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giovedì 14 gennaio 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 14 gennaio.
Il 14 gennaio 1985 Martina Navratilova vince per la centesima volta un torneo di tennis.
 Martina Navratilova nasce a Praga (attualmente Repubblica Ceca, ex Cecoslovacchia) il 18 ottobre del 1956.
I monti Krkonose, i Monti dei Giganti che confinano con la Polonia, sono stati la cornice della sua prima infanzia; su quelle nevi la madre Jana, maestra di sci, le impartì le prime lezioni e lì nacque la sua passione per la montagna (tuttora la residenza di Martina è ad Aspen, nello stato del Colorado). L'incontro fatale con il tennis avvenne qualche anno più tardi, sui campi in terra rossa di Revnice, il paesino nella campagna boema, poco distante da Praga, in cui la madre si trasferì verso il 1960, dopo la separazione dal marito. Il tennis era una tradizione nella famiglia di Martina: la nonna materna, Agnes Semanska, aveva fatto parte della nazionale cecoslovacca negli anni antecedenti la seconda guerra mondiale. La piccola Martina trascorreva interi pomeriggi palleggiando contro il muro di casa con la racchetta di legno della nonna, e seguiva la madre quando si recava a giocare presso il locale club di tennis. Poi arrivarono le lezioni sul campo: il primo maestro di Martina fu l'amato patrigno Mirek Navratil, sposatosi con la madre nel 1962.
“Un giorno vincerai Wimbledon”; così Mirek spronava il suo talento, invitandola ad attaccare, a scendere a rete il più possibile, a costruire un gioco creativo e spettacolare. Il gioco al quale Martina ci abituò per tanti anni: estroso, istintivo, a tratti quasi “maschile” nella sua spregiudicatezza. La piccola mancina arrivò alle semifinali nel primo torneo disputato, all'età di otto anni, e dai dieci anni in poi iniziò a collezionare esperienza e successi in molti tornei giovanili, sia in patria che all'estero. Le lezioni prese al Klamovka Park di Praga da George Parma, il più grande tennista cecoslovacco di quei tempi, raffinarono ulteriormente la sua tecnica. A nove anni Martina iniziò a maturare l'idea di diventare una tennista professionista, dopo aver assistito con il padre ad un incontro di Rod Laver, il campione australiano vincitore di due Grandi Slam, che stava giocando un torneo a Praga. Due anni più tardi segnò il destino, suo e del suo paese, uno dei momenti più drammatici della storia cecoslovacca, che abbattè definitivamente la tacita speranza di rinnovamento covata dal popolo ceco dalla conquista sovietica del 1948 in poi. La mattina del 21 agosto 1968 i carri armati sovietici entrarono a Praga, stroncando quella che i libri ricordano come la Primavera di Praga, nel corso della quale Alexander Dubcek aveva tentato di imboccare la via del cosìddetto “socialismo dal volto umano”. Venne avviato in seguito un rigido processo di normalizzazione. Martina si trovò a crescere in un paese profondamente cambiato, più triste, certamente più povero, schiacciato da una dittatura che usava lo sport e i suoi campioni come meri strumenti di propaganda. Provò a vivere secondo i loro dettami nei primi due anni di professionismo, e questi non fecero che rafforzare in lei la decisione di lasciare il paese.
