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giovedì 31 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 31 agosto.
Il 31 agosto la Chiesa celebra la figura di San Giuseppe di Arimatea.
I pochi riferimenti storici si desumono dai quattro Evangelisti allorquando narrano la deposizione e la sepoltura di Gesù. Originario di Arimatea, di condizione assai agiata, era un discepolo di Gesù, ma come Nicodemo non aveva dimostrato la propria fede per paura dei Giudei, fino al periodo della Passione. Tuttavia durante il processo di Gesù, partecipando alle sedute del sinedrio, per il senso di giustizia che l'animava e per l'aspettativa del regno di Dio, aveva osato dissentire dai suoi colleghi non approvando le risoluzioni e gli atti di quell'assemblea. Anzi maggior coraggio dimostrò dopo la morte del Maestro, quando arditamente, come si esprime Marco, si presentò a Pilato per ottenere la sua salma e darle degna sepoltura, impedendo così che fosse gettata in una fossa comune, con quella dei due ladroni. Nel pietoso intento, Giuseppe trovò collaborazione, oltre che nelle pie donne, anche in Nicodemo, accorso portando con sé aromi (mirra ed aloè). Giuseppe, secondo quando detto in Mt. 27,59, aveva comprato una bianca sindone. I due coraggiosi discepoli, preso il corpo di Gesù, lo avvolsero in bende profumate e lo deposero nel sepolcro nuovo, scavato nella roccia, che Giuseppe si era fatto costruire nelle vicinanze del Calvario. Era il tramonto quando Giuseppe "rotolata una grande pietra alla porta del sepolcro andò via".
La storia ha qui termine, ma il personaggio non fu trascurato dalla leggenda ed in primo luogo dagli anonimi autori degli apocrifi. Nello pseudo-Vangelo di Pietro (sec. II) la narrazione non si distacca da quella del Vangelo; l'unica differenza sta nel fatto che Giuseppe chiese a Pilato il corpo di Cristo ancora prima della Crocifissione. Ricchi di nuovi fantastici racconti sono invece gli Atti di Pilato o Vangelo di Nicodemo (sec. V), in cui si narra che i Giudei rimproverarono a Nicodemo e a Giuseppe il loro comportamento in favore di Gesù e che proprio per questo, Giuseppe venne imprigionato, ma, miracolosamente liberato, fu ritrovato poi ad Arimatea. Riportato a Gerusalemme narrò la prodigiosa liberazione. Ancora più singolare è una narrazione denominata Vindicia Salvatoris (sec. IV?), che ebbe poi larghissima diffusione in Inghilterra ed Aquitania. Anzi, a questo opuscoletto si è voluto dare un intento polemico contro Roma, giacché il Vangelo sarebbe stato diffuso in quelle zone non da missionari romani, ma da discepoli di Gesù. Il racconto si dilunga nel descrivere l'impresa di Tito, figlio dell'imperatore Vespasiano, che partì da Bordeaux con un grande esercito per recarsi in Palestina a vendicare la morte di Gesù, voluta ingiustamente dai Giudei. Occupata la città, trovò Giuseppe in una torre dove era stato rinchiuso dai Giudei perché morisse di fame e di stenti; egli era invece sopravvissuto per nutrimento celeste. Già Gregorio di Tours faceva menzione di questa prigionia di Giuseppe. Altre leggende di origine orientale riferiscono che Giuseppe fu il fondatore della Chiesa di Lydda, la cui cattedrale fu consacrata da s Pietro.
Ma nell'ambiente francese ed inglese dei secc. XI-XIII la leggenda si colorì di nuovi particolari inserendosi e confondendosi nel ciclo del Santo Graal e del re Artù. Secondo una di queste narrazioni Giuseppe, prima di seppellire Gesù, ne lavò accuratamente il corpo tutto cosparso di sangue, preoccupandosi di conservare quest'acqua e sangue in un vaso, il cui contenuto fu poi diviso fra Giuseppe e Nicodemo. Il prezioso recipiente si tramandò da Giuseppe ai suoi figli e così per varie generazioni fino a quando venne in possesso del patriarca di Gerusalemme. Questi nel 1257, temendo cadesse in mano degli infedeli, su consiglio dei suffraganei, lo consegnò ad Enrico III d'Inghilterra, perché lo tutelasse.
Altre leggende, pur collegandosi alla precedente, riferiscono che Giuseppe, con il prezioso reliquiario, peregrinò accompagnato da vari cavalieri per evangelizzare la Francia (alcuni racconti dicono che sarebbe sbarcato a Marsiglia con Lazzaro e le sue sorelle Marta e Maria), la Spagna (dove sarebbe andato con s. Giacomo, che lo avrebbe creato vescovo!), il Portogallo ed infine l'Inghilterra. Quivi il vaso (il Santo Graal) andò smarrito e solo un cavaliere senza macchia e senza paura l'avrebbe ritrovato. Questa leggenda del Santo Graal fa parte del ciclo di Lancillotto e specialmente della 'Estoire du Graal', che non è altro che una versione in prosa del poema di Roberto di Boron.
Forse questa diffusione della leggenda in Francia si collega anche alla narrazione riguardante le ossa di Giuseppe. Un racconto del sec. IX riferisce che il patriarca Fortunato di Gerusalemme per non essere catturato dai pagani, fuggì in Occidente al tempo di Carlo Magno portando con sé le ossa di Giuseppe d'Arimatea; nel suo peregrinare si fermò per ultimo nel monastero di Moyenmoutier, di cui divenne abate. Le reliquie del santo furono poi trafugate dai canonici.
Il culto più antico sembra però stabilito in Oriente. In alcuni calendari georgiani del sec. X la festa è menzionata il 30, 31 agosto o anche la terza domenica dopo Pasqua. Per i Greci invece la commemorazione era il 31 luglio. In Occidente fu particolarmente venerato a Glastonbury in Inghilterra, ove, secondo una tradizione, avrebbe fondato il primo oratorio. Nel Martirologio Romano fu inserito al 17 marzo dal Baronio. Al compilatore degli Annali l'inserimento fu suggerito dalla venerazione che i canonici della basilica vaticana davano ad un braccio del santo, proprio il 17 marzo. Al tempo del Baronio la più antica documentazione della reliquia era uno scritto del 1454. Tuttavia nessun martirologio occidentale prima di tale data faceva menzione di culto a s. Giuseppe d'Arimatea.

mercoledì 30 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 30 agosto.
Il 30 agosto 1860 nasce a Padula Joe Petrosino.
Agente di polizia nella New York di fine Ottocento, Joe Petrosino è un personaggio che è stato oggetto di vari film e fiction tv.
Nasce come Giuseppe Petrosino il 30 agosto 1860 in Italia a Padula, nella provincia di Salerno.
Presto il padre Prospero - di professione sarto - decide di emigrare e porta l'intera famiglia (madre, due sorelle e tre fratelli) a New York, dove il primo figlio Giuseppe, che tutti chiameranno Joe, cresce nel quartiere di "Little Italy".
Joe si adatta e con l'intenzione di aiutare economicamente la sua famiglia cerca di intraprendere vari mestieri; frequenta inoltre dei corsi serali per imparare la lingua inglese.
E' il 1883 quando inizia la sua carriera di agente di polizia. La sua placca d'argento sul petto porta il numero 285.
Inizia come agente di pattuglia nella "Avenue 13th", poi con il tempo fa carriera imponendo i suoi efficaci sistemi di lavoro. Ciò che è chiaro ai superiori sono la passione per il lavoro, il grande fiuto, l'acume, la professionalità e il senso di responsabilità di Joe Petrosino.
Petrosino diviene autore di imprese che rimarranno leggendarie per il loro merito; si guadagnerà addirittura la stima del Presidente Roosevelt, di cui Petrosino diviene amico personale.
Il suo scopo professionale e nella vita sarebbe stato uno solo: quello di sconfiggere la mafia, organizzazione allora conosciuta con il nome di "Mano Nera".
La storia di Joe Petrosino assume valore storico e leggendario per la sua triste fine: siamo a cavallo del ventesimo secolo quando partecipa a una missione in Sicilia per condurre indagini sulla nascente mafia. Petrosino muore nella piazza Marina di Palermo, raggiunto da quattro colpi di rivoltella, il 12 marzo 1909.
Esistono anche diversi libri e opere a fumetti sulla vita e la vicenda di Joe Petrosino. Negli anni '30 era inoltre molto diffusa e in voga la raccolta di figurine che aveva come tema proprio le avventure del poliziotto italo-americano.
Tra le già introdotte opere cinematografiche e televisive, ricordiamo tra i film "Pay Or Die" (Pagare o Morire, 1960) con Ernest Borgnine, e uno sceneggiato televisivo in 5 puntate, interpretato dall'attore Adolfo Celi nella parte del popolare investigatore italo-americano, prodotto dalla RAI nel 1972 e intitolata "Joe Petrosino". Lo sceneggiato italiano si basa sulla biografia scritta dal giornalista e scrittore Arrigo Petacco, pubblicata negli anni '80.
La RAI ha poi prodotto un nuovo sceneggiato intitolato "Joe Petrosino" nel 2005 (in tv nel 2006) con l'attore Beppe Fiorello nei panni del protagonista.

