Buongiorno, oggi è il primo febbraio.
Il primo febbraio 1884 viene pubblicata la prima edizione dell'Oxford English Dictionary.
Già a metà del Settecento c’erano stati diversi e utili tentativi – talora di successo – di far nascere nuovi dizionari; nel 1746 la casa editrice Longman aveva ad esempio incaricato Samuel Johnson, un giornalista parlamentare, di occuparsene. Anche i grandi del tempo, tra cui Jonathan Swift e Daniel Defoe, sottolineavano la necessità di “fissare” la lingua, di “stabilirne i limiti, di creare un inventario del suo patrimonio lessicale, forgiare la sua cosmologia…l’inglese era oramai sufficientemente perfezionato e puro, da poter soltanto rimanere statico, o altrimenti, da allora in poi deteriorarsi”. C’era insomma bisogno di definire una lingua nazionale (aggettivo non casuale) che diventasse indelebile: nessun dizionario, sino ad allora, era riuscito in una tale impresa. Il primo a provarci fu proprio Johnson, pur conscio del fatto che non era possibile sistematizzare una lingua affinché rimanesse “pura” come avrebbero invece voluto i Titani della cultura. Johnson assunse 6 aiutanti tra cui 5 scozzesi, per aiutarlo a leggere lo scibile letterario – a partire dalla fine del Sedicesimo secolo con l’eccezione (quasi ovvia) di Geoffrey Chaucer -, allo scopo di stilare un elenco di parole, comprese quelle presenti in dizionari esistenti. I 43,500 lemmi da lui scelti vennero pubblicati nel 1755 e rimasero un punto di riferimento per tutto il secolo successivo.
Solo nel 1857 si iniziò a parlare di un progetto lessicografico senza precedenti, in fin dei conti Johnson aveva optato per una selezione della lingua, ora la si voleva finalmente presentare tutta, lo avrebbero chiamato il “Grande Dizionario”, ci sarebbero voluti circa settant’anni! Primo incaricato fu Richard Chevenix Trench il quale considerava un dizionario “la storia di una nazione contemplata da un certo punto di vista”. Ma per ricostruire la storia di ogni parola era necessario leggere, catalogare e infine citare ogni suo possibile uso. Si trattava di un lavoro apparentemente insormontabile, sino a quando Trench non propose di farlo diventare collettivo assoldando come volontari centinaia di lettori non retribuiti. Ci vollero più di vent’anni per mettere quest’idea in pratica.
Nei primi anni Ottanta una copia dell’appello lanciato dal nuovo Direttore James Murray ad appassionati lettori finì persino nel manicomio in cui viveva William Chester Minor, nel Berkshire. Come cittadino americano e con l’aiuto dell’Ambasciata del suo paese egli aveva ottenuto molti privilegi tra cui quello di trasformare le sue celle in una biblioteca dotata di sedie e scrivanie. E fu proprio così che entrò in scena Minor: nato in Sri Lanka, era divenuto ufficiale medico col grado di capitano durante la guerra di Secessione le cui violenze lo avevano portato alla follia e a vivere in un manicomio britannico quasi sino alla fine dei suoi giorni a causa di un omicidio. Dalle due celle a lui riservate, Minor lavorò instancabilmente per più di 20 anni; quel lavoro fu per lui una ragione di vita, quando finalmente decise di entrare in gioco si erano susseguiti già 4 direttori dell’Oxford English Dictionary oramai guidato dallo scozzese Murray dal 1879.