Numero uno nelle classifiche nazionali da oltre un anno, nel 1973, all'età di sedici anni, Martina divenne professionista. Fu proprio in quell'autunno che potè compiere il suo primo viaggio negli Stati Uniti, il paese in cui prendeva forma la libertà tanto sognata, il paese di DisneyWorld, dei suoi attori preferiti visti al cinema (Katherine Hepburn, Spencer Tracy, Ginger Rogers, Fred Astaire), nonché degli hamburger e di un consumismo a lei completamente estraneo. Al torneo di Akron Martina giocò il primo di quella lunga serie di incontri che avrebbero generato la più bella rivalità nella storia degli sport individuali. Quel giorno nell'Ohio vinse Chris Evert, già graziosa reginetta del tennis e beniamina indiscussa del pubblico americano. Nell'agosto del 1975, frustrata dalle continue intromissioni nella sua programmazione dei tornei da parte della Federazione Cecoslovacca, che zittiva ogni sua protesta con la minaccia di non concederle più permessi d'espatrio, Martina lasciò definitivamente la terra natia e volò negli Stati Uniti per giocare gli Open, dove giunse in semifinale, sconfitta dalla Evert. Di lì ad un mese ottenne la Green Card, il permesso di soggiorno. Diciannovenne, aveva lasciato la sua patria, che dopo averla assurta per anni ad icona dello sport nazionale, ora la privava della cittadinanza, dichiarandola "persona non desiderata", e nella quale solo nel 1986, in occasione della Federation Cup, le venne concesso un breve rientro, sotto la rigida sorveglianza che spetta ai dissidenti politici. Ma aveva lasciato anche la vita da studente, le partite ad hockey su ghiaccio con gli amici e, soprattutto, la famiglia. Temeva che non le sarebbe più stato possibile rivedere i suoi cari; effettivamente, potè riabbracciarli solo quattro anni dopo. Furono difficili i primi periodi negli Stati Uniti, e non segnarono grossi successi in campo tennistico; la non perfetta forma fisica, dovuta ad un'alimentazione sbagliata, le valse inoltre l'ironico soprannome di “Great Wide Hope”, coniato dal giornalista Bud Collins.
Lentamente Martina cercò di crearsi delle radici nella sua nuova patria, circondandosi di buoni amici; un grande aiuto le venne offerto proprio da un'amica, la campionessa di golf Sandra Haynie. Insegnò a Martina come razionalizzare le tumultuose emozioni foriere di tanti scoppi d'ira, inutilmente dispendiosi in termini di energia e che la condannavano a perdere partite altrimenti alla sua portata. La nuova forma mentis regalò a Martina il primo grande risultato della sua carriera, avveramento della profezia paterna: l'8 luglio del 1978 si aggiudicò il torneo di Wimbledon, sconfiggendo in finale l'amica – rivale Chris Evert. E, con i punti così guadagnati, divenne per la prima volta la numero uno delle classifiche mondiali. Ci sarebbero voluti comunque molti anni ancora, prima che Martina potesse scrollarsi di dosso defintivamente l'etichetta di loser, di perdente, che gli americani le avevano ormai affibbiato; diventando addirittura, ironia della sorte e beffa per i giornalisti dalle sentenze facili, la giocatrice che ha vinto più di chiunque altro nella storia del tennis, maschile e femminile. Vicende sentimentali influirono sui suoi risultati tra il 1979 e il 1980, per cui vinse ancora Wimbledon nel '79, ma nessun titolo del Grande Slam l'anno seguente. In particolare, i media fissarono la loro attenzione sulla relazione con la scrittrice Rita Mae Brown, nota autrice americana di bestseller; Martina fece la scelta coraggiosa, e controcorrente in quegli anni, di dichiarare la propria bisessualità in risposta alle domande dei giornalisti. Pagò per la sua sincerità; la più grande tennista della storia non fu certamente anche la più sponsorizzata dalle aziende... Il 21 luglio del 1981, dopo sei anni trascorsi da apolide, Martina ottenne finalmente la cittadinanza americana. Coronò l'anno vincendo di nuovo un torneo dello Slam: gli Australian Open, sull'erba del vecchio stadio Kooyong di Sydney. Era l'inizio di una nuova fase nella carriera di Martina: quella dei grandi successi, dei guadagni e dei molti record. E, finalmente, degli applausi del pubblico, che iniziava a schierarsi dalla sua parte.
