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domenica 23 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 23 novembre.

Il 23 novembre 1925 due carbonari, Angelo Targhini e Leonida Montanari, vengono ghigliottinati a Roma presso la Porta del Popolo.

L'alone di mistero che circonda le attività della carboneria affonda le sue radici nella vaghezza stessa delle sue origini. Secondo alcuni studiosi rimontano addirittura all'XI secolo. Lo storico Giuseppe Ricciardi ha scritto che "credesi fondatore di essa un Teobaldo, detto poi Santo [...]. Nacque in Francia Teobaldo nel 1017 nella città di Provins. 

Fattosi prete in Italia, si ritrasse, indi a poco, in Svezia, provincia germanica, ove dicesi nata la setta, alla quale, morto Teobaldo, non vennero meno le forze". Ma con quali intenti e propositi non è mai stato ben chiarito. Altri studiosi hanno indagato le origini straniere della setta, trovandole di volta in volta in Germania, in Svizzera, in Spagna e in Polonia.

Ma forse la genesi più attendibile è quella francese. Notizie certe risalgono alla seconda metà del XVIII secolo, epoca in cui si ha notizia dell'esistenza di una setta dei bons cousins charbonniers (buoni cugini carbonari) che dissimulava i propri programmi politici entro associazioni di carattere mutualistico professionale (compagnonnage). Il carbonarismo prese vita da una costola della massoneria di Besançon e della Franca Contea nel periodo precedente la Rivoluzione francese. Numerosi furono infatti i massoni di questa regione che avevano sposato i valori e i principi modernizzatori del Secolo dei Lumi. Del resto, la massoneria è stata la generatrice di tutte le sette fiorite nei secoli XVIII e XIX. I massoni credevano in Dio, "Grande Architetto Dell'Universo", ma negavano i dogmi della Trinità e dell'Incarnazione ed avversano il cattolicesimo e il clero.

Volevano favorire il progresso, in ciò condividendo le idee dell'Illuminismo e i concetti di libertà e uguaglianza degli uomini, ma in un certo senso si piegarono al dispotismo napoleonico. Negli ultimi anni di vita dell'impero Napoleonico numerose logge si sciolsero e quelle che rimasero non ebbero più seria importanza politica. Molti affiliati, che non approvarono l'atteggiamento elitario e i loro intenti puramente teoretici, si erano però già divisi dalla massoneria fondando nuove sette. Alcuni adepti diedero vita a cellule segrete destinate a tradurre nella pratica i valori dell'illuminismo.

Queste cellule assumeranno nomi diversi, i Carbonari, i Filadelfi, gli Adelfi, il Palladio, la Società della Rigenerazione Europea. Spesso guidate da militari, seguiranno una linea politica costituzionalista, repubblicana e rivoluzionaria, in opposizione ai principi monarchici di diritto divino. Il programma prevedeva l'opposizione ad ogni forma di assolutismo, la lotta per l'indipendenza, la libertà dei popoli oppressi, l'affermazione di governi costituzionali e di ispirazione democratica e repubblicana.

Quando Napoleone Bonaparte fece il colpo di stato del 18 Brumaio, alcune organizzazioni segrete entrarono nell'opposizione repubblicana e antibonapartista, senza tuttavia cessare di far parte dell'amministrazione dello Stato francese.

Fu così che i bons cousins charbonniers del XVIII secolo francese si trasformarono in un attivisti repubblicani in seno ad un paese, la Francia napoleonica, in cui gli ideali della Rivoluzione francese sembravano essere stati traditi dal Consolato prima e dall'Impero poi.

Fin qui le origini. Ma come abbiamo visto sopra, tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX la carboneria era solo una delle tante società segrete diffuse in Europa. Come poi sia invece riuscita a trasformarsi, nei primi tre decenni dell'Ottocento, in uno dei primi strumenti del Risorgimento italiano è questione che merita un approfondimento a sé.

La carboneria fu portata in Italia dai soldati francesi (e per altre vie penetrò anche in Germania e Spagna), diffondendosi negli anni che vanno dal 1806 al 1812 soprattutto nell'Italia meridionale, a partire dal Napoletano, dall'Abruzzo e dalla Calabria. In seguito prese piede anche in Puglia e nel Salento, in Terra d'Otranto. Negli anni successivi fu presente un po' in tutta la penisola, collegandosi con altre società simili o assorbendole.

