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domenica 10 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 10 agosto.

Il 10 agosto 1849 il garibaldino Ciceruacchio viene fucilato dagli austriaci.

Angelo Brunetti detto Ciceruacchio (Roma, settembre 1800 – Porto Tolle, 10 agosto 1849), figlio di un maniscalco di Campo Marzio, era di mestiere carrettiere del porto di Ripetta e trasportava vino dai Castelli romani e gestiva una taverna nei pressi di Porta del Popolo.

Il soprannome “ciceruacchio”, datogli dalla madre da bambino, è la corruzione dell’originale romanesco ciruacchiotto (grassottello). Popolano verace e dall’intelligenza assai vivida, dotato di straordinaria capacità dialettica che non poté mai coltivare con l’istruzione (parlava solo ed unicamente in romanesco), divenne presto un rappresentante informale dei sentimenti popolari.

Già beneamato dal popolo romano, per il suo comportamento durante l’epidemia di colera del 1837, con l’avvento al soglio pontificio di Papa Pio IX nel 1846, si fece portavoce dell’entusiasmo popolare per le riforme annunciate dal nuovo pontefice, tanto da divenire uno dei più strenui sostenitori, tanto che, nel luglio dello stesso anno, durante una manifestazione popolare, ringraziò il Papa per aver concesso la libertà ai detenuti politici e donò alla gente che si era ivi raccolta, alcune botti di vino, accendendo anche un grande fuoco presso Porta del Popolo.

Egli fu spesso organizzatore di queste adunate popolari, al fine di continuare ad esortare Pio IX nella prosecuzione del proficuo cammino di riforme politiche nello Stato Pontificio.

Quando alla fine del 1847 ed agli inizi del 1848, gli elementi più conservatori ebbero il sopravvento all’interno della Curia, divenendo ispiratori di provvedimenti impopolari, Angelo Brunetti assunse un atteggiamento di forte e manifesta opposizione nei confronti del Papa, divenendo uno dei più significativi esponenti dell’anticlericalismo.

Abbracciata la causa mazziniana dopo il voltafaccia del pontefice avvenuto con l’allocuzione del 29 aprile 1848, aderì alla Rivoluzione del 1849. Partecipò attivamente ai combattimenti contro l’assediante francese e si premurò di organizzare il trasporto delle armi e delle munizioni per la difesa della Repubblica, prodigandosi per riuscire a far passare attraverso l’assedio della città da parte dei francesi, bestiame e cibo per la popolazione.

Dopo la caduta della Repubblica Romana, nel luglio dello stesso anno, Ciceruacchio insieme ai due figli, il primogenito Luigi, e Lorenzo, appena tredicenne, decise di partire da Roma al seguito di Garibaldi con l’intento di raggiungere Venezia, che ancora resisteva agli Austriaci.

Con Garibaldi, Anita e Ugo Bassi ed altri fedelissimi del generale, fece tappa a San Marino e Cesenatico da dove si imbarcarono  per Venezia. In prossimità del delta del Po furono intercettati da una vedetta austriaca e costretti all’approdo. Ciceruacchio e i suoi compagni chiesero l’aiuto di alcuni abitanti del posto per raggiungere Venezia ma questi li denunciarono alle autorità.

Brunetti fu così arrestato dagli Austriaci e fucilato a mezzanotte del 10 agosto 1849, insieme al figlio Lorenzo di tredici anni, all’altro figlio Luigi ed altri patrioti e sepolti nella golena del Po. Solo nel 1879, su espressa volontà di Garibaldi, del Comune di Roma e della Società Veterani del 1848-49, i resti dei patrioti vennero uniti agli altri caduti del 1849, nell’ossario al Gianicolo a Roma.

Nel marzo 2011, in occasione del 150º anniversario dell’Unità d’Italia, il monumento a Ciceruacchio, già spostato nel 1960 in occasione della creazione del sottovia di Passeggiata di Ripetta, è stato trasferito al Gianicolo. La nuova collocazione, poco prima dell’uscita verso San Pancrazio, accanto al viale intitolato al figlio Lorenzo, ha restituito al monumento a Ciceruacchio, prima sistemato ai margini di un’arteria di rapido scorrimento, il giusto decoro, trasferendolo nel luogo simbolo del Risorgimento romano.


sabato 9 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 9 agosto.

Il 9 agosto del 48 a.C. si svolse la Battaglia di Farsalo tra l’esercito del console Gaio Giulio Cesare e quello di Gneo Pompeo Magno.

Gaio Giulio Cesare aveva completato con successo la sottomissione della Gallia. Il senato gli ordinò quindi di lasciare il comando delle legioni e tornare a Roma come privato cittadino. Cesare chiese invece il consolato, ma il senato filopompeiano respinse la richiesta. A questo punto Cesare decise di rientrare in Italia con le sue legioni: è il 10 gennaio del 49 a.C. Diede in tal modo inizio alla guerra civile.

Pompeo, con il senato, fuggì in Oriente cercando di organizzare l’esercito. Lo scontro decisivo si svolse a Farsalo (in Tessaglia, nel nord della Grecia) il 9 agosto del 48 a.C.

Nel De bello civili Cesare riferisce che i suoi uomini erano circa 22 000, mentre quelli di Pompeo erano circa 45 000. Il numero delle truppe cesariane è sostanzialmente esatto, mentre il numero dei pompeiani è quasi certamente esagerato, anche se è probabile che essi fossero più numerosi.

I pompeiani però erano privi della preparazione e “professionalità” dei cesariani che avevano combattuto per sette anni in Gallia.

Cesare affrontò lo scontro creando una quarta fila di soldati di riserva (oltre alle tre che erano schierate normalmente).

