Cerca nel web

martedì 11 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è l'11 novembre.

L'11 novembre 1887 vengono impiccati quelli che in seguito verranno chiamati I martiri di Chicago.

Si chiamavano August Spies, Albert Parsons, Adolph Fischer, George Engel, Louis Lingg, Michael Schwab, Samuel Fielden e Oscar Neebe. Furono tedeschi e americani, socialisti e anarchici. Ma più di tutto lavoratori e uomini liberi, e la storia li ricorda come "martiri di Chicago". Era a Haymarket Square, il 4 maggio 1886. Lì, in pieno centro di Chicago, si stava svolgendo un presidio di lavoratori in segno di protesta contro le violenze della polizia, che erano seguite agli scioperi dei giorni precedenti. Quel 4 maggio era sabato; e cadeva nel tempo in cui il sabato era ancora un giorno lavorativo come un altro, in fabbrica si restava anche quattordici ore e il diritto sindacale era parola di rivoluzionari.

Il raduno aveva avuto inizio nel pomeriggio ed era filato tutto liscio quando, finito il discorso di S.Fielden, una delegazione della polizia si avvicinò al palco e decise di disperdere la folla. A quel punto il finimondo: un ordigno esplose a pochi passi dalla prima fila e immediatamente la polizia iniziò a sparare. Sul terreno rimasero decine di morti e di feriti. Tempi duri erano quelli per i lavoratori statunitensi. Erano gli anni del cosiddetto "crony capitalism", dello sfruttamento monopolistico e delle connivenze imprenditoriali col sistema giuridico. Ma ancor più duri erano i tempi per i socialisti e gli anarchici: colpevoli di denunciare i soprusi, rei di rivendicare un'esistenza migliore e responsabili di scioperare.

Meschina la penna di quei giornali che li dipingevano come sovversivi, vile la mano di quella giustizia che li perseguitava come criminali. Subito dopo i fatti di Haymarket Square, le autorità locali arrestarono August Spies, Albert Parsons, Adolph Fischer, George Engel, Louis Lingg, Michael Schwab, Samuel Fielden e Oscar Neebe, accusati di aver organizzato l'attentato. Nonostante l'assenza di prove, vennero condannati e il governatore dell'Illinois Richard James Oglesby aprì loro le porte del patibolo. Solo uno di loro, Oscar Neebe, venne condannato a 15 anni di carcere, mentre la pena di Michael Schwab e Samuel Fielden fu tramutata in ergastolo. Agli altri spettava l'impiccagione. Fischiavano le corde della forca e si scaldavano le mani del boia il 10 novembre 1887, la notte prima dell'esecuzione. Di quella notte e di quelle ore di pena e di dignità incalza ancora la cronaca redatta da José Martì, nei suoi anni nordamericani. Si sa che Louis Lingg, il giovane falegname, si uccise nella sua cella con una capsula di dinamite nascosta in un sigaro. Si sa che Albert Parsons, l'invincibile oratore, imprecò contro l'ingiusto mondo che stava per condannarlo a morte e bevve, alla salute della loro lotta, tre bicchieri di vino di Porto.

Si sa che August Spies, come ai tempi in cui era direttore dell' "Arbeiter-Zeitung", scrisse lunghe lettere di denuncia e riempì l'aria con dense boccate di fumo. Si sa infine che Albert Fischer ruppe l'angoscioso silenzio della cella, intonando col volto verso il cielo i versi de "la Marsigliese". Furono tedeschi e americani, socialisti e anarchici, lavoratori e uomini liberi. Divennero i "martiri di Chicago". Pochi anni dopo, nell'estate del 1889, durante il congresso della Seconda Internazionale, in memoria degli scioperi per il raggiungimento delle otto ore che anticiparono i fatti di Haymarket Square, si decise di proclamare il 1° maggio giornata internazionale dei lavoratori. Poco prima di morire, l'11 novembre 1887, sulla forca August Spies gridò: "Verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più potente delle voci che strangolate oggi".

