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venerdì 18 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 18 luglio.

Il 18 luglio 137 d.C. viene martirizzata Sinforosa con i suoi 7 figli.

Santa Sinforosa era la moglie di San Getulio.

Sulla via Tiburtina, al IX milliario (oggi km. 17,450) viveva una donna chiamata Sinforosa con i suoi 7 figli che si chiamavano Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Statteo ed Eugenio.

La donna viveva nei pressi della maestosa villa dell’imperatore Adriano, colui che aveva ordinato la morte del marito Getulio, del cognato Amanzio e dell’amico di questi Primitivo.

L’imperatore Adriano dopo aver ultimato la sua grandiosa villa, si dice che volesse, prima di inaugurarla, consultare gli dei, i quali gli dissero che la vedova Sinforosa e i suoi sette figli li “straziavano ogni giorno invocando il suo Dio, perciò, se Sinforosa e i suoi figli sacrificheranno per loro, essi faranno quanto l’imperatore gli chiedeva”. Adriano allora, chiamò il prefetto Licinio, e ordinò che Sinforosa fosse insieme ai suoi figli arrestata e condotta al tempio di Ercole.

Poi con lusinghe, con minacce e con ricatti, cercò di farla desistere e a sacrificare agli idoli, ma la Santa con animo nobile si appellava all’esempio di Getulio e degli altri compagni di martirio del marito. Visto che la donna non si piegava ai suoi voleri, l’imperatore rinnovò di sacrificare insieme ai suoi figli a beneficio degli dei pagani, oppure sarebbero stati sacrificati essi stessi, ma la Santa fu irremovibile, come pure lo fecero i suoi sette figli.

L’imperatore, visto vano ogni tentativo, ordinò che Santa Sinforosa fosse torturata a sangue. Dalla tortura però l’imperatore non ci ricavò nulla, e spazientito da quella resistenza, diede ordine alle guardie di legare un grosso sasso al collo di Sinforosa, e di gettarla nel fiume Aniene, affinché annegasse.

Poi venne la volta dei figli; furono presi da parte, e l’imperatore chiese a loro di sacrificare agli dei. Vista la resistenza dei ragazzi, ordinò che fossero condotti anch’essi al tempio di Ercole, dove con minacce e con lusinghe tentava di condurli dalla sua parte; ma visto che non ci riusciva, né con le buone e né con le cattive, l’imperatore ordinò che tutti e sette fossero posti alla tortura, ed infine fossero trafitti con la spada, poi li fece gettare in una fossa comune e profonda del territorio tiburtino, che i pontefici chiamarono “ai sette assassinati”.

Dopo circa 2 anni, essendosi calmato il furore delle persecuzioni contro i cristiani, il fratello della martire Sinforosa, Eugenio “principalis curiae Tiburtinae”, ne raccolse i corpi e li seppellì “in suburbana eiusdem civitatis”.

Il giorno 18 luglio il M.R. riporta quanto segue: “A Tivoli santa Sinforosa, moglie di san Getulio Martire, con sette suoi figlioli, cioè Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Statteo ed Eugenio. La loro madre, sotto il Principe Adriano, per l’insuperabile costanza, prima fu lungamente percossa con guanciate, quindi sospesa per i capelli, e da ultimo legata ad un sasso, precipitata nel fiume; i figli poi, legati a pali e stirati cogli argani, con diverso genere di morte compirono il martirio. I loro corpi furono trasportati a Roma, e sotto il Papa Pio quarto, furono ritrovati nella Diaconia di sant’Angelo in Pescheria”.

La passio ci dice ancora che il “Natalis vero sanctorum martyrum Christi beatae Symphorosae et septem filiorum ejus Crescentis, Juliani, Nemesii, Primitivi, Justini, Stattei et Bugenii celebratur sub die XV Kalendas Augusti. Eorum corpora requiescunt in Via Tiburtina milliario ab Urbe nono…”.

Oggi noi conosciamo una chiesa dedicata alla Santa nei pressi di Bagni di Tivoli. Durante le lotte per le investiture tra papato e impero, l’imperatore Enrico V nel ricondurre Papa Pasquale II a Roma, si accampò nel “Campo qui Septem fratum dicitur”, dove un tempo si vedevano dei ruderi di un’antica chiesa dedicata a Santa Sinforosa e sette figli, e dove i proprietari di questo terreno hanno eretto nel 1939, proprio sulla collinetta dinanzi al nuovo santuario, una magnifica cappella, dedicandola a questa Santa e ai suoi sette figli martiri.

giovedì 17 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 17 luglio.