Ma anche sulle precise origine della carboneria italiana permangono dubbi e interpretazioni diverse. A partire dall'effettivo luogo di nascita.

C'è chi sostiene infatti che abbia avuto i natali nei monti Abruzzesi, altri sostengono invece sia sorta in Calabria.

Secondo alcuni autori nacque nel napoletano portata tra il 1809 e il 1810 da alcuni Filadelfi francesi, venuti nel Regno di Napoli come funzionari o ufficiali dell'esercito, ed incontratisi con gli oppositori del regime in nome dei princìpi giacobini. È probabile che fra i Filadelfi vi fosse Joseph Briot, ex seguace di Gracco Babeuf, il rivoluzionario della Congiura degli Eguali, amico di Buonarroti (tant'è che secondo alcuni Babeuf sarebbe il vero padre della carboneria). Una volta organizzatisi, i carbonari napoletani strinsero relazioni con gli inglesi - che in tutta Europa appoggiavano qualsiasi setta manifestasse la benché minima contrarietà verso Napoleone - per ricevere aiuti economici nella lotta contro il dominio di Murat e della Francia. Il primo tentativo insurrezionale di stampo carbonaro, favorito anche dai Borboni, prese infatti piede nel 1813 nel napoletano, a Cosenza. Il tentativo fu subito circoscritto dalle truppe di Murat, che saccheggiarono la cittadina di Altilia (Cosenza), considerata il centro operativo della setta.

Secondo lo storico e patriota Carlo Botta, che visse in prima persona gli avvenimenti del primo Risorgimento, nella carboneria "entravano principalmente uomini del volgo", sarti, commercianti, contadini e operai. Ma al suo interno si potevano trovare anche ampia rappresentanza della borghesia cittadina e fondiaria, esponenti delle professioni liberali una quota consistente di nobili vicini alle idee riformatrici e anche alcuni membri del basso clero.

La struttura della carboneria era regolata dall'alto e il comportamento degli affiliati era ispirato alla massima segretezza. E per soddisfare fino in fondo le esigenze di riservatezza, si faceva ricorso a nomi ed espressioni tipici di uno dei più antichi mestieri del popolo, diffuso, e non è un caso, proprio nell'Italia centromeridionale: il carbonaro, cioè colui che trasforma la legna in carbone, un mestiere che si praticava nei boschi e che comportava continui spostamenti.

L'organizzazione era diretta dal centro, cioè dalla cosiddetta "grande vendita", di cui faceva parte un ristretto numero di membri. Da qui gli ordini venivano trasmessi alle "vendite locali", composte da una ventina di affiliati, i cosiddetti "cugini". I "cugini" entravano nella carboneria con il grado più basso, quello di "apprendisti". Dopo un periodo di prova, entravano a far parte del grado superiore, diventando "maestri" e poi "gran maestri".

Nella carboneria, così come in gran parte delle logge e delle sette segrete, vigeva una sorta di gradualismo: i principi di massima erano noti, ma le finalità pratiche venivano rivelate progressivamente, mano a mano che gli adepti venivano ritenuti degni di essere iniziati ai segreti.

Non a caso, nel grado più basso di affiliazione venivano genericamente professati principi umanitari, vagamente democratici e di stampo religioso e moraleggiante. Diventando "maestri" si accedeva invece a dibattiti intorno ad argomenti politici: il sistema costituzionale, l'indipendenza nazionale, le libertà individuali ecc. Ma era solo con il grado di "gran maestro" che si accedeva finalmente al ristretto club dei rivoluzionari di professione: la lotta per la repubblica, per l'uguaglianza sociale e la spartizione dei grandi latifondi.

Minimo comune denominatore era la conquista di una costituzione. Ma poi esistevano notevoli differenza tra la carboneria dell'Italia settentrionale, quella dell'Italia centrale e quella del Mezzogiorno. Del resto, nei primi decenni dell'Ottocento la coscienza nazionale era ancora acerba: chi aspirava all'indipendenza dell'Italia, chi a quella della propria regione, chi voleva la monarchia costituzionale e chi la repubblica. Per i carbonari del Lombardo-Veneto, ad esempio, era fondamentale la questione dell'indipendenza dal dominio austriaco.

