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giovedì 1 maggio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il primo maggio.

Il primo maggio 1786 viene messa in scena per la prima volta a Vienna l'opera "le nozze di Figaro", di Mozart.

Le nozze di Figaro, ossia la folle giornata (K 492), è un'opera lirica di Wolfgang Amadeus Mozart. È la prima delle tre opere italiane scritte dal compositore salisburghese su libretto di Lorenzo Da Ponte.Musicato da Mozart all'età di ventinove anni, il testo dapontiano fu tratto dalla commedia Le mariage de Figaro di Beaumarchais (autore della trilogia di Figaro: Il barbiere di Siviglia, Le nozze di Figaro e La madre colpevole).

La trama è di fatto la continuazione di quella del Barbiere di Siviglia, portato alla fama dall'opera omonima di Gioachino Rossini. Le nozze di Figaro, una delle più famose opere di Mozart, è la prima di una serie di felici collaborazioni tra Mozart e da Ponte, che ha portato alla creazione del Don Giovanni e Così fan tutte. Fu Mozart stesso a portare una copia della commedia di Beaumarchais a Da Ponte che l'ha adattata a libretto in sei settimane. Da Ponte la tradusse in lingua italiana (ai tempi la lingua ufficiale dell'opera lirica) e rimosse gli elementi di satira politica dalla storia.

Eppure fu solo dopo aver convinto l'imperatore Giuseppe II della rimozione delle scene più discusse che questo diede il permesso di presentare l'opera. Così Le nozze di Figaro, finita di comporre il 29 aprile, fu messa in scena al Burgtheater di Vienna, il 1 maggio, 1786. L'opera è in quattro atti e ruota attorno alle trame del Conte d'Almaviva, invaghito della cameriera della Contessa, Susanna, sulla quale cerca di imporre lo "ius primae noctis". La vicenda si svolge in un intreccio serrato e folle, in cui donne e uomini si contrappongono nel corso di una giornata di passione travolgente, piena sia di eventi drammatici che comici, e nella quale alla fine i “servi” si dimostrano più signori e intelligenti dei loro padroni. L'opera è per Mozart (e prima di lui per Beaumarchais) un pretesto per prendersi gioco delle classi sociali dell'epoca che da lì a poco saranno travolte nei fatti con la Rivoluzione francese.

Atto I

Il mattino del giorno delle proprie nozze, Figaro e Susanna sono nella stanza che il Conte ha destinato loro. Figaro misura la stanza mentre Susanna si prova il cappello che ha preparato per le nozze. Figaro si compiace della generosità del Conte, ma Susanna insinua che quella generosità non è disinteressata: il Conte vuol rivendicare lo ius primae noctis, che egli stesso aveva abolito. Le brame del Conte sono favorite da Don Basilio, maestro di musica. Figaro si irrita e trama una vendetta. Anche la non più giovane Marcellina è intenzionata a mandare all'aria i progetti di matrimonio di Figaro e reclama, con l'aiuto di Don Bartolo, il diritto a sposare Figaro in virtù di un prestito concessogli in passato e mai restituito. Don Bartolo, del resto, gode all'idea di potersi vendicare dell'ex "barbiere di Siviglia", che aveva aiutato il Conte a sottrargli Rosina, l'attuale Contessa. Entra il paggio Cherubino per chiedere a Susanna di intercedere in suo favore presso la Contessa: il giorno prima il Conte, trovandolo solo con Barbarina (figlia dodicenne del giardiniere Antonio), si è insospettito e lo ha cacciato dal palazzo. L'arrivo improvviso del Conte lo costringe a nascondersi e ad assistere suo malgrado alle proposte galanti che il Conte rivolge alla cameriera. Ma anche il Conte deve nascondersi a Don Basilio, che rivela a Susanna le attenzioni rivolte dal paggio alla Contessa. Spinto dalla gelosia, il Conte esce dal nascondiglio, poi, scoprendo a sua volta il paggio, monta su tutte le furie. Entrano i contadini che ringraziano il Conte per aver abolito il famigerato ius primae noctis.

Il Conte, con un pretesto, rimanda il giorno delle nozze e ordina la partenza immediata di Cherubino per Siviglia dove dovrà arruolarsi come ufficiale del suo reggimento. Figaro si prende gioco del paggio con una delle arie più celebri dell'opera, "Non più andrai, farfallone amoroso".

