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giovedì 26 ottobre 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 26 ottobre.
Il 26 ottobre 1860 Giuseppe Garibaldi e re Vittorio Emanuele II hanno lo storico incontro, alla fine dell'impresa dei Mille.
Ancora oggi ci si chiede l'esatta collocazione dell'incontro fra i due Grandi della storia del nostro Risorgimento. Due comunità si contendono l'importante convegno.
Dopo la battaglia del Volturno, vinta dai volontari di Garibaldi, la situazione militare desta qualche preoccupazione per i generali del Dittatore. L'esercito Borbonico, ancora forte di circa cinquantamila uomini, è trincerato oltre il Volturno, nelle fortezze di Capua e Gaeta. Gli uomini di Francesco II non rimangono sulla difensiva ma spesso operano qualche limitato contrattacco. Garibaldi mantiene l'assedio di Capua e Gaeta disponendo di dodici o tredicimila uomini. Vorrebbe prendere Capua senza troppo spargimento di sangue, che lui ritiene fraterno, evitando il bombardamento indiscriminato della cittadina. Ma intanto i tempi stringono, i volontari sono stanchi e sfiduciati. Bixio, Medici, Tùrr e lo stesso Cavour, insistono presso Garibaldi affinché faccia votare il Plebiscito e l'annessione, prima che i Borbone organizzino una forte controffensiva e ritornino a Napoli.
Si dice che lo stesso Medici, all'insaputa del Generale abbia scritto a Cavour implorando Vittorio Emanuele di venire in soccorso di Napoli. Garibaldi che era cosciente della realtà, il 4 ottobre aveva già scritto al Re invitandolo a fare una passeggiata, nella capitale dell'ex Regno delle Due Sicilie, con almeno una divisione… "Avvertito in tempo, io congiungerei la mia destra alla divisione suddetta, e mi recherei in persona a presentarle i miei omaggi e ricevere ordini per le ulteriori operazioni".
Vittorio Emanuele non aspettava altro. Il 15 ottobre passava il fiume Tronto ed entrava nel Regno di Napoli. Il 26 ottobre 1860, termina la grande avventura delle camicie rosse. Garibaldi consegna a Vittorio Emanuele II il Regno delle Due Sicilie e lo saluta "Re d'Italia".
La storia risorgimentale dà molta enfasi a quest'incontro che segnò una tappa storica per la nuova Italia. L'incontro avvenne nei pressi di Teano, senza troppe formalità, anzi con molta freddezza, fra lo stato maggiore del Re e gli aiutanti di campo di Garibaldi. Oggi, nel comune di Vairano Patenora, (CE) in località Taverna di Catena, al quadrivio, in ricordo dell'avvenimento sorge un monumento con la scritta: " QUI TAVERNA CATENA DI VAIRANO PARTENORA IL 26 OTTOBRE 1860 GIUSEPPE GARIBALDI E V. EMANUELE II CONCLUSERO L'UNITA' D'ITALIA".
Sembra tutto chiarito, e il monumento confermerebbe che il celebre saluto sia avvenuto in questo luogo. Ma non è così, con buona pace della storia, il punto preciso dell'incontro è ancora in discussione fra gli storici, tanto è vero che sulla strada che da Caianello porta a Teano, in questo comune, quasi al confine con quello di Vairano Patenora, al lato del ponte di S. Nicola, si nota una segnalazione turistica, indicante l'importante incontro, mezza abbattuta, un po' trascurata, senza alcuna pretesa storica, anzi rassegnata ad essere dimenticata, quasi ad indicare che non è quello il luogo dove avvenne il celebre saluto. Più avanti c'è una chiesetta, sui gradini della quale, a dire di Cesare Abba, il Generale avrebbe consumato un frugale pasto.