martedì 29 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 29 agosto.
Il 29 agosto 1997 Angelo Maturino Resendiz uccide una delle sue tante vittime a colpi di bastone.
Angelo Maturino Reséndiz, alias il Killer della Ferrovia (1 agosto 1959 - 27 giugno 2006), è stato un serial killer messicano responsabile di almeno trenta omicidi negli Stati Uniti e in Messico durante il 1990. In alcuni è stata riscontrata la violenza sessuale. Egli divenne noto come "The Railroad Killer". La maggior parte dei suoi crimini sono stati commessi vicino ferrovie. Il 21 giugno 1999, divenne il fuggitivo 457 indicato dall'FBI prima di arrendersi alle autorità il 13 luglio. Aveva 39 anni.
Reséndiz aveva molti pseudonimi, ma era soprattutto conosciuto e ricercato come Resendez-Rafael Ramirez.
Saltando dentro e fuori i treni, tra Messico, Canada e Stati Uniti, Reséndiz è riuscito a sfuggire alle autorità per un tempo considerevole. Inoltre non ha mai avuto un indirizzo fisso.
Reséndiz uccise almeno 15 persone con pietre e altri oggetti contundenti, soprattutto nelle loro case. Dopo ogni omicidio indugiava nelle case per un po', soprattutto cercando da mangiare. Dopo ogni omicidio era solito guardare i documenti della sua vittima, per conoscere qualcosa della vita che aveva preso. Rubava gioielli e altri oggetti di valore e li dava a sua moglie in Messico. Gran parte della gioielleria veniva venduta o fusa. Alcuni degli oggetti che sono stati presi dalla case delle vittime da Resendiz sono stati restituiti dalla moglie dopo la sua cattura. Il denaro, tuttavia, non veniva toccato. Ha violentato alcune delle sue vittime femminili. La maggior parte delle sue vittime sono state trovate con una coperta addosso, o altrimenti celate alla vista dagli inquirenti.
Le vittime:
1. Nel 1986, una donna non identificata senza fissa dimora è stato colpita quattro volte con una calibro 38. Il suo corpo è stato gettato in un casolare abbandonato. Reséndiz ha dichiarato di aver incontrato la donna in un rifugio per senzatetto. Hanno intrapreso un viaggio in moto insieme, portandosi dietro una pistola per il tiro al bersaglio. Reséndiz ha detto che ha sparato e ucciso la donna perché gli aveva mancato di rispetto.
2. Resendiz ha dichiarato che subito dopo aver ucciso la donna senzatetto, ha sparato e ucciso il suo ragazzo - un cubano - e scaricato il suo corpo in un torrente a metà strada tra San Antonio e Uvalde. Reséndiz ha detto che ha ucciso l'uomo perché era coinvolto nella magia nera. Il corpo di quest'uomo non è mai stato trovato, e non si sa nulla di lui tranne quello che ha detto Reséndiz alle autorità. Reséndiz ha confessato questi primi due omicidi nel settembre 2001, nella speranza che così facendo avrebbe accelerato la sua esecuzione.
3. Il 19 luglio 1991, il corpo di Michael White, 33 anni, è stato trovato nel cortile di una casa abbandonata del centro. Reséndiz ha confessato anche questo omicidio nel settembre 2001. Ha disegnato una mappa della scena del crimine e ha detto che l'ha ucciso perché era omosessuale. La polizia ha concluso che Reséndiz ha ucciso White a randellate e con un mattone.
4 e 5. 23 marzo 1997, Ocala , in Florida , Jesse Howell, 19 anni. E' stato ucciso a randellate con un tubo e lasciato accanto ai binari. La sua fidanzata Wendy Von Huben, 16 anni, fu violentata, strangolata, soffocata con le mani e nastro adesivo e sepolta in una fossa poco profonda in Sumter County, in Florida.
6. Nel luglio 1997, un uomo non identificato è stato picchiato a morte con un pezzo di compensato in un cantiere ferroviario situato nella città di Colton, California. Il detective Jack Morenberg ha lavorato senza sosta per provare che Reséndiz aveva commesso il reato, ma a causa della mancanza di prove certe non fu in grado di farlo. Reséndiz è ancora considerato il primo sospettato in questo caso.
7. 29 agosto 1997, Lexington , Kentucky , Christopher Maier, 21 anni. Era uno studente universitario. Stava camminando lungo i binari vicino casa con la sua ragazza, Holly, quando i due sono stati attaccati da Reséndiz, che uccise Maier con una pietra, poi violentò e picchiò duramente la fidanzata di Maier. Holly Dunn Pendleton, sopravvisse e andò ad un programma televisivo che parlava di biografie e che si intitolava "Sono sopravvissuto" e raccontò la sua storia. Attualmente aiuta le altre vittime di stupro e violenza sessuale. Ha anche fondato "Holly House" nella sua nativa Evansville, a beneficio di coloro che hanno subito stupri e violenze sessuali. Di lei si è parlato sul numero del 19 Giugno 2009 della rivista People.
8. 4 Ottobre 1998, Hughes Springs , Texas , Leafie Mason, 81 anni. E' stato ucciso a casa sua con un ferro da stiro. Resendiz era entrato in casa attraverso una finestra.
9. 17 Dicembre 1998, West University Place , Texas , Claudia Benton, 39 anni. Benton, una pediatra neurologa presso il Baylor College of Medicine, è stata violentata, pugnalata, bastonata in casa sua, sita vicino ai binari della ferrovia. La polizia ha trovato la sua Jeep Cherokee a San Antonio e ha trovato le impronte digitali sul piantone dello sterzo di Resendiz.
10 e 11. 2 maggio 1999, Weimar, Texas, Norman J. Sirnic, 46 anni, e Karen Sirnic, 47 anni. Sono stati bastonati a morte con un martello in una canonica della Chiesa Unita di Cristo, dove Norman Sirnic era un pastore. L'edificio si trovava adiacente alla Union Pacific railway. Tre settimane più tardi, le impronte digitali collegarono questo caso con il caso Claudia Benton.
12. 4 giu 1999, Houston, Texas, Noemi Dominguez, 26 anni. Dominguez, insegnante a Houston Independent School District School's Benjamin Franklin scuola elementare, è stata uccisa con un piccone nel suo appartamento vicino i binari. Sette giorni dopo, la sua Honda Civic è stata trovata dalla polizia statale sul Ponte Internazionale Del Rio, Texas.
13. 4 giu 1999, Fayette County, Texas, Josephine Konvicka, 73 anni. Konvicka è stata uccisa con un colpo di piccone in testa, lo stesso usato per uccidere Noemi Dominguez, mentre lei dormiva. Il suo casale non è lontano da Weimar. Reséndiz tentò di rubare l'auto ma non riuscì a portarla via perché non trovò le chiavi della macchina.
14 e 15. 15 giugno 1999, Gorham, Illinois, George Morber senior, 80 anni, e Carolyn Federico, 52 anni. Reséndiz sparò un colpo alla testa con un fucile da caccia a George Morber e poi bastonò Carolyn Federico a morte con un cric. La loro casa era situata a soli 100 metri di distanza da una linea ferroviaria. Più tardi, uno testimone vide un uomo corrispondente alla descrizione di Reséndiz che guidava un camion pick-up rosso che si trovava a 60 miglia a sud di Gorham.
16. Reséndiz venne anche incolpato della morte di Fannie Whitney Byers, 81, che è stata trovata il 10 Dicembre 1998, uccisa a randellate nella sua casa vicino ai binari della ferrovia.
Ha confessato altri sette omicidi, che a suo dire avrebbe commesso in Messico.
La polizia ha rintracciato la sorella di Reséndiz, Manuela. Lei temeva che suo fratello avrebbe potuto essere ucciso da qualcuno che cercava vendetta o essere ucciso dall'FBI, così accettò di aiutare la polizia. Un ranger del Texas, Drew Carter, accompagnato da Manuela ed una guida spirituale incontrò Reséndiz su un ponte che collega El Paso, in Texas. (Manuela era originariamente riluttante a cooperare, ma Carter la convinse) Reséndiz si arrese a Carter.
Nel 1999, l'ex procuratore generale del Texas Jim Mattox ha osservato: "spero che non inizino a incriminarlo per ogni crimine che avviene nei pressi di un binario ferroviario".
Reséndiz venne processato e condannato a morte per l'omicidio di Benton.
Il 21 giugno 2006, un giudice ha stabilito che Reséndiz era mentalmente pronto per essere giustiziato. Su provvedimento del giudice, Reséndiz disse: "Io non credo nella morte. So che il corpo sta per andare perduto. Ma io, come persona, sono eterno. Ho intenzione di restare vivo per sempre". Egli ha anche descritto se stesso come metà uomo e metà angelo e disse agli psichiatri che non poteva essere giustiziato perché non credeva che potesse morire.
Nonostante un ricorso presentato al quinto US Circuit Court of Appeals, la sentenza di condanna a morte venne confermata.
E' stato giustiziato nel penitenziario di Huntsville, in Texas, il 27 giugno 2006, con iniezione letale. Nella sua dichiarazione finale, Reséndiz ha detto "voglio chiedere se nel vostro cuore potrete perdonarmi. Non dovete fare nulla. So che ho permesso al Diavolo di governare la mia vita. Vi chiedo di perdonarmi e di chiedere al Signore di perdonarmi per aver permesso al diavolo di ingannare me. Ringrazio Dio per aver pazienza con me.
Reséndiz stato dichiarato morto alle 8:05 CDT (01:05 UTC il 28 giugno 2006).
Il marito di Claudia Benton, George, era presente alla esecuzione e disse di Reséndiz: "E' il male in forma umana, una creatura senza anima, senza coscienza, senza rimorso, senza alcun tipo di riguardo per la santità della vita umana".