Atto II

Susanna rivela all'addolorata Contessa le pretese del Conte. Entra Figaro ed espone il suo piano di battaglia: ha fatto pervenire al Conte un biglietto anonimo dove si afferma che la Contessa ha dato un appuntamento a un ammiratore per quella sera. Quindi suggerisce a Susanna di fingere di accettare l'incontro col Conte: Cherubino (che non è ancora partito) andrà al posto di lei vestito da donna, così la Contessa smaschererà il marito, cogliendolo in fallo. Tuttavia, mentre il travestimento del paggio è ancora in corso, il Conte sopraggiunge e, insospettito dai rumori provenienti dalla stanza attigua (dove la Contessa ha rinchiuso Cherubino), decide di forzare la porta. Ma Cherubino riesce a fuggire saltando dalla finestra e Susanna ne prende il posto.

Quando dal guardaroba esce Susanna invece di Cherubino, il Conte è costretto a chiedere perdono alla moglie. Entra Figaro che spera di poter finalmente affrettare la cerimonia nuziale.

Irrompe però il giardiniere Antonio che afferma di aver visto qualcuno saltare dalla finestra della camera della Contessa. Figaro cerca di parare il colpo sostenendo di essere stato lui a saltare. Ma ecco arrivare con Don Bartolo anche Marcellina che reclama i suoi diritti: possiede ormai tutti i documenti necessari per costringere Figaro a sposarla.

Atto III

Mentre il conte si trova nella sua libreria pensoso, la Contessa spinge Susanna a concedere un appuntamento galante al Conte, il quale però si accorge dell'inganno e promette di vendicarsi.

Il giudice Don Curzio entra con le parti contendenti e dispone che Figaro debba restituire il suo debito o sposare Marcellina. Ma da un segno che Figaro porta sul braccio si scopre ch'egli è il frutto di una vecchia relazione tra Marcellina e Don Bartolo, i quali sono quindi i suoi genitori.

La Contessa intanto, determinata a riconquistare il marito, detta a Susanna un bigliettino, sigillato da una spilla, per l'appuntamento notturno da far avere al Conte. Modificando il piano di Figaro, e agendo a sua insaputa, le due donne decidono che sarà la stessa Contessa e non Cherubino a incontrare il Conte al posto di Susanna.

Mentre alcune giovani contadine recano ghirlande per la Contessa, Susanna consegna il biglietto galante al Conte che si punge il dito con la spilla. Figaro è divertito: non ha visto, infatti, chi ha dato il bigliettino al Conte. Poi si festeggiano due coppie di sposi: oltre a Susanna e Figaro, anche Marcellina e Don Bartolo.

Atto IV

È ormai notte e nell'oscurità del parco del castello Barbarina sta cercando la spilla che il Conte le ha detto di restituire a Susanna, e la fanciulla ha perduto. Figaro capisce che il biglietto ricevuto dal Conte gli era stato consegnato dalla sua promessa sposa e credendo ad una nuova trama, si nasconde per sorprendere i due 'amanti'. Susanna, che ha udito non vista le rampogne di Figaro, si sente offesa dalla sua mancanza di fiducia e decide di farlo stare sulle spine. Entra allora Cherubino e, vista Susanna, (che è in realtà la Contessa travestita) decide di importunarla; nello stesso momento giunge il Conte il quale, dopo aver scacciato il Paggio, si mette a corteggiare quella che crede essere la sua amante.

Fingendo di veder arrivare qualcuno, la Contessa travestita da Susanna fugge nel bosco mentre il Conte va a vedere cosa succede; nel contempo Figaro, che stava spiando gli amanti, rimane solo e viene raggiunto da Susanna travestita da Contessa. I due si mettono a parlare ma Susanna durante la conversazione dimentica di falsare la propria voce e Figaro la riconosce. Per punire la sua promessa sposa, questi non le comunica la cosa ma rende le proprie avances alla Contessa molto esplicite. In un turbinio di colpi di scena, alla fine Figaro chiede scusa a Susanna per aver dubitato della sua fedeltà mentre il Conte, arrivato per la seconda volta, scorge Figaro corteggiare quella che crede essere sua moglie; interviene a questo punto la vera Contessa che, con Susanna, chiarisce l'inganno davanti ad un Conte profondamente allibito. Allora questi implora con sincerità il perdono della Contessa e le nozze tra Figaro e Susanna si possono finalmente celebrare; la "folle giornata" si chiude così in modo festoso.