Per chiarire l'equivoco, e mettere pace fra le due cittadine che si contendono l'avvenimento, nel 1891 fu costituito in Teano un comitato per studiare e individuare esattamente il luogo dove Garibaldi salutò Vittorio Emanuele. Le ricerche durarono vari anni, sia da parte d'insigni studiosi sia dell'Ufficio Storico del Ministero della Guerra. Le indagini s'intensificarono nel 1907, con il I° centenario della nascita dell'Eroe dei due mondi. In quell'epoca furono scritti libri, articoli, monografie, pubblicati diari sulle imprese garibaldine. Al tema dell'incontro si appassionò il Prof. Vincenzo Boragine di Teano, membro del comitato, il quale impegnò venti anni in accertamenti, audizioni di testimoni, verifiche di documenti, d'informazioni ricevute da partecipanti a quei fatti quali: il generale piemontese Cialdini, Giuseppe Porta, i garibaldini Alberto Mario, il colonnello Giuseppe Missori, lo scrittore G. Cesare Abba e tanti altri. Alla fine i dubbi rimasero irrisolti. Nessuno fu concorde sulla versione dei fatti.
Diverso è l'orario, il luogo, ed altri particolari. La tesi che sostiene il Boragine è che l'incontro sia avvenuto fra Caianello e Teano, sul ponte di S. Nicola, nei pressi della chiesa di Borgonovo, verso le ore 8 del mattino, con un cielo nuvoloso. Il giornale," Il Mattino" del 24-25 agosto 1907 nr. 236", riferisce che vi furono abbracci e baci fra Garibaldi e Vittorio Emanuele, mentre il giornale la "Tribuna del 24 agosto 1907 nr. 234", riporta la testimonianza di Leopoldo Giovannelli, che prese parte a tutte le campagne dell'indipendenza italiana, prima nelle file dei garibaldini e poi dei bersaglieri: "Io nel 1860-61 facevo parte del 3° reggimento garibaldino della divisione Medici. Il mio battaglione, il 2°, proveniente dai posti avanzati sotto Gaeta, si trovava la mattina del 26 ottobre - sulla strada che da Caianello conduce a Teano - Saranno state le otto e mezza del mattino, quando a - circa mezza strada fra i due citati paesi - udii tre squilli di tromba segnale dell'Attenti - seguiti dalle prime note della marcia reale… Non appena schierati ci fu comandato di presentare le Armi, e allora vedemmo giungere dalla nostra destra, cioè dalla parte di Caianello, Re Vittorio Emanuele II, e dalla sinistra, cioè dalla parte di Teano, il generale Garibaldi. Il Re era accompagnato dal generale Fanti… e dal generale Morozzo della Rocca, al seguito, ma già fermi alla distanza di non meno di 50 metri, vi era lo stato maggiore… Il Generale era accompagnato dal generale Medici, dal generale Tùrr e dal colonnello Bertani, anche costoro si fermarono a considerevole distanza da Garibaldi, e molto più indietro ancora stavano diversi ufficiali garibaldini a cavallo. Re Vittorio montava un cavallo sauro, Garibaldi un cavallo baio. Vittorio Emanuele e Garibaldi si avanzarono, soli, l'uno incontro all'altro, e quando furono un po' vicini, Garibaldi, con la sua voce squillante, alzando la destra senza togliersi il berretto, esclamò - Salute al Re d'Italia - al che il Re rispose con grande enfasi spontanea - Saluto il mio migliore amico!- Quindi messi i cavalli a fianco a fianco, i due personaggi si abbracciarono e si baciarono… il colloquio durò circa venti minuti…".