La “nuova” Martina era il frutto del duro lavoro di preparazione atletica messo a punto con Nancy Lieberman, giovane stella del basket americano negli anni Settanta, vincitrice di due medaglie d'oro alle Olimpiadi. La loro brillante collaborazione sportiva proseguì dalla metà del 1981 agli inizi del 1984. Il piano di allenamento mirava allo sviluppo delle potenzialità atletiche utili nel tennis, e spaziava dal sollevamento pesi allo stretching, dalla corsa agli esercizi per migliorare l'agilità fisica, comprendendo anche una adeguata dieta alimentare. In campo ebbe, per la prima volta da quando era diventata professionista, un'allenatrice, Renée Richards, alla quale fecero seguito Mike Estep e, dal 1989, Craig Kardon; insieme a loro Martina elaborò nuove tecniche d'allenamento, studiò ogni singolo aspetto del gioco, perfezionando l'esecuzione dei colpi ed adattandola ai mutamenti dell'attrezzo. Erano infatti gli anni in cui le racchette di legno cominciavano lentamente a venire sostituite con le nuove versioni oversize. Queste rivoluzionarono non poco il gioco; acquisirono sempre maggiore peso i fondamentali e la tecnica del fondocampo, e si assistette al graduale tramonto del serve and volley, di cui Martina sarebbe rimasta sempre più solitaria esponente. Nel 1982 una prodigiosa Martina mostrò al mondo intero la sua nuova forza, fisica e mentale; vinse la cifra record di 15 tornei nel singolare e - da non dimenticare - 14 tornei nel doppio, per un totale quindi di 29 tornei in un anno! Tra questi, il primo titolo sulla terra di Parigi e la prima delle sei vittorie consecutive sull'amata erba londinese. L'anno successivo si aggiudicò altri 15 tornei nel singolare (e 13 nel doppio); vinse per la prima volta, finalmente, gli Open della sua patria “adottiva” e si riconfermò campionessa a Wimbledon e in Australia, realizzando così un “Piccolo Slam". Nel 1984 completò nuovamente tre quarti di Slam: fu sconfitta nella finale della quarta tappa, quella australiana. L'ex connazionale Helena Sukova la bloccò proprio ad un passo dalla realizzazione del Grande Slam.
Ormai Martina aveva raggiunto e, per molti versi, superato, il livello della sua eterna rivale; ma Chris Evert non si diede per vinta. Con classe ed umiltà da vera campionessa si "rimboccò le maniche", inziando ad allenarsi duramente per adeguarsi alle nuove abilità di Martina, e cedette solo a caro prezzo lo scettro a lungo appartenutole. Ne risultò una rivalità bellissima, dignitosa, emozionante, mai scontata, che per quasi un decennio fece innamorare del tennis femminile gli sportivi di tutto il mondo. Martina e Chris offrivano uno scontro appassionante sul piano tecnico, con due modi differenti di interpretare il gioco: le spettacolari discese a rete, l'estroso serve and volley di Martina, contro l'attacco da fondocampo preciso, quasi “chirurgico”, di Chris. Ma offrivano anche uno scontro sul piano mentale: l'emotività, l'istintività di Martina, contro il controllo e la ponderazione razionale di Chris. L'eterna sfida terminò sul finire del 1988, con la vittoria di Martina nella finale del torneo di Chicago. L'anno successivo Chris Evert si ritirò dal professionismo; ricominciò da allora l'amicizia che le aveva legate in gioventù, e che gli anni di continua competizione avevano inevitabilmente affievolito.
Nell'agosto del 1987, dopo 331 settimane trascorse al vertice delle classifiche mondiali, Martina dovette cedere lo scettro a Steffi Graf. Per Martina fu l'inizio di un'era di nuovi scontri: quelli dell'ormai ex regina alle prese con giovani arrembanti, tutte tecnicamente più simili a Chris Evert, mentalmente agguerrite, dotate della spavalderia adolescenziale non intaccata dall'esperienza che segna l'età adulta. Nel 1990 Martina realizzò un ultimo, straordinario ed ambito, record: la nona vittoria a Wimbledon, su quell'erba che forse meglio di ogni altra superficie ha saputo valorizzare il suo gioco.
Il 1991 portò con sè non poche amarezze nella vita di Martina: la separazione da Judy Nelson, sua compagna per otto anni, si concluse con uno spiacevole procedimento giudiziario che le valse per mesi l'attenzione dei media americani. Dal marzo di quell'anno la nuova reginetta delle classifiche era la diciassettenne jugoslava Monica Seles, con la quale Martina giocò tre finali quasi consecutive: agli Us Open, a Milano - prima ed unica edizione femminile del torneo -, ai Virginia Slims Masters di New York. Il verdetto fu sempre il medesimo: partite belle, emozionanti, incerte sino alla fine, che negli ultimi games vedevano il sopravvento della maggiore resistenza fisica e dalla minore età di Monica. Il 21 febbraio del 1993 Martina ottenne quella che lei stessa definì come una delle vittorie più belle e significative della sua carriera: a 36 anni e 4 mesi sconfisse la numero uno in carica, Monica, in tre set molto combattuti. Il destino ha voluto che quella fosse la loro ultima sfida; il 30 aprile seguente Monica venne accoltellata da uno squilibrato durante un cambio di campo, nei quarti del torneo di Amburgo. Solo nell'agosto del 1995, mezz'anno dopo il ritiro di Martina, Monica Seles tornò alle gare, con grande coraggio e sollecitata in tal senso proprio da Martina, per cercare di riaccaparrarsi quello scettro assurdamente strappatole con la violenza.