lunedì 28 agosto 2023

#Almanacco quotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 28 agosto.
Il 28 agosto 1850 va in scena la prima del Lohengrin, di Richard Wagner.
Il libretto, concepito nel 1841 ma realizzato nel 1845, all’indomani della rappresentazione del Tannhäuser, si avvale di diverse fonti della saga di Lohengrin (dal francese antico ‘li loheren Garin’: Gerin il loreno), che Wagner collazionò non senza aver inserito situazioni e personaggi di sua invenzione. Si tratta del poema di Wolfram von Eschenbach Parzival (lo stesso da cui Wagner attingerà per il Parsifal), del poema epico tedesco anonimo del XIII secolo Lohengrin e del poema medievale anonimo Le Chevalier au cygne. La composizione della musica risale al triennio 1846-1848; circostanza non occasionale per il musicista, egli iniziò il lavoro cominciando dal terzo atto e lo terminò a ritroso, con la stesura del celebre preludio al primo atto. Wagner era sicuro di rappresentare anche Lohengrin al Teatro di corte di Dresda, dopo che vi aveva presentato (pur senza riscuotere grande successo) Der fliegende Holländer e Tannhäuser, e modellò la partitura sulle forze vocali e strumentali di quel teatro; ma l’adesione alla rivolta dei nichilisti di Bakunin contro la città, nel 1848, gli costò la condanna a morte e lo costrinse alla fuga in esilio a Zurigo, oltre che, ovviamente, alla cancellazione della rappresentazione. Fu poi l’amico (e, anni dopo, suocero) Franz Liszt, direttore musicale del più piccolo teatro di Weimar, al quale Wagner si era rivolto con un’accorata supplica, a offrirsi di curare la prima rappresentazione, nonostante alcune riserve sull’efficacia scenica: il 28 agosto 1850, giorno dell’anniversario della nascita di Goethe, Lohengrin ricevette il suo battesimo. Wagner, che non poteva essere presente all’avvenimento, si risparmiò quanto meno la delusione di un’accoglienza non molto calorosa da parte del pubblico. Non mancarono tuttavia musicisti e ‘addetti ai lavori’ a segnalare che, con Lohengrin, si era stabilito una volta per tutte chi fosse il primo compositore tedesco del momento; e anche il successo popolare non tardò a seguire negli anni successivi. Oggi Lohengrin è l’opera wagneriana più rappresentata nel mondo, e probabilmente anche la più amata dal pubblico. Lohengrin è anche la prima opera di Wagner mai rappresentata in Italia; l’avvenimento risale al 1871, a Bologna, e a seguito di esso si alimentò in Italia la cosiddetta ‘questione wagneriana’, che da tempo contrapponeva i fautori della tradizione verdiana a quelli del ‘progresso’.
Atto primo. Anversa, prima metà del X secolo. Giunto nel Brabante per richiamare i nobili al dovere dell’impegno militare contro gli Ungari, il re tedesco Heinrich der Vogler (Enrico l’Uccellatore) convoca il nobile Friedrich von Telramund, affinché gli spieghi il motivo per cui i brabantini sono rimasti senza un capo e in lotta tra loro. Telramund avanza pretese sul governo della regione perché Elsa, figlia del duca di Brabante, sarebbe la responsabile della scomparsa di Gottfried, il fratello, cui sarebbe spettato il potere alla morte del duca; perciò, aggiunge Telramund, nonostante il vecchio duca avesse individuato in lui il futuro sposo di Elsa, egli ha preferito unirsi a Ortrud. Elsa ricorda di aver avuto un giorno la visione di un cavaliere che la confortava (“Einsam in trüben Tagen”) e, quando Heinrich la convoca per il giudizio divino, invitandola a scegliersi un difensore, ella si appella al misterioso cavaliere, offrendogli la sua mano e il Brabante. Al terzo appello dell’araldo del re, sulle acque della Schelda appare il cavaliere Lohengrin nella sua argentea armatura, a bordo di una navicella trascinata da un cigno (“Nun sei bedanht, mein lieber Schwan!”); e, in cambio della promessa di lei di non chiedergli mai né il suo nome né la sua provenienza, si rende disponibile a provare l’innocenza di Elsa (“Nie sollst du mich befragen”). Sarà il duello a fornire la prova: e infatti Telramund è abbattuto, ma non finito, da Lohengrin, tra l’esultanza del re e del popolo.
Atto secondo. Castello di Anversa, di notte. Telramund si scaglia contro Ortrud, per averlo costretto ad accusare ingiustamente Elsa al fine di soddisfare la sua brama di potere; ma Ortrud gli suggerisce che il potere del misterioso cavaliere avrà termine, se qualcuno lo costringerà a rivelare il proprio nome o riuscirà a tagliargli un dito della mano: i due escogitano il piano che li porterà al governo del Brabante. All’apparire di Elsa sul balcone del suo castello (“Euch Lüften, die mein Klagen”), Ortrud fa in modo di farsi vedere pentita e riesce a introdursi nei suoi appartamenti. Nel dialogo tra le due donne Ortrud riesce poi a insinuare nella giovane Elsa un dubbio sulla natura del suo cavaliere che, come velocemente è giunto, altrettanto velocemente potrebbe ripartirsene. L’araldo proclama intanto i voleri del re: la messa al bando dalla legge per Telramund e le nozze immediate tra Elsa e il cavaliere, nuovo protettore della regione; si forma il corteo nuziale, mentre Ortrud accusa pubblicamente Lohengrin di sortilegio. Telramund, mentre il re e i nobili rinnovano la loro fiducia in Lohengrin, si avvicina furtivamente a Elsa, protetto da quattro nobili brabantini: nella notte si nasconderà vicino alla sua camera, pronto a ferire il cavaliere, qualora lei ritenesse di essere in pericolo; ma Elsa, in cui la fede nel misterioso cavaliere prevale ancora sul dubbio, rifiuta l’offerta.
Atto terzo. Inno nuziale (“Treulich geführt”): Elsa e Lohengrin possono finalmente adagiarsi sul talamo nuziale (duetto “Das süße Lied verhallt”). Lohengrin sente crescere la curiosità di Elsa verso di lui; cerca di impedire, ma invano, che gli ponga la domanda sulle sue origini. E proprio nel momento in cui ella cede, Telramund e i quattro nobili irrompono nella stanza, decisi a ferire il cavaliere; Elsa sviene. Lohengrin uccide Telramund e si volge a contemplare l’amata, consapevole d’averla ormai perduta; al suo risveglio le comunica che le rivelerà il suo nome, ma solo al cospetto del re e del popolo. Sulle rive della Schelda, ai brabantini che attendono di partire per la guerra, il cavaliere, dopo aver deplorato il ‘tradimento’ di Elsa, si rivela: egli è Lohengrin, figlio di Parsifal, capo dei custodi del santo Graal; è sceso sulla terra per portare pace, protetto da una potenza divina che però svanisce se è costretto a rivelare chi sia (“In fernem Land”). Elsa lo supplica di perdonarla, ma invano, ché già sta sopraggiungendo il cigno che riporterà Lohengrin da dove è venuto. Segue il mesto commiato tra i due; il popolo del Brabante è invece confortato dalla rassicurazione di Lohengrin circa la vittoria in battaglia. Ortrud rivela che il cigno in realtà è Gottfried, così trasformato da lei per sortilegio. Lohengrin si raccoglie in preghiera, finché giunge una colomba che trascina la sua navicella, mentre il cigno si immerge nelle acque del fiume per uscirne nelle vesti di Gottfried, pronto – ora che è stato spezzato il malefico sortilegio di Ortrud – ad assumere il governo del Brabante. Lohengrin si allontana; Elsa si abbandona esanime tra le braccia del fratello.
Come tutte le azioni drammatiche in cui il mito prevale sulla storia, l’ideale sul reale, il fantastico sul concreto, anche Lohengrin si presta a essere interpretato sotto diverse chiavi di lettura, di tipo filosofico, psicoanalitico, storico-letterario o sociologico. Wagner scrisse di vedere in Lohengrin il prototipo dell’artista moderno – un’ombra di se stesso, dunque – gravato da un destino di solitudine e di incomprensione da parte del mondo circostante. Elsa, che è personaggio positivo in quanto tenta di afferrare la vera natura di Lohengrin, per così dire di umanizzarlo, pur sapendo che il suo tentativo è destinato al fallimento, presenta in ciò caratteri comuni alla Senta dell’Olandese volante o all’Elisabetta del Tannhäuser. La coppia Ortrud-Telramund, ch’è mero strumento nelle mani di quest’ultimo, è invece – sempre secondo Wagner – «l’impersonificazione della borghesia reazionaria», che all’amore, al puro e persino utopico amore che Lohengrin cerca in Elsa, sostituisce una visione degli umani rapporti basata sulla logica di potere. Per quanto discutibile, l’interpretazione wagneriana sembra tuttavia trovare fondamento nella struttura armonica dell’opera, se è vero che la coppia Lohengrin-Elsa è sempre raffigurata con brani in tonalità maggiori, mentre la coppia Telramund-Ortrud appare in tonalità minori. Quest’ultimo è solo un aspetto tra i tanti che documentano la perfetta organizzazione drammatica della partitura wagneriana, che appartiene (con Der fliegende Holländer e Tannhäuser) alla trilogia di lavori fortemente sperimentali sottotitolati come ‘opera romantica’, che precedono e preludono ai ‘drammi musicali’ veri e propri, nei quali l’estetica e la poetica wagneriana si realizzano compiutamente. Di tale trilogia Lohengrin rappresenta, non solo cronologicamente, l’ultima tappa; è infatti l’opera che, più delle altre, presenta da una parte una trama motivica (particolarmente in evidenza i temi ‘del Graal’, ‘del cigno’, ‘di Lohengrin’, ‘di Elsa’, ‘di Ortrud’, ‘del giudizio divino’ e ‘della domanda proibita’) particolareggiata e funzionale a tutte le scene, dall’altra un rapporto tra parti strofiche e parti libere, ponendo l’elemento di distinzione tra quelle soggette a una quadratura ancora in qualche modo tradizionale della frase e quelle sorrette da uno sciolto e fluido declamato drammatico, decisamente in favore di queste ultime. Abolita già con Tannhäuser la tradizionale suddivisione in numeri chiusi, a maggior ragione non si fatica a cogliere come tutto il materiale musicale di Lohengrin fluisca ininterrottamente all’interno di ogni atto, potendosi considerare momenti ‘chiusi’ soltanto l’aria di Elsa nel primo atto, la celeberrima marcia nuziale, il duetto amoroso Elsa-Lohengrin e il racconto coram populo del cavaliere del Graal verso la fine del terzo atto. L’aspetto dell’opera meno ricco di innovazioni, anche alla luce degli straordinari esiti del Wagner successivo, sembra quello orchestrale; in altri termini, Lohengrin è l’ultima opera wagneriana in cui la conduzione del discorso è ancora precipuamente affidata alla vocalità: un elemento al quale l’orchestra fornisce sì un sostegno ricco e ineliminabile, ma interamente subordinato (e forse proprio per questo, come ha suggerito Massimo Mila, quest’opera gode di particolare popolarità in Italia). Accanto a talune pecche nella strumentazione, a tratti eccessivamente pesante, l’unico aspetto timbrico davvero funzionale al dramma è il contrasto tra i suoni ‘bianchi’, ‘argentei’ del primo atto (eloquente in tal senso il celebre, etereo e luminoso preludio, con i violini suddivisi in quattro soli, più primi e secondi divisi in due leggii), incentrato su Elsa e Lohengrin, e i suoni ‘neri’, grevi e gravi dell’atto secondo, dedicato alle figure di Ortrud e Telramund.

