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venerdì 26 giugno 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 26 giugno.
Il 26 giugno 1963 il presidente degli Stati Uniti J.F. Kennedy, tenne un discorso, nella città di Berlino Ovest, che passò alla storia. "Ich bin ein Berliner": "io sono un berlinese", la frase più celebre dell'orazione. Il discorso era strettamente politico, una mossa fondamentale nell'ambito della Guerra Fredda. Il suo intento di base era quello di confermare apertamente l'appoggio degli USA alla Germania Occidentale, rispondendo al tempo stesso alla costruzione del Muro da parte dell'Unione Sovietica. Ma la potenza del discorso sta proprio in quelle parole: "io sono un berlinese" è un frase che scavalca il Muro e abbraccia tutta la popolazione di Berlino, seppur divisa. Kennedy esprime così la propria vicinanza anche alla popolazione di Berlino Est, sottolineando come quella sovietica sia una vera e propria occupazione anti democratica. Le parole utilizzate inoltre estendono il discorso ad un livello globale: "Tutti gli uomini liberi, dovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, e quindi, come uomo libero, sono orgoglioso delle parole Ich bin ein Berliner!". L'opposizione di fondo, presente in ogni forma di comunicazione, non è Berlino Ovest vs Berlino Est, non è Occidente vs Oriente, è Libertà vs Oppressione.
«Ich bin ein Berliner», "Sono un berlinese". Quanta retorica in questa frase. E di quella buona! Le arguzie linguistiche e stilistiche si sommano offrendo all'uditorio vari livelli di comprensione e coinvolgimento. Non è affatto scontato che il pubblico li individui tutti. Anzi, questo non avviene quasi mai, ciò malgrado ne riesce ad apprezzare lo spessore e la portata. Innanzitutto Kennedy mette in campo una captatio benevolentiae. Forse banale, ma sempre un cavallo di battaglia. Noi tutti proviamo gratitudine per lo straniero che si sforza di parlare la lingua locale. Lo sanno bene le pop e le rock star che, nei concerti, cercano di pronunciare qualche frasetta nella lingua indigena. Sembra che la Pausini sia un'esperta assoluta nel campo. Poi, il presidente Usa si sofferma sulla spiegazione del significato della frase, in puro stile divulgativo made in Usa, che mira alla comprensione anche dei più disattenti o dei più impermeabili alle profondità della lingua: «Duemila anni fa, il più grande orgoglio era dire "civis Romanus sum" oggi, nel mondo libero, il più grande orgoglio è dire "Ich bin ein Berliner".» In chiusura Kennedy torna sul punto, non vuole che a nessuno sfugga il concetto. Tutti, proprio tutti, devono comprendere cosa intende dire: «Ogni uomo libero, ovunque viva, è cittadino di Berlino. E, dunque, come uomo libero, sono orgoglioso di dire "Ich bin ein Berliner".» Ecco un altro livello: essere berlinesi come metafora di libertà. Non manca una liturgia: l'iterazione di una frase gemella, benché eterozigote, di «Ich bin ein Berliner»: «Che vengano a Berlino.» È la risposta ai sostenitori del comunismo, dei quali Kennedy rievoca e smonta le argomentazioni, formando quattro coppie: Coppia uno. «Ci sono molte persone al mondo che veramente non capiscono, o dicono di non capire, quale sia il grande elemento di differenza tra il mondo libero e quello comunista. Che vengano a Berlino.» Coppia due. «Ce ne sono alcune che dicono che il comunismo è l'onda del futuro. Che vengano a Berlino.» Coppia tre. «E ce ne sono alcune che, in Europa come altrove, dicono che possiamo collaborare con i comunisti. Che vengano a Berlino.» Coppia quattro. «E ce ne sono anche certe che dicono che è vero che il comunismo è un sistema malvagio, ma che permette di ottenere il progresso economico. Che vengano a Berlino.» È il meccanismo che coloro che vanno a messa conoscono bene: «Cristo pietà, Signore pietà».
In un discorso di ruoli gli Stati Uniti, nella persona del Presidente, incarnano l'ideale di "mondo libero", il ruolo dell'eroe. L'Unione Sovietica rappresenta la "non libertà", l'anti eroe.
Non bisogna dimenticare che il discorso resta, di fondo, un discorso politico. Da abile comunicatore, Kennedy, gioca con valori alti e nobili per perseguire il suo scopo. Mettendo da parte i valori di Libertà e Democrazia, infatti, l'immediata conseguenza a livello politico e concreto dei fatti fu quella di riconoscere la divisione di Berlino. In modo particolare, di riconoscere l'appartenenza di Berlino Est al blocco sovietico. Se le folle osannarono Kennedy per questo discorso dai così alti valori, i critici più accorti lessero in quella orazione un errore del Presidente americano che aveva così ceduto alla politica Sovietica.
Col senno di poi, non si può certo rimproverare nulla a Kennedy, e questo discorso resta uno dei più celebri mai pronunciati. Parole che hanno scritto la storia tanto quanto gli eventi delle due guerre mondiali, tanto quanto l'atomica su Hiroshima e Nagasaki, tanto quanto la caduta del Muro stesso.
Potenza delle parole, potenza della comunicazione.

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