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venerdì 29 gennaio 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 29 gennaio.
Il 29 gennaio 1860 nasce Anton Cechov.
Cechov vide i natali a Taganrog sul mar d'Azov nel 1860 da una famiglia di umili origini. Il padre Pavel Egorovic, descritto come un tiranno, manda avanti una piccola drogheria, ed è figlio di un servo della gleba riscattatosi grazie ad una somma di denaro. La madre, Evgenija Jakovlevna Morozova, proviene da una famiglia di commercianti. Dopo il fallimento della drogheria del padre, Anton fu costretto a guadagnare da vivere per sé e per la numerosa famiglia che comprendeva altri cinque fratelli. Dopo aver concluso il liceo, raggiunse nel 1879 i genitori, che tre anni prima si erano trasferiti a Mosca.
A diciannove anni, grazie ai suoi primi lavori letterari e giornalistici pubblicati con vari pseudonimi su riviste umoristiche, che gli assicurarono un piccolo guadagno, iniziò gli studi di medicina. L'arte narrativa di Cechov venne riconosciuta e lodata per primo dallo scrittore Dmitrij Vasil'jevic Grigorovic. Strinse un legame di amicizia con Alexis Souvorine, direttore del giornale conservatore di Pietroburgo Novoe Vremja (Tempo Nuovo), che diventò anche il suo editore. Nel 1884, anno in cui conseguì la laurea e iniziò ad esercitare la professione di medico, riuscì a pubblicare, con lo pseudonimo di Antosha Cekhonte, la sua prima raccolta di novelle, Le fiabe di Melpomene, a cui seguì (con lo stesso pseudonimo) una raccolta di "Racconti variopinti" (1886), brevi racconti umoristici sulle vicende di impiegati statali e piccoli borghesi.
Iniziò così per Anton Cechov l'attività di scrittore a tempo pieno. Collaborò con molte altre importanti riviste letterarie russe come "Pensiero russo", "Il Messaggero del Nord", "Elenchi russi". Presto raggiunse una grande fama, tanto da divenire uno dei più letti scrittori russi e da rivaleggiare con Lev Nicolajevic Tolstoj nel campo della popolarità in Russia.
Dal 1887 cominciò la stesura dei suoi più celebri racconti, presentati finalmente con il suo nome reale. Abbandonato lo stile umoristico, la caratteristica dominante della sua scrittura diviene il pessimismo del triste scorrere della vita, interrotto talvolta da spiragli di speranza e fede nel futuro. Alcuni dei più noti sono: Miseria (1887), Kastanka (1887), Nel crepuscolo (1887), Discorsi innocenti (1887), La steppa (1888), La voglia di dormire (1888) (per il quale riceve il Premio Puškin, dall'Accademia delle Scienze), Una storia noiosa (1889), Ladri (1890), La camera n. 6 (1892), Il duello (1891), La corsia (1892), Mia moglie (1892), Il racconto di uno sconosciuto (1893), Il monaco nero (1894), La mia vita (1896), I contadini (1897), Un caso della pratica (1897), L'uomo nell'astuccio (1897), La signora col cagnolino (1898), Nel burrone (1900).
Nel 1890 Cechov si recò, attraversando la Siberia, nell'isola di Sachalin, dove era situata una grande colonia penale, scrivendo un resoconto molto documentato, di taglio sociologico e psicologico, sulle condizioni di vita dei reclusi («tutto ciò che c'è di terribile nella vita si deposita in qualche modo nelle carceri»). La pubblicazione de L'isola di Sakalin, nel 1893, avrà una grande risonanza, portando alla abolizione delle punizioni corporali, oggetto del libro-denuncia.