Il quotidiano Roma del 27 ottobre 1860 nr. 300, nella cronaca di Napoli così riportava: "Uno storico incontro; Vittorio Emanuele stringe la mano al Generale Garibaldi… verso le ore 8 e mezzo antimeridiane, il Re si trovava sulla Strada Caianello-Teano, al bivio della chiesa di Borgo, ivi gli andava incontro il Generale Garibaldi; cui il sovrano stringeva la mano. Vittorio Emanuele e il Dittatore procedevano quindi a fianco a fianco per circa dieci minuti, fino a Teano. A Porta Romana, si separavano". I Due si parlarono da soli per circa 10-20 minuti, cosa si siano detti, sono tutte supposizioni, ma lo si può dedurre dagli avvenimenti che seguirono. Dopo una stretta di mano, si presume, si lasciarono alle porte di Teano, al largo di Porta Romana. Il Re prese alloggio a Teano nel palazzo del principe Santagapito ove fino alle due di notte avevano alloggiato i Borbone: il conte di Trani, i generali Salzano e Ritucci mentre nella piazza bivaccavano i soldati borbonici. Questi, al sopraggiungere dei garibaldini, dopo una breve sparatoria, montarono a cavallo e si ritirarono verso Sessa. Garibaldi con Mario, Missori, Nullo e Canzio, si fermò, per circa un'ora, in una vicina "stalluccia", al largo Muraglione, per far riposare il suo cavallo e consumare un frugale pasto. Per colazione il Dittatore mangiò pane, formaggio e una bottiglia di vino e per frutta tre fichi offertigli da un contadino, che il Generale ripagò con una moneta d'argento. Ai curiosi che erano accorsi a rendergli omaggio disse di andare a salutare il Re. Era lui che ora dovevano ossequiare.
Un'altra fonte parla di Monte Croce, come anticamente si chiamava monte Manzanello, nelle cui vicinanze vi era la Taverna Catena. Il giornale Officiale di Napoli del 27 ottobre 1860 scriveva: "...Ieri mattina Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele si trovava alla testa di quattro divisioni all'inizio si Monte Croce; ivi s'incontro con il Dittatore, e passò in rassegna parte dell'Esercito Meridionale…" Lo stesso luogo è confermato in uno scritto del 1861 di Pasquale Matarazzi, in "Avvenimenti Politici Militari dal settembre al novembre del 27 ottobre 1860", e da P. Giuseppe da Forio, al secolo Erasmo di Lustro, francescano garibaldino (Dopo l'ingresso di Garibaldi a Napoli, formò il Comitato Unitario Ecclesiastico di Napoli, d'ispirazione giobertiana. P. Giuseppe nelle sue celebri prediche sosteneva che l'Unità d'Italia non danneggiava la religione). Per Alberto Mario, testimone oculare (patriota garibaldino e scrittore, prese parte alla spedizione dei Mille e fu vicino a Garibaldi come consigliere e amico), l'incontro avvenne alle sei del mattino e Garibaldi vestiva il suo solito "abito leggendario" e data l'umidità, il Generale si era messo in testa un fazzoletto di seta annodato sotto il mento per proteggersi dal freddo, siamo in ottobre e Garibaldi forse già soffriva di artrite. Non era più giovanissimo, aveva 53 anni.
Continua Alberto Mario: " Di lì a poco le musiche intonando la Marcia Reale annunciarono il Re, il quale arrivò sopra un cavallo arabo stornello, Garibaldi andò incontro a lui, ed egli venne verso Garibaldi fra la strada e la stradella. Garibaldi, cavatosi il cappellino gridò: Salute al Re d'Italia, e il Re rispose: - Grazie.- Il Re soggiunse: - Come state, caro Garibaldi? - E Garibaldi: - Bene, e Vostra Maestà? -E il Re:- Benone - Indi si partì per Teano. Il Re a destra, a sinistra Garibaldi, e, dietro il seguito dell'uno e dell'altro alla rinfusa. E fu allora che Garibaldi, sentendo che una battaglia al Garigliano era imminente, chiese al Re l'onore del primo scontro. Ma il Re: " Voi vi battete da lungo tempo: tocca a me adesso; le vostre truppe sono stanche, le mie fresche; ponetevi alla riserva". Alberto Mario, scrive:  "... Proveniente da Venafro, sfilava verso Teano l'esercito Settentrionale… il sito d'interruzione delle due strade era abbastanza capace, e l'adornavano una casa rustica (Taverna Catena) e una dozzina di pioppi…". Più o meno analoga versione la dà lo scrittore e giornalista Gustavo Sacerdote, aggiungendo di nuovo: "...che cosa si sian detto, nessuno poté udire; ma pare che Vittorio Emanuele abbia cercato di convincere Garibaldi a rinunciare alla marcia su Roma ed abbia discusso con lui la questione dello scioglimento dell'esercito volontario…".