Per i carbonari sudditi dello Stato Pontificio, invece, non c'era un dominio straniero da abbattere, ma un governo ecclesiastico da sostituire con un'autorità laica (anche se, occorre aggiungere, quando l'obiettivo si spostava verso la meta finale dell'unità del Paese, l'opposizione carbonara allo Stato Pontificio diventava tutt'uno con l'opposizione al papato e gli aspetti dottrinari del suo potere). Nel Regno delle Due Sicilie i "cugini" chiedevano la fine dell'assolutismo borbonico, ma nell'isola molti aspiravano a uno stato separato e autonomo.

Differenze sul piano ideologico esistevano poi in merito alla religione. A differenza della massoneria la carboneria non era atea, sosteneva anzi di trarre ispirazione dall'esempio di Gesù Cristo. Tuttavia la realtà delle cose era decisamente più articolata.

"I carbonari mostrano una fede sincera nella religione di Gesù quale si trova nell'Evangelo, e liberata di tutti gli elementi estranei che i teologi vi hanno introdotto in diciotto secoli. Essi sono a una volta riformatori politici e religiosi". Così recitava il credo carbonaro. Ma è evidente come in questa dichiarazione ci fosse in realtà un invito a tornare ai principi cristiani delle origini (fede, umiltà e povertà) contro il magistero papale e il suo dominio temporale. Un ritorno, se vogliamo, alle eresie medievali, intese come recupero di una purezza di fede priva di intermediazioni di sorta. Una critica all'autorità dogmatica del Papa, quindi, ma non il proposito di creare un'alternativa al cristianesimo.

Non deve quindi stupire più di tanto se Papa Pio VII nel 1821, in una lettera apostolica, condannò aspramente la "società volgarmente detta de' Carbonari, la cui mira principale è dare ad ognuno una gran licenza di formarsi la Religione a capriccio, a seconda delle proprie opinioni…; di profanare e lordare la passione di Gesù Cristo con certe nefaste loro cerimonie; di spezzare i sacramenti della Chiesa che vogliono sostituirne de' nuovi da loro scelleratamente inventati e, di rovesciare questa Sede Apostolica, contro la quale essi hanno un odio particolarissimo e, non fan che macchinare quanto vi è di più pestifero e di pernicioso… Nostri predecessori… condannarono e proibirono la Società de' Liberi Muratori, ossia Francs-Maçons, delle quali la Società deve stimarsi un rampollo o per certo un'imitazione questa Società de' Carbonari". E per i carbonari, e contro chiunque nutrisse simpatia verso di loro, era pronta la scomunica.

Concludeva infatti Pio VII: "abbiamo stabilito e determinato di condannare e proibire la predetta Società de' Carbonari o, comunque, altro nome si chiami, i di lei ceti, uomini, congreghe, logge, combriccole… comandiamo a tutti i fedeli cristiani che niuno ardisca intraprendere, formare o propagandare la predetta Società de' Carbonari, fomentarla, ricettarla, occultarla o, nelle case o edifici o, altrove, non ardisca a farsi ascrivere o aggregarsi a lei, intervenire o essere presente alle di lei unioni, darle consiglio, aiuto o favore in palese o, in segreto, sotto pena di scomunica, ipso facto… comandiamo oltre a ciò a tutti sotto pena di scomunica, che siano tenuti a denunciare a' Vescovi tutti coloro che sapranno aver dato il nome a questa Società, o di essersi imbrattati in alcuni di quei delitti, de' quali si è fatta menzione".

Da una serie di lettere carbonare saltate fuori dagli archivi pontifici sembra però che alcuni timori del Papa non fossero del tutto infondati. Nell'epistolario di due carbonari si legge infatti che l'obiettivo dell'unità d'Italia era in realtà uno specchietto per le allodole. "L'indipendenza e l'unità d'Italia - scriveva un carbonaro a un altro affiliato - sono chimere. Pure queste chimere producono un certo effetto sopra le masse e sopra la bollente gioventù. Noi sappiamo quello che valgono questi principii. Sono palloni vuoti […] Il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della rivoluzione francese: cioè l'annichilimento completo del cattolicismo e perfino dell'idea cristiana", nel nome di una rigenerazione universale. Del resto, che tra i carbonari esistessero posizioni le più disparate lo abbiamo già visto sopra, a proposito dei vaghi obiettivi politico immediati. Allo stesso modo, quindi, possono aver convissuto al suo interno generiche spinte per un rinnovamento religioso nel solco di una tradizione cattolica originaria, così come spinte più marcatamente anticlericali, se non addirittura - come si evince dalla lettera tra i due carbonari - ostilmente atee o di ispirazione neopagane.