Quando i soldati di Pompeo sembravano ormai vicini alla vittoria, Cesare mandò all’attacco la quarta fila, sorprendendo i nemici, ormai affaticati, con uomini in piena forza. Le truppe di Cesare assalirono l’accampamento dei pompeiani e li costrinsero a fuggire verso nord. Di fronte alla clamorosa disfatta, Pompeo si staccò le insegne di generale e fuggì a cavallo.

Circa 20 000 pompeiani morirono in battaglia, oltre 24 000 si arresero. Cesare riconobbe il loro valore e li trattò con clemenza.

Pompeo fuggì in Egitto, dove contava sull’appoggio del giovane re Tolomeo XIII. Questi però per ingraziarsi Cesare, lo fece uccidere (29 settembre del 48 a.C.).

Cesare, giunto in Egitto, rimise invece sul trono la colta e affascinante Cleopatra, sorella di Tolomeo, che l’aveva detronizzata.

Dopo un’altra rapida e vittoriosa campagna in Oriente contro Farnace, figlio del re del Ponto Mitridate, Cesare sconfisse gli ultimi pompeiani a Tapso (46 a.C.), in Africa, e a Munda (45 a.C.), in Spagna.

Pochi eventi hanno segnato la storia romana come la battaglia di Farsalo, nella quale si decise il destino non solo dei due comandanti supremi, ma anche di due modi diversi di concepire e gestire il potere, ossia le tendenze dittatoriali da parte di Cesare e la difesa dell’oligarchia senatoria da parte di Pompeo.

Con la vittoria di Cesare, la repubblica romana entrò in una fase di turbolenze che l’avrebbero presto condotta al principato.

venerdì 8 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è l'8 agosto.

L'8 agosto 1889 muore Benedetto Cairoli.

BENEDETTO CAIROLI, nasce il 28 gennaio 1825 a Pavia, da Adelaide Bono e da Carlo Cairoli. Primo di quattro fratelli: Ernesto, Enrico, Luigi e Giovanni.

Studia alla Facoltà di Giurisprudenza all’Università di Pavia. Fu tra gli organizzatori delle manifestazioni antiaustriache che all’inizio del 1848 animarono le vie cittadine sull’esempio di quanto stava accadendo a Milano (le Cinque Giornate).

Nel 1850 aderisce al partito mazziniano ed entra a far parte del Comitato rivoluzionario di Enrico Tazzoli. Ricercato dalla polizia austriaca per la sua attività di cospiratore, nel 1852 si rifugia prima nella villa di famiglia a Gropello (non fatevi ingannare dalla vicinanza: all’epoca era nel territorio del Regno di Sardegna. Oggi la località si chiama Gropello Cairoli), poi in Svizzera, mentre l’Austria lo condanna per alto tradimento. In esilio, si convince dell’inutilità dei moti insurrezionali mazziniani e si accosta alla politica piemontese.

Tornato in Italia, si trasferisce prima a Genova (dove conosce Giuseppe Garibaldi), poi allo scoppio della II guerra d’indipendenza nel 1859, coi fratelli Enrico ed Ernesto, si arruola nel secondo Reggimento delle Alpi. Dopo il trattato di Villafranca, può tornare nella sua città, Pavia, libera dal dominio austriaco.

Cairoli partecipa anche all’organizzazione nel 1860 della spedizione dei Mille: con il grado di capitano della settima compagnia, parte per la Sicilia, combatte a Marsala e, durante l’occupazione di Palermo, rimane ferito a una gamba (e restò claudicante tutta la vita). Seguì Garibaldi anche nella campagna del Trentino nel 1866: fu l’ultima partecipazione alle spedizioni militari. Lui si dedicò all’attività politica, mentre i fratelli Enrico e Giovanni continuarono a combattere con l’Eroe dei due mondi (Luigi era morto di tifo durante la Spedizione dei Mille).

Nel 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia, viene eletto deputato, schierandosi con gli esponenti della Sinistra storica. Quando nel 1867 Rattazzi risale al potere, spera in una politica favorevole alle sue aspirazioni, ma deve ben presto ricredersi: i fatti di Mentana gli dimostrano l’indecisione del governo. Negli anni successivi partecipa poco ai lavori parlamentari e si dedica più intensamente alle cure familiari: nel 1873 sposa la contessa Elena Sizzo.

Quando nel 1876 la Sinistra passa al potere con Depretis, all’inizio appoggia le posizioni del nuovo governo, poi passa all’opposizione e contribuisce alla sua caduta, e succede, proprio a Depretis, come Presidente del Consiglio.

Il 17 novembre 1878, viaggiando in carrozza con re Umberto I, gli salva la vita, impedendo a Giovanni Passanante di pugnalarlo. Viene ferito ad una coscia. Il gesto gli vale, oltre che la gratitudine personale di Umberto I, la medaglia d’oro al valor militare. L’episodio offre l’occasione all’opposizione di Destra di accusare il governo di eccessiva tolleranza nei confronti di organizzazioni sovversive. Nel dicembre del 1878 Cairoli è costretto a lasciare l’incarico di primo ministro. Torna in politica tra il 1879 e il 1881, ricoprendo anche la carica di ministro degli Esteri e dell’Agricoltura (oltre che quella di primo ministro): ritenuto responsabile della grave crisi causata dall’occupazione della Tunisia da parte della Francia, nel maggio del 1881 si dimette. Muore a 64 anni l’8 agosto 1889 a Napoli nella reggia di Capodimonte, ospite del re.

Viene sepolto nel sacrario della villa di Gropello insieme alla madre e ai fratelli.

giovedì 7 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 7 agosto.

Il 7 agosto 1947 Thor Heyerdhal conclude positivamente il suo viaggio sulla zattera Kon Tiki.