Un altro testimone oculare, Cesare Abba, ci dà un'ampia descrizione premettendo che quella giornata iniziò male perché era caduto da cavallo il generale Nino Bixio riportando una frattura ad una gamba e delle escoriazioni alla testa: "...Chi dice che siam qui per dare l'ultima battaglia, e che mentre combatteremo contro i cinquantamila borbonici che ancora tengono per Francesco secondo, arriveranno i soldati di Vittorio Emanuele con lui in persona, discendendo dall'Abruzzo per la via di Venafro...Una casa bianca a un gran bivio, dei cavalieri rossi e dei neri mescolati insieme, il Dittatore a piedi; delle pioppe già pallide che lasciavano venir giù le foglie morte, sopra i reggimenti regolari che marciavano verso Teano...A un tratto, non da lontano, un rullo di tamburi, poi la fanfara reale del Piemonte, e tutti a cavallo! In quel momento, un contadino, mezzo vestito di pelli, si volse ai monti di Venafro...Ed ecco un rimescolio nel polverone che si alzava laggiù, poi un galoppo, dei comandi, e poi:- Viva! Viva! Il Re! Il Re! Mi venne quasi buio per un istante; ma potei vedere Garibaldi e Vittorio darsi la mano, e udire il saluto immortale: - Salute al re d'Italia! - Eravamo a mezza mattinata. Il Dittatore parlava a fronte scoperta, il Re stazzonava il collo del suo bellissimo storno, che si piegava a quelle carezze come una sultana. Forse nella mente del Generale passava un pensiero mesto. E mesto davvero mi pareva quando il Re spronò via, ed Egli si mise alla sinistra di lui e dietro di loro la diversa e numerosa cavalcata". Abba interpretò subito ciò che di vero era stato detto fra i Due e si domanda:. "...Re Vittorio fu freddo nell'incontro con Garibaldi?...Dunque certo contegno di Vittorio Emanuele nell'incontrarsi col Dittatore sarebbe stato un delicato riserbo?...Non si sente che la grandezza di Garibaldi, sinora! Non si conosce che vi sia chi mira il sole nascente". Lo scrittore continua: " Ieri il Dittatore non andò a colazione col Re. Disse d'averla già fatta. Ma poi mangiò pane e cacio conversando nel portico d'una chiesetta, circondato dai suoi amici, mesto, raccolto, rassegnato. A che rassegnato? Ora si ripasserà il Volturno, si ritornerà nei nostri campi o chi sa dove; certo non saremo più alla testa, ci metteranno alla coda…".
Il Diario Storico dell'Archivio del Ministero della Difesa, nel rapporto giornaliero del 26 ottobre 1860 recita: "... A Taverna della Catena, S.M. il Re, che col suo quartier generale marcia colle truppe del quarto Corpo, è incontrato dal gen. Garibaldi…". Per Indro Montanelli, nella sua "Storia d'Italia" l'incontro avvenne a Taverna di Catena: "...Garibaldi...si riposava sotto un albero insieme a Missori, Canzio, Alberto Mario e pochi altri, fra cui Abba, testimone e non imparziale memorialista della scena, udì la fanfara reale e salì a cavallo. Era vestito al solito suo modo, camicia rossa e poncho. Ma il fazzoletto, invece di portarlo al collo come sempre, gli scendeva di sotto il cappelluccio di feltro in due bande annodate sotto la gola. Nel piccolo seguito del Re figuravano Farini e Fanti, cioè due fra gli uomini che più odiavano Garibaldi e che Garibaldi più odiava. Garibaldi dié di sprone togliendosi il cappello e restando con la pezzola come una vecchia massaia. "Saluto il primo Re d'Italia!" gridò. "Saluto il mio migliore amico!" avrebbe risposto il Re. Ma secondo certuni invece rispose soltanto: Grazie! Il Generale si mise alla sinistra del Sovrano e, cavalcando al suo fianco...".
