Buongiorno, oggi è il 13 dicembre.
Il 13 dicembre 1981 il Generale Jaruselski dichiara la legge marziale in Polonia.
È stato l’ultimo dittatore della Polonia comunista e il primo presidente della Polonia democratica. Wojciech Jaruzelski, morto il 25 maggio 2014 all’età di 90 anni, era la personificazione del militar-comunismo: figura rigida, portamento impettito e occhi di ghiaccio nascosti dietro grandi lenti scure. Ci fu un tempo in cui era chiamato Pinochetski dai connazionali, che si divertivano a storpiarne il nome con quello del golpista cileno. Tutto il mondo se lo ricorda quando comparve in tv il 13 dicembre 1981 per annunciare lo stato di guerra. Il sindacato libero Solidarnosc, nato quindici mesi prima a Danzica, venne dichiarato fuorilegge, migliaia di oppositori finirono nei campi d’internamento, polizia ed esercito stroncarono con la forza ogni tentativo di resistenza nelle fabbriche facendo una decina di vittime. «Dovevo mettere fine al caos e riportare l’ordine», si è sempre giustificato Jaruzelski. In realtà agì per salvare non la Polonia bensì il regime. La sua è una biografia tormentata e contraddittoria. Cresciuto in una famiglia di nobili origini, studente in una scuola cattolica, nel 1940 l’adolescente Wojciech insieme coi genitori viene deportato dai sovietici in Siberia. Conosce il lavoro forzato in miniera che gli procurerà danni irreparabili alla schiena e agli occhi. Ma, alla morte del padre, si arruola volontario nelle formazioni combattenti agli ordini di Mosca e abbraccia con entusiasmo la carriera militare fino a diventare il più giovane generale dell’esercito della Repubblica popolare polacca. È ministro della Difesa quando, nel dicembre 1970, la rivolta operaia di Danzica viene soffocata nel sangue. Dieci anni più tardi è chiamato dapprima alla guida del governo e poi a quella del partito, ma indossa sempre l’uniforme, quasi a volersi distanziare da un apparato inefficiente e corrotto. Dialoga con Solidarnosc ma intanto si prepara a introdurre la legge marziale. È ancora aperta la discussione se lo stato di guerra vada considerato un "male minore" che ha evitato la tragedia più grande dell’invasione sovietica. Ma lo stesso Jaruzelski ha ammesso nella sua autobiografia che da Mosca non vi è mai stata alcuna minaccia esplicita. Appare più verosimile la tesi contraria secondo cui Breznev, il leader del Cremlino che aveva mandato i soldati dell’Armata Rossa a Kabul, non volesse ripetere la disastrosa esperienza afghana, preferendo che fosse l’esercito di Varsavia a fare il lavoro sporco. In ogni caso il generale dagli occhiali scuri sarà ricordato non solo per quel che ha tentato di fare nel 1981 ma per quel che è riuscito a compiere nel 1989. Dopo aver constatato il fallimento della "normalizzazione", il leader dal pugno di ferro diventa infatti l’uomo della mano tesa: apre il dialogo con gli ex nemici di Solidarnosc, chiama tutti a una tavola rotonda e pone le basi per la grande svolta democratica che nell’agosto del 1989 vedrà la nascita di un esecutivo presieduto da Mazowiecki, primo capo di governo non comunista in un Paese del blocco sovietico. Inizia un cammino di libertà che porterà al crollo del Muro e alla caduta dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est. Pur non avendo mai ripudiato il suo passato, Jaruzelski si è dichiarato pentito per le sofferenze imposte al suo popolo, dando infine ragione a Giovanni Paolo II con cui s’incontrò otto volte, in colloqui spesso burrascosi. «Aveva un atteggiamento intransigente ma al tempo stesso non si poteva non provare per lui una grande simpatia umana – è la testimonianza fornita da Jaruzelski al processo di beatificazione di Giovanni Paolo II –. Aveva messo in difficoltà il nostro sistema, dovevamo reagire. Mi vergogno per certe parole e certi atti, continuo a soffrirne e chiedo perdono: mi sono sentito accolto da lui, un grande santo che ha trovato tempo per me, grande peccatore». Gli ultimi anni della sua vita l’anziano generale li ha passati lottando con una grave forma di tumore. Anche Walesa aveva voluto fargli visita in ospedale e la foto della stretta di mano fra l’ex dittatore e l’ex sindacalista, entrambi con gli occhi lucidi per la commozione, resta il sigillo incredibile di un’epopea straordinaria. A causa della malattia i due procedimenti penali contro il generale per il massacro degli operai a Danzica nel 1970 e l’introduzione della legge marziale nel 1981 erano stati sospesi. «Lo giudicherà Dio», ha commentato Walesa alla sua morte. Una cosa è certa: il rigido e impettito militare comunista ha saputo piegarsi ai venti di cambiamento della storia.