Ma quale fu il ruolo effettivo della carboneria nella prima stagione risorgimentale, quella cioè immediatamente successiva alla fine del dominio napoleonico?

Fu proprio tra il 1814 il 1815 che la setta iniziò a diffondersi in molte regioni, sovrapponendosi o integrandosi ad altri associazioni cospirative, come la Guelfia nel Lazio e nelle Marche (territori allora compresi nello Stato Pontificio), i Federati in Piemonte e in Lombardia.

E fu nelle Marche, a Macerata, che nel giugno del 1817 si ebbe il secondo tentativo carbonaro insurrezionale, dopo quello del 1813 contro Murat. Ne risultò un fallimento totale, cui seguì una dura repressione.

Il carbonarismo diede il meglio di sé nel meridione, dove si fece interprete del malcontento della popolazione verso l'assolutismo borbonico. Dalle prime manifestazioni di intolleranza verso i governanti ritornati sul trono con la restaurazione, si passò a vere e proprie insurrezioni e ammutinamenti dentro gli eserciti. Nel luglio 1820, a Nola, due ufficiali carbonari appartenenti a un reggimento della cavalleria reale borbonica, Michele Morelli e Giuseppe Silvati si ammutinarono marciando su Avellino.

A loro si unirono anche i carbonari salernitani. Ferdinando I di Borbone, mandò l'esercito a reprimere la rivolta, ma nelle stesse file dell'esercito avvennero molte defezioni che andarono così a rafforzare i rivoltosi. Si aggiunse anche il generale Guglielmo Pepe, che con il suo esercito appoggiò gli ammutinati di Salerno, mettendosi poi a capo della rivolta. Pepe chiese al sovrano la concessione della Costituzione di Spagna, che fu inizialmente accordata ma subito dopo rinnegata. Anche in questo caso il risultato ultimo fu una dura repressione, culminata in una serie di arresti e nella condanna a morte per tutti i militari che avevano preso parte alla rivoluzione.

La diaspora dei carbonari sfuggiti alla repressione contribuì a diffondere il sentimento dell'unità nazionale, a costruire una primitiva idea di Risorgimento, anche se pur sempre a livello di élites e non di popolo. L'eco della rivolta raggiunse rapidamente il Lombardo-Veneto, i ducati di Modena, di Parma, la Romagna, il Piemonte, creando così nuovi legami tra le varie società segrete. In Piemonte la rivolta di Guglielmo Pepe trovò una rielaborazione nell'insurrezione del marzo 1821 ad Alessandria, dove i dragoni del re, comandati da Isidoro Palma, occuparono la cittadella proclamando la Costituzione di Spagna. Ma le ambiguità e le reticenze della corte sabauda, temporaneamente retta da Carlo Alberto, e la successiva repressione di Carlo Felice stroncarono anche questa iniziativa.

Ma quanti erano di fatto i carbonari in Italia? Alcuni autori hanno avanzato una cifra attorno ai seicentomila affiliati nel periodo di maggior sviluppo, cioè tra il 1819 e il 1821. Ma il dato è in sé scarsamente verificabile, anche perché con il termine "carbonaro" allora si era soliti indicare tutti gli scontenti della situazione politica-amministrativa dell'Italia: anti-austriaci, liberali sabaudi, anti-papisti, anti-borbonici, rivoluzionari moderati ed estremisti. C'era, oltre alla borghesia, anche un certo numero di preti "progressisti" ostili alla Santa Alleanza.