Il 17 luglio del 1955 fu inaugurato a Anaheim, in California, Disneyland: il primo parco divertimenti aperto dalla Disney e il primo di quel tipo al mondo. Esistevano infatti parchi meccanici (con attrazioni, giostre e chioschi) ma non esistevano, prima di quel 17 luglio, parchi tematici: costruiti per ricreare un mondo, per raccontare una storia e non solo per far divertire con montagne russe o ruote panoramiche. Disneyland fu anche l’unico parco divertimenti di cui Walt Disney, morto nel 1966, curò direttamente la progettazione, e l’unico di cui vide l’apertura: ma l’inaugurazione andò male e restò nella memoria come “la domenica nera” di Disney.

Walt Disney creò il parco 22 anni dopo aver fondato, insieme al fratello Roy Oliver Disney, la società che si chiama come lui e che che oggi vale circa 150 miliardi di euro. Quando Disneyland fu inaugurato erano già usciti Biancaneve e i sette nani, Le avventure di Peter Pan, Fantasia e, nel giugno 1955, Lilly e il vagabondo. Per realizzare Disneyland, Walt Disney acquistò ad Anaheim, una città a 30 chilometri da Los Angeles, 1,5 chilometri quadrati di terreno: per il terreno e per i lavori di costruzione – che durarono meno di un anno – investì 17 milioni di dollari, arrivando anche a ipotecare alcune sue proprietà. Nel 1955 il parco ospitava cinque diverse aree tematiche, ancora oggi attive: Main Street, U.S.A., Adventureland, Frontierland, Fantasyland e Tomorrowland.  All’ingresso del parco era ben visibile il Castello della Bella Addormentata, che fu costruito quattro anni prima della presentazione del film.

A tutti voi: benvenuti. A Disneyland siete a casa vostra. Qui gli adulti rivivranno i loro più teneri ricordi del passato e i più giovani potranno assaporare le sfide e le promesse del futuro. Disneyland è dedicato agli ideali, ai sogni e alle realtà che hanno fondato l’America, nella speranza che ognuno ne tragga forza, gioia e ispirazione. (Walt Disney, il 17 luglio 1955)

Negli ultimi sessant’anni Disneyland si è espanso, ha cambiato il suo nome in Disneyland Park e ha accolto più di 700 milioni di “ospiti” (secondo le regole Disney li si deve chiamare così, non “visitatori”). Disneyland si è imposto come modello per i parchi divertimenti di tutto il mondo e nonostante l’apertura di altri parchi Disney in Florida, a Tokyo, a Hong Kong, a Parigi, a Shanghai, resta uno dei parchi più visitati al mondo. Il successo degli ultimi sessant’anni è arrivato nonostante i molti problemi che Disneyland ebbe il giorno della sua inaugurazione. Il 17 luglio del 1955 Disney aveva infatti organizzato un’apertura in anteprima per la stampa e per pochi ospiti appositamente invitati: gli ospiti invitati erano circa 15mila, gli ospiti registrati quel giorno furono 28mila: quasi la metà di loro era riuscita a entrare usando dei biglietti finti.

I 28mila ospiti del 17 luglio 1955 ebbero molti problemi e videro molte cose che non funzionavano: lo racconta nel dettaglio un articolo del Los Angeles Times, che spiega perché quel giorno è da allora conosciuto come “Black Sunday”, la domenica nera della storia Disney. Walt Disney aveva accelerato i tempi dei lavori di completamento del parco, che avrebbero in realtà richiesto più mesi: la vernice di molti edifici era ancora fresca e non tutte le attrazioni erano ancora complete. In un’attrazione, la Mr. Toad’s Wild Ride, saltò la corrente; il ponte della Mark Twain steamboat, una nave ancora presente del parco, si allagò. Ci furono anche molte code: per l’ingresso, per le attrazioni, per le toilette. Chioschi e ristoranti finirono la maggior parte del cibo e delle bevande molto prima del previsto e quel giorno faceva molto caldo. Gli ospiti del parco cercarono allora delle fontanelle di acqua potabile e non ne trovarono nemmeno una.