domenica 27 agosto 2023

#Almanacco quotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 27 agosto.
Il 27 agosto 1964 esce nei cinema americani il musical di Walt Disney Mary Poppins.
Esistono film che tutto il mondo ama: quei capolavori socialmente riconosciuti come tali, davanti ai quali tutti i cuori si sciolgono e i cervelli, magicamente, si trovano d’accordo.
Walt Disney iniziò la sua ricerca per ottenere i diritti del libro di P.L. Travers Mary Poppins nei primi anni Quaranta. Nonostante ci siano voluti quasi 20 anni per ottenerli, quando Mary Poppins fu finalmente realizzato, vinse cinque premi su 13 candidature agli Academy Awards: Migliore Attrice (Julie Andrews), Migliore Effetti, Migliore Montaggio, Migliore Colonna Sonora e Migliore Canzone (Chim Chim Cher-ee). Il film riusciva a mescolare alla perfezione il magico mondo animato che aveva reso celebre Disney, con una emozionante recitazione live action e una travolgente colonna sonora. Era un progetto rischioso per l’epoca, ma proprio per questo fece breccia nei cuori di tutti gli spettatori e ancora oggi, forse non esiste persona nel mondo civilizzato che non abbia visto almeno una volta Mary Poppins.
La storia alla base di Mary Poppins ormai la conosciamo tutti: in Viale dei Ciliegi (esattamente al numero 17) vive la famiglia Banks. Il padre George (David Tomlinson) è un integerrimo banchiere che gestisce la sua casa come se fosse un’impresa perfettamente funzionante, ma è difficile tenere tutto in ordine con una moglie sempre indaffarata come Winifred (Glynis Johns) e due vivaci figli come Jane (Karen Dotrice) e Michael (Matthew Garber). Nemmeno le tate riescono a stare dietro a tutto ciò, fino a quando non arriva Mary Poppins (Julie Andrews) che, come un forte vento su una strada ricoperta di foglie d’autunno, rimette in sesto la casa… sotto tutti i punti di vista. Con lei accanto nulla è come sembra e una serie di chiacchierate fatte sul bordo di un soffitto, passeggiate all’interno di lussureggianti dipinti di strada e fughe sui tetti polverosi di Londra, insegneranno alla famiglia Banks il vero significato dello stare insieme, godendosi ogni giorno e ogni possibilità.
Quando non sai esattamente cosa dire, la parola che può salvare la situazione è supercalifragilistichespiralidoso e credo sia l’unica che si possa davvero utilizzare per cercare di dare un giudizio a un film come Mary Poppins. Diretta da Robert Stevenson, la pellicola è un vero e proprio prodotto dell’amore di tutte le persone che ci hanno lavorato: quello di Walt Disney per le sue figlie, che anni prima gli avevano chiesto di trasformare il loro libro preferito in film; quello di P.L. Travers che ha dato vita a un personaggio intramontabile; quello di Richard M. Sherman e Robert B. Sherman che sono riusciti a costruire attorno ai personaggi una trama sonora che è riuscita a rendere vibrante di luce la nebbia più fitta di Londra. Non si può pensare di giudicare oggi Mary Poppins: cosa si può dire di un film che dal 1964 riesce ancora a incantare gli spettatori? Con la sua narrazione lineare, tratteggia un mondo da sogno assolutamente fantastico che, tra situazioni razionalmente inverosimili, accompagna lo spettatore nel più profondo dei viaggi introspettivi, dimostrando quanto la fantasia, il famoso potere dei sogni in cui tanto credeva Walt Disney, possa manipolare la realtà.
Si può dare un voto a una delle pietre miliari della cinematografia? Mary Poppins è l’immagine della fantasia, la personificazione del potere dei sogni, la dimostrazione della forza di Walt Disney e della grandezza del suo progetto. È un film bello? Indubbiamente e lo dimostrano i tantissimi passaggi che, a 60 anni dalla première, lo vedono ancora protagonista delle serate casalinghe. È vero, esiste gente a cui non piace, ma il valore del film non si discute: Mary Poppins è un cult, dal primo soffio del vento dell’est all’ultimo aquilone che vola nell’aria, attraversando un vastissimo spettro emozionale che poche altre storie sono riuscite ad affrontare nello stesso modo.

