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martedì 8 dicembre 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è l'8 dicembre.
L'8 dicembre 1976 esce negli Stati Uniti l'album "Hotel California" degli Eagles, che venderà oltre 16 milioni di dischi.
E' il 1976, non un anno a caso. Gli USA si apprestano a festeggiare il bicentenario dell'indipendenza e James Earl Carter, un giovane Democratico, si è appena insediato alla Casa Bianca. Il nuovo Presidente si fa chiamare Jimmy, come potrebbe chiamarsi il vicino di casa di ogni Americano, rifiuta le formalità e dispensa larghi sorrisi ai media, quasi a voler rassicurare la popolazione che il "new deal" proseguirà a dispetto dell'alternanza politica: a qualcuno sembrerà incredibile ma questo lavoro getta le sue solidissime basi proprio a partire da qui.
Gli Eagles hanno appena sostituito il "purista acustico" Bernie Leadon con il "rampante elettrico" Joe Walsh: Bernie se n'è andato sbattendo la porta ed a Joe è stata riaperta con tanto di passatoia stesa mentre Randy Meisner, corpulento bassista del Nebraska, comincia a dare segni di insofferenza.
Gli aquilotti sono all'apice della fama, One Of These Nights è stato un successo commerciale ed un tour trionfale attorno al globo, la raccolta che segue, Eagles-Their Greatest Hits 1971-1975, polverizza ogni record ma la defezione di Leadon offre il polpaccio al crotalo di turno della carta stampata e la band viene accusata di aver "perso il fuoco sull'impegno sociale" oltre che di "decadenza fisica" (Henley, il "vecchio", ha solo 29 anni...).
Benché nasca in questo clima non certo da idillio, Hotel California è un concept album che tratta del "sogno Americano"; il solito Henley affermerà: "è stato tutto ok per 200 anni ma ora dobbiamo sforzarci di cambiare per andare avanti..."
I ragazzi hanno ormai sufficiente esperienza musicale e di show-business da potersi considerare navigati e disillusi e parlano con disinvoltura di altari e polvere, stelle e stalle, sogni infranti da un sano pessimismo cosmico ma, alla fine, c'è sempre la voglia di ricominciare e la speranza di un nuovo futuro.
Per quanto riguarda la "title song", l'intelligente progressione armonica pare sia farina del sacco di Don Felder ma quello che rimane impresso è lo splendido assolo finale in cui si alternano prima ed intrecciano poi le chitarre di Felder e Walsh.
Il testo, geniale nelle sue immagini grottesche e a tinte forti, è opera di Don e Glenn e parla di un viaggiatore che si ferma in uno strano albergo nel quale rimane, suo malgrado, intrappolato. Il significato è proprio quello della vita agli estremi verso la quale vengono spinti i forestieri approdati nel microcosmo californiano di quegli anni: è doveroso, infatti, ricordare come nessun membro della band abbia radici nel Golden State e come L.A. appaia tentacolare ed intrigante nei confronti dei nuovi arrivati.
Il 7 Maggio Hotel California balza in testa alla classifica, l'album venderà 16 milioni di copie nei soli Stati Uniti e i Grammy Award come miglior brano e miglior album saranno una più che logica conseguenza. Innumerevoli le cover ma citeremo quella dei Gipsy King divenuta famosa anche in Italia ed inserita nella colonna sonora del film Il Grande Lebowski. Tra le versioni più apprezzate da notare quella acustica, inserita nell'album Hell Freezes Over del 1994, e quella presente nel DVD del Live in Melbourne: Farewell Tour I, dove l'intro di chitarra è preceduta da un'interessante ouverture di tromba, suonata da Al Garth, che ricorda vagamente il Concierto de Aranjuez di Joaquin Rodrigo.
Sono fiorite una quantità di leggende relative a presunti significati oscuri nel brano Hotel California ma sono tutte quante prive di fondamento. Un'ipotesi parla di una metafora riguardante il cancro, un'altra parla di un'allegoria sull'uso e la dipendenza da stupefacenti. Secondo un'altra teoria, il brano sarebbe riferito al Camarillo State Mental Hospital, un manicomio della California, ed agli abusi cui sarebbero stati sottoposti i pazienti. L'equivoco pare dovuto al campanile dell'edificio nel quale alcuni identificano il "mission bell" citato nel testo.
La più diffusa e bizzarra congettura, invece, riguarda significati satanisti. Ciò che ha acceso la miccia sono alcune frasi considerate sibilline: "they can't kill the beast" e "we haven't had that spirit here since 1969". Mentre la prima non ha bisogno di spiegazioni, la seconda sarebbe un cervellotico riferimento alla strage di Bel Air, avvenuta appunto il 9 Agosto di quell'anno.
C'è chi addirittura si è preso la briga di far scorrere il disco al contrario per individuare tre presunte frasi, verso la fine del brano: "The evil thing named blister" (la cosa cattiva chiamata vescica - intesa come bolla da sfregamento o ustione - n.d.w.), "Are you playing the end with the scanner" (stai suonando la fine attentamente?) e "Oh, his own wise self and his magic self" (oh, la sua sapienza, la sua magia).
Si dice che nella foto di gruppo sul retro di copertina, a destra, spuntino due diavoli e in un arco superiore si possa notare la testa rasata di Anton Lavey, fondatore della "chiesa di satana" a San Francisco.
Persino facendo scorrere al contrario Wasted Time si potrebbe udire "...I have a mind of satan...".
Le "colitas" nominate nella prima strofa sarebbero profumati fiori tipici dei climi aridi. Sembra probabile, invece, stavolta, che il termine sia inteso come "piccole code" ossia le cime della pianta di marijuana.
La frase "steely knives" si direbbe un scherzo nei confronti della band Steely Dan che nella loro Everything You did canterebbero "turn up the Eagles, the neighbors are listening!".
Molti alberghi della zona, tutt'oggi, si attribuiscono la paternità sull'ispirazione del brano ma Henley ha smentito più volte queste fantasie ed in effetti l'hotel che appare in copertina esiste ancora ed è il Beverly Hills Hotel di Los Angeles.

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