Il Los Angeles Times racconta però che ci si accorse comunque che Disney e Walt Disney avevano appena realizzato qualcosa di innovativo: la pulizia, la cura del dettaglio paesaggistico e architettonico erano senza precedenti, e così anche l’idea di raccontare una storia e offrire un mondo, anziché un semplice gruppo di attrazioni. Quel parco fu anche il primo a capire l’importanza dei bambini: la maggior parte dei luna park guardava agli adolescenti e agli adulti, offrendo esperienze “adrenaliniche”. Disney capì che i bambini erano un importante target e che per conquistarli non serviva solo l’adrenalina, ma la fascinazione.

Il 17 luglio del 1955 Walt Disney non si accorse dei guai: era impegnato in una lunga diretta che il canale televisivo ABC stava dedicando all’inaugurazione. Fu informato dei problemi il giorno dopo, quando il parco fu ufficialmente aperto al pubblico. «Era furioso», scrive il Los Angeles Times riportando le parole di un collaboratore di Walt Disney: «Fece un finimondo. Ma nel giro di un mese risolse ogni problema». In seguito Disney decise anche di invitare nuovamente gli ospiti del 17 luglio, per mostrargli com’era davvero quello che ABC  definì “il più affascinante regno del mondo”.

mercoledì 16 luglio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 16 luglio.

Il 16 luglio 1950 contro ogni pronostico, l'Uruguay batte il Brasile e vince la sua seconda Coppa del Mondo di Calcio.

Alle volte bastano veramente pochi istanti per cambiare la storia di una nazione, e il Brasile che si affacciava agli Anni Cinquanta era veramente un paese in grande cambiamento, dal punto di vista politico e soprattutto sociale. Il dittatore Getúlio Vargas vuole mettere finalmente il Brasile sulla mappa mondiale, l’obiettivo è quello di dimostrare che il paese carioca non è tanto arretrato quanto si pensa in tutto il mondo. Vargas, come fatto da Mussolini nel 1934 e come farà Videla nel 1978, propone il Brasile come paese ospitante della quarta edizione del Campionato Mondiale e decide di fare le cose in grande: assembla una squadra di grandi campioni e costruisce lo stadio più grande della storia, il mitico Maracanã, capace di ospitare fino a 200.000 spettatori. La storia è fatta però di attimi, ed è proprio un istante fulmineo di quel caldo pomeriggio di luglio del 1950 ad aver cambiato per sempre la storia brasiliana.

Come facilmente prevedibile il Brasile arriva all’appuntamento finale di quella rassegna iridata da assoluto favorito. L’avversario è una delle squadre più vincenti all’epoca, i rivali continentali dell’Uruguay, vincitori fino a quel momento di un titolo mondiale, due olimpici e di ben otto edizioni della Copa America. Ma, vista la strana formula di quel Mondiale, la partita non è una tipica finale, in quanto il Brasile può disporre persino di un pareggio per issarsi a campione del mondo per la prima volta, visto il punto di vantaggio mantenuto sulla Celeste.

Il 16 luglio 1950, alle ore 16:00 locali, davanti a poco meno di 200.000 spettatori, va in scena quella che è una delle più famose partite della storia del calcio, che passerà alla storia come “Maracanazo“. I padroni di casa del Brasile scendono in campo con la classica tenuta bianca adornata di contorni blu, l’Uruguay veste la consueta maglia celeste. Il ct brasiliano Flávio Costa schiera la seguente formazione: Barbosa; il capitano Augusto, Juvenal, Bigode; Bauer, Zizinho, Jair, Danilo; Friaça, Ademir e Chico. L’allenatore uruguayo Juancito Lopez risponde mandando in campo: Máspoli; González, Tejera, Gambetta, Andrade; capitan Varela, Pérez, Schiaffino; Ghiggia, Míguez e l’esordiente Moran.

Lo stadio attende solo il fischio dell’inglese Reader, in tutto il paese sono già iniziati i caroselli celebrativi, diverse testate giornalistiche hanno peccato di superbia non ponendo alcun dubbio sulla vittoria carioca. Eppure il calcio sa sempre stupire, soprattutto quando meno ce lo si aspetta. Il primo tempo scivola via abbastanza liscio, il Brasile sembra essere legato dalla paura di sbagliare, o forse solamente di strafare, ma nonostante questo riesce ad impegnare diverse volte il portiere avversario Roque Máspoli.