Nelle Nozze di Figaro Mozart abbandona le convenzioni settecentesche dello stile vocale italiano, caratterizzato da tessiture molto acute e da un pronunciato virtuosismo, a favore di nuove sfaccettature sia liriche che drammatiche: dunque riorganizza l'ordinaria e topica costellazione dei personaggi dell'opera buffa, associando ai vari caratteri determinate tinte sociali, e dando vita a nuovi tipi sociopsicologici che si sarebbero poi instaurati nella futura visione operistica europea.

Sul frontespizio del libretto leggiamo soltanto tre tipi vocali: basso, soprano e tenore, corrispondenti al “triangolo” tradizionale dell'opera buffa. Mancano i termini baritono e mezzosoprano, semplicemente perché ancora non esistevano.

Considerando la partitura e la tessitura vocale ricavabile da essa riusciamo a cogliere e a comprendere le sfumature indicate dal compositore e la scelta moderna dei ruoli vocali: Figaro, basso, è in realtà un basso-baritono, visto il timbro più brillante e più chiaro; Conte è un basso con una tessitura più acuta, che nell'Ottocento prenderà senz'altro il nome di baritono; Antonio e Bartolo, interpretati nella prima rappresentazione dallo stesso cantante Francesco Bussani, sono entrambi due bassi buffi.

Mozart affida la dicitura di soprano a tutte le donne dell'opera, differenziandone minuziosamente il carattere: Susanna, soprano lirico che si avvicina al soprano di mezzo-carattere; Contessa, soprano lirico tendente al drammatico; Barbarina, soprano leggero; Marcellina è il mezzosoprano ed antagonista; Cherubino, mezzosoprano.

La parte più sacrificata è quella del tenore lasciata a Don Curzio e Basilio. Secondo la critica del Chronik von Berlin (1790) ciò doveva essere senz'altro dipeso dalla mancanza di tenori di spessore nel cast a vantaggio delle voci gravi.

Con la ripresa viennese dell'opera (quella del 29 agosto del 1789) Mozart modificò la partitura variando alcune parti del ruolo di Susanna, avendo a disposizione una nuova interprete: Adriana Ferrarese, già interprete di Fiordiligi nel Così fan tutte, e pertanto non da meno alla precedente Nancy Storace. I cambi riguardano due arie: “Venite inginocchiatevi” (II, 2) e “Deh vieni non tardare, o gioia bella” (IV,10) sostituite dalle meno articolate a livello musicale e meno incisive dal punto di vista drammaturgico “Un moto di gioia” e “Al desio di chi t'adora”.

La versione viennese non è stata mai preferita alla “tradizionale” (le due arie sono in genere di solito eseguite come «arie da concerto» anche se Mozart non le aveva affatto concepite come tali).

Soltanto nel 1998 al Metropolitan di New York, il direttore d'orchestra James Levine e l'allora Susanna Cecilia Bartoli decisero di introdurre in alcune recite delle Nozze le due arie sostitutive. Tale scelta fece sorgere un pubblico scandalo quando il regista, Jonathan Miller, contrario alla scelta, sollevò la questione durante la serata inaugurale a sipario aperto.

La sua visione non mutò negli anni, infatti nel 2003 in un'intervista al Paris Rewiew, ribadì la sua idea a tal proposito, ovvero che le due arie erano estranee ad una rappresentazione scenica visti i testi troppo poco congeniali alla drammaturgia. Questa posizione sia dal punto di vista storico che estetico è da considerarsi lontana dalla verità: le arie non nascono come arie da concerto e sta al regista doverle inserire nel contesto e al cantante renderle vicine al personaggio.

Esistono altre due varianti testuali, forse anch'esse nate per la ripresa viennese: il recitativo Marcellina-Susanna e Cavatina di Marcellina, in sostituzione del celeberrimo Duettino “Via resti servita” (I,4) ; Il Recitativo accompagnato per Figaro, al posto del Recitativo secco “Ehi capitano” che precede “Non più andrai farfallone amoroso”, (I,8).

mercoledì 30 aprile 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 30 aprile.

Il 30 aprile 1945 la battaglia di Monte Casale segnò l'ultimo combattimento vero e proprio sul suolo italiano nella Seconda Guerra Mondiale.

La  colonna di mezzi corazzati del 68° Rgt. Fanteria " Legnano " quel mattino del 30 Aprile transitava sulla Verona-Brescia all'altezza di Ponti sul Mincio, ignara di una minaccia che si sarebbe manifestata di lì a poco, nella festa generale di paesi liberati e nel tripudio di tricolori.