sabato 26 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi



Buongiorno, oggi è il 26 agosto.
Il 26 agosto 1906 nasce Albert Sabin.
Per una generazione intera di bambini, tra il 1960 e il 1965 fu un eroe, perché trasformò le dolorose iniezioni della vaccinazione antipolio in candidi zuccherini, conditi da goccioline rosse di farmaco. Prima del vaccino di Albert Bruce Sabin ventidue bambini su centomila contraevano la deformante poliomielite solo negli Stati Uniti. Oggi ci sono sei casi in totale. Almeno sei milioni di persone, l' intera popolazione di New York, si sono salvate dalla morte, dalla paralisi, dalle grucce della polio che ha storpiato il presidente Roosevelt e costretto per anni nel suo polmone d' acciaio Rosanna Benzi. Gli adulti che furono bambini negli anni Sessanta sapevano oscuramente di dovere la salute al dottor Sabin, ma in verità gli erano più grati per quella che appariva la straordinaria conquista di un Genio del Bene, sostituire l' ago, non ancora Pic indolor, della siringa con un soave cubetto di zucchero. Si stava in fila attendendo il proprio turno con ansia, non terrore, l' infermiere sembrava un omone simpatico, non l' orco di prima.
Il dottor Sabin era nato a Bialystok, provincia polacca dell' Impero degli Zar russi, il 26 agosto del 1906. Suo padre porta la famiglia a fare la quarantena degli emigranti a Ellis Island, in America, e poi si stabilisce a Paterson, nel New Jersey. Un ricco parente dentista fa al giovanotto Albert Sabin una proposta che sembra magnifica: "Ti pago gli studi se fai il cavadenti come me". I genitori non stanno nella pelle dalla gioia, l' ex suddito dei Romanov entra nelle aule affollate di talento della New York University. Ma di denti del giudizio, piorrea alveolare e ascessi Albert Bruce Sabin non ne vuole sapere. L' unico corso che l' appassiona e' la microbiologia: virus, batteri, microrganismi che allora ancora cadono nell' unico girone dei Microbi. Vuole fare ricerca nel campo delle malattie infettive. Lo zio, sdegnato, taglia i fondi, ma il professor William Park ha lo sguardo acuto e vede in quel ragazzino con il camice lavato dalla mamma un grande della scienza. Gli trova una borsa di studio, Sabin potrà essere Sabin. Nel 1931, suo anno di laurea, New York e' colpita da un' epidemia di poliomielite. Harlem e Brooklyn, il West Side e Staten Island vedono le corsie zeppe di bambini ammalati. Park chiama il suo pupillo: "Occupati di polio, ragazzo". Prima Sabin scopre che i test per provare l'immunità alla malattia sono spazzatura, poi comincia a sperimentare un vaccino: ingollandolo da solo e somministrandolo ai familiari. Nel 1955 il dottor Jonas Salk annuncia un suo vaccino, ottenuto uccidendo i virus della polio con formaldeide e somministrandoli ai bambini. La malattia conosce il primo scacco, ma è solo nel ' 59 60, dopo esperimenti su dieci milioni di ragazzini del Terzo Mondo, cavie non volontarie, che le case farmaceutiche lanciano il vaccino Sabin. Si tratta di virus "indeboliti" in laboratorio dal ricercatore, che immunizzano, per sempre e senza bisogno di ulteriori richiami, al contrario del vaccino Salk. Il destino parallelo dei due dottori, che insieme hanno regalato la salute a milioni di noi, e' una specie di duello trentennale. Salk scivolera' all' esterno della ricerca, rincorrendo amareggiato il vaccino anti Aids, Sabin sara' accolto all' Accademia Nazionale delle Scienze. L' ufficio di Sabin era decorato con le foto del dottore a braccetto con il presidente Nixon, a colloquio con il presidente Johnson, ricevuto dalla premier Golda Meir. I salkiani accusano il vaccino Sabin (senza grandi riscontri) di avere procurato malattie a parecchi bambini vaccinati. Sabin non faceva il modesto: "Esiste solo un vaccino contro la poliomielite: quello che ho preparato io. Lo dice la citazione della mia Medaglia Nazionale per la Scienza, ricevuta nel 1970: io ho creato il vaccino che ha eliminato la poliomielite come minaccia principale per la salute umana. Il resto è confusione di voi giornalisti". Conoscere un artista qualche volta lo sminuisce di fronte alla sua opera. Anche gli scienziati sono afflitti da gelosie, vanità , piccinerie. Ma nella vita di Sabin tutto era drammatico, risultati di laboratorio e fatti privati. Tre mogli, la prima che si uccide dopo trent' anni di matrimonio e due figlie, trangugiando barbiturici nel 1966. La seconda "di cui non voglio nemmeno parlare", la terza "deliziosa come una ragazza", Heloisa Sabin, conosciuta in Brasile durante studi contro gli orecchioni: "Tragedie, tragedie", ripeteva Sabin raccontando della sua esistenza "ma esta vida, così è la vita, non c'è niente da fare". La comunità degli scienziati può ammirare di più il genio della coppia Watson e Crick, gli esploratori della genetica che ci hanno rivelato la doppia spirale del Dna. La gente comune si appassiona ai Fleming con la penicillina, ai Salk e Sabin della poliomielite (e ci perdoni il dottor Sabin della citazione con il Dioscuro nemico), con chi ci guarirà dal cancro, dall' Aids o, miracolo dei miracoli, dal comune raffreddore. Dello scienziato come lo si vede alla televisione Sabin aveva tutto, l' arroganza, la sicurezza di sé , la convinzione che la scienza non fosse quel mostro diventata poi con Seveso, Bhopal e Chernobil, ma la migliore amica dell' uomo. Che uno scienziato potesse non essere, d' istinto, contro ogni ingiustizia, gli sembrava un errore grossolano, come quelli commessi dai colleghi che lo facevano saltare sulla seggiola dei congressi, durante i seminari: "Ma questi dati sono sbagliati, come fai a non vedere che sono sbagliati, dico io". L' accusato esaminava i risultati e doveva ammettere, arrossendo, che Albert Sabin aveva ragione. Con la stessa foga aveva criticato la politica di Ronald Reagan in Centramerica: "Spedire dei mercenari a combattere in un Paese vicino, andiamo, lo faceva il Cremlino nel 1956 in Ungheria. Non per nulla abbiamo lasciato l' impero zarista... Se amo gli Stati Uniti è perché non devono fare le porcherie degli altri Stati, punto e basta". Poi la malattia. Un intervento a cuore aperto con bypass nel 1972, una rara e dolorosissima sindrome di calcificazione dei legamenti nel collo, che l' aveva tormentato. "I sintomi erano identici alla polio: paralisi, senso di soffocamento, oppressione. Guardavo l'orologio per ore, morirò , morirò soffocato dal muco. I medici dicevano non ti faremo morire qui. Invece andai in coma, dovettero rimettermi in moto quel cuore sfessato, aggiustato dall' idraulico. Avevo avuto ragione io, che diamine".
Albert Bruce Sabin morì all' ospedale della Georgetown University di Washington il 3 marzo 1993, all'età di 86 anni.
Sabin non brevettò la sua invenzione, rinunciando allo sfruttamento commerciale da parte delle industrie farmaceutiche, cosicché il suo prezzo contenuto ne garantisse una più vasta diffusione della cura:
« Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo »
Dalla realizzazione del suo diffusissimo vaccino anti-polio il filantropo Sabin non guadagnò quindi un solo dollaro, continuando a vivere con il suo stipendio di professore universitario.