Quel che è certo, però, è che, nonostante i numeri, quando la parola passò ai tribunali per i cospiratori non ci fu via d'uscita. Sulle gazzette dell'epoca i carbonari venivano descritti come assassini capaci di ogni nefandezza. Sui fogli cattolici, gli affiliati delle sette segrete venivano paragonati a Satana. Nel Lombardo-Veneto fu ordinato ai parroci di leggere in chiesa un invito ai fedeli a denunciare eventuali sospetti: come premio un sacco di sale per le informazioni, 500 corone per la cattura di un ribelle vivo o morto. A Rovigo, la polizia austriaca aveva già fatto una serie di arresti nel 1818, cui erano seguite diverse condanne ed esecuzioni. A Milano i provvedimenti contro i "sobillatori" portarono all'arresto di Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, entrambi vicini al cenacolo carbonaro che si riuniva attorno al Conciliatore di Confalonieri. A Modena, nel settembre del 1823 Francesco IV fece giustiziare nove cospiratori.

Intanto Pio VII aveva comminato la scomunica nei confronti della carboneria, rivestendo così il reato politico di insurrezione anche di un aspetto religioso. Il suo successore, Leone XII, infierì duramente sui carbonari. In Romagna tra il 1824 e il 1826, quindi anche a Roma, dove nel 1825 furono giustiziati due affiliati, Targhini e Montanari.

Un'inattesa ripresa delle cospirazioni carbonare si ebbe nel giugno 1828 nel Regno delle Due Sicilie. Nel Cilento e nel salernitano scoppiarono nuove rivolte. Nella cittadina di Bosco è un ecclesiastico, Antonio De Luca, a mettersi alla guida dell'insurrezione, chiedendo la proclamazione della Costituzione rivoluzionaria francese del 1791. Nello stesso tempo scoppiano rivolte appoggiati da soldati ammutinati nella zona di Palinuro. Ma ancora una volta gli insorti vennero sconfitti dalle truppe fedeli al Re, che rasero al suolo alcuni paesi ritenuti epicentro dell'attività carbonara. I vertici insurrezionali furono tutti arrestati e fucilati.

Il canto del cigno della carboneria si può fissare idealmente nelle insurrezioni del 1831 nello Stato Pontificio e nei ducati di Modena e Parma, nate sulla scia della rivoluzione parigina del 1830. Ma ormai era evidente che l'improvvisazione, l'ambito ristretto a pochi iniziati in cui si muoveva l'organizzazione, così come la mancanza di un vertice capace di collegare fra loro le diverse iniziative regionali secondo criteri unitari e organici, costituivano limiti insormontabili. Fu così che la carboneria andò incontro a una rapida disgregazione. Visse ancora per qualche tempo in Francia, dove si rese responsabile di una rivolta a Lione, nel 1834. Ma in Italia, quasi due decenni di insurrezioni fallimentari richiedevano una svolta.

"Chi pensava allora all'Italia, alla sua indipendenza, alla sua rigenerazione? Meno poche eccezioni, la schiuma sopraffina della canaglia, che si riuniva misteriosamente nelle vendite dei Carbonari", così Massimo D'Azeglio, esponente moderato del primo risorgimento, in polemica con i democratici e i rivoluzionari. A partire dal 1831 i singoli affiliati confluirono quindi verso altre strutture, guidate però da esponenti borghesi non improvvisati (Confalonieri, Mazzini) e portatori di ideali costituzionali moderati.

Lo storico E. J. Hobsbawm ha scorto nei movimenti carbonari nel meridione d'Italia, una manifestazione di primitiva rivolta sociale del popolo diseredato, che così acquisì una sua coscienza storica. Carboneria quindi come strumento di democratizzazione ed emancipazione, pur tra le mille contraddizioni che abbiamo cercato di esporre sopra. Ma carboneria anche come idealismo democratico punteggiato di aspirazioni umanitarie e socialistico-rivoluzionarie. O, ancora, come confuso laboratorio costituzionale oscillante tra la monarchia costituzionale e le aspirazioni repubblicane. Tutte antinomie la cui soluzione non poteva trovarsi in un'unica organizzazione misteriosa e dai rituali segreti. Un'organizzazione che però è passata alla storia come il brodo primordiale, il big-bang dal quale si sarebbe poi sviluppato il Risorgimento con tutte le sue inevase contraddizioni.

sabato 22 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 22 novembre.

Il 22 novembre 1968 per la prima volta va in onda in televisione un bacio interrazziale sulla TV americana, grazie a una puntata del telefilm Star Trek.