Andando a spulciare nella cronaca del tempo, sul giornale L'indipendente,  diretto dall'amico di Garibaldi, A. Dumas, suo gran sostenitore e simpatizzante, confinata nell'ultima pagina si trova un anonimo Dispaccio Telegrafico: " Il Generale Milbetz al Generale Tùrr Napoli - Ieri mattina Sua Maestà il Re Vittorio Emmanuele si trovava alla testa di quattro divisioni a Monte Croce, ivi s'incontrò col Dittatore e passò in rassegna parte dell'Esercito Meridionale. La sera Sua Maestà era a Teano, e il Dittatore trovasi a Calvi. S. Maria 27 ottobre 1860 - Napoli ottobre 1860" Qualche particolare in più lo troviamo ancora sull'Indipendente di martedì 30 ottobre 1860, fra la "Corrispondenza Particolare del Campo" del giorno 29: "Il Re Vittorio Emmanuele, ed il Dittatore si sono incontrati il 27 andante a Sant'Agata, entrambi a cavallo. Il Re Vittorio Emmanuele portava il costume di Generale dell'armata piemontese; Garibaldi aveva la camicia rossa, ed il puncis bornous indiano di sopra. Senza scendere da cavallo il Dittatore diede la mano al Re, e gli disse: Sire, io vi do oggi tutto il paese che ho conquistato in vostro nome; ma non voglio rimetterlo realmente che quando Capua sarà vostra. Dopo una pari conquista andrò durante l'inverno a fare con l'aiuto di Dio il romita a Caprara. Se però fino allora una palla non viene a togliermi la vita in primavera io andrò in Ungheria, e con le vostre forze e la mia cooperazione l'Italia sarà UNA. - Vi ringrazio, rispose il Re: e spero di essere sempre così d'accordo con voi. Io credo che voi siate non solo il migliore dei miei amici, ma anche il solo. Dopo queste parole il Re ed il Dittatore hanno visitato il campo e si sono divisi fra Sant'Angelo e S. Maria, essendo tornato il Re a Teano ed il Dittatore a Caserta. Il Generale Sirtore accompagnava il Re".
Fra tante discordanze e fantasie, tutti però sono concordi nel fatto che nella mattinata del 26 ottobre, fra Caianello e Teano, Garibaldi consegnò l'Italia Meridionale a Vittorio Emanuele ricevendone in cambio solo una stretta di mano, il diniego di far continuare a combattere i suoi Garibaldini a fianco delle truppe piemontesi nell'assedio definitivo di Capua e Gaeta e il disprezzo degli ufficiali del nuovo esercito per i volontari. Quella stessa mattina il generale piemontese Della Rocca, assicurava la moglie del principe Santagapito di stare tranquilla: "...non tema signora marchesa, noi non abbiamo che fare con quella gente, e veniamo appunto per ristabilire l'ordine". I garibaldini erano considerati con disprezzo "feccia e canaglia" dal re, dal suo stato maggiore e dagli ufficiali, mentre i gradi bassi dell'esercito erano coscienti del valore della camice rosse. In dicembre a Napoli avvennero diversi tafferugli fra i volontari e l'esercito regolare! Alla freddezza di quest'incontro, rimediarono in seguito gli storiografi della corona, esaltando e ricamandoci sopra, per la pace di tutti e per l'Unità d'Italia. Garibaldi ne uscì distrutto e umiliato, e come lui i suoi "volontari". Da quel momento fu messo in "forse" tutto quello che aveva fatto. La realtà di quel momento storico fu magnificamente interpretata da Cesare Abba: "... certo non saremo più alla testa, ci metteranno alla coda…", e noi aggiungiamo, vi manderanno a casa, la maggior parte chiederanno l'elemosina per le strade di Napoli, altri torneranno al paesello a lavorare nei campi, i più fortunati, e altri ancora entreranno nelle bande dei briganti o pentiti riprenderanno le armi per combattere i piemontesi e sperare nel ritorno di Francesco II. "...Noi abbiam veduto la banda garibaldina, la cui posizione, probabilmente, non era regolare, andare, di porta in porta, suonando l'inno patriottico, che sarà la marsigliese dell'Italia, e domandando l'elemosina per mangiare…".

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