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venerdì 5 giugno 2015

Saglie saglie...

 Sanyo. Questa era la marca di quello che oggi definiremmo apparecchio multimediale e che invece allora chiamavamo semplicemente "radio". Era spettacolare! In un unico apparecchio si potevano ascoltare i programmi di Arbore e Boncompagni, le trasmissioni delle stazioni libere, ma anche le musicassette. Soprattutto si poteva registrare, dal microfono, dalla radio. Che passo avanti dal Geloso a bobine, già formidabile strumento per liberare la fantasia dell'infanzia!
 A me, che stavo abbandonando il pianoforte per insistere la mia avventura da musicante in solitario con la chitarra, si rivelò uno strumento importante. Potevo registrare le canzoni che mi piacevano per ascoltarle e riascoltarle, operare azioni di vivisezione per carpirne ogni spigolo melodico da provare a replicare pizzicando le 12 corde dello strumento di liuteria di Castelfidardo di mio padre. Poi scoprii che, col microfono a scomparsa - era l'effetto speciale dell'apparecchio! - oltre a registrare le mie patetiche esibizioni, potevo fermare nel nastro il sonoro della TV.
 E così fioccavano nastri strani, da cui si potevano ascoltare tra l'altro canzoni di bizzarri cantautori riprese in radio e il sonoro di cabaret del giovedì sera. E in quei nastri si confondevano tra loro artisti che insospettabilmente si sarebbero accostati: un emergente cantautore rock flegreo con i versacci di un romanaccio imbeccato dal duo di "digei" del mezzogiorno radiofonico, gatti veronesi con i versi di un ragazzo calabrese che inneggiava a Gianna, Massimo Troisi che si confrontava con i compagni della Smorfia e Pino Daniele che piangeva la sua terra.
 E così io imparavo ad accompagnare la mia voce in "Quanno chiove", "Napul'è...", "Je so' pazzo!" e studiavo "La fine del mondo", "Natività", "La sceneggiata". E così strimpellavo e cantavo oppure andavo in scena in qualche occasione con gli amici.

 A quell'epoca, la fine degli anni '70, Napoli riusciva ancora ad essere del popolo - della gente, oggi si usa dire - come sempre assai variegato e multicolore, e riusciva a dare spazio al meglio di sé, dovunque venisse e ovunque volesse andare. E questo ha permesso il successo di tanti artisti che ne hanno raccontato la bellezza e previsto le disgrazie. Come il degrado della città. Che in trent'anni sembra non conoscere fine. Ma che conobbe certamente inizio con il 23 novembre 1980. O comunque di lì a poco. Non tanto quindi quando si aprirono le crepe nel suolo, ma quando si innescarono quei meccanismi politici per far giungere quei fiumi di denaro che le avrebbero abbondantemente ricolmate. E che invece solo poco significativamente sono scorsi nel territorio. Drenati da primordiali interessi speculativi che oggi sono la normalità. Quanti pensieri si accavallano rievocando ricordi, riflettendoli nei fatti attuali tra crisi economica e scandali del malaffare nella cosa pubblica... A guardare gli amici di oggi, quelli della mia generazione ma soprattutto di quelle successive, la fortuna di allora corrisponde alla sfortuna di oggi. Il terremoto è stata una devastazione più grave, ritardata di tre o quattro lustri e tutt'ora imperiosa. La ricostruzione è stata superficiale e ha nascosto un parassita che ha divorato tutto ciò che avrebbe prodotto futuro, dandocene da bere uno effimero che ha inebetito, impoverito, abbrutito il popolo soggiogandolo a un quotidiano privo di fiducia e di speranza. Eppure, per fortuna, quanti riuscirono ad affermarsi già prima del terremoto sono coloro che a sorpresa sono riferimento positivo comune per tantissimi. Per fortuna.

 Chi non ha visto l'opera prima cinematografica di Massimo Troisi? E chi non ha riconosciuto subito lo stile di Pino Daniele sin dalle prime note nella colonna sonora? Io feci l'uno e l'altro, in una lieta sorpresa e soprattutto in quell'entusiasmo di sentire un profondo senso di appartenenza, di rappresentanza, di cui un adolescente non può fare a meno. Del loro genio mi cibavo e tramite loro imparavo il mondo dei grandi. Pino e Massimo facevano la differenza, sempre: tante canzoni per ritrovarsi in compagnia, ma "Terra mia" conquistava il silenzio; tante battute per ridere, ma "Vafanculo tu e Mammina!" sedava tutto il rancore avverso le regole.
 Eppure non era mai facile l'approccio alle novità dei due artisti. Ogni nuovo album di Pino, al primo ascolto, era da buttare. Ogni film nuovo di Massimo era una delusione. Ma tornavo ad ascoltare i dischi, riguardavo le scene dei film, e imparavo il nuovo passo. E capivo il teatro, amavo sempre più il cinema, apprendevo la canzone napoletana, incontravo il blues ed il jazz.

 Massimo riuscì ad affermare l'insussistenza della condizione di emigrante per il napoletano che si recasse in Toscana. Questo certamente mi sostenne in quella che pure poteva essere interpretata come una fuga piuttosto che come una scelta: quella di studiare all'università pisana. Fu come fu. Non mancai di portarmi la chitarra e la musica in quel periodo, senza che me ne rendessi conto, conquistò il centro della mia vita. Troppo tardi per divenire anche base di sussistenza ma appena in tempo per evolvere in passione autentica. L'ambiente universitario della città alfea mi appariva più libero della provincia in cui ero schiacciato, pur se ai margini della metropoli più affascinante che abbia conosciuto, e mi dava più opportunità per confrontarmi. Conobbi amici con cui intrapresi progetti un tempo impensabili.
 Con uno ancora condivido moltissimo: oggi dottor Masciari, per me sempre Giosue, immancabile metà di un sodalizio immarcescibile in cui Pino Daniele occupa una posizione preminente. Qualche volta mi sono trovato a riflettere noi in Massimo e Pino: Giosue più estroverso ma per necessità di vincere la timidezza, io un po' più introspettivo ma per non perdere lo spunto creativo. Per carità: assolutamente nulla a che vedere con lo spessore dei due grandi. Ma quella è una coppia ispiratrice, per me, per il mio sodalizio.
 Dieci anni ci separano da loro, tra loro 758 giorni dalle rispettive nascite, tra me e Giosue 765...
 Oggi, 4 giugno 2015, fanno vent'anni dalla morte di Massimo. Cinque mesi dal 4 gennaio nella cui sera è finito Pino. Massimo era consapevole di aver appena finito di compiere la sua ultima opera cinematografica, Il postino, cui diede tutto quello che poteva dare. Pino aveva un'agenda densa di concerti ed un nuovo progetto musicale in cantiere. Entrambi lasciano a me, a Giosue, a tutti un parimonio di cultura che deve continuare ad arricchirsi anche se adesso è ben più difficile di ieri. Ne hanno caricate loro di sporte d'aglio. Che il sole d'oro che hanno acceso ci dia forza ogni mattina. E allora: saglie, saglie!

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