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venerdì 13 dicembre 2024
mercoledì 16 agosto 2023
#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi
Buongiorno, oggi è il 16 agosto.
Il 16 agosto 1980 hanno inizio gli scioperi in Polonia promossi dal sindacato Solidarnosc e dal suo leader, Lech Walesa.
Solidarnosc era il sindacato polacco indipendente e autogestito, sorto dal movimento operaio organizzatosi e maturato in modo alternativo ai sindacati ufficiali promossi dal governo comunista; pur raggruppando elementi della sinistra laica e riformista, esso si appoggiava alla cultura solidaristica cattolica, rivitalizzata dall'elezione del primo papa polacco della storia e dalla sua visita in Polonia del giugno 1979. Nell'estate 1980 il governo polacco decretò pesanti rincari e razionamenti dei generi di prima necessità per far fronte alla gravissima crisi economica in cui il Paese era precipitato. La risposta dei lavoratori non si fece attendere: decine di fabbriche furono occupate, seguendo l'esempio dei cantieri navali “Lenin” di Danzica. Leader della protesta era un ex elettricista di nome L. Wałesa, licenziato alcuni mesi prima per aver tentato di creare un sindacato indipendente. I cantieri di Danzica divennero la sede del Comitato centrale di tutti gli scioperanti polacchi, riunitisi in un unico sindacato, denominato appunto Solidarność (Solidarietà); al termine di un estenuante braccio di ferro con le autorità, il 30 agosto e il 3 settembre 1980 vennero firmati gli accordi di Danzica, in 21 punti, grazie ai quali veniva riconosciuto il diritto di sciopero e veniva accettata la costituzione di un sindacato indipendente dal Partito comunista. Il nuovo sindacato così sorto nel settembre 1980 crebbe rapidamente (oltre dieci milioni di iscritti in breve tempo) diventando di fatto un centro di potere alternativo, incompatibile col sistema comunista polacco. La situazione continuò a deteriorarsi, finché nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1981 il generale W. Jaruzelski, che dal 18 ottobre precedente riuniva in sé la carica di ministro della Difesa, segretario del Partito comunista e capo del governo, compì un colpo di stato. Forte dell'appoggio dell'Unione Sovietica, egli impose la legge marziale, su tutto il territorio polacco, facendo sospendere i diritti costituzionali, rendendo nulli gli accordi di Danzica e facendo internare Wałesa (eletto nel frattempo presidente del sindacato) assieme a migliaia di militanti. Nel corso del 1982, tuttavia, la società polacca, confortata dalla solidarietà internazionale, operò una resistenza quotidiana che affiancava quella attiva sostenuta dalla costituita direzione clandestina di Solidarność. Nel maggio furono sciolti tutti i sindacati, fino ad allora sospesi, ma nell'autunno successivo, grazie anche all'attiva mediazione della Chiesa cattolica, si ebbe un momento di distensione che condusse alla liberazione di Wałesa e alla sospensione dello stato di guerra (poi abolito nel luglio 1983). Sebbene fossero ormai pochi a credere a una possibile rinascita di Solidarność, Wałesa, cui venne assegnato nell'ottobre 1983 il premio Nobel per la pace, riuscì a trovare spazi d'azione e di dialogo non violento, nonostante episodi come il rapimento e l'assassinio di padre Popiełuszko da parte di agenti della polizia politica. Le amnistie e la liberazione dei prigionieri politici, i nuovi pellegrinaggi polacchi del papa, il fallimento del referendum voluto dal governo nel 1987 e osteggiato dal sindacato, riorganizzatosi informalmente, prepararono gli scioperi della primavera del 1988; nell'agosto seguente furono ripresi i contatti ufficiali tra le parti sociali e si avviò una tavola rotonda tra governo e opposizione che si raccolse intorno a un Comitato civico. La condizione era