Di Thor Heyerdahl, celebre esploratore e antropologo norvegese, nato il 6 ottobre 1914, viene principalmente ricordato il motivo per cui ottenne fama mondiale: la traversata a bordo della zattera “Kon-Tiki” nel 1947. Fu un lungo viaggio su una grande zattera dal Perù alla Polinesia, durato 101 giorni, ideato da Heyerdahl nel tentativo di avvalorare una sua ipotesi contraria alle teorie scientifiche allora e tuttora dominanti. In pratica, Heyerdahl voleva dimostrare che in tempi antichi la Polinesia fosse stata abitata da popoli provenienti dal Perù e dalle terre degli Incas, piuttosto che da immigrazioni giunte dall’Asia, ipotesi prevalente ancora oggi. Quindi compì quel viaggio a bordo del “Kon-Tiki”, una zattera di circa 20 metri fatta con tronchi di balsa, costruita imitando le capacità e le disponibilità delle civiltà precolombiane presenti anche nei territori dell’odierno Perù. Thor Heyerdahl partì con altre cinque persone a bordo (quattro norvegesi e uno svedese) il 28 aprile 1947 da Callao, in Perù. Arrivarono nell’arcipelago di Tuamotu, nella Polinesia francese, dopo 101 giorni.

Heyerdahl lavorò a sostenere la sua ipotesi per gran parte della vita, e il successo del viaggio del Kon-Tiki – che prendeva il nome dalla divinità che una leggenda ripresa da Heyerdahl voleva avere ispirato la migrazione sudamericana – fu fondamentale per darle attenzione presso la comunità scientifica, malgrado la convinzione degli studiosi resti quella della colonizzazione da Ovest, e malgrado in molti abbiano attaccato e deriso la ricostruzione di Heyerdahl. Ma il viaggio fu anche una storia di grande fama popolare – e questo, secondo lo stesso Heyerdahl, svilì parte della sua credibilità scientifica – e ne vennero un libro, un documentario e un film tutti di grande successo: oltre che la costruzione di un museo a Oslo che ospita la zattera originale.

La passione di Heyerdahl per la scienza e l’antropologia era cominciata molto presto, quando era ragazzo, e un’importante collezione di reperti polinesiani raccolta a Oslo lo indirizzò verso lo studio di quei luoghi. Partecipò a una prima spedizione in Polinesia già a ventidue anni, subito dopo il primo dei suoi tre matrimoni. Dopo il Kon-Tiki, invece, Heyerdahl studio e viaggiò ancora in Polinesia – con un intenso lavoro sull’Isola di Pasqua – ma anche in diversi altri luoghi del mondo. Morì per un tumore al cervello il 18 aprile 2002, a 87 anni, nel borgo ligure di Colla Micheri, in Italia: dove aveva preso una casa e dove fu sepolto, dopo i funerali di Stato a Oslo.

mercoledì 6 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 6 agosto.

Il 6 agosto 1991 Tim Berners-Lee annuncia e pubblica ufficialmente la prima pagina WWW della storia di Internet.

il sistema che permette di usufruire della gran parte dei contenuti disponibili su Internet – fu descritto ufficialmente per la prima volta il 12 marzo del 1989 dal suo inventore Tim Berners-Lee, in una sorta di memoria che presentò ai suoi capi al CERN di Ginevra. Il World Wide Web – o web – non è un sinonimo di internet (le app, per fare un esempio tra mille, non sono “web”) ma sarebbe poi diventato il principale servizio di internet, cambiando di fatto il mondo. In quel momento però era solo la descrizione di un sistema per gestire la grande mole di informazioni legata agli esperimenti scientifici al CERN tra i circa 17.000 scienziati che ci lavoravano. Il suo nome non era ancora World Wide Web – Berners-Lee ci arrivò successivamente – ma MESH.

Nel 1990, Time Berners-Lee e i suoi collaboratori pubblicarono la prima pagina web all’indirizzo http://info.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html (è ancora lì, potete visitarla) e il primo server del web era ospitato sul computer di Berners-Lee, un NeXT (la società fondata da Steve Jobs dopo aver lasciato Apple) su cui fu appiccicata una grossa etichetta che diceva “non spegnete, è un server!”. La pagina era una descrizione del progetto che esemplificava e conteneva anche alcuni collegamenti ipertestuali per raggiungere altre pagine: i link, il sistema principale su cui ancora oggi si basa l’architettura delle pagine web.

Le cose continuarono a svilupparsi rapidamente. Nel marzo del 1991 i software necessari per usare il sistema del World Wide Web (il primo browser, di fatto) furono disponibili anche per altre persone al CERN e nell’agosto di quell’anno Berners-Lee annunciò pubblicamente la sua invenzione. Nel dicembre del 1991 fu attivato il primo server del web negli Stati Uniti, nel centro di ricerca SLAC dell’università di Stanford. A lavorare al progetto furono poi invitate anche altre persone che non facevano parte del CERN, quando diventò chiaro che sarebbero servite molte mani in più per scrivere i codici che avrebbero permesso a migliaia di persone di usare il nuovo sistema. Nell’aprile 1993 il CERN disse che “la tecnologia WWW sarebbe diventata utilizzabile liberamente da tutti, senza bisogno di dover pagare alcuna tassa” al CERN. Alla fine del 1993 c’erano già almeno 500 server per il web, che generavano circa l’1 per cento del traffico di internet.

Berners-Lee oggi si occupa del World Wide Web Consortium (W3C), l’organizzazione non governativa con il compito di promuovere internet (di cui è fondatore e presidente) e della World Wide Web Foundation, l’associazione fondata nel 2009 con lo scopo di rendere internet aperto e accessibile ovunque nel mondo.

martedì 5 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 5 agosto.