In un episodio della serie Star Trek il capitano James T Kirk e l’ufficiale capo dell’Enterprise, Nihota Uhura, si baciano non senza qualche pressione: il telefilm era alla sua terza stagione, gli ascolti stentavano a decollare e la troupe temeva la cancellazione imminente. I dirigenti della rete erano preoccupati che la scena del bacio potesse sconvolgere i telespettatori degli Stati del Sud. Nichelle Nichols – alias Nihota Uhura – racconterà che i produttori inizialmente volevano girare due diverse versioni del famigerato bacio tra lei e William Shatner – il capitano Kirk – di cui una con le labbra serrate per evitare ogni polemica.

Ma alla fine la decisione fu presa e la scena fu girata come previsto, e con un occhio verso gli Emmy la rete annunciò su Hollywood Reporter che il primo bacio interrazziale della TV americana stava per andare in onda.

Nel Vecchio Continente fu la britannica BBC a mandare in onda il primo bacio televisivo interrazziale della storia. A detenere il primato era Emergency Ward 10 che nel 1964 trasmetteva il bacio tra Joan Hooley e John White. Solo recentemente la medical soap è stata spodestata, nel 2015 il British Film Institute ha scoperto negli archivi il film tv You in Your Small Corner, in cui i due protagonisti Elizabeth MacLennan e Lloyd Reckord vivono un amore contrastato lottando contro le contraddizioni razziste della società dell’epoca, e precorrendo i tempi in una scena sfiorano le loro labbra.

Mandato in onda un’unica volta nel giugno del 1962, del film per la Tv se ne erano poi perse completamente le tracce.

Tra curiosità e indignazione sul grande schermo già nel 1896 andava in scena il primo bacio del cinema. Meno di diciotto secondi che avevano fatto gridare allo scandalo, all’epoca le effusioni in pubblico erano perseguibili, ma consegneranno alla storia i due interpreti John C. Rice e May Irwin. Saltando nel tempo a piè pari, nel 2014 i baci fanno ancora notizia, a calamitare l’attenzione del mondo del web è il cortometraggio sperimentale First Kiss, della film maker Tatia Pilieva; per chi non l’ha visto, riprendeva 10 coppie di sconosciuti che si baciavano sotto l’occhio della telecamera per la prima volta, che ha raggiunto in poche ore oltre un milione di visualizzazioni. Scopriamo con una carrellata alcuni tra i baci più famosi della storia.

Ingrid Bergman e Cary Grant nella pellicola Notorious, del 1946, scandalizzeranno Hollywood, complice il leggendario regista Alfred Hitchcock, con il bacio più lungo e intenso del cinema.

Greta Garbo e John Gilbert ne La carne e il diavolo del 1927 inauguravano il primo bacio a bocca aperta della storia del cinema e lo scandalo fu enorme.

Nel 1933, Greta Garbo - ancora lei - interpreta la sovrana di Svezia ne La regina Cristina di Rouben Mamoulian e in una scena schiocca uno dei primi baci lesbo del cinema all'attrice Elizabeth Young.

È entrato nella storia come il V-Day kiss, il bacio appassionato tra un marinaio e una crocerossina alla fine della seconda guerra mondiale a Times Square, a New York, il 4 agosto 1945.

Tra le immagini che hanno scritto la storia, quella del bacio che suggella l’intesa tra Leonid Breznev e Erich Honecker ha poche rivali.

Del 1968 è il primo bacio tra specie diverse. Charlton Heston bacia Kim Hunter ne Il pianeta delle scimmie.

Baci bollenti sul set del film Getaway tra Ali MacGraw e Steve McQueen, che in men che non si dica lasceranno i rispettivi coniugi per vivere uno degli amori più tormentati e turbolenti di Hollywood.

Nella vita reale Carlo e Diana rompono la tradizione in mondovisione scambiandosi, per primi nella storia della monarchia britannica, un bacio sul balcone di Buckingham Palace.

Nel 1996 Roberto Benigni stravolge tutti i presenti baciando sulla bocca Walter Veltroni alla festa dell'Ulivo.

Nell'estate del 1992 Sarah Ferguson viene colta in flagrante intimità con il miliardario texano John Bryan, che tra le molte effusioni la bacia con disinvoltura e a bordo piscina le succhia l’alluce sinistro.