venerdì 25 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi



Buongiorno, oggi è il 25 agosto.
Il 25 agosto 1975 esce il terzo album di Bruce Springsteen, intitolato Born to run.
Qualsiasi siano i vostri gusti musicali, dovrete arrendervi e ammettere che di gente come lui ce n'è poca in giro: una carriera più che trentennale, caratterizzata da dischi capolavoro, e un'ispirazione che non è quasi mai venuta meno. Nell'ultima annata, per esempio, ha pubblicato due ottimi dischi live, Hammersmith Odeon London '75 di inizio carriera e il più recente Live in Dublin: Bruce Springsteen with the Session Band, senza contare il tributo a Pete Seeger di We Shall Overcome (edito appunto con il sottotitolo di The Seeger Sessions) e il buon Magic, che rispetta in pieno la promessa del titolo. Considerando che almeno il 90% dei cantanti che possono vantare una militanza di 25 o più anni nella produzione musicale oggi sono quasi la parodia di sé stessi (vedi alla voce Rolling Stones) o decisamente fuori fuoco (vedi alla voce Neil Young), Springsteen è un esempio di coerenza e progressiva innovazione al tempo stesso che non può lasciare indifferenti.
Bruce Springsteen esordì nel 1973 e i suoi due primi album erano caratterizzati da un rock vivo e grezzo, salvo qualche ballata melodica, che già allora colpì qualche critico ma rimase pressoché sconosciuto al di fuori degli States. Springsteen aveva come caratteristica i testi molto lunghi e abbastanza articolati, che parlavano di motori, corse e personaggi ribelli, elevati quasi ad eroi in un'America che non mantiene mai quel che promette. Il 1975 è l'anno della svolta definitiva, che marchierà a fuoco il corso della musica: esce infatti Born To Run, otto canzoni di passione. Il disco riscosse subito un grandissimo successo commerciale anche grazie alla massiccia trasmissione della title-track sulle radio nazionali statunitensi, e vinse più volte il disco d'oro e di platino. Tuttora questi otto brani rimangono tra i più amati dai suoi fan, e spesso il Boss non esita ad eseguirli durante i live.
Born To Run può essere considerato come un chiavistello che di scatto scardina un'altra porta musicale, assegnando nuove parti alle chitarre e giostrando la voce sovrapponendola spesso alle tastiere, che nella maggior parte della discografia springsteniana rivestono parti importanti. L'avvio è fulminante: Thunder Road inizia con un piccolo accenno di fisarmonica e la tastiera, che poi prosegue a sostenere la voce di Springsteen finché nella canzone non si inseriscono chitarra e percussioni, perfettamente incastonate anche in improvvise frenate e leggeri cambi di ritmo; sul finale si inserisce anche il sassofono e ritorna prepotente la tastiera, a segnare una chiusura veramente epica alla canzone. Il cantato occupa molto spazio, ma le parole sono lanciate con una tale espressione che le frasi diventano un fuoco che incendia tutto quello che c'è intorno, sollevato dal vento della musica; proprio per questo motivo, anche se spesso i testi si dilungano, la voce non annoia mai, in un concentrato di espressione rabbiosa e speranzosa insieme.
Subito dopo c'è la sterzata di Tenth Avenue Freeze Out, che più che al rock attinge alla tradizione folk e lo mostra evidentemente: le chitarre sono infatti relegate momentaneamente in secondo piano con alcuni accordi, mentre i fiati compaiono dall'inizio e scavano una veloce e calda base, accentuata molto anche dalle note ripetute della tastiera. Gli strumenti musicali si lasciano andare a momentanei virtuosismi, con Springsteen che ripete e ripete il titolo, si crea quasi un piacevole loop, che viene sciolto da contemporanee riprese degli strumenti e la canzone finisce prima di quanto ci si aspetti. Con Night si ritorna invece sulla carreggiata del rock sostenuto e le chitarre che tracciano le trame principali, semplici e a tratti più estese, qui sostenute anche da un ottimo lavoro alle percussioni.
Ciò che rende il brano unico è il raggiungimento della perfetta forma-canzone springsteniana: cantato che, al solito, occupa gran parte della canzone ma che si avverte quasi come uno strumento umano, perché scandito dalle pause ripetute a fine strofa e dall'inserimento finale di fiati passionali e puntuali. Senza tregua, si viene subito lanciati nella monumentale Backstreets, che si dilata come un'equazione: aggiungi minuti e musica, ma il risultato non cambia, l'uguaglianza tra emozione e melodia resta la stessa: un minuto di introduzione pianistica, dissolta nelle formidabili aperture successive su cui il Boss non canta solamente, stavolta quasi urla nel ritornello senza però mai "steccare"; i tasti bianchi e neri si susseguono in cambi di ritmo incastonati l'uno con l'altro e la chitarra trova anche un breve assolo a metà brano; poi la situazione si rilassa in un crescendo che culmina con la frase "I'm on the backstreets" ripetuta a mille mentre la base musicale si impenna per poi atterrare dolcemente alla fine.
Si apre in seguito quello che è il brano più conosciuto dell'album a livello generale, la title-track Born To Run, che si merita però il successo riscosso: appoggio iniziale sulla rullata di batteria, poi a proseguire è tutta una meraviglia che procede senza mai guardarsi dietro con l'avanzare progressivo di doppie tastiere, chitarre, percussioni-metronomo e fiati cadenzati, tutto che si scambia il palcoscenico a turno: e così ora vieni addolcito dagli effetti tastieristici, ora ti emozioni su un giro di chitarra, ora balli sul sax scolpito in prima linea e mentre tutto risuona fastosamente Springsteen canta "baby, we were born to run" e tutto ha un senso, compiuto, meraviglioso.
La successiva She's the one ha la stessa durata e la stessa carica di intensità: Bruce inizia subito a dare carezze e schiaffi con la voce mentre sotto di lui lavorano una tastiera a scale crescenti e una chitarra ad accordi, poi alla pronuncia del titolo la strada si fa maggiormente in salita, e con le corde domina i tasti e l'onda del rock travolge la melodia; altra ripetizione del titolo e le chitarre variano ancor di più, con ancora l'inserimento, usato molto spesso in verità, del sassofono sul finire della canzone ed è ancora una festa di colori e di suoni, ripartiti in picchi e virtuosismi finali. Si ritira un po' il fiato con Meeting Across The River: una semplice ballata pianoforte, fisarmonica e leggeri archi a tinte acquarello a fare da cornice agli stacchi di sassofono, stavolta discreto e più evocativo che passionale, e le frasi amplificate dal microfono; per una volta, invece di un mare in tempesta, troviamo bonaccia, solo un po' di brezza. Ed è un bene. Per l'ultimo brano sarebbe lecito attendersi ancora qualcosa di più movimentato dopo questa parentesi melodica; puntualmente questo arriva, ma è molto di più di una semplice accelerazione, è lo scatto finale che permette al bravo corridore di vincere la corsa.
Pianoforte arrembante e sciolto, chitarra che graffia; immaginate una palla di neve fatta rotolare su un pendio nevoso, si ingrandisce pian piano e diventa talmente grande che alla fine è impossibile fermarla anzitempo. E' proprio così: ci si trova catapultati all'improvviso all'interno di un assolo coinvolgente mentre Springsteen domina ancora tutto con le parole. Ancora una cancellatura veloce, che permette di riscrivere ma non elimina del tutto quello che era stato fatto prima: si inseriscono fiati lenti nell'incedere e una scena è solo per loro, poi tornano ancora tastiere ed eccellenti percussioni per una conclusione semplice a sfociare in poche note; da poche diventano un fiume in piena che rompe ancora gli argini e allaga la fertile pianura del rock. Tutto questo è Jungleland, 9 minuti di emozione pura.
Born To Run era solo l'inizio per questo ragazzo che non credeva più nel sogno americano, e che però ne stava costruendo uno personale, molto più grande. Nel maggio del 1974 il critico musicale Jon Landau disse: "Ho visto il futuro del rock e il suo nome è Bruce Springsteen". Riascoltando questo disco non si può far altro che dargli ragione.

giovedì 24 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi



Buongiorno, oggi è il 24 agosto.
Il 24 agosto 1349 a Magonza vengono uccisi 6000 ebrei perchè ritenuti gli artefici dell'epidemia di peste che in quel periodo decimò la popolazione europea.
La peste nera che si diffonde in Europa nel 1348 è nuovo motivo di persecuzione. Gli ebrei – già accusati dai cristiani di deicidio poiché la morte di Cristo sarebbe stata causata dal popolo ebraico – sono infatti incolpati di diffondere la malattia avvelenando i pozzi, rimanendone essi immuni. Se la prima accusa è falsa, la seconda nasce da un’osservazione probabilmente fondata. Gli ebrei vivono già raccolti e isolati in un’unica zona della città (il ghetto) e seguono, per motivi religiosi, particolari e rigorose norme alimentari ed igieniche. È possibile quindi che, proprio grazie a questi elementi, la pestilenza non trovi terreno fertile nelle loro comunità.
L’accusa che gli ebrei avvelenassero fonti e pozzi cominciò a circolare agli inizi del 1348: in Savoia alcuni ebrei, inquisiti, sotto tortura avevano ovviamente ammesso questo reato. La loro confessione si diffuse rapidamente in tutta Europa, e scatenò un’ondata di violenze, soprattutto in Alsazia, in Svizzera e in Germania. Il 9 gennaio 1349, a Basilea, venne uccisa una parte degli ebrei che vi abitavano.
Il consiglio cittadino della città aveva allontanato i più agitati tra quelli che istigavano alla violenza, ma la popolazione si rivoltò, costringendo gli amministratori a togliere il bando e a cacciare gli ebrei. Una parte di loro venne rinchiusa in un edificio su di un’isola sul Reno, cui poi venne dato fuoco. A Strasburgo il governo cittadino aveva tentato di proteggere gli ebrei, ma venne esautorato dalle corporazioni. Il nuovo governo si mostrò tollerante verso l’annunciato massacro, che ebbe luogo nel febbraio 1349, quando la peste ancora non aveva raggiunto la città. Vennero uccisi 900 ebrei, sui 1884 residenti a Strasburgo.
Nel marzo 1349, 400 ebrei di Worms preferirono appiccare il fuoco alle loro case e morirvi che finire nelle mani della folla in rivolta. Lo stesso fecero in luglio agli ebrei di Francoforte. A Magonza gli ebrei si difesero, e uccisero 200 dei cittadini che li stavano attaccando. Ma alla fine anche a Magonza, che all’epoca era la più grande comunità ebraica d’Europa, gli ebrei si suicidarono incendiando le proprie case. I pogrom proseguirono sino alla fine del 1349. Gli ultimi ebbero luogo ad Anversa e Bruxelles. Quando la peste cessò, ben pochi ebrei erano rimasti in vita tra Germania e Paesi Bassi. Molti ebrei fuggono dal centro Europa e trovano rifugio anche nell’Italia settentrionale, in particolare nelle comunità di Venezia, Padova, Ferrara e Mantova.