un nuovo riconoscimento ufficiale di Solidarność, riconoscimento che avvenne nell'aprile 1989. Gli accordi della tavola rotonda, sviluppatisi in un clima internazionale che già lasciava intravedere la crisi definitiva dei regimi comunisti dell'Europa orientale, prevedevano elezioni parzialmente libere: al Senato, nel giugno 1989 furono eletti 99 candidati di Solidarność su 100 seggi. Intorno al sindacato si coagulò infatti una vera forza politica; l'elezione di Jaruzelski come primo presidente della Repubblica polacca fu possibile grazie all'appoggio di alcuni parlamentari di Solidarność, che nel maggio 1990 colse un nuovo successo elettorale attraverso i suoi Comitati civici. Intanto un uomo proposto da Wałesa, ancora presidente del sindacato, T. Mazowiecki, era diventato primo ministro (settembre 1989). Quando, infine, Jaruzelski rimise il mandato al Parlamento, Wałesa venne eletto democraticamente e a suffragio universale presidente della Repubblica (1990) col 74% dei voti. Mentre per il leader sindacale iniziava una nuova fatica di mediatore tra i tanti partiti rifioriti nella lotta politica, per Solidarność si apriva una nuova fase, rivolta a ricostruire la propria identità di sindacato in un sistema pluralista, alle prese, in una economia di mercato incerta e squilibrata, con inflazione e disoccupazione. Gli anni Novanta, comunque, vedevano un declino della politica di Solidarność che, a eccezione delle elezioni parlamentari del 1997, non riusciva a riscuotere il favore dell'elettorato polacco sia nelle consultazioni politiche del 1993, sia nelle presidenziali del 1995 e del 2000, nelle quali il suo leader Wałesa non otteneva la vittoria. Infatti le presidenziali del 2000 determinavano il trionfo di A. Kwasniewski, leader degli ex comunisti dell'Alleanza per la Sinistra Democratica (SLD), per cui Wałesa decideva di abbandonare la vita politica; da allora tiene lezioni di storia e politica in varie università dell'Europa centrale.
Il 16 agosto 1980 hanno inizio gli scioperi in Polonia promossi dal sindacato Solidarnosc e dal suo leader, Lech Walesa.
Solidarnosc era il sindacato polacco indipendente e autogestito, sorto dal movimento operaio organizzatosi e maturato in modo alternativo ai sindacati ufficiali promossi dal governo comunista; pur raggruppando elementi della sinistra laica e riformista, esso si appoggiava alla cultura solidaristica cattolica, rivitalizzata dall'elezione del primo papa polacco della storia e dalla sua visita in Polonia del giugno 1979. Nell'estate 1980 il governo polacco decretò pesanti rincari e razionamenti dei generi di prima necessità per far fronte alla gravissima crisi economica in cui il Paese era precipitato. La risposta dei lavoratori non si fece attendere: decine di fabbriche furono occupate, seguendo l'esempio dei cantieri navali “Lenin” di Danzica. Leader della protesta era un ex elettricista di nome L. Wałesa, licenziato alcuni mesi prima per aver tentato di creare un sindacato indipendente. I cantieri di Danzica divennero la sede del Comitato centrale di tutti gli scioperanti polacchi, riunitisi in un unico sindacato, denominato appunto Solidarność (Solidarietà); al termine di un estenuante braccio di ferro con le autorità, il 30 agosto e il 3 settembre 1980 vennero firmati gli accordi di Danzica, in 21 punti, grazie ai quali veniva riconosciuto il diritto di sciopero e veniva accettata la costituzione di un sindacato indipendente dal Partito comunista. Il nuovo sindacato così sorto nel settembre 1980 crebbe rapidamente (oltre dieci milioni di iscritti in breve tempo) diventando di fatto un centro di potere alternativo, incompatibile col sistema comunista polacco. La situazione continuò a deteriorarsi, finché nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1981 il generale