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domenica 25 aprile 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 25 aprile.
Il 25 aprile 1719 Daniel Defoe pubblica in Inghilterra il suo Robinson Crusoe.
Scampato da poco al naufragio e scagliato dai flutti sull' isola sconosciuta e solitaria, Robinson Crusoe, appena sistematosi in un provvisorio riparo, organizza un sistema per misurare il tempo e stende - nell' angoscia della sua situazione e nell' incertezza della sua sorte - un vero e proprio bilancio (anzi Bilancio, con la maiuscola) «dello stato dei suoi affari», dei beni e dei mali della sua condizione, naufragato ma sopravvissuto, tagliato fuori dal mondo ma in un'isola non troppo inospitale né pericolosa, solo ma fornito di molte cose utili portate dal mare sulla spiaggia. Steso in vere e proprie tabelle, questo rendiconto del dare e dell'avere libera la mente di Robinson dall'ansia per la sua situazione, impedisce alla sua ragione di precipitare nel panico; non riguarda una sfera dell'attività, bensì la vita intera e viene recepito con un piacere fisico, quasi sensuale, come i ruvidi abiti sulla pelle, il calore del fuoco, gli odori della foresta. L'epopea borghese alla conquista del mondo sconosciuto, di cui il romanzo di Defoe è la prima e più grande espressione poetica, vive l'economia come forza vitale, il fluire del denaro come l'impetuoso scorrere del sangue; anche la contabilità è avventura, come i traffici e i naufragi che essa registra.
Sull' isola deserta di Robinson il denaro non c'è e non serve; non esiste il valore di scambio: «solo aveva Valore ciò di cui potevo fare Uso». Ma la partita doppia abbraccia tutto, la costruzione della casa nel bosco, l'esplorazione dei dintorni, la caccia, la paura, la preghiera e la fede nella Provvidenza, come diceva Marx; il tempo, in quella lotta solitaria per la sopravvivenza, è più che mai denaro. Le bufere della natura travolgono l'esistenza e l'ordine prestabilito, ma ogni azione umana è Progetto, disegnato razionalmente e vissuto con passione; nessuna opera - dice Robinson nella selva - «può essere intrapresa prima di averne calcolato i Costi». Se per Rousseau Robinson, come Venerdì, è il prototipo dell'uomo naturalmente buono che, lontano dai vizi della società, inventa da solo la civiltà, e se per Kant egli è l'individuo moderno nostalgico di innocenti paradisi naturali ma consapevole di costruire un progresso e una civiltà che se li lasciano indietro e li rendono impossibili, Marx ha visto nell'eroe di Defoe «l'imprenditore di se stesso» che si muove come se la benevola «mano invisibile» dell' economia liberista reggesse pure la natura ovvero come se i processi economici fossero naturali, finendo invece per provare che tutto, anche la vita dell'individuo solo in un'isola remota, è società. Un grande libro non si esaurisce mai nelle interpretazioni ideologiche, le quali non lo impoveriscono bensì lo arricchiscono, dimostrando la sua inesauribile ricchezza che a ogni epoca, come a ogni lettore, svela nuovi aspetti e nuovi significati, rispondendo alle diverse domande delle generazioni che si susseguono. Marx che legge e discute il Robinson Crusoe è come Platone che legge e discute Omero, andando magari al di là di lui ma solo grazie a lui e ritrovandoselo ogni volta inaspettatamente davanti.