mercoledì 23 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi



Buongiorno, oggi è il 23 agosto.
Il 23 agosto 1945 nasce Rita Pavone.
Rita Pavone nasce il 23 agosto 1945 a Torino: il suo debutto avviene al Teatro Alfieri, nel capoluogo piemontese, nel 1959 in occasione di uno show per bambini chiamato "Telefoniade", organizzato dalla Stipe, società telefonica del tempo. Per la prima volta davanti al pubblico, si esibisce nell'interpretazione dei brani di Al Jolson "Swanee" e di Renato Rascel "Arrivederci Roma". Negli anni successivi, sale sul palco in diversi locali della città come il "Principe", l'"Hollywood Dance", "La Perla", "La Serenella" e l'"Apollo Danze", venendo soprannominata "la Paul Anka in gonnella", visto che il suo repertorio attinge soprattutto alle canzoni dell'artista canadese.
Nel 1962 prende parte alla prima edizione del "Festival degli sconosciuti" di Ariccia, manifestazione patrocinata dal cantante Teddy Reno: egli diventa in breve tempo il pigmalione di Rita, ma anche il suo compagno (si sposeranno sei anni più tardi tra le polemiche, dovute alla differenza di età tra i due e al fatto che l'uomo è già padre di un figlio e sposato civilmente). Rita vince il festival e si guadagna un provino con la RCA Italiana: provino superato cantando alcuni brani di Mina. Dal suo esordio a livello nazionale alla fama il passo è molto breve: merito di singoli di successo come "Sul cucuzzolo", "La partita di pallone" (entrambe scritte da Edoardo Vianello), "Come te non c'è nessuno", "Alla mia età", "Il ballo del mattone", "Cuore" (versione italiana di "Heart", hit americana), "Non è facile avere 18 anni", "Che m'importa del mondo" e "Datemi un martello", cover di "If I had a hammer".
Nel 1964, la Pavone viene chiamata a interpretare "Il giornalino di Gian Burrasca", sceneggiato televisivo diretto da Lina Wertmuller e tratto dal famoso romanzo di Vamba, musicato da Nino Rota. La sigla di questo prodotto è "Viva la pappa col pomodoro", brano destinato a scavalcare i confini nazionali nelle versioni inglese ("The man who makes the music"), tedesca ("Ich frage mainen papa") e spagnola ("Que ricas son le papasin"). Finita addirittura nel saggio di Umberto Eco "Apocalittici e integrati", vince nel 1965 il "Cantagiro" con la canzone "Lui", cui fanno seguito hit famose come "Solo tu", "Qui ritornerà", "Fortissimo", "Questo nostro amore", "Gira gira", "La zanzara" e "Stasera con te", sigla di "Stasera Rita", programma tv diretto da Antonello Falqui; nel 1966, invece, incide "Il geghegè", sigla di "Studio Uno".
L'anno successivo Rita vince nuovamente il "Cantagiro" con il brano scritto da Lina Wertmuller e Luis Enriquez Bacalov "Questo nostro amore", colonna sonora della pellicola "Non stuzzicate la Zanzara"; partecipa, inoltre, ai film "La Feldmarescialla" e "Little Rita nel West", al fianco di Terence Hill. La sua popolarità in quel periodo supera i confini nazionali: viene invitata per cinque volte nella trasmissione della Cbs "Ed Sullivan Show", negli Stati Uniti, e si ritrova sul palco al fianco di artisti come Ella Fitzgerald, Duke Ellington, Marianne Faithfull, The Beach Boys, The Supremes, The Animals e addirittura Orson Welles.
Tra le date indimenticabili c'è il 20 marzo del 1965, quando Rita si esibisce in concerto nella Carnegie Hall di New York. Con la Rca Victor Americana pubblica tre dischi, che vengono distribuiti in tutto il mondo: "The International teen-age sensation", "Small wonder" e "Remember me". Ma il successo della cantante piemontese arriva anche in Francia, grazie a "Coeur" e "Clementine Cherie", colonna sonora dell'omonimo film con Philippe Noiret. Oltralpe, però, le soddisfazioni maggiori arrivano grazie a "Bonjour la France", scritto da Claudio Baglioni, con oltre 650mila copie vendute. Mentre in Germania i suoi 45 giri compaiono spesso nelle classifiche dei dischi più venduti ("Wenn Ich ein Junge War" vende da solo più di mezzo milione di copie), e "Arrivederci Hans" arriva addirittura al primo posto, Argentina, Giappone, Spagna, Brasile e Regno Unito sono altri Paesi in cui il mito di Rita Pavone si impone: nella terra di Albione soprattutto grazie a "You only you", che le spalanca tra l'altro le porte di programmi tv in cui compare al fianco di Cilla Black e Tom Jones, con la Bbc che le dedica addirittura uno speciale chiamato "Segni personali: lentiggini".
Il matrimonio con Teddy Reno del 1968, tuttavia, pare produrre un effetto piuttosto destabilizzante rispetto alla carriera della Pavone: da adolescente sbarazzina ma rassicurante, diventa una giovane donna che si unisce in matrimonio a un uomo più vecchio di lei e già sposato. Complice l'interesse della stampa scandalistica, che riporta le vicende relative alla separazione dei suoi genitori, il personaggio di Rita appare in discussione. Lasciata la RCA, la cantante approda alla Ricordi, con cui incide canzoni per bambini che passano inosservate. Nel 1969 arriva al Festival di Sanremo, ma il suo brano, "Zucchero", non supera il tredicesimo posto. Diventata mamma di Alessandro, suo primogenito, Rita viene imitata da Sandra Mondaini a "Canzonissima", mentre suo marito non gradisce l'imitazione a "Doppia coppia" di Alighiero Noschese. Anche per questo motivo, le sue apparizioni in tv si diradano.
Il rilancio arriva negli anni Settanta, con i brani "Finalmente libera" (cover di "Free again" di Barbra Streisand) e con "Ciao Rita", speciale sul piccolo schermo in cui l'artista canta, presenta, imita e balla. Partecipa, con "La suggestione" (scritta da Baglioni), a "Canzonissima", e torna a Sanremo nel 1972 con "Amici mai". La seconda metà del decennio regala successi come "…E zitto zitto" e "My name is Potato", sigla della trasmissione con Carlo Dapporto "Rita ed io". Molto più sfortunata la partecipazione a "Che combinazione", show in onda sul secondo canale in prima serata, a causa dello scarso feeling con l'altro conduttore Gianni Cavina: il programma, comunque, guadagna dodici milioni di spettatori di media e si avvale delle sigle "Mettiti con me" e "Prendimi", realizzate dalla stessa Pavone.
Negli anni Ottanta, la cantante insiste sul proprio ruolo di cantautrice con "Rita e l'Anonima Ragazzi" e "Dimensione donna", mentre la sua canzone "Finito" diventa la sigla di "Sassaricando", soap opera in onda in Brasile su Tv Globo. Nel 1989 esce "Gemma e le altre", il suo ultimo disco di inediti. Da quel momento, Rita si gode un meritato riposo, alternato a numerose partecipazioni teatrali: veste i panni di Maria nella "XII Notte" di William Shakespeare, al fianco di Renzo Montagnani e Franco Branciaroli nel 1995, e di Gelsomina ne "La strada", al fianco di Fabio Testi nel 1999.
Nel 2000 e nel 2001 su Canale 5 conduce "I ragazzi irresistibili", varietà musicale che vede protagonisti anche Maurizio Vandelli, Little Tony e Adriano Pappalardo, in occasione del quale ha l'opportunità di duettare, tra l'altro, con Josè Feliciano e Bruno Lauzi: sempre sulla rete ammiraglia Mediaset, è protagonista di "Giamburrasca", spettacolo teatrale in cui interpreta Giannino Stoppani, al fianco di Ambra Angiolini, Katia Ricciarelli e Gerry Scotti. Nel 2006, ufficializza a "L'anno che verrà" la decisione di ritirarsi a vita privata, esibendosi in pubblico per l'ultima volta e si candida per la Circoscrizione Estero (visto che vive in Svizzera, Paese di cui ha anche la cittadinanza) alle elezioni per il Senato nella lista di Mirko Tremaglia "Per l'Italia nel mondo".
Torna a esibirsi il 6 ottobre del 2010 con Renato Zero, in concerto a Roma, in occasione del sessantesimo compleanno del cantautore romano, cantando tra l'altro "Fortissimo", "Mi vendo" e "Come te non c'è nessuno". Nel 2011 riceve il premio "Capri Legend Award 2011", nel corso della sedicesima edizione di "Capri - Hollywood International Film Festival".
L'8 settembre 2013, a sorpresa, Rita Pavone ritorna alla musica dopo 23 anni dall'ultimo album studio e quasi 9 anni dal suo addio alle scene pubblicando il singolo I Want You With Me, cover di un brano portato al successo da Elvis Presley che anticipa l'uscita del suo nuovo doppio album Masters.
Nel maggio 2014 ha intrapreso il tour Rita is Back!, esibendosi dal vivo in sei concerti teatrali.
Nel febbraio 2016 è stata tra i concorrenti dell'undicesima edizione del talent show Ballando con le stelle; balla in coppia con il maestro Simone Di Pasquale, arrivando fino in finale e classificandosi al terzo posto.
Nel 2018 canta in duetto con Franco Simone la canzone Ballando sul prato scritta da Simone appositamente per lei e torna, nel mese di maggio, in Brasile per una tournée.
Nel 2020 partecipa, dopo ben 48 anni dall'ultima volta, al Festival di Sanremo, dove presenta il brano Niente (Resilienza 74), composto dal figlio Giorgio Merk. Nella gara canora si classifica al diciassettesimo posto. Il 28 febbraio viene pubblicata la doppia raccolta RaRità in formato CD e il 15 maggio esce anche in formato LP in versione limitata. Nell'autunno 2020 e nell'autunno 2021 partecipa come giurata alla terza e alla quarta edizione del talent show All Together Now - La musica è cambiata su Canale 5.