Il 1994 viene ricordato come l'anno del farewell tour, il tour dell'addio; alla fine del 1993 Martina aveva infatti annunciato la sua intenzione di lasciare il professionismo al termine dell'anno successivo. Ebbe modo così di congedarsi dai tornei che più aveva amato in ventun anni di carriera, e dal suo pubblico. A Roma venne sconfitta in finale dalla spagnola Conchita Martinez e ricevette un'interminabile standing – ovation. Fu poi la volta di Parigi, dove perse al primo turno; commovente il commiato di "Queen of Wimbledon" dal suo torneo, nel quale giocò un'ennesima, inaspettata finale, sconfitta nuovamente dalla Martinez. Tornò a casa con un ciuffo d'erba come ricordo, immortalata dai fotografi nell'atto di strapparlo dopo la premiazione. Il 14 ottobre, al torneo di Filderstadt, Martina giocò il suo ultimo incontro in Europa. Il 15 novembre, l'addio. Al primo turno dei Masters di New York, sconfitta da Gabriela Sabatini. Nell'atrio del Madison Square Garden era esposta un'enorme palla da tennis, con impresse diecimila firme di ammiratori e tifosi di Martina, ed una semplice, eloquente, scritta: “Thanks for the memories”.
A partire dal 2000 tornò a giocare nei tornei di doppio, e occasionalmente in singolare. Nel 2003 vinse il doppio misto agli Australian Open e a Wimbledon, in coppia con Leander Paes. Questo la rese in quel momento la più vecchia vincitrice in un torneo del Grande Slam (a 46 anni e 8 mesi). La vittoria agli Australian Open la rese la terza giocatrice nella storia a vincere tutti e quattro i tornei del Grande Slam sia nel singolare femminile, che nel doppio, che nel doppio misto. La vittoria a Wimbledon le permise di uguagliare il record di Billie Jean King, di 20 titoli di Wimbledon (sommando singolari e doppi) e portò il numero complessivo di titoli del Grande Slam a 58 (seconda solo a Margaret Court, che ne vinse 62). La Navrátilová vinse un incontro di singolo nel primo turno del torneo di Wimbledon del 2004, a 47 anni e 8 mesi, diventando la giocatrice più anziana a vincere un incontro di singolo in un torneo del circuito professionistico nell'era Open.
Nel corso della carriera ha vinto 167 tornei di singolare (più di chiunque altro nell'era Open) e 178 titoli di doppio. Il 5 luglio 2006, a Wimbledon, ha annunciato il suo addio definitivo anche alle competizioni di doppio, entro l'anno, per «andare verso la mia vita futura, passare più tempo a casa, con la mia compagna (one-and-only) e con i miei animali, e dedicarmi di più ai miei interessi». Successivamente ha reso noto che gli US Open di New York sarebbero stati il suo ultimo torneo.
A meno di due mesi dai 50 anni, è riuscita a restare in vetta fino all'ultimo: il 21 agosto 2006, agli US Open, insieme al connazionale Bob Bryan, ha battuto nella finale del doppio misto, i cechi Kveta Peschke-Martin Damm (6-2 6-3 il punteggio) salutando il tennis giocato alla sua maniera: con l'ennesimo titolo del Grande Slam.
Nel dicembre 2010 è stata curata nell'ospedale di Nairobi per un edema polmonare acuto che ha colpito la tennista a quota 4.500 metri, durante un tentativo di scalata del Kilimangiaro. Nel dicembre 2014 si è sposata con Julia Lemigova, sua compagna da diversi anni.

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