Il 5 agosto 1962 nel gran premio di Germania al Nurburgring, debutta la Brabham di Formula 1.

Trent'anni: tanto è durata la storia della Brabham, che fece il suo debutto nel '62 per volontà di «Black Jack», iridato nel '59 e nel '60 con la Cooper. La squadra del campione australiano si affermò già dalla metà degli anni Sessanta, per vivere una nuova stagione di successi nei primi anni Ottanta, quando era però passata sotto il controllo di Ecclestone. L'abbandono del team da parte di Piquet convinse Bernie a concentrarsi sulla FOCA: due elementi che decretarono la fine della squadra.

È il 1966 quando Jack Brabham, al volante di una monoposto che porta il suo nome, conquista il campionato del mondo: un fatto unico nella storia della F.1. Cioè che un pilota diventato costruttore abbia avuto la soddisfazione di svettare nel mondiale con una propria vettura. Dopo aver vinto due titoli di fila nel '59 e nel '60, infatti, Jack Brabham aveva iniziato a pensare a una propria scuderia, anche perché i suoi rapporti con la Cooper, scuderia che lo aveva lanciato, erano andati deteriorandosi progressivamente. Così, nel '62, ai nastri di partenza del campionato del mondo si presenta un nuovo team: quello della Brabham MRD (sigla che sta per Motor Racing Developments), che fino al '65 utilizzerà motorizzazioni Climax. Primo e storico progettista delle vetture, fino a quel '71 in cui la squadra fu ceduta a Bernie Ecclestone, fu Ron Tauranac, australiano come patron Brabham: ogni monoposto di questa prima era del team, portò appunto la sigla BT (Brabham Tauranac).

Alla prima stagione interlocutoria del '62 che vide come pilota solo lo stesso Jack Brabham, seguì un biennio di crescita anche con l'apporto di un altro pilota: Dan Gurney. E sarà proprio lo statunitense a regalare alla squadra la prima vittoria in campionato, nel Gran Premio di Francia del '64, ripetendosi in Messico. Nella stagione successiva, nel team arriva anche Denis Hulme, un neozelandese destinato a vincere il mondiale '67 proprio al volante di una Brabham. In questo 1965, oltre che in F.1, la Brabham si cimenta anche in F.2, raccogliendo con patron Jack e con Denis Hulme una serie di successi propiziati anche dalla motorizzazione Honda. L'era della formula 1.500 cc finisce: nel '66 si passa a quella di 3 litri, e sarà proprio la Brabham a interpretare al meglio i nuovi regolamenti, conquistando il titolo a fine stagione. Titolo bissato, l'anno successivo da Denis Hulme.

Nei quattro anni successivi, la Brabham vincerà però soltanto tre Gran Premi, acuendo una crisi finanziaria che la porterà a essere venduta a Bernie Ecclestone. A Ron Tauranac succedette come responsabile tecnico Ralph Bellamy, cui fece seguito un giovanissimo ingegnere sudafricano destinato a riportare il team al vertice della F.1: Gordon M. Sotto la sua guida, la squadra crescerà sempre di più fino a conquistare un 2° e due 3° posti nel mondiale costruttori nel '75, '78 e '80. La stagione successiva è quella del ritorno al successo pieno: Nelson Piquet si aggiudica infatti il titolo iridato battendo al termine di un estenuante duello la Williams di Carlos Reutemann. L'anno successivo, con la scelta tecnica di sposare la nuova motorizzazione turbo tramite un quattro cilindri realizzato dalla BMW, la squadra non può puntare in alto, vivendo la stagione come interlocutoria. Il riscatto non si fa però attendere molto, visto che nell'83 Nelson Piquet vince il campionato del mondo al volante della sua Brabham-BMW turbo: fra l'altro, il brasiliano e la sua squadra hanno la soddisfazione di svettare per primi nella nuova era della turbocompressione. La potenza sviluppata dal propulsore bavarese arrivò a superare i 1300 CV.

Due anni dopo, la Brabham vinceva, sempre con Nelson Piquet, la sua ultima gara iridata: curiosamente proprio in quel Gran Premio di Francia che l'aveva vista vincere per la prima volta nel '64. Al termine di questa stagione, infatti, l'asso brasiliano lasciava la scuderia per passare alla Williams, allettato soprattutto dalla motorizzazione Honda: una scelta che gli darà ragione, visto che l'anno successivo Piquet conquistò il titolo. Per contro, la Brabham vive nell'86 un anno terribile, non solo perché la nuova vettura messa in campo da Murray è subito tacciata di essere troppo avveniristica oltre che pericolosa dall'ambiente, ma perché sul circuito di Le Castellet, nel corso di alcuni test privati, Elio De Angelis, approdato nel team con Riccardo Patrese dopo il divorzio di Piquet, perde la vita in uno schianto terribile. Sotto accusa è messa proprio la Brabham, oltre all'inefficienza dei mezzi di soccorso. La stagione successiva è l'ultima di un team ormai allo sbando dopo che Bernie Ecclestone ha deciso di disfarsene. Ma dopo un 1988 che per la prima volta dopo decenni vede un campionato del mondo senza la presenza della Brabham, ecco che nella stagione successiva la squadra si ripresenta ai nastri di partenza grazie a una nuova società che ne ha rilevato la gestione da Ecclestone. Si intuisce però subito che la squadra ha il fiato corto: un fiato che terminerà del tutto nel '92, esattamente col Gran Premio di Ungheria, quando Damon Hill riuscì faticosamente a qualificare la sua Brabham da saldi di fine stagione. Anzi, da fallimento.

lunedì 4 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 4 agosto.

