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Il 30 giugno 1908 una esplosione di energia stimata tra i 15 e i 50 Megatoni abbatte 80 milioni di alberi in una sperduta regione della Siberia Centrale. L’area viene esplorata solo vent’anni più tardi da L. Kulik, un mineralista dell'Università di San Pietroburgo, che riesce, in mezzo a grandi difficoltà, a trovare la zona devastata. Con le spedizioni tra il 1927 e il 1938, Kulik raccoglie numerosi indizi del fatto che la devastazione è accaduta a causa dell’esplosione in cielo di un asteroide, ma non riesce a trovare meteoriti o tracce inequivocabili di materiale di origine extraterrestre. Il mistero di Tunguska diventa lo spunto per romanzi di fantascienza, alimentati da una serie di ipotesi tra il suggestivo e lo strampalato, come l’esplosione di una astronave aliena o la disintegrazione di un piccolo buco nero.
Nel 1999, una spedizione scientifica italiana riesce a esplorare la zona dell’esplosione e in particolare un piccolo lago, il Lago Cheko, a circa 10 chilometri dall’epicentro dell’esplosione, che viene interpretato come un cratere da impatto. Si apre a questo punto un dibattito tra geologi da un lato, e i cosiddetti impattologi dall’altro. I primi hanno raccolto evidenze molto convincenti che il lago si è formato nel 1908 per l’impatto di un grosso frammento di un corpo cosmico (asteroide o cometa) sopravvissuto all’entrata nell’atmosfera. I modelli teorici degli impattologi, invece, negano la possibilità che un frammento cosmico roccioso in quelle condizioni possa giungere fino al suolo. I dubbi sollevati frenano l’impegno dei finanziamenti necessari per la perforazione del lago e bloccano in qualche modo la ricerca del grosso frammento del meteorite di Tunguska in fondo al Lago Cheko.
Sulla rivista scientifica 'Terra Nova', è stato pubblicato il lavoro di un gruppo di ricercatori italiani dell'Ismar-Cnr e delle Università di Bologna e Trieste - Luca Gasperini, Francesca Alvisi, Gianni Biasini, Enrico Bonatti, Giuseppe Longo, Michele Pipan e Romano Serra - che hanno condotto sul luogo una spedizione scientifica. Dagli studi risulta che il lago Cheko, un piccolo specchio d'acqua, circa 500 metri di diametro, situato ad una decina di chilometri dall'epicentro dell'esplosione del 1908, può essere il cratere causato dall'impatto di un 'frammento' di circa cinque metri, sopravvissuto all'esplosione principale, che si è schiantato a 'bassa velocità', ovvero a circa un chilometro al secondo.
"L'esplosione si sarebbe verificata nell'atmosfera, 5-10 chilometri al di sopra della regione di Tunguska - spiega Luca Gasperini dell'Ismar-Cnr di Bologna -. Si è trattato della deflagrazione di un asteroide o di una cometa, (la prima ipotesi sostenuta in particolare da scienziati americani, mentre la seconda è sostenuta da ricercatori russi, ndr), di circa 50-80 metri di diametro. La zona di devastazione se centrata su Bologna - sottolinea il ricercatore - raggiungerebbe Ferrara, Forlì e Modena".
"Abbiamo effettuato uno studio geofisico e sedimentologico del lago per verificare se la sua formazione potesse essere correlata all'evento, e per rilevare nella sequenza sedimentaria del lago evidenze geofisiche e geochimiche dalle quali trarre informazioni sulla natura dell'oggetto cosmico", ha spiegato Luca Gasperini dell'Ismar-Cnr. "Varie spedizioni di studiosi avevano già esplorato la zona dell'esplosione senza trovare segni d'impatto o frammenti, e formulando ipotesi, anche molto diverse fra loro, per far luce su quello che è ormai considerato a tutti gli effetti un 'mistero'. Il nostro studio sul campo è stato effettuato principalmente utilizzando rilievi di acustica subacquea, con un obiettivo dunque più ambizioso di quello della prima spedizione italiana, avvenuta nel 1991, anch'essa organizzata dal professor Giuseppe Longo dell'Università di Bologna, e limitata alla ricerca di microparticelle dell'oggetto cosmico nella resina degli alberi".
Durante la spedizione 'Tunguska99' è stata quindi per la prima volta investigata con tecniche molto sofisticate la morfologia del fondo e la natura dei depositi del sottofondo lacustre, e raccolti campioni di sedimento. "Grazie a tali indagini - ha aggiunto il ricercatore - è stato possibile scoprire che la morfologia del lago è diversa da quella dei comuni laghi siberiani di origine termo-carsica: la natura dei sedimenti recuperati dal fondo sono invece compatibili con l'ipotesi dell'impatto, che sarebbe avvenuto in una foresta acquitrinosa con uno strato sottostante di permafrost (suolo permanentemente ghiacciato) spesso oltre 30 metri".
E' stato proprio lo scioglimento del permafrost avvenuto subito dopo l'impatto a modellare la forma e le dimensioni attuali del lago, e a nasconderne la vera natura di cratere da impatto per tutto questo tempo. Questa scoperta, se confermata, contribuirà, cento anni dopo a svelare il mistero di Tunguska, dando forti contributi, e nuove paure, sulla comprensione degli effetti dell'impatto di un asteroide o una cometa con la Terra. Ipotesi tutt'altro che remota e non infrequente nella storia del nostro pianeta.
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