra, sulle città industriali e sui porti.
40.000 civili inglesi persero la vita e altri 46.000 rimasero feriti.

sabato 17 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 17 agosto.
Il 17 agosto 1840 si inaugura la linea ferroviaria Milano-Monza.
Era venuta prima la Borbonica Napoli – Portici, inaugurata 10 mesi prima, ma quella milanese fu la prima linea di treni di progettazione italiana.
Le linee ferroviarie, avevano innescato una rivoluzione inimmaginabile. Un paese come gli Stati Uniti basandosi sulla ferrovia stava diventando una potenza planetaria (il mito della nuova frontiera) .
Ferrovia voleva dire innanzitutto industrie collegate, metallurgiche e ingegneristiche. Voleva poi dire spostamento veloce di lavoratori, di merci, di mercati, di culture.
La Ferrovia era insomma il braccio armato della rivoluzione industriale. Progresso tecnologico che il nord d’Italia abbracciò convinto partendo proprio da quella Ferrovia Milano Monza che sostituì l’idea nata qualche mese prima di una linea Milano Como.
Il progetto “Milanese” della Ferrovia Milano Monza fu del costruttore Giulio Sarti e venne approvato da Vienna nel 1839.
Dopo appena un anno, la ferrovia a binario unico veniva inaugurata, e divenne da subito operativa.
La stazione milanese della Ferrovia Milano Monza, venne messa fuori comune, cioè fuori dalle mura, ed è una costruzione attualmente ancora visibile nei pressi di Porta Nuova.
Quella di Monza, nei pressi del centro cittadino è ancora l’attuale. All’interno venne successivamente realizzata la saletta reale.
Sebbene i primi progetti prevedessero l’installazione di una stazione nei pressi di Porta Tenaglia, su commissione dell’imperatore Ferdinando I d’Austria si preferì collocare l’edificio appena fuori Porta Nuova, per evitare di indebolire l’apparato difensivo murario attorno al capoluogo milanese. Posto in collocazione strategica, lungo l’asse commerciale per la Brianza, il tragitto ferroviario avveniva tramite un unico binario che si sviluppava in linea retta fino a Monza per un lunghezza di circa 13 chilometri.
Progettata dell’ingegnere milanese Giulio Sarti, l’infrastruttura ferroviaria comprendeva un grande edificio in muratura adibito a stazione di testa, ancora oggi ben visibile all’interno del tessuto urbanistico milanese. L’edificio dell’ex stazione, a pianta rettangolare, ha un’altezza di tre piani e presenta nella sua struttura interna un ampio locale a piano terra e una serie di piccole stanze allora utilizzate per funzioni amministrative. Di ispirazione neoclassica, la facciata è divisa verticalmente in tre settori, caratterizzati rispettivamente da bugnato liscio nel livello inferiore e da lesene con capitelli di ordine ionico nella parte centrale e mediana, coronata a sua volta sulla sommità da un grande timpano triangolare.
Perse le sue funzioni originarie in seguito al progressivo sviluppo del sistema ferroviario cittadino, l’ex stazione Milano-Monza ha subito un recente restauro e ospita attualmente attività alberghiere e ristoranti.
Il primo viaggio durò 19 minuti, alla media di 40 all’ora, una velocità inaudita per un trasporto che allora era basato o sul cammino, o sulle carrozze.
Da quel giorno, in breve la rete ferroviaria di Milano crebbe, contemporaneamente alla nascita del trasporto urbano pubblico con la realizzazione dei primi omnibus a cavalli, annunciando una città in cui le nuova classi avevano il diritto di spostarsi comodamente, emulando i nobili nei diritti e nelle prospettive culturali.
Insomma, quella era una Milano e un nord in grado di recepire da subito le opportunità date dall’innovazione tecnologica e industriale. Una Milano in grado di realizzare l’impensabile in tempi stretti e sorprendenti. Una Milano pronta a spostarsi in maniera nuova nel futuro.

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