Il 4 agosto 1932 Adriano Olivetti trasforma la azienda del padre nella moderna Società Olivetti.

La storia della Olivetti inizia nel 1908, quando il suo fondatore, Camillo Olivetti, un ingegnere di Ivrea di origine ebraica, dopo essersi occupato per diversi anni della loro commercializzazione, progettò la sua prima macchina da scrivere, la Olivetti M1.

Fu durante gli anni della prima guerra mondiale che iniziò il successo della Olivetti, con la M20, macchina da scrivere con la quale l’azienda riuscì a battere la concorrenza più sulla qualità che sul prezzo. Grazie a questo successo, C. Olivetti creò un’ottima rete di commercializzazione, attraverso una buona rete di distribuzione dei suoi prodotti.

Nel 1932 si ebbe il passaggio di testimone dal padre Camillo al figlio Adriano. E’ sotto la guida di quest’ultimo che l’impresa di Ivrea comincia a caratterizzarsi  e acquista la fama per la quale ancora oggi il nome Olivetti è conosciuto, creando a partire dalla produzione di macchine da scrivere il proprio successo nel settore delle strumentazioni da ufficio (calcolatrici, fatturatrici) e dell’informatica (computer).   Nel 1940 compare la prima addizionatrice Olivetti. Nel 1959 si sviluppa l’Elea 9003 uno dei primi mainframe computer transistorizzati.

E’ a cavallo fra gli anni cinquanta e gli anni sessanta però che inizia la vera ascesa dell’azienda di Ivrea, grazie al successo nella produzione di computer (nel frattempo era passato al timone il figlio di Adriano, Roberto) . E’ di questo periodo la Programma 101, considerata il primo esempio di personal computer, utilizzata dalla NBC e persino dalla NASA per la missione spaziale dell’Apollo 11, e probabilmente uno dei suoi prodotti più celebri.

Nel periodo successivo al 1964, il ruolo della famiglia Olivetti diventò sempre più marginale, con il subentro a quest’ultima di nuovi azionisti. Il Cda della Olivetti ne decise la vendita della maggior parte delle quote all’americana General Electric. 

Il ruolo nel mercato delle strumentazioni da ufficio comincia a declinare a favore delle imprese americane. Il settore dell’informatica però resta forte e durante gli anni ottanta (nel 1978 assunse la guida dell’azienda Carlo De Benedetti) accelera lo sviluppo nell’informatica e nei sistemi, in seguito anche ad una serie di nuove alleanze ed accordi. Furono anni di successo tanto che l’azienda diventò  uno dei principali produttori di personal computer in Europa.

A inizio anni ’90 iniziò però la crisi dei margini di redditività e il progressivo declino nel business dell’informatica e delle tecnologie da ufficio e il conseguente avvicinamento verso il mondo delle telecomunicazioni, prima con la creazione di Omnitel e Infostrada, poi con il successivo assorbimento nel 2003 ad opera di Telecom Italia. 

Sebbene oggi la Olivetti (adesso parte di Telecom Italia) ricopra un ruolo decisamente minore nell’informatica e nelle strumentazioni elettriche rispetto al passato,  l’azienda resta uno degli esempi italiani più validi di innovazione tecnologica, essendosi caratterizzata per anni come leader  in settori ad alta tecnologia e distinguendosi,  fra le altre cose, nell’attenzione per il design industriale dei propri prodotti, in particolare delle macchine da scrivere, alcune delle quali sono diventate un cult per i collezionisti del settore.

domenica 3 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


Buongiorno, oggi è il 3 agosto.

Il 3 agosto 1829 va in scena a Parigi la prima del Guglielmo Tell di Rossini.

All’apice della fama che lo consacra il più grande operista vivente, dal 1824 Rossini si stabilisce a Parigi, assumendo la carica di ‘Directeur de la musique et de la scène du Théâtre Royal Italien’, con l’obbligo di comporre anche nuovi titoli per il Théâtre de l’Académie Royale de Musique (l’Opéra Français). Ma la tanto sospirata partitura da scriversi espressamente per le scene parigine viene di anno in anno abilmente procrastinata, quasi Rossini sentisse il bisogno d’impadronirsi appieno dell’aura musicale francese prima d’esporsi a un passo professionale così atteso: in una sorta di avvicinamento progressivo alla meta si susseguono pertanto una nuova opera italiana d’argomento francese ( Il viaggio a Reims ), un opéra-comique assemblato su musiche preesistenti ( Ivanhoé , Parigi, Théâtre Royal de l’Odéon, 15 settembre 1826), due adattamenti di opere italiane ( Le Siège de Corinthe e Moïse et Pharaon ), e un’opera comica ch’è originale solo in apparenza ( Le Comte Ory ), provenendo gran parte del materiale musicale dal precedente Viaggio a Reims . 

Di anno in anno cresce dunque l’aspettativa per quello che viene considerato già in anticipo un evento artistico «de la plus grande importance», e quando alfine nel 1828 s’annuncia l’imminente debutto del Guillaume Tell , l’attenzione dell’opinione pubblica parigina diviene esclusiva. Ma dell’opera nuova, all’epoca, non è ancora pronto nemmeno il libretto: scartati alcuni testi di Scribe (il librettista francese di maggior reputazione), quali il Gustave III , poi musicato da Auber (e che sarà alla base del Reggente di Mercadante e del Ballo in maschera verdiano), e La Juive (recuperato da Halévy), la scelta era ricaduta su un libretto del vecchio e onorato Étienne de Jouy, prolisso ma scenicamente efficace, composto da qualche tempo e rimasto inutilizzato. La malferma salute del suo autore costringe a commissionare ad altri le dovute modifiche: l’emergente Hippolyte Bis, chiamato all’incarico, dovrà destreggiarsi fra il timore di suscitare il risentimento dell’anziano collega e le richieste pressanti del musicista, consapevole di giocare con la nuova opera una carta decisiva. 

