Buongiorno, oggi è il 2 marzo.
Il 2 marzo 1817 Giovanni Battista Belzoni scopre il sito archeologico di Abu Simbel, in alto Egitto.
I templi di Abu Simbel ebbero una sorte un pò sfortunata. Dapprima coinvolti in un terremoto durante il regno di Ramesse II vennero poi, con la fine dell'impero egizio, abbandonati e col tempo ricoperti di sabbia.
Il 22 marzo 1813 lo svizzero Johann Ludwig Burckhardt, scoprì le teste dei colossi di Ramesse che affioravano dalla sabbia ma non fu in grado di comprendere chi rappresentavano, nè di entrare all’interno dei templi.
Solo nel 1817 l’italiano Gianbattista Belzoni (1778-1823) iniziò una campagna di scavi grazie ai quali fu di nuovo rivelata la bellezza di questi maestosi monumenti.
Belzoni, il grande esploratore che ovunque scavava trovava qualcosa, ricevette l'autorizzazione dal governo di procedere per liberare l'ingresso del tempio di Abu Simbel solo molto tempo dopo che mercanti senza scrupoli volevano impossessarsi dei tesori sparsi nelle terre vicino a Luxor e prenderne il merito. Belzoni non si lasciò comunque intimorire e continuò a svolgere il suo lavoro, che lo portò alla scoperta del meraviglioso tempio di Abu Simbel. La quantità di sabbia da liberare era enorme, per questo ci volle l'aiuto della gente dei paesi vicini per almeno dodici mesi: nessuno entrava nel tempio da più di duemila anni.
Il vero pericolo per la sorte del tempio, però, arrivò molto più tardi quando il complesso rischiò di sparire per sempre sepolto da una valanga d’acqua.
Nel 1960,infatti, il presidente egiziano Nasser aveva iniziato i lavori per la costruzione della grande diga di Assuan.
Questa prevedeva la creazione di un enorme lago artificiale, un progetto importante per l'energia elettrica del paese, ma che rischiava di cancellare per sempre alcune delle più straordinarie testimonianze dell’antica civiltà dei faraoni: fra queste anche Abu Simbel, che nel frattempo era diventato famoso in tutto il mondo.
Dunque, per non essere sommerso dalla acque, l'Unesco lanciò il grido d'allarme e l'intero tempio venne smontato pezzo per pezzo in migliaia di blocchi e rimontato 60 metri più in alto dell'intera montagna in cui erano scavati i due templi, e con l'aiuto economico di più Paesi tra cui l'Italia, il lavoro fu portato a termine nel 1967 con ottimi risultati. L’intero tempio fu ricostruito mantenendo persino l’originario orientamento rispetto agli astri e al nuovo corso del Nilo.
Il tempio, edificato da Ramses II per celebrare la sua potenza ai confini meridionali del regno, era interamente scavato dentro un costone roccioso ( 33 m. di altezza per 36 di larghezza e una profondità di 55m. ), con la facciata abbellita da quattro statue colossali alte 20m. raffiguranti il faraone stesso in posizione seduta su un trono cubico. Le espressioni del volto, diverse per ogni colosso, stupiscono per la loro naturalezza, a testimonianza dell'elevata sensibilità raggiunta nella scultura dai maestri dell'epoca.
Vicino a Ramesse si trovano le raffigurazioni in scala minore della madre Tuia, della moglie Nefertari e dei suoi numerosi figli. La seconda statua da sinistra ha perduto la parte superiore. Non si conosce esattamente quando e perchè questa statua sia stata danneggiata, ma sicuramente in epoca antica forse quando Ramesse II era ancora in vita e, forse, a causa del terremoto che ha definitivamente aperto una frattura preesistente nella roccia. Le altre tre statue sono rimaste intatte. Due linee di iscrizioni e un fregio con babbuini adoranti, messaggeri del sole nascente, chiudono la parte superiore della facciata.
Si entra nel tempio attraverso un portale al centro delle grandi statue e si accede ad una grande sala ipostila il cui soffitto, decorato con avvoltoi quello della navata centrale mentre con le stelle quello delle navate laterali, è sorretto da otto pilastri sui quali poggiano altrettante statue di Ramesse II, raffigurato nelle vesti del dio Osiride. Le statue sul lato sud indossano la corona dell'Alto Egitto, mentre quelle a nord la doppia corona dell'Alto e del Basso Egitto.
Le pitture alle pareti, ben conservate anche nei colori, raccontano le storie che hanno dato origine alla leggenda di Ramesse il Grande (poema di Pentaur): in gran parte esse rappresentano la vittoria del faraone sugli Ittiti nella battaglia di Kadesh in Siria. Questi rilievi descrivono vari momenti della battaglia: si vede il re che attacca i nemici sul suo carro da guerra, e che trapassa con la sua lancia un libico a terra.
Si passa dunque ad un altra sala ipostila più piccola della precedente con pilastri raffiguranti il re che viene accolto fra gli dei;
le pareti sono invece decorate con la barca di Amon-Ra nel lato sud e con la barca del re divinizzato nel lato nord.
Continuando si scopre il santuario più interno, dove solo il re poteva entrare, e il NAS con le quattro divinità Ra Horakhte, RAMESSE II divinizzato, Amon-Ra e Ptah. La statua del re assieme a quelle degli dei in perfetta parità è il segno più evidente della divinizzazione del re.
Due volte l'anno, il 21 febbraio e il 21 ottobre, i raggi solari all'alba attraversano la sala ipostila per raggiungere la parte più interna del tempio, il naos, illuminando solo tre figure. La quarta, Ptah, dio del mondo sotterraneo, rimane nell'ombra. Non si era mai visto niente di simile fino ad ora; inoltre questo effetto dà una evidente indicazione dell'ottima conoscenza dell'astronomia e delle grandi capacità di calcolo degli architetti egiziani.
Il tempio di Nefertari, a poca distanza da quello grande, eretto anch'esso su un costone roccioso, fu fatto costruire da Ramesse II in onore di sua moglie, identificata con la dea Hathor. E' composto da un ingresso con ai lati due statue di Ramesse II in piedi, che si alternano con una di Nefertari dell'altezza di circa 10m; tra le statue sono rappresentati principi e principesse. Iscrizioni geroglifiche con la serie dei titoli del faraone e della consorte dividono le statue. Tutte le statue hanno il piede sinistro in avanti come se volessero uscire dalla roccia e quelle di Nefertari hanno sulla testa le corna della vacca sacra, il disco solare e due piume come la dea Hathor.
È sorprendente il fatto che le statue di Nefertari siano state costruite della stessa altezza del re Ramesse.
L'interno comprende una sala ipostila con colonne hathoriche sormontate da un sistro, simbolo della dea. Le pareti sono coperte da rilievi murali, più semplici e meno colorati di quelli del tempio grande, ma anche questi molto interessanti e rappresentano Ramesse e Nefertari assieme a vari dei oltre a scene di vita quotidiana tra i due coniugi in cui il loro amore viene continuamente esaltato, e la grandezza e la potenza del faraone rivivono in ogni scena.
Po, in successione, si trovano un vestibolo e il santuario con una nicchia contenente la statua di Hathor in forma di vacca che protegge il re.
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