martedì 22 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


Buongiorno, oggi è il 22 agosto.
Il 22 agosto 1962 il presidente francese Charles De Gaulle sfugge a un attentato omicida.
In una Parigi quasi deserta, oppressa dall’afa agostana, l’auto presidenziale sfrecciava a novanta chilometri all’ora diretta all’aeroporto militare di Villacoublay. A breve distanza la seguiva un’auto di scorta con a bordo un medico e tre agenti speciali, chiudeva il corteo una coppia di poliziotti in motocicletta pronti ad intervenire per sciogliere eventuali ingorghi stradali.
Per prendere parte al consiglio dei ministri, quel mercoledì 22 agosto 1962, il generale de Gaulle, insieme alla moglie Yvonne e al genero, il colonnello Alain de Boissieu, aveva lasciato di buon mattino la quiete della Boisserie, la sua residenza a Colombey-les-Deux-Eglises, immersa tra le colline boscose dell’Alta Marna, e intendeva farvi ritorno prima di notte. Né il tesissimo clima politico, né l’attentato subito un anno prima a Pont-sur-Seine, né gli inviti del ministro degli Interni, che in più occasioni gli aveva fatto presente quanto fosse arduo garantire la sua sicurezza nei continui spostamenti tra Parigi e la Boisserie, erano riusciti a convincere il generale a modificare le sue abitudini, a rinunciare alle passeggiate nei boschi e al raccoglimento del suo studio da cui poteva vedere l’orizzonte perdersi tra le colline.
Poco prima delle 20, il corteo presidenziale aveva lasciato l’Eliseo e aveva seguito il percorso più rapido e diretto verso l’aeroporto. Quella scelta non era passata inosservata.
A bordo della Citroën DS presidenziale, invece, nessuno, nella luce incerta del crepuscolo, fece caso su Avenue de la Libération a un uomo con un cappello grigio che sventolava un giornale sopra la testa. Era il segnale convenuto per aprire il fuoco.
Da un furgoncino Renault Estafette giallo, parcheggiato sul lato destro della strada, nel senso di marcia del corteo presidenziale, partirono all’improvviso alcune raffiche di armi automatiche. L’autista del presidente, il maresciallo Francis Marroux, non si lasciò impressionare dal crepitio dei proiettili e affondò il piede sull’acceleratore per sfuggire alla linea di tiro degli attentatori. L’esplosione di due pneumatici fece sbandare l’auto, ma non impedì a Marroux di tenere la strada e aumentare la velocità.
Superato l’iniziale stupore, il generale e sua moglie furono pronti nell’eseguire l’ordine di abbassarsi urlato dal genero. Quella prontezza fu provvidenziale. Un centinaio di metri oltre il furgone giallo, all’incrocio con rue du Bois, una Citroën DS blu s’immise a tutta velocità tra l’auto presidenziale e quella di scorta, mitragliandole entrambe sino alla rotonda del Petit-Clamart, per poi svanire in direzione di Parigi.
Furono esplosi più di centocinquanta proiettili, ma solo sei raggiunsero la vettura presidenziale. Uno frantumò il vetro laterale sinistro, attraversò l’interno del veicolo e squarciò la carrozzeria sopra il sedile posteriore destro, a una decina di centimetri dalla testa di madame de Gaulle. Un altro penetrò all’altezza della targa, attraversò il baule per conficcarsi nello schienale del sedile posteriore sinistro, dove sedeva il generale. L’auto di scorta fu centrata quattro volte. Il casco di uno dei motociclisti fu colpito di striscio, così come il portabagagli della seconda motocicletta.
Per miracolo tutti uscirono incolumi da quella tempesta di fuoco. Soltanto un automobilista che transitava, in compagnia della moglie e dei tre figli, in senso contrario al corteo presidenziale fu lievemente ferito all’indice da una scheggia staccatasi dal volante nell’impatto con una pallottola vagante.
Giunto all’aeroporto di Villacoublay de Gaulle passò in rassegna il picchetto d’onore. Poi, imperturbabile, osservando la sua auto crivellata commentò: “Questa volta era tangente! Fortunatamente quelli là sparano come dei porci!”. Sua moglie ancora scossa per lo scampato pericolo esclamò: “Spero che i polli non si siano fatti nulla!”. Non aveva sprecato la sua giornata parigina: prima di lasciare l’Eliseo aveva fatto sistemare nel baule un paio di polli acquistati in previsione del soggiorno alla Boisserie.
Fin dalle prime indagini non vi furono dubbi sulla matrice dell’attentato. La scelta dell’obiettivo, la tecnica militare impiegata dal commando, la considerevole potenza di fuoco, le cui tracce erano ben visibili in avenue de la Libération (il tappeto di bossoli sull’asfalto, le facciate dei palazzi crivellate di proiettili, la terrazza di un bar e la vetrina di un negozio di apparecchi radio-televisivi devastate), orientarono i sospetti degli inquirenti in una precisa direzione. Il ritrovamento, circa un’ora dopo il duplice agguato, del furgoncino Estafette giallo fornì ulteriori conferme alle prime congetture. All’interno del veicolo abbandonato, insieme a fucili mitragliatori, munizioni, bengala e granate, fu rinvenuto un potente congegno esplosivo plastico, firma inconfondibile degli irriducibili, quanto disperati, combattenti per l’Algeria francese.
Negli ultimi mesi, da quando la politica favorevole all’autodeterminazione dell’Algeria, promossa dal generale de Gaulle, con il pieno sostegno della maggioranza dei francesi, era giunta alla sua fase culminante, i plasticages, gli attentati al plastico, prima limitati ad Algeri e Orano, si erano moltiplicati sul territorio francese, seminando il terrore. Tra il 15 ed il 21 gennaio del 1962 si erano registrati quaranta attentati al plastico, venticinque dei quali alla periferia di Parigi nella sola notte del 18 gennaio, altri trentatré tra il 22 ed il 28 dello stesso mese, ancora trentaquattro tra il 5 e l’11 febbraio. Un crescendo di terrore senza precedenti, ma ancora ben lontano dall’emulare la violenza che stava insanguinando l’Algeria, dove nel solo mese di gennaio del 1962 si erano verificati oltre ottocento attentati, perpetrati dalle diverse fazioni in lotta. Nella prima quindicina del febbraio successivo gli attentati erano stati 507, provocando 256 morti 490 feriti.
L'attentato ispirò a Frederick Forsythe il romanzo "Il giorno dello sciacallo", da cui fu poi tratto un omonimo film.
Il 15 febbraio 1994 Georges Watin, "lo sciacallo", l'organizzatore dell'attentato, è morto nel suo esilio ad Asuncion, in Paraguay, per un attacco di cuore. Watin aveva 71 anni ed era da qualche tempo costretto a