Quant’altri abbiano messo le mani su quei versi, non è dato sapere: lo stesso Rossini, rievocando come sempre a posteriori una verità di comodo, fece circolare anche i nomi di Armand Marrast e Isaac Adolphe Crèmieux, futuri cospiratori contro Luigi Filippo, guarda caso indicandoli quali responsabili della scena di congiura nel secondo atto. Lo stesso Adolphe Nourrit, il tenore che avrebbe per primo interpretato la parte di Arnold (accanto a Laura Cinti-Damoreau come Mathilde e Henri Bernard Dabadie come Guillaume), sembra abbia dato sfogo al suo estro poetico, come già per Le Comte Ory .

Ai progressivi aggiustamenti del libretto si aggiunsero poi quelli della partitura, soggetta a modifiche continue durante le prove e nel corso delle prime rappresentazioni, per tacere degli interventi subìti negli anni successivi, a opera o meno di Rossini: dalla reazionaria traduzione italiana di Calisto Bassi, quanto mai inopportuna per un soggetto patriottico, e che pur s’acclimatò sulle scene di tutto il mondo, fino alla codificazione di numerosi tagli che portarono la musica dalle quattro ore originali a dimensioni più prossime a quelle del melodramma ottocentesco; lo stesso Rossini approntò una versione dell’opera in soli tre atti, il cui finale recuperava populisticamente il noto tema eroico che conclude l’ouverture. È questa una delle pagine più possenti del catalogo rossiniano, che abbandona lo schema sonatistico delle sinfonie italiane per votarsi a un polittico sonoro nel quale vengono sublimati, in successione, i quattro affetti portanti dell’opera: il dolore, sia esso amoroso o patriottico; il potere consolatorio della natura; gli effetti dirompenti dei suoi elementi, che erompono rivelando una collera a lungo repressa nell’animo; infine, il senso di rivalsa e di finale vittoria cui l’atto eroico conduce. Date queste premesse, è impossibile parlare di una e una sola versione autentica dell’opera, bensì di una partitura aperta a numerose soluzioni esecutive, la cui traccia drammatico-musicale rimane comunque generalmente quella qui esposta.

Atto primo - In un villaggio svizzero è in corso una festa campestre per le nozze imminenti di tre coppie di pastori: fra canti e balli (quartetto, con barcarola del pescatore Roudi, "Accours dans ma nacelle" / "Il picciol legno ascendi"), Guillaume piange in disparte le sorti della patria oppressa dal dominio asburgico. L’anziano Melcthal benedice gli sposi ed esprime al figlio Arnold il desiderio di poter presto fare altrettanto con lui. Vana speranza: il giovane contadino arde segretamente per Mathilde, principessa d’Asburgo ospite nella corte del governatore austriaco Gesler; alle differenze di rango s’aggiungono, insormontabili, quelle politiche, rese ancor più vive dalle sollecitazioni di Guillaume, che ora invita Arnold a unirsi ai ribelli contro il nemico (duetto "Où vas-tu? quel transport t’agite?"/ "Arresta... Quali sguardi"). La festa continua fra danze (Pas de six) e giochi, che proclamano il piccolo Jemmy, figlio di Guillaume, vincitore del tiro con la balestra. L’esultanza generale viene interrotta dall’irruzione del pastore Leuthold: per salvare l’onore della figlia ha ucciso un soldato austriaco, e solo se qualcuno lo condurrà sull’altra sponda del torrente potrà sfuggire alla furia del comandante Rodolphe e dei suoi sgherri che lo inseguono. Guillaume si offre d’aiutarlo, mentre Rodolphe, dopo aver cercato inutilmente di conoscere dal popolo il nome del traghettatore, ordina ai suoi di distruggere il villaggio e si allontana prendendo in ostaggio il vecchio Melcthal.

Atto secondo - Durante una partita di caccia, Mathilde si apparta (romanza "Sombre forêt, désert triste et sauvage" / "Selva opaca, deserta brughiera") per poter incontrare nascostamente l’amato Arnold ("Oui, vous l’arrachez à mon âme" / "Tutto apprendi, o sventurato"). È notte ormai, e mentre la principessa si allontana promettendo un nuovo incontro per il giorno successivo, Arnold viene sorpreso da Guillaume e Walter, che intendono distoglierlo dalla passione amorosa e incitarlo all’amor di patria ("Quand d’Helvétie est un champ de supplices" / "Allor che scorre de’ forti il sangue"). Ma solo dopo aver appresa la notizia che Gesler ha fatto uccidere Melcthal, Arnold risolve di unirsi ai rappresentanti dei vari cantoni, convenuti fra le tenebre per il solenne giuramento contro l’oppressore (inno di congiura "Jurons, jurons par nos dangers" / "Giuriam, giuriamo pei nostri danni").