Nel 1891 Cechov si reca in Francia e in Italia, tornando però presto in patria. Affetto da tubercolosi, spese la maggior parte degli anni seguenti nella sua casa, all'interno della tenuta di Melichovo vicino a Mosca, acquistata nel 1892, riunendo tutta la famiglia e dove si dedicò a curare il suo giardino. In questo periodo scrisse, oltre a numerose opere, il suo più celebre dramma, Il gabbiano. Nel 1895 conobbe Lev Tolstoj, con cui strinse un'amicizia durevole. Non riprese più la professione medica se non in caso di gravi emergenze, come l'epidemia di colera del 1892–1893 durante la quale si adoperò per lo più gratuitamente. Nel frattempo scrisse il terribile racconto intitolato Mugichi (1897).
Nel 1897, al peggiorare della tubercolosi, dovette ammettere la gravità della sua malattia: venduta la tenuta di Melikhovo, soggiornò per diverso tempo in case di cura in varie località europee, a Biarritz, Nizza, fino a stabilirsi nel 1899 a Yalta , nel clima secco della Crimea. Qui riprese la sua passione per la natura, curando un nuovo giardino. Nonostante il malore, il suo impegno sociale continua nella costruzione di tre scuole. Nel 1899, promuove una raccolta di fondi a favore delle popolazioni della regione del Volga, colpite dalla carestia.
Nel 1900 venne eletto membro onorario dell'Accademia russa delle scienze, carica da cui diede le dimissioni due anni dopo, contestando l'espulsione di Maksim Gor'kij. Nel 1901, già minato dalla malattia, sposò la celebre attrice del Teatro d'arte di K. Stanislavskij, Olga Knipper, che è stata una delle migliori interpreti delle sue opere teatrali.
Dopo il grande successo della sua ultima commedia, Il giardino dei ciliegi, nella speranza di una guarigione, si recò in Germania, a Badenweiler, località della Foresta Nera. Si spense qui il 2 luglio 1904, assistito dalla moglie. Aveva 44 anni, ed era all'apice della sua fama di scrittore e di drammaturgo.
Le commedie di Cechov rappresentano una pietra miliare della drammaturgia di tutti i tempi.
All’inizio del XX secolo, sui suoi testi teatrali il regista Kostantin Stanislavskij elaborò una nuova metodologia della recitazione, per adeguare l'arte drammatica alla espressione di stati d'animo complessi, delle sfumature emozionali di personaggi apparentemente quotidiani ma portatori di istanze attribuibili ad ogni essere umano.
Anatolio Lunaciarskij, nella commemorazione cecoviana in occasione del venticinquesimo anniversario dalla morte dello scrittore, disse che ben pochi tra gli scrittori del passato hanno saputo essere così chiaroveggenti e così infallibili nel guidare gli uomini attraverso il labirinto della vita di ieri. Lo stesso Cechov sembra rispondere con le parole di Olga ne "Le tre sorelle": (come se chiedesse, perché mai, oggi come ieri, quel tempo sia ancora lontano).
Nessuno tra gli scrittori della vecchia Russia, ormai scomparsa perfino nelle sue più vaghe ombre sotto il martellare continuo degli eventi che distruggono implacabilmente il passato, ha saputo ritrarre nella sua produzione artistica tutta la confusione spirituale della vita russa, la tragedia sconfinata della grigia mediocrità, l'esistenza scialba e gretta senza ideali e senza mète o al contrario con troppi ideali e troppe mète, la vita sciupata di uomini corrosi dalla consapevolezza dell'inutilità della loro vegetazione improduttiva, schiavi dell'abitudine di vivere. Carlo Grabher (traduttore delle opere di Cechov) afferma: I veri eroi cecoviani soffrono di non sapere e la loro volontà, sebbene si spezzi dinanzi all'azione e si ripieghi vinta, non rinuncia, almeno, a un'aspirazione iniziale; essi vorrebbero sapere, vorrebbero agire, vivere, e questo slancio impotente, costituisce il vero principio dinamico del loro dramma. L'anima dei veri eroi cecoviani, si trova in una situazione spirituale di una ambiguità delicatissima: essi non amano la loro vita, perché non sanno viverla.

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