All’inizio della colonna si trovava la 104° Compagnia del IX Reparto d’Assalto seguita dalla 4° e l’8°; una volta raggiunta Peschiera, nelle ore più calde che precedono il pranzo, gli Arditi furono circondati da una folla festante per effetto della liberazione. L’emozione di trovarsi li e vedere gli Italiani di nuovo liberi dall’oppressione Nazista fu interrotta da un capitano del II Corpo d’Armata il quale chiedeva al comandante della compagnia  Arditi di intervenire proprio nella zona di Ponti sul Mincio per attaccare un reparto tedesco posizionato su Monte Casale che colpiva dal monte tutti i mezzi in transito su quella rotabile.

Il comandante della compagnia si trovò a decidere nel bel mezzo della festa se continuare con gli ordini avuti in precedenza e quindi raggiungere Brescia o andare in aiuto dei partigiani della “Avesani” che già dalla mattina stavano impegnando i Tedeschi nel combattimento.

Il comandante osservava gli Arditi e rifletteva, scorrevano nella sua mente le immagini dei combattimenti fatti fino a quel momento e del sangue versato, ed ora che tutto sembrava finito ancora una volta occorreva entrare in contatto con il nemico.

La decisione fu presa, erano Italiani, erano Arditi e partirono in aiuto dei partigiani.

Il Capitano Americano guidò gli Arditi fino al contatto con il comandante “Bruto” della formazione partigiana “Avesani”. Qui studiò il terreno e osservò che nei combattimenti della mattina avevano perso già due uomini e circa ottanta tedeschi erano arroccati su quella piccola collina denominata monte Casale in onore della Brigata “Casale” che qui si scontrò durante la Prima Guerra d’Indipendenza.

I reparti tedeschi appartenevano alle SS ed alla Flak ed erano decisi a non mollare, senza paura, senza speranza, si erano arroccati all’interno di strutture militari costruite in precedenza, forse per una postazione di contraerea.

Gli arditi cercarono di indebolire le difese con l’intervento di mortai da 3 pollici e cannoni da 57-50 mentre fendevano la linea dell’orizzonte con mitragliatrici da 12,7; subito dopo partirono all’assalto.

Alle 13:30 si mossero frontalmente al nemico mentre i partigiani iniziavano la loro azione sulla destra.

La forza d’attacco degli Arditi era di 30 uomini, compresi i volontari arrivati dai plotoni mortai, plotoni cannoni e dai piloti dei carri; questi erano gli Arditi della Guerra di Liberazione, questi i ragazzi della Legnano, questi gli attori del Secondo Risorgimento Italiano.

Nelle sue memorie, il comandante di quel plotone riporta l’emozione  di vedere tutti quei volontari andare incontro alla possibile morte.

Superarono di corsa il prato, che separava la strada dalla collina e si ritrovarono, all’inizio della salita e del bosco con un solo ferito, ed iniziarono a strisciare nel sottobosco.

I tedeschi risposero, facendo fuoco con tutto quello che avevano, martellando la pianura e la base della collina, erano difficili da individuare, perfettamente mimetizzati all’interno del bosco, dentro buche e camminamenti.

Incontrarono e superarono anche un reticolato, posto alla base della collina, lo fecero passandoci sotto, non curanti delle punte aguzze ed arrugginite; l’unico ardito che tentò di saltarlo fu falciato dalle mitragliatrici, era l’ardito Marcon, un volontario del plotone cannoni forse poco esperto.. ma non meno coraggioso.

Gli Arditi partirono all’attacco e per tre ore entrarono nelle buche, e nei camminamenti conquistando postazioni di mitragliatrici e mortai; i combattimenti sono corpo a corpo, mentre a Peschiera e Brescia si festeggia con in mano le bottiglie di vino, gli Arditi hanno in mano i pugnali insanguinati ed infieriscono sulla carne del nemico, per poi ricordarlo negli incubi fino all’ultima delle loro notti.

Lanciano le bombe a mano e si gettano nei cunicoli quando ancora il fumo rende l’aria irrespirabile e finiscono gli avversari in abbracci mortali, mentre a pochi chilometri gli abbracci sono di gioia tra donne e soldati.

Gli Arditi urlano, muoiono, chiedono soccorso, le grida in italiano e tedesco rompono la pace di quel sottobosco, nella calura di un pomeriggio di primavera.