L’appello del Direttore conteneva anche indicazioni su come inviare citazioni e selezionare le proprie letture, ma Minor decise di disattenderle inventando un metodo che si rivelò molto più efficace. Se Murray aveva suggerito ai volontari di cercare citazioni per ogni singola parola – obsoleta, antiquata, nuova o usata in modo inconsueto – di un libro, oltre alle parole più comuni, Minor escogitò una metodologia in grado di permettergli di stare al passo con Murray e i suoi collaboratori, di non essere un mero, seppur utilissimo, informatore: inseriva in un quaderno le parole che gli sembravano degne di nota scegliendo di posizionarle ad una precisa altezza del foglio in considerazione di quelle che avrebbe trovato prima e dopo, se per esempio aveva scritto “buffon”, sapeva che con la b avrebbe avuto almeno due o tre parole prima di quella, accanto inseriva anche la o le pagina/e del libro in cui quella parola era stata trovata e annotava le sue diverse accezioni.
Non scrisse subito al Direttore, voleva dimostrare di poter essere più utile degli altri, lavorare con lui e la sua squadra di pari passo. Quando infine decise di rivolgersi alla redazione del dizionario per chiedere su quale parola stessero lavorando aveva già accumulato decine di quaderni che consultava per poter rispondere nel modo più esaustivo possibile a Murray. Nel 1888 venne pubblicato il volume I e la squadra di Oxford menzionò Minor nel testo, pur ignorando ancora la verità su chi fosse. Murray e Minor si sarebbero incontrati per la prima volta solo 3 anni dopo, ma le loro frequentazioni sarebbero diventate molto assidue. Solo nel 1910 Winston Churchill, allora Ministro dell’Interno, firmò un mandato di scarcerazione soggetto alla condizione che il Minor lasciasse il Regno Unito per sempre.
Secondo Winchester, già nel Diciottesimo secolo gli inglesi avevano capito che la loro lingua sarebbe diventata globale grazie ai grandi navigatori che “scorrazzavano per i mari”…”stava iniziando ad essere un veicolo importante per lo svolgimento dei commerci internazionali, per le guerre…stava spodestando il francese, lo spagnolo, l’italiano…” Lingue, secondo l’autore che erano già molto avanti nella “salvaguardia del loro patrimonio”. Nel 1582 era stata fondata a Firenze l’Accademia della Crusca e nel 1634 era nata l’Académie française grazie a Richelieu. Decenni prima, gli stessi Shakespeare, Drake e Bacon avevano scritto le loro opere senza avere a disposizione alcuna guida alla lingua che desideravano fuori dalla sua “meravigliosa confusione”.
Nelle pagine di Winchester ricorre più e più volte l’associazione fra lingua e nazione: fare la prima significava realizzare, o meglio rafforzare la seconda…”Solo nel Settecento si fece strada l’idea che la nazione avesse bisogno di sapere più nel dettaglio cosa fosse la lingua e che cosa significasse”. Per questi motivi “un dizionario è un monumento storico, la storia di una nazione contemplata da un certo punto di vista”. Era passato quasi un secolo dalla pace di Westphalia.
Nessuno di noi ricorda gli autori dei dizionari dei secoli precedenti, nonostante la fatica, il lavoro e la straordinarietà dei risultati raggiunti in decenni di duro lavoro impregnato di spirito combattivo ed estremamente paziente. Il romanzo "Il professore e il pazzo" e in seguito l'omonimo film, ridando voce a Murray e Minor, costituiscono quindi un’idea felice in grado di rendere giustizia alle numerose dimenticanze che attraversano la storia. La biblioteca Minor è oggi conservata, insieme ai suoi quaderni, presso le Bodleain Libraries (le più grandi del Regno Unito) dell’Università di Oxford.
Sorto da una vicenda realmente accaduta, il romanzo merita, anche se a tratti si lascia rapire da piccoli eccessi di entusiasmo per la superiorità della lingua inglese oggi così fondamentale e imprescindibile. Una lingua splendida, forse troppo prigioniera di un uso commerciale a scapito di quello letterario di cui è invece ricchissima, anche per i numerosi luoghi del mondo in cui si parla, dalla stessa Inghilterra al Sudafrica che ci ha regalato lo straordinario Coetzee. Ogni capitolo è preceduto da una voce in originale dell’Oxford English Dictionary, poi tradotte in appendice.
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