W. Jaruzelski, che dal 18 ottobre precedente riuniva in sé la carica di ministro della Difesa, segretario del Partito comunista e capo del governo, compì un colpo di stato. Forte dell'appoggio dell'Unione Sovietica, egli impose la legge marziale, su tutto il territorio polacco, facendo sospendere i diritti costituzionali, rendendo nulli gli accordi di Danzica e facendo internare Wałesa (eletto nel frattempo presidente del sindacato) assieme a migliaia di militanti. Nel corso del 1982, tuttavia, la società polacca, confortata dalla solidarietà internazionale, operò una resistenza quotidiana che affiancava quella attiva sostenuta dalla costituita direzione clandestina di Solidarność. Nel maggio furono sciolti tutti i sindacati, fino ad allora sospesi, ma nell'autunno successivo, grazie anche all'attiva mediazione della Chiesa cattolica, si ebbe un momento di distensione che condusse alla liberazione di Wałesa e alla sospensione dello stato di guerra (poi abolito nel luglio 1983). Sebbene fossero ormai pochi a credere a una possibile rinascita di Solidarność, Wałesa, cui venne assegnato nell'ottobre 1983 il premio Nobel per la pace, riuscì a trovare spazi d'azione e di dialogo non violento, nonostante episodi come il rapimento e l'assassinio di padre Popiełuszko da parte di agenti della polizia politica. Le amnistie e la liberazione dei prigionieri politici, i nuovi pellegrinaggi polacchi del papa, il fallimento del referendum voluto dal governo nel 1987 e osteggiato dal sindacato, riorganizzatosi informalmente, prepararono gli scioperi della primavera del 1988; nell'agosto seguente furono ripresi i contatti ufficiali tra le parti sociali e si avviò una tavola rotonda tra governo e opposizione che si raccolse intorno a un Comitato civico. La condizione era un nuovo riconoscimento ufficiale di Solidarność, riconoscimento che avvenne nell'aprile 1989. Gli accordi della tavola rotonda, sviluppatisi in un clima internazionale che già lasciava intravedere la crisi definitiva dei regimi comunisti dell'Europa orientale, prevedevano elezioni parzialmente libere: al Senato, nel giugno 1989 furono eletti 99 candidati di Solidarność su 100 seggi. Intorno al sindacato si coagulò infatti una vera forza politica; l'elezione di Jaruzelski come primo presidente della Repubblica polacca fu possibile grazie all'appoggio di alcuni parlamentari di Solidarność, che nel maggio 1990 colse un nuovo successo elettorale attraverso i suoi Comitati civici. Intanto un uomo proposto da Wałesa, ancora presidente del sindacato, T. Mazowiecki, era diventato primo ministro (settembre 1989). Quando, infine, Jaruzelski rimise il mandato al Parlamento, Wałesa venne eletto democraticamente e a suffragio universale presidente della Repubblica (1990) col 74% dei voti. Mentre per il leader sindacale iniziava una nuova fatica di mediatore tra i tanti partiti rifioriti nella lotta politica, per Solidarność si apriva una nuova fase, rivolta a ricostruire la propria identità di sindacato in un sistema pluralista, alle prese, in una economia di mercato incerta e squilibrata, con inflazione e disoccupazione. Gli anni Novanta, comunque, vedevano un declino della politica di Solidarność che, a eccezione delle elezioni parlamentari del 1997, non riusciva a riscuotere il favore dell'elettorato polacco sia nelle consultazioni politiche del 1993, sia nelle presidenziali del 1995 e del 2000, nelle quali il suo leader Wałesa non otteneva la vittoria. Infatti le presidenziali del 2000 determinavano il trionfo di A. Kwasniewski, leader degli ex comunisti dell'Alleanza per la Sinistra Democratica (SLD), per cui Wałesa decideva di abbandonare la vita politica; da allora tiene lezioni di storia e politica in varie università dell'Europa centrale.
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