Robinson Crusoe è il libro d'avventura per eccellenza, uno di quei grandissimi libri di cui ogni riga è insostituibile, ma la cui grandezza è tale da poter essere colta perfino attraverso riduzioni e rifacimenti riassuntivi, come quelli che, nell'infanzia o nell'adolescenza, hanno fatto conoscere a quasi tutti noi per la prima volta quella storia immortale, il cui senso essenziale balenava pure in quei sempliciotti adattamenti. Come l'Odissea, il Don Chisciotte o Guerra e pace, pure Robinson lo si legge e rilegge nella vita tante volte, scoprendovi strati sempre nuovi, ha scritto Alberto Cavallari, cui si deve non solo una mirabile traduzione del romanzo (Feltrinelli, 1993), ma anche un ampio saggio introduttivo - L'isola della modernità - di altissima qualità, che dice sostanzialmente tutto sul libro, le sue interpretazioni e le sue trasformazioni nel tempo e che non si può fare a meno di parafrasare. A differenza di altri generi narrativi, come il romanzo psicologico, in quello d'avventura può accadere e accade di tutto, le svolte più impensabili, mutamenti di orizzonti e di identità, cavalcate e disarcionamenti. Sotto questo profilo, anche il romanzo avventuroso più ingenuo è quello più vicino alla realtà, perché pure la realtà più prosaicamente uniforme è suscettibile, in qualsiasi momento, dei rovesci più imprevedibili. Quella grande libera avventura di Robinson, che allarga il cuore e lo apre a paesaggi sconfinati e a peripezie azzardate e tenaci, è anche una delle più grandi parabole della nascita della modernità, di cui Defoe è «un Padre Fondatore» (Cavallari). Robinson prosegue e capovolge il romanzo d'avventura e di viaggio dei secoli precedenti; la sua penna conquista l'ignoto e l'immaginario alla realtà e alla conoscenza, anche puntigliosamente pratica e utilitaristica, dilatando per altro il viaggio a nuova allegoria morale dell'individuo moderno. Robinson è il nuovo homo oeconomicus, un protestante capitalista asceticamente dedito al lavoro; Defoe, che ha pure narrato in altri capolavori - poeticamente forse ancora più grandi - le spregiudicate gesta erotiche di Moll Flanders e Lady Roxana, fa di Robinson un personaggio senza vita sessuale, «Adamo senza Eva» (Cavallari): nella penultima pagina, matrimonio, paternità e vedovanza dell'eroe sono riassunti in due righe e mezza, su un totale di 300 pagine. Col buon selvaggio Venerdì Robinson vive in fraterna e democratica amicizia, ma egli è pure sovrano e signore dell'isola, avanguardia della colonizzazione bianca, incarnazione bifronte dell'ambiguità del progresso, che porta civiltà e dominio, libertà e nuove schiavitù, in una tragica spirale che segna il peccato originale della modernità.
In molte storie precedenti di mare e di naufragio, l'isola cui approdavano tanti fuggiaschi, ammutinati e ribelli, era un asilo, un luogo di purezza e libertà in cui sfuggire ai mali della storia e della società; per Robinson - come per tanti suoi imitatori - essa è invece dapprima patita come esilio dalla civiltà e poi goduta quasi come colonia. Profondamente religioso, Robinson è l'alfiere di una religione illuminista del progresso e della tecnica che poco a poco assorbe ogni trascendenza in una spietata e livellante secolarizzazione; come Ulisse dissolve con la sua razionalità l'incanto - e l'orrore - del mito, delle sirene e dei ciclopi, Robinson stritola la poesia della vita nella ferrea esecuzione del Progetto, nella finalità sociale cui vengono sottomesse tutte le diversità dell'esistenza e il romanzo è la poeticissima e sobria rappresentazione di questo trionfo della prosa borghese. Defoe è insieme neutrale cronista, fantasioso cantore e inevitabile smascheratore del nuovo homo oeconomicus destinato a dominare il mondo e del capitalismo, la forza più rivoluzionaria, sovversiva e sradicante della storia, con la sua vitalità creatrice, distruttiva e autodistruttiva come il fato. Non a caso egli è uno dei creatori se non il creatore - dopo Don Chisciotte - del romanzo moderno, il genere letterario che assume nella sua stessa forma la vitalità, la volgarità, la prosaicità, il compromesso, la contraddizione della modernità borghese. Defoe coglie questo mondo nei suoi grandi romanzi e pure lo incarna spregiudicatamente nel suo lavoro di grandissimo giornalista che, consapevole di quanto condizionata dal potere economico sia la libertà di stampa, riesce a dire la verità imbrogliando i suoi datori di lavoro, passando dai liberali ai conservatori per esprimere idee liberali, spesso stipendiato dagli uni quando lavora per gli altri, ricorda Cavallari. Come diceva Trevelyan, egli è il primo che vede morire il vecchio mondo con occhi moderni; il primo ad avvertire che l'Europa e l'Occidente non riuscivano più a capire, a esorcizzare, a integrare l'Altro che andavano scoprendo e conquistando né a sbarazzarsi del suo fantasma.