Da allora, ogni primo maggio, quando le macchine delle fabbriche si fermano, le ciminiere smettono di fumare e le braccia riposano, la voce di Spies pare riecheggiare le medesime parole. Sussurrando nelle orecchie dei profittatori di ogni tempo e augurando buon primo maggio a quelli di ieri, a quelli di adesso e a quelli che scriveranno altre storie di libertà.

lunedì 10 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 10 novembre.

Il 10 novembre 1775 viene creato negli Stati Uniti un corpo militare che divenne successivamente il Corpo dei Marines.

Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti  – Usmc – è una delle più famose forze armate del mondo. La sua fondazione risale al periodo nella guerra d’Indipendenza americana quando, nel 1775, il Congresso decise di formare un corpo di fanti di Marina (sul modello dei Royal Marines britannici) con il compito esclusivo di difendere le navi americane dagli attacchi di altre imbarcazioni da guerra – soprattutto inglesi e corsare -, sparando con moschetti e cannoncini sull’equipaggio nemico durante l’abbordaggio, e quello di compiere le prime operazioni “anfibie” della storia: come il celebre raid di Fort Nassau del 1776.

Nato come corpo autonomo, anche se strettamente dipendente all’Us Navy, nella sua evoluzione è divenuto uno dei punti di forza dell’apparato militare americano, specializzato nel compiere operazioni anfibie, quali sbarchi e incursioni rapide, e nel prendere parte ad ogni tipo di missione all’estero in veste di “expeditionary force”. Per le sue peculiarità e il suo speciale addestramento che ne garantisce l’efficienza, spesso è tra le prime unità ad essere mobilitate nei conflitti “convenzionali”: mettendo gli “scarponi a terra” a Grenada, in Iraq e Afghanistan.

Nel motto “Semper fidelis“, i marines si sono distinti in particolare durante la Seconda guerra mondiale per il loro impiego sul fronte del Pacifico (impegno che ne ha consacrato il successo), ma condussero le prime operazioni nell’America continentale, sbarcando alle Bahamas, e compiendo importanti incursioni che permisero l’annessione dello stato del Texas e della California. Il loro impiego successivo fu quello di combattere la pirateria, e proteggere le imbarcazione che battevano bandiera americana nell’Atlantico e nel Mediterraneo, come già avvenne nelle Guerre Barbaresche del XVI secolo. Allora venivano soprannominati dai marinai “Leathernecks”, per via di un particolare colletto di cuoio che faceva parte della loro divisa.

Oggi i marines, che hanno dovuto difendere più volte il loro status di corpo autonomo con la sua storia secolare, possono contare su oltre 200mila uomini (compresi 30mila riservisti). Le dotazioni di armi e mezzi dei marines sono le stesse dell’esercito americano; con armamenti leggeri e pesanti, mezzi corazzati/utility di varie tipologie; e su un proprio corpo aereo, imbarcato sulle Lhd o operante dalle basi di terra – lo United States Marine Corps Aviation  – che comprende squadroni di elicotteri da combattimento AH-1 Super Cobra, convertiplani per il trasporto truppe Mv-22 Osprey, ma anche cacciabombardieri F/A 18 Hornet, AV-8 Harrier e una flotta di caccia di ultima generazione F-35: primi ad aver ricevuto il battesimo del fuoco in Afghanistan.

Durante il primo conflitto mondiale, i marines divennero noti tra gli avversari tedeschi come “Devil Dogs”, per la loro tenacia nel combattimento all’arma bianca che si consumò nel bosco di Balleau; ma forse la vittoria più emblematica del corpo rimane quella ottenuta sulla piccola isola vulcanica di Iwo Jima, nella Seconda guerra mondiale, dove i cosiddetti “jarhed” stanarono i giapponesi sapientemente trincerati sul monte Suribachi, in una battaglia sanguinosa che permise di installare le decisive basi che lanciarono i bombardieri B-29 sul Giappone.

Successivamente, il corpo dei marines prese parte alla guerra di Corea, e quella del Vietnam, confermando il proprio status di forza terrestre altamente efficace e addestrata: la prima ed essere inviata in battaglia dopo le unità dell’élite della marina e dell’esercito – Navy Seal, Berretti verdi e Rangers. Recentemente l’Usmc ha preso parte alle operazioni Desert Storm (Iraq 1991), Enduring Freedom (Afghanistan 2001), e al conflitto dell’Iraq iniziato nel 2003, con un particolare coinvolgimento nelle battaglie per la liberazione di Fallujah.