Atto terzo - Al nuovo incontro segreto, Arnold confida a Mathilde di voler vendicare il padre, cosa che non potrà che dividerli per sempre; vana la supplica della donna ("Pour notre amour plus d’espérance" / "Ah, se privo di speme è l’amore"): il giovane non è più disposto a fuggire per salvarsi la vita, ma rimarrà a difendere la patria. Frattanto giunge dalla pubblica piazza l’eco della festa che Gesler ha organizzato per celebrare il diritto di sovranità sulle terre elvetiche. In segno di sottomissione, tutti devono inchinarsi davanti a un trofeo d’armi, mentre canti e balli accompagnano la cerimonia (Pas de trois et Choeur tyrolien; Pas de soldats). Il rifiuto di Guillaume e Jemmy suscita l’ira di Rodolphe, che ravvisa nell’uomo colui che aveva tratto in salvo Leuthold: l’arresto è immediato. Tuttavia, conoscendone l’abilità d’arciere, Gesler lo sfida offrendogli vita e libertà se sarà in grado di colpire con una freccia una mela posta a distanza sulla testa del figlio. Fra la commozione generale, Guillaume raccomanda a Jemmy di pregare Iddio nella massima calma ("Sois immobile, et vers la terre" / "Resta immobile, e vêr la terra inchina"): il dardo scocca, l’impresa riesce. Sopraffatto dall’emozione, Guillaume s’accascia al suolo, lasciando così scorgere una seconda freccia che aveva tenuto in serbo per Gesler in caso di fallimento. La furia del governatore scoppia irrefrenabile; Mathilde, precipitosamente avvertita da un paggio, accorre sul luogo, ma ottiene soltanto di poter prendere Jemmy sotto la propria protezione, mentre Guillaume viene condotto a morte.

Atto quarto - Arnold s’aggira desolato nella casa paterna ("Asile héreditaire" / "O muto asil del pianto"), quando viene raggiunto dai ribelli in cerca delle armi nascoste da Melcthal per il giorno della rivolta: il giovane s’unisce a loro, consapevole che il momento è vicino. Frattanto Mathilde, ha ricondotto Jemmy da sua madre Hedwige (terzetto "Je rends à votre amour" / "Salvo da orribil nembo"). Mentre il ragazzo, precedentemente istruito dal padre, corre a incendiare la propria casa per dare il segnale della rivolta, sul Lago dei Quattro Cantoni si addensano nubi che preannunciano tempesta: tutti temono per la sorte di Guillaume, ora prigioniero sulla barca di Gesler, che lo conduce alla fortezza (preghiera "Toi, qui du faible es l’espérance" / "Tu che l’appoggio del debol sei"); ma Leuthold annuncia di aver osservato dalla riva che, per far fronte all’impeto delle onde, proprio Guillaume è stato messo alla guida dell’imbarcazione. Tutti accorrono sulla spiaggia, e mentre infuria la tempesta vedono Guillaume riportare faticosamente la barca verso riva; avvicinatosi però a uno scoglio, vi balza prontamente sopra, respingendo il battello in mezzo ai flutti. Gioia e abbracci coi familiari sono subito interrotti: anche Gesler è riuscito a guadagnare la riva; a Guillaume non rimane che imbracciare la balestra e trafiggerlo. Arnold giunge dalla città coi rivoltosi, annunciando che il nemico è stato definitivamente scacciato. La gioia per la libertà riconquistata viene coronata dal sole, che torna a risplendere sulle bellezze della natura ("Tout change et grandit en ces lieux" / "Tutto cangia, il ciel si abbella").


 

sabato 2 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 2 agosto.

Il 2 agosto 1955 viene brevettato il Velcro.

Fino al 2 aprile 1978, se vi fosse mai capitato di parlare di velcro, non potevate sbagliare. Fino a quel giorno, infatti, il nome per indicare il sistema attacca e strappa (meglio: chiusura hook and loop) usato su giacche, scarpe, borse, giochi, era di proprietà dell’omonima azienda, la Velcro appunto. Quel giorno, però, il brevetto che ne rivendicava la paternità scadeva, e il sistema di chiusura inventato da George de Mestral diventava di dominio pubblico, vantando una serie di imitatori da cui, per rimanere in tema, sarebbe stato difficile staccare il nome di velcro.

Il materiale era nato nella testa del suo inventore, come spesso accade, osservando la natura. Si racconta che un giorno d’estate, negli anni Quaranta, George de Mestral, ingegnere svizzero appassionato di caccia e amante della montagna, se ne fosse uscito per una passeggiata portando con sé anche il suo cane. Di ritorno a casa, si era accorto che i suoi vestiti e il pelo dell’animale erano pieni degli appiccicosi fiori di cardo alpino, quelle palline che si attaccano ovunque. Più incuriosito che infastidito dal caso, de Mestral cercò di carpire i segreti di quei fiori. Fu così che si armò di un microscopio e cominciò a osservare il modo con cui si attaccavano alle superfici.

E quello che vide era un sistema tanto semplice quanto efficace sviluppato dal cardo per diffondere i propri semi (e far innervosire gli appassionati di montagna). La loro superficie infatti era ricoperta di una sorta di aghi le cui estremità terminavano con degli uncini, i quali a loro volta si arpionavano ai cappi naturali presenti sul pelo degli animali o sui tessuti. Così a de Mestral venne l’ idea. Avrebbe sfruttato lo stesso meccanismo per realizzare un sistema di chiusura analogo a quello delle zip, a incastro: uncini da un lato, cappi dall’altro.

Dopo essersi fatto aiutare da un tessitore, l’ingegnere nel 1955 brevettava il suo Velcro, ma non ancora con i connotati in cui sarebbe diventato famoso. Inizialmente era infatti costituito di due strisce di cotone, e solo successivamente sarebbe diventato di nylon, un materiale che meglio si prestava allo scopo, che poteva essere cucito ovunque. Per il nome, invece, la scelta fu facile: bastava pensare alle sue origini e alla sua funzione: ne venne fuori Velcro, l’insieme delle parole francesi velour (velluto) e crochet (gancio, uncino).

Fu un successo spaziale. I primi a beneficiarne furono infatti gli astronauti, dove l’attacca e strappa serviva loro a fissare gli oggetti che non dovevano mettersi a svolazzare nella cabina, e a staccarli all’occorrenza strappando le chiusure. Ma il resto della popolazione non riuscì a cogliere subito le potenzialità dell’invenzione.