Con il coraggio e con tutto quanto li faceva essere Arditi e quindi migliori, ebbero alla fine la meglio sugli avversari che man mano si arrendevano, alzando le mani al cielo tra i raggi di sole che filtravano tra le fronde dei rami di quella collina finalmente conquistata.

L’aspetto del nemico era fiero e disperato allo stesso momento, tutto gli stava crollando intorno, tutte le certezze di un regime che li aveva illusi adesso non c’erano più e l’unica certezza erano i propri cari, il rifugio dell’uomo quando si scopre solo e vinto.

Il comandante delle SS fu ferito alla 16:30, era un tenente, dal volto fiero e provato dalla  fatica, con lui si arresero tutti gli altri e la pace tornò su quella collina forse mentre un soldato ed una ragazza si davano il primo bacio sul lungo lago di Peschiera, conquistati dal troppo vino o dalla troppa voglia di ricominciare a vivere.

Per gli Arditi di Monte Casale, quel tempo doveva ancora venire, poggiate le armi in terra era il momento di raccogliere i caduti e soccorrere i feriti.

Alla sommità della collina c’era un piccola casetta, fu il teatro principale degli scontri, qui raccolsero i caduti trovati nel bosco, per poi riportarli a valle con l’aiuto di tutti.

Tra di loro anche un Americano, la sua guerra, che poteva essere finita nella gioia di Peschiera, aveva avuto un ultimo sussulto nella voglia di seguire gli Arditi, perché all’amicizia non si comanda e Richard Albert Carlson partì all’assalto come gli altri della squadra del Serg. Mag. Serpentini per poi lasciare la sua giovane vita su quella collina accanto ai suoi amici italiani.

Tra tutti li colpisce l'Ardito Benedetti, il suo corpo è l’inno degli Arditi, ma anche un tonfo per i cuori più provati.

Lo sentirono gridare a voce alta durante i combattimenti: «Viva l’Italia! » e lo videro saltare in una trincea col pugnale in mano.

Perso di vista lo ritrovarono nella trincea abbracciato ad un tedesco entrambi con un pugnale nel cuore.  

I caduti in totale saranno sei mentre i feriti quattro.

Tornati sulla strada, inviarono i feriti all’ospedale, misero i caduti sul carro di testa, per rendere gli onori, e salirono insieme ai nemici sui carri di coda, in colonna, tutti insieme; in quell’assurdo susseguirsi di scene che fanno della fine di ogni battaglia il racconto del rispetto tra vincitori e vinti, che durerà fino all’ultimo dei loro giorni.

martedì 29 aprile 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 29 aprile.

Il 29 aprile 1969 Duke Ellington riceve la medaglia presidenziale della Libertà.

Duke Ellington (il cui vero nome era Edward Kennedy) nasce il 29 aprile 1899 a Washington. Inizia a suonare in maniera professionale ancora adolescente, negli anni Dieci, nella sua città natale come pianista. Dopo alcuni anni trascorsi a esibirsi in locali da ballo insieme con Otto Hardwick e Sonny Greer, grazie a quest'ultimo si trasferisce a New York nel 1922, per suonare con il gruppo di Wilbur Sweatman; l'anno seguente, viene ingaggiato con la "Snowden's Novelty Orchestra", che include, oltre ad Hardwick e Greer, anche Elmer Snowden, Roland Smith, Bubber Miley, Arthur Whetsol e John Anderson. Divenuto il leader della band nel 1924, ottiene un contratto con il "Cotton Club", il locale più famoso di Harlem.

Poco dopo l'orchestra, che nel frattempo ha preso il nome di "Washingtonians", vede aggiungersi Barney Bigard al clarinetto, Wellman Braud al contrabbasso, Louis Metcalf alla tromba e Harry Carney e Johnny Hodges al sassofono. I primi capolavori di Duke risalgono proprio a quegli anni, tra spettacoli pseudo-africani ("The mooche", "Black and tan fantasy") e brani più intimisti e d'atmosfera ("Mood Indigo"). Il successo non tarda ad arrivare, anche perché il jungle si rivela particolarmente gradito ai bianchi. Dopo aver accolto nel gruppo anche Juan Tizol, Rex Stewart, Cootie Williams e Lawrence Brown, Ellington chiama anche Jimmy Blanton, che rivoluziona la tecnica del suo strumento, il contrabbasso, elevato al rango di solista, come un pianoforte o una tromba.