Il bacio tra un prete e una suora è la campagna Benetton firmata da Oliviero Toscani nel 1991. Provocatoria e scandalosa viene subito censurata per le pressioni del Vaticano.

Fernando Aiuti, immunologo alla Sapienza di Roma, nel 1991 per dimostrare che il bacio non trasmette il virus dell'Aids, bacia la giovane donna sieropositiva Rosaria Iardino.

Vent'anni dopo, nel 2003, Maurizio Costanzo ripete il gesto in tv e bacia anche lui Rosaria Iardino.

Nel 2000 ai Golden Globe Awards, Angelina Jolie stampa un bacio sulle labbra al fratello James Haven.

Tre mesi dopo alla cerimonia degli Oscar, Angelina Jolie replica e bacia ancora una volta il fratello James Haven, tutti gridano allo scandalo.

Al festival di San Remo del 2003, suggellano con un appassionato bacio la 53a edizione, Pippo Baudo e Luciana Littizzetto.

Tra i baci indimenticabili un posto d'onore va a quello scoccato da Adrien Brody a Halle Berry dopo aver vinto l'Oscar come miglior attore per il film Il pianista.

Sempre nel 2003, Britney Spears e Madonna sorprendono la platea agli MTV Video Music Awards con un intenso e appassionato bacio.

Barak Obama è il primo presidente americano che non si trattiene dal baciare apertamente la first Lady, Michelle.

Nel 2011, per la prima volta nella storia l'onore del tradizionale bacio dopo una lunga missione di un’unità della marina Usa, va a una coppia omosessuale. E Marissa Gaeta, sottufficiale, sulla banchina bacia la compagna Citlalic Snell, anche lei sottufficiale di marina.

I thailandesi Ekkachai e Laksana con il loro bacio di 58 ore, 35 minuti e 58 secondi detengono il record del Guinness dei primati.

Nel 2002, per la prima volta il bacio tra due uomini, Jason Biggs e Seann William Scott, protagonisti di American Pie 2, è giudicato il migliore dell'anno agli MTV Movie Award.

Ne le Mine vaganti, Riccardo Scamarcio schiocca il suo primo bacio cinematografico a un uomo, Carmine Recano, e commenta: «Non è stato difficile, ho chiuso gli occhi e l'ho fatto: ma non so come la prenderanno i miei genitori pugliesi».

Il bacio tra Alex Thomas con il suo boyfriend Scott Jones nel pieno dei disordini di Vancuver nel 2011, è entrato nella storia.


venerdì 21 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 21 novembre.

Il 21 novembre 1902 termina la Guerra dei mille giorni in Colombia.

La guerra dei mille giorni fu una guerra civile combattuta in Colombia tra gli anni 1899 e 1902. Il motivo di base alle origini del conflitto è furono gli attriti tra liberali e conservatori, dunque fu una guerra ideologica piuttosto che regionale. Raggiunti circa 100.000 caduti, entrambe le fazioni in lotta hanno chiesto un cessate il fuoco.  

Nel 1899, la Colombia aveva già alle spalle una lunga tradizione di conflitto tra liberali e conservatori. Le questioni fondamentali riguardavano per i conservatori un forte governo centrale, il diritto di voto limitato e forti legami tra Stato e Chiesa. I liberali, d’altra parte, chiedevano governi regionali più forti, il diritto di voto universale  e una netta divisione tra Stato e Chiesa. Le due fazioni erano in contrasto dalla dissoluzione della Gran Colombia nel 1831.

Nel 1898, il conservatore Manuel Antonio Sanclemente venne eletto presidente della Colombia. I liberali si indignarono, convinti che alla base del risultato ci fossero stati brogli elettorali. Sanclemente aveva partecipato ad un rovesciamento conservatore del governo nel 1861 ed era estremamente impopolare tra i liberali. Tuttavia la salute del nuovo presidente era molto cagionevole, e ciò portò a una debole conduzione del Paese. I liberali ne approfittarono e nel 1899 scoppiò una ribellione. 