Come si conviene al capolavoro di un autore spesso squattrinato ma consapevole del nuovo ruolo del denaro e del mercato, Robinson Crusoe fu il primo bestseller della letteratura mondiale: nella bibliografia di Ullrich, edita nel 1898, si parla di 196 edizioni, molte delle quali uscite in pochissimi anni dopo la prima, e di 110 traduzioni (anche in gaelico, in bengali, in turco). Il romanzo ha avuto inoltre subito innumerevoli imitazioni e rifacimenti, specialmente in Germania; le cosiddette Robinsonaden, il cui numero oscilla intorno alle 200-250, anche se è difficile stabilire una cifra precisa, perché spesso si sovrappongono e si plagiano a vicenda. C'è un Robinson olandese (1721), e negli anni seguenti un francese, un tedesco, un sassone, un nordico, un vestfalo, uno svedese, un americano, un inglese, uno slesiano, uno spagnolo, un basso-sassone, una Madamigella Robinson; ci sono anche un Robinson medico, un libraio e uno «filosofeggiante», c'è quello pedagogico di Campe (1779); altri romanzi non recano il nome nel titolo, ma ricalcano il naufragio sull'isola deserta, la costruzione della casa e dunque del mondo, l'incontro col selvaggio. Sono romanzi influenzati da Defoe, ma anche da altri testi come La storia dei Sevarambi del francese Denis Vairasse o La Terre Australe di Gabriel Foigny, pervasi da quell'inquietudine e da quella crisi della coscienza europea - magistralmente analizzata nel vecchio omonimo libro di Paul Hazard - che, svincolandosi dal classicismo assolutistico e dogmatico del Seicento e scoprendo nuovi mondi, metteva in discussione se stessa e sognava terre sconosciute e vergini quale teatro di utopie politico-morali, sede di favolosi regni di pace, di uguaglianza, di libertà religiosa, di comunità di beni e comunione sessuale. L'utopia è l'orizzonte di queste avventure di mare e di naufragio, il sogno di un felice Stato di natura, ma Robinson, l'uomo nuovo di questo sognato mondo nuovo, è in realtà la svolta della Storia che avanza a distruggere i presunti paradisi, anche se spesso quest'avanzata assume l'illusoria forma di una fuga, come accade nella più bella - l'unica veramente bella - robinsonata, L'Isola Felsenburg ovvero Meravigliosi destini di alcuni naviganti del tedesco Johann Gottfried Schnabel (1731), in cui diverse persone dalle travagliate vicende approdano all'isola per fondarvi un'utopica comunità patriarcale. Come accadrà, con ben altre inquietudini e profondità, nel mito dei Mari del Sud di Melville, Stevenson o Gauguin, l'isola è spesso paradiso erotico, libero e insieme innocente. Nel Joris Pines (1726), rifacimento di un testo più antico, la comune sessuale è anche comunità incestuosa e nel Robinson tedesco la madre del protagonista si accoppia pure a uno scimmione, dandogli dei figli. Licenziosità e moralismo edificante convivono spesso in questi romanzi, molti dei quali non sono meno dozzinali e melensi dell Isola dei famosi, l'odierna robinsonata televisiva; il passato è ricco di bellezza e di stupidità come il presente.
Il mito di Robinson ha continuato a vivere in rielaborazioni pedagogiche, rifacimenti d'appendice, racconti per ragazzi come lo stucchevole Robinson svizzero del parroco Wyss, e testi di prima qualità, da Venerdì o il Limbo del Pacifico (1967) di Michel Tournier, in cui il selvaggio converte il borghese a una magica esistenza primitiva, alla Parete dell'austriaca Marlen Haushofer (1963), vicenda di una donna unica sopravvissuta a una misteriosa fine del mondo, sino a L'uomo nell'olocene (1979), forse il capolavoro di Max Frisch, anch' esso pervaso dal senso di irreparabile, ironica e tragica fine dell'individuo nell'alluvione della natura e della storia. La robinsonata totale, secondo Adorno, l'ha scritta Kafka, nei cui testi l'uomo è solo e naufrago in una realtà inesplicabile. Non c'è fine al naufragio, ma neanche inizio. Così come Selkirk, il marinaio naufragato le cui vicende hanno ispirato Defoe, aveva trovato sull'isola un altro arrivato prima di lui, Will il Mosquito, quasi ogni Robinson trova sulla sua isola un predecessore oppure tracce della sua permanenza: quello sassone trova un vecchio spagnolo, quello tedesco addirittura il cadavere di suo padre, altri trovano scritti di naufraghi morti da tempo, in cui si parla di altri naufraghi ancora più antichi e così via, in quel «pozzo del passato» che affascinava Thomas Mann e di cui non si tocca mai il fondo. L'origine è più incerta, inattingibile e infondata della fine; forse non esiste e il naufragio - il male, il dolore, l'insensatezza e la resistenza a tutto questo - si ripetono da sempre. Non per nulla Camus sceglie una frase di Defoe quale epigrafe per La peste.

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