Alla fine degli anni Trenta, Duke accetta la collaborazione di Billy Strayhorn, arrangiatore e pianista: diventerà il suo uomo di fiducia, addirittura un suo alter ego musicale, anche dal punto di vista della composizione. Tra le opere che vedono la luce tra il 1940 e il 1943 si ricordano "Concerto for Cootie", "Cotton Tail", "Jack the Bear" e "Harlem Air Shaft": si tratta di capolavori che difficilmente possono essere etichettati, poiché vanno al di là di schemi interpretativi ben definiti. Lo stesso Ellington, parlando dei propri brani, si riferisce a quadri musicali, e alla sua capacità di dipingere attraverso i suoni (egli, non a caso, prima di intraprendere la carriera musicale aveva manifestato interesse per la pittura, desiderando diventare cartellonista pubblicitario).

Dal 1943, il musicista tiene concerti presso la "Carnegie Hall", tempio sacro di un certo genere di musica colta: in quegli anni, inoltre, il gruppo (che pure era rimasto unito per moltissimi anni) perde alcuni pezzi come Greer (che deve fare i conti con problemi di alcol), Bigard e Webster. Dopo un periodo di appannamento nei primi anni Cinquanta, corrispondente all'uscita di scena dell'altosassofonista Johnny Hodges e del trombonista Lawrence Brown, il grande successo ritorna con l'esibizione del 1956 al "Festival del Jazz" di Newport, con l'esecuzione, tra l'altro, di "Diminuendo in Blue". Questo brano, insieme a "Jeep's Blues" e a "Crescendo in Blue", rappresenta la sola registrazione live del disco, uscito nell'estate di quell'anno, "Ellington at Newport", che invece contiene numerose altre tracce che sono dichiarate "live" pur essendo state incise in studio e mixate con applausi finti (solo nel 1998 il concerto integrale verrà pubblicato, nel doppio disco "Ellington at Newport - Complete"), grazie alla scoperta casuale dei nastri di quella sera da parte dell'emittente radiofonica "The voice of America".

Dagli anni Sessanta, Duke è sempre in giro per il mondo, impegnato tra tour, concerti e nuove registrazioni: si segnalano, tra le altre, la suite del 1958 "Such sweet thunder", ispirata a William Shakespeare; quella del 1966 "Far East suite"; e quella del 1970 "New Orleans suite". In precedenza, il 31 maggio del 1967 il musicista di Washington aveva interrotto la tournée in cui era impegnato in seguito alla morte di Billy Strayhorn, il suo collaboratore che era anche diventato suo intimo amico, dovuta a un tumore all'esofago: per venti giorni, Duke non era mai uscito dalla sua camera da letto. Superato il periodo di depressione (per tre mesi si era rifiutato di tenere concerti), Ellington torna a lavorare con la registrazione di "And his mother called him", celebre album che include alcune tra le partiture più celebri del suo amico. Dopo il "Second Sacred Concert", registrato con l'interprete svedese Alice Babs, Ellington deve fare i conti con un altro evento funesto: durante una seduta dentistica, Johnny Hodges muore a causa di un infarto l'11 maggio del 1970.

Dopo aver accolto nella sua orchestra, tra gli altri, Buster Cooper al trombone, Rufus Jones alla batteria, Joe Benjamin al contrabbasso e Fred Stone al flicorno, Duke Ellington nel 1971 ottiene dal Berklee College of Music un Honorary Doctorate Degree e nel 1973 dalla Columbia University un Honorary Degree in Music; muore a New York il 24 maggio 1974 a causa di un cancro ai polmoni, al fianco del figlio Mercer, e a pochi giorni di distanza dalla morte (avvenuta a sua insaputa) di Paul Gonsalves, suo fidato collaboratore, deceduto a causa di un'overdose di eroina. Le sue spoglie riposano nel Woodlawn Cemetery di New York, nel Bronx, lo stesso in cui si trovano le tombe di Miles Davis e Lionel Hampton.

Direttore d'orchestra, compositore e pianista vincitore, tra l'altro, di un Grammy Lifetime Achievement Award e di un Grammy Trustees Award, Ellington è stato nominato "Medaglia presidenziale della libertà" nel 1969 e "Cavaliere della Legion d'Onore" quattro anni più tardi. Ritenuto unanimemente uno dei compositori più importanti statunitensi del suo secolo e uno dei più significativi della storia del jazz, ha toccato, nel corso della sua ultra-sessantennale carriera, anche generi diversi come la musica classica, il gospel ed il blues.

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