L’Usmc,  nato durante il primo conflitto mondiale con il “First Marine Air Squadron”, venne sensibilmente ampliato durante il Secondo conflitto (145 squadriglie), per “fornire un supporto aereo diretto” adeguato alle truppe impegnate negli sbarchi nel teatro del Pacifico. I piloti dei marines venivano addestrati appositamente per fornire il supporto aereo ravvicinato e offrire una difesa dalla caccia nemica. Spesso a bordo di cacciabombardieri F4U Corsair, decollavano dalla basi strategiche avanzate per fornire supporto tattico nelle decisive battaglie di Guadalcanal, Bougainville e Okinawa. Tra questi va annoverato uno dei più famosi assi da caccia americani di tutti i tempi: Pappy Boyington. Tuttora gli elicotteri d’attacco e i cacciabombardieri imbarcati dell’Usmc intervengono direttamente nel supporto aereo delle operazioni condotte a terra dal corpo. Alla componente aerea dei marine è affidato la sicurezza del presidente degli Stati Uniti durante gli spostamenti aerei di corto e medio raggio a bordo del “Marine one“.

Lʼaddestramento dei marines ha una durata di tre mesi circa e si svolge in gran parte presso il Marine Corps Recruit Depot di Parris Island. Successivamente le reclute vengono inquadrate dai celebri “Drill instructor” (sergenti istruttori, ndr). Diviso in tre fasi, durante le quali la recluta affronta prove fisiche, percorsi e simulazione di guerra, corsi teorici sulla strategia militare, l’aspirante marine impara ad usare il celebre il fucile M14 e l’M16, a sbarcare su una spiaggia e stabilire una testa di ponte, a compiere missioni tattiche e di sopravvivenza. Obiettivo focale nell’addestramento del marine, è quello di renderlo un buon tiratore da grandi distanze. Al termine del corso, se concluso con successo, i candidati vengo insigniti del distintivo del corpo dei marines degli Stati Uniti: l’aquila che sormonta il globo e l’àncora. Il resto del loro addestramento, e l’avvicinamento alle diverse specialità, viene effettuato presso Camp Lejenue. Lì si deciderà se un marine entrerà a far dell’equipaggio di un tank M1, diverrà un sabotatore o un geniere o un tiratore scelto. Al corpo di sicurezza dei marines è affidata la sicurezza di tutte le ambasciate americane all’estero, dove potrete facilmente riconoscere la celebre divisa formale del corpo: la “blue dress”.

La statua che troneggia sul cimitero di Arlington – rappresentante un drappello di marine dalle divise tropicali logore, intenti a issare la “Stars and stripes” sulla cima di quel monte Suribachi, crivellato dall’artiglieria e ancora pieno di combattenti devoti al Sol Levante, come lo scenografico plotone “silent drill”, che si esibisce nella perfetta esecuzione di marcia e figure – sono divenuti simboli indelebili dello spirito di corpo dell’Usmc,  destinato a rimanere per sempre nell’immaginario del mondo intero.

domenica 9 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


Buongiorno, oggi è il 9 novembre.

Il 9 novembre 1989 viene abbattuto il Muro di Berlino.

«Nessuno ha intenzione di costruire un muro». Queste le proverbiali "ultime parole famose" pronunciate da Walter Ulbricht, Presidente del consiglio di Stato della Repubblica Democratica Tedesca (DDR), durante una conferenza stampa del 15 giugno 1961. Eppure, appena due mesi dopo, nella notte tra il 12 e il 13 agosto, il regime comunista iniziò la costruzione di una barriera che per i successivi 28 anni avrebbe separato fisicamente e ideologicamente la città di Berlino. Così come già da tempo la lunga linea di confine nota come "cortina di ferro" separava i paesi sotto influenza sovietica da quelli dell'orbita occidentale.