La rivolta liberale ebbe inizio nella provincia di Santander. Il primo scontro avvenne quando le forze liberali cercarono di prendere Bucaramanga nel novembre 1899, ma vennero respinti. Un mese dopo, i liberali misero a segno la loro più grande vittoria nella guerra, quando il Generale Rafael Uribe Uribe sconfisse una grande forza conservatrice nella battaglia di Peralonso. La vittoria di Peralonso diede ai liberali la speranza e la forza di proseguire il conflitto per altri due anni nonostante la inferiorità numerica.

Ma il generale liberale Vargas Santos evitò stupidamente di approfittare del vantaggio ottenuto a Peralonso, e rimase in attesa invece che proseguire la campagna. Ciò consentì alle forze conservatrici di recuperare le perdite ed inviare un nuovo esercito al contrattacco. Il nuovo scontro si ebbe nel maggio 1900 a Palonegro, sempre nel dipartimento di Santander. La battaglia fu brutale e si protrasse per due settimane. Verso la fine del combattimento il caldo opprimente e la mancanza di cure mediche resero il campo di battaglia un inferno, con i morti in decomposizione che nessuno rimuoveva. Alla fine della battaglia, con oltre 4000 morti da ambo i lati, l'esercito liberale si sfaldò. 

Fino a quel momento, il vicino Venezuela aveva sempre aiutato l'esercito liberale, con l'invio di uomini e armi. Ma la sconfitta di Palonegro convinse il presidente venezuelano Cipriano Castro a sospendere gli aiuti. Solo una visita personale del Generale Rafael Uribe Uribe lo convinse a riprendere l'invio di aiuti. 

Dopo la rotta di Palonegro, la sconfitta dei liberali era solo una questione di tempo. I loro eserciti erano a brandelli, e per il resto della guerra poterono operare solo con tattiche di guerriglia. Riuscirono ad ottenere solo alcune vittorie nella odierna Panama, tra cui una battaglia navale di piccole dimensioni che vide la cannoniera Padilla affondare la nave cilena ( “presa in prestito” dai conservatori) Lautaro nel porto di Panama City. Queste piccole vittorie tuttavia, nonostante i rinforzi provenienti dal Venezuela,  non poterono cambiare le sorti della guerra. Dopo le disastrose perdite umane a Peralonso e Palonegro, il popolo della Colombia aveva perso ogni desiderio di continuare il combattimento.

I liberali moderati cercarono a lungo di giungere ad una fine pacifica della guerra. Anche se la loro causa era persa, si rifiutarono di prendere in considerazione una resa incondizionata: volevano una rappresentanza liberale nel governo come un prezzo minimo per la fine delle ostilità. I conservatori sapevano quanto fosse debole la posizione liberale e rimasero fermi nelle loro richieste. Il trattato di Neerlandia, firmato il 24 ottobre 1902, era fondamentalmente un accordo di cessate il fuoco che includeva il disarmo di tutte le forze liberali. La guerra venne formalmente conclusa il 21 novembre 1902, quando un secondo trattato fu firmato sul ponte della nave da guerra degli Stati Uniti Wisconsin.

La guerra dei mille giorni non portò alcuna diminuzione degli attriti di lunga data tra i liberali e i conservatori, che sarebbero di nuovo andati in guerra nel 1940 nel conflitto noto come La Violencia. Anche se nominalmente fu una vittoria conservatrice, non ci furono veri vincitori, ma solo vinti. Gli sconfitti erano i cittadini colombiani: migliaia di vite andarono perdute  e il Paese venne devastato dalla guerra civile. In più, quasi una beffa, il caos provocato dalla guerra permise agli Stati Uniti di realizzare l’indipendenza di Panama, togliendo alla Colombia questo territorio prezioso per sempre.

La guerra dei mille giorni è un evento storico ben noto in Colombia, ma venne portato all’attenzione internazionale grazie ad un romanzo straordinario. Il Premio Nobel Gabriel García Márques nel suo capolavoro del 1967 "Cent’anni di solitudine" copre un secolo nella vita di una famiglia colombiana immaginaria. Uno dei più famosi personaggi di questo romanzo è il colonnello Aureliano Buendía, che lascia la piccola città di Macondo e va a combattere per anni nella guerra dei mille giorni (per la cronaca, ha combattuto per i liberali e si pensa che sia stato liberamente tratto dal personaggio di Rafael Uribe Uribe).

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