Dopo soli due minuti dall’inizio del secondo tempo avviene quello che tutti stavano trepidamente aspettando: il gol dei padroni di casa, il primo realizzato con la Seleçao da Friaça. Lo stadio può finalmente esplodere di gioia, ancora inconsapevole che si tratterà di una gioia passeggera ed effimera. Infatti il leader uruguayo, non solo in campo ma anche dal punto di vista motivazionale, Obdulio Varela, sta per dare ai suoi la scossa necessaria per l’incredibile rimonta. Se poco prima dell’inizio del match il nero jefe era infatti andato quasi contro al suo allenatore, affermando che i suoi non dovessero affrontare una partita improntata su una strenua difesa e al contenimento della fantasia brasiliana, adesso decide di prendersi tutto il tempo necessario per far rinsavire i suoi. Prima protesta timidamente, per di più nonostante la differenza di lingua, con il guardalinee per un presunto fuorigioco, poi compie il suo destino ed assolve totalmente al proprio dovere di capitano, riportando lentamente la palla verso il centro del campo. Obdulio sa benissimo che se il gioco riprendesse così in fretta i suoi subirebbero certamente il contraccolpo psicologico, con il rischio di essere mangiati dai quasi 200.000 del Maracanã.

E la strategia di Varela porta gli effetti sperati: la Celeste intensifica gli sforzi, rendendosi più volte pericolosa dalle parti del portiere Barbosa. Il bomber del Peñarol Oscar Míguez colpisce addirittura un palo da poco fuori dall’area di rigore. Al 66° cambia totalmente l’inerzia della partita. Ghiggia scappa sulla fascia a Bigode e crossa in direzione di Schiaffino, che di prima insacca sotto l’incrocio del primo palo. Diversi anni dopo Pepe rivelerà di aver colpito male il pallone, che nelle sue intenzioni sarebbe dovuto andare ad incrociare. Ma il pallone sta bene lì dov’è, dentro la porta brasiliana.

Il Brasile a questo punto perde completamente la ragione. L’ansia da prestazione e la galoppante paura diffusasi sugli spalti inghiotte letteralmente gli 11 allenati da Costa, che iniziano a soffrire maledettamente le avanzate dell’Uruguay. E al minuto 79 la finale si decide: Ghiggia scappa ancora una volta ad un ubriacato Bigode, entra in area di rigore, e con un rasoterra sul primo palo supera un disattento Barbosa. Lo stadio adesso è in un silenzio tombale, le confuse ed insensate avanzate brasiliane condotte negli ultimi minuti sono del tutto velleitarie.

Alla fine, su un calcio d’angolo per il Brasile, l’arbitro Reader – coi suoi 53 anni, il più vecchio ad aver mai arbitrato una finale mondiale – fischia la fine. El mono Gambetta blocca il pallone con le mani, i giocatori brasiliani crollano a terra, diversi uruguaiani tra cui Schiaffino e Pérez scoppiano in lacrime, Ghiggia viene sollevato di peso e portato in trionfo da Varela. La partita che doveva essere quella della gioia brasiliana, si trasforma definitivamente nel Maracanazo. Lo stadio è attonito, Jules Rimet consegna molto imbarazzato la coppa a Varela, nonostante l’opposizione dello stesso Getúlio Vargas. Rimet era infatti andato a preparare il discorso quando il punteggio era ancora sull’1-1, certo della vittoria brasiliana, trovandosi così spiazzato dalla vittoria della Celeste.

Finisce in questo modo il Maracanazo, una delle partite più pazze della storia del calcio, ma purtroppo per i giocatori brasiliani l’onta non passerà così velocemente. Saranno considerati non più come degli eroi, bensì come dei falliti e dei traditori, in particolare il portiere Barbosa, ritenuto colpevole della sconfitta per l’errore in occasione del secondo gol. Sarà per più di 40 anni odiato da tutta la popolazione, “nonostante la pena massima per un crimine nel paese sia di 30 anni”, come dirà successivamente. Tutti i giocatori uruguaiani diventeranno invece delle vere e proprie leggende in patria, ma la maggior parte di essi morirà in povertà. Contemporaneamente in tutto il Brasile moriranno circa 90 persone, tra suicidi e arresti cardiaci, provocando così tre giorni di lutto nazionale.

Altri strascichi del Maracanazo si avranno nella scelta di non utilizzare più la maglia bianca, ma soprattutto avverranno in campo politico. Fallirono infatti tutti i governi che avevano puntato sullo sport per ottenere enorme popolarità, permettendo il ritorno al potere di Getúlio Vargas, nel frattempo destituito dalla stessa giunta militare che lo aveva inizialmente eletto. Cambierà in questo modo l’intera storia futura di un paese, influenzata da soli pochi attimi di una semplice partita di pallone.

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