Col passare del tempo il velcro si è diffuso a macchia d’olio nel mondo, a grandi linee, possiamo dire che il velcro oggi viene fabbricato tessendo il nylon in modo tale da produrre un tessuto ricco di piccoli anelli, si procede poi alla “rasatura” degli anelli di nylon fino a ottenere tanti minuscoli gancetti che vengono poi riscaldati e fissati affinché mantengano la loro forma.

Oltre a essere un materiale con un’altissima durata, il velcro grazie alla sua conformazione, può essere fissato e staccato a mano senza particolare fatica, mentre la sua resistenza si nota sulle sue parti laterali. Mediante una stima infatti sappiamo che un quadrato da 12 cm di lato può resistere a un peso di circa una tonnellata. Questa proprietà ha reso utilizzabile il velcro in diversi settori: non solo nel campo dell’abbigliamento, ma anche nell’industria spaziale, anche dall’azienda Argotec, e in campo medico.

Oggi l’azienda Velcro ha la sua sede nel Regno Unito e conta circa 2500 dipendenti, i principali prodotti commercializzati sono:

Sistemi generici di chiusura a strappo

Chiusure ultraresistenti

Nastri e chiusure per prodotti tessili

Chiusure a uncino tradizionali

Blocchi di costruzioni per bambini

Adesivi utili al giardinaggio

Piccola curiosità: nel 2016 la Lexus mette in atto un pasce d’aprile presentando i sedili “Variable Load Coupling Rear Orientation (V-LCRO)”, ovvero ricoperti di velcro per garantire aderenza al sedile durante la guida.

venerdì 1 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il primo agosto.

Il primo agosto 1291 nasce la Confederazione Svizzera.

C’è un giorno, in Svizzera che è festa civile in tutti i 26 cantoni: il 1° agosto. In quel giorno, nel 1291, nasceva il nucleo della Confederazione con il patto federale tra i Uri, Schwyz/Svitto e Unterwald che, per questo sono chiamati i «Cantoni primitivi». 

Quando i rappresentanti delle comunità si incontrarono in un piccolo spiazzo di circa cinque ettari, sul Vierwaldstättersee [Lago dei Quattro Cantoni] vicino a Seelisberg (UR), il prato del Rütli, come viene chiamato nei cantoni di lingua tedesca o Grütli, in quelli di lingua francese e in Ticino, la loro intenzione era quella di segnare un’alleanza difensiva contro la pressione degli Asburgo e dei loro balivi che volevano estendere la loro influenza dall’Austria fino al Gottardo. Probabilmente non immaginavano neppure le «conseguenze» del loro gesto. A questo primo nucleo e con gli stessi intenti, si sono via via aggiunti altri «Paesi» (il termine «Cantone» sarà utilizzato più tardi). 

Solo nel 1848 nasce la Confederazione Helvetica, la Svizzera come la conosciamo oggi. Fino ad allora era più che altro un agglomerato di territori, città e campagne diversi, cresciuti e sviluppatisi uno nell’altro anche con forti tensioni interne che hanno portato persino a rivolte e guerre civili. 

La cerimonia commemorativa del 1° agosto si svolge ogni anno sul prato del Rütli che è Monumento nazionale. Le autorità e i cittadini si recano sul luogo a piedi arrivando dal lago o per un sentiero che scende da Seelisberg e l’avvenimento è trasmesso da tutte le televisioni nazionali. La cerimonia ufficiale Federale è, tutto sommato, molto sobria, un discorso solenne, musica e l’inno nazionale cantato in coro. 

A proposito dell’inno. Solamente dal 1° aprile 1981 la Svizzera ha riconosciuto ufficialmente il «Salmo Svizzero» come inno nazionale. Il Salmo era stato composto da un monaco cistercense dell’abbazia di Wettingen (AG), Albert Swyssig nel 1841 e veniva spesso cantato in occasioni di eventi nazionali in sostituzione di quello precedente «Rufst Du mein Vaterland» la cui musica era quella di «God save the Queen», l’inno inglese. Nonostante l’ufficialità, il Salmo Svizzero non gode di grande popolarità e Il 1° agosto 2013 la Società Svizzera di Utilità Pubblica, che organizza eventi patriottici come la Festa Federale del 1° agosto sul Rütli, ha lanciato un grande concorso di idee per un nuovo inno nazionale che dovrà avere un’impostazione più moderna pur attenendosi a regole severe: «Il testo deve rispecchiare il significato e lo spirito del preambolo della Costituzione federale, i suoi valori. La giuria dovrà anche stabilire se la musica dell’inno nazionale può essere rivisitata restando comunque riconoscibile». Il 12 settembre 2015, in occasione della Festa federale della musica popolare di Aarau, venne selezionata la proposta del cittadino zurighese Werner Widmer, che venne sottoposta all'attenzione del Consiglio Federale, incaricato di valutarne o meno l'approvazione. Tuttavia, ad oggi l'inno è ancora il Salmo svizzero. 

La Festa nazionale, coerentemente con lo stato federale della Confederazione, è celebrata in maniera differente nei diversi cantoni. Dappertutto sventola la bandiera quadrata rossocrociata ma ogni comune festeggia come vuole.

Il momento più importante è alla sera della vigilia, il 31 luglio. Alle 8 tutte le campane della Confederazione suonano a festa, si accendono grandi falò e si sparano i fuochi d’artificio, come a Schaffhausen/Sciaffusa (SH), uno dei posti più suggestivi in cui vedere i festeggiamenti, dove per l’occasione le famosissime cascate del Reno, larghe 150 metri e alte 23, sono illuminate dai giochi pirotecnici.

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