Nonostante la divisione del territorio tedesco in due Stati (Germania Est e Germania Ovest, con capitali Berlino e Bonn) risalisse al 1949, il Muro fu costruito solo 12 anni dopo. La ragione principale fu quella di bloccare l'esodo di cittadini da Berlino verso i territori occidentali (la città, divisa in quattro settori di occupazione, ricadeva nella Germania Est). Tale fenomeno aveva già visto coinvolti oltre due milioni e mezzo di individui, soprattutto giovani con livello di istruzione medio-alto, intellettuali e lavoratori specializzati, tutti in cerca di condizioni di vita più favorevoli. Una vera fuga di cervelli e di manodopera oltremodo deleteria per la parte orientale, privata gradualmente della sua futura classe dirigente, formata oltretutto a proprie spese. È dunque per tamponare tale emorragia che si decise di "bloccare" i cittadini della zona Est.

Fu sufficiente una sola notte per dividere la città, e così, la mattina del 13 agosto 1961 i berlinesi si svegliarono con centinaia di strade sbarrate e molte linee del trasporto pubblico interrotte. All'inizio fu solo una recinzione di filo spinato, ma nell'arco di pochi mesi il progetto si concretizzò in una vera cortina di cemento lunga 155 chilometri e alta in media oltre tre metri. Non si trattava peraltro di un muro che tagliava la città in due, ma di un sistema divisorio che accerchiava solo Berlino Ovest, facendone di fatto un'enclave della Germania Est.

Oltre al Muro propriamente detto, erano presenti altri recinti fortificati, tratti di filo spinato, fossati, campi minati, bunker e centinaia di torri di guardia. Il tutto, intervallato da posti di blocco come il famigerato "Checkpoint Charlie" (che rimarrà formalmente in esercizio fino al 30 giugno 1990). La Germania Est legittimò la neonata barriera definendola un "muro di protezione antifascista" (Antifaschistischer Schutzwall), ma dall'altra parte della barricata passò alla storia come "muro della vergogna", termine coniato dall'allora sindaco di Berlino Ovest, Willy Brandt.

Nel 1962, nel territorio della Germania orientale, fu eretto un secondo muro parallelo al primo, creando in tal modo un'area denominata "striscia della morte": i vopos, ossia le guardie di frontiera, avevano infatti il permesso di sparare a vista a chiunque tentasse di oltrepassare il confine. Si stima che furono circa 100.000 coloro che tentarono nell'impresa (spesso con metodi rocamboleschi e assai ingegnosi), e almeno 138 di loro vennero uccisi.

Ma le "vittime del muro di Berlino" furono in realtà molte di più: tra il 1961 e il 1988 morirono complessivamente più di 600 persone, perché oltre ai caduti per mano dei soldati di frontiera si verificarono diversi casi di suicidio e innumerevoli incidenti mortali. Molti, per esempio, morirono annegati nel tentativo di oltrepassare i fiumi Spree e Havel, entrambi a cavallo del confine tra Est e Ovest.

La prima tappa della riunificazione andò in scena nell'agosto 1989, quando l'Ungheria eliminò le restrizioni alla frontiera con l'Austria, creando così la prima "breccia" nella cortina di ferro. Dalla metà di settembre dello stesso anno, migliaia di tedeschi orientali tentarono quindi di raggiungere l'Ovest attraverso l'Ungheria, ma vennero respinti. Di lì in poi fu un crescendo di dimostrazioni e proteste che costrinse il governo della Germania Est, nella persona di Egon Krenz, ad allentare i controlli di frontiera.

Tali disposizioni sarebbero dovute entrare in vigore a partire dal 10 novembre 1989, ma ci fu un clamoroso malinteso: alla conferenza stampa internazionale del 9 novembre 1989, il portavoce del governo di Berlino Est, Gunter Schabowski, evidentemente malinformato, annunciò in diretta che a tutti i berlinesi sarebbe stato permesso di attraversare il confine "immediatamente".

Fu allora che la popolazione si riversò contro il muro. Fu una massa impossibile da arginare. Le frontiere furono così aperte e la città si ritrovò finalmente unita. Nell'arco delle settimane successive, migliaia di berlinesi demolirono quel muro che li aveva tenuti in ostaggio per quasi trent'anni, abbattendo di fatto l'ultimo simbolo della Guerra Fredda e anticipando di un anno la riunificazione della Germania (suggellata il 3 ottobre 1990). 

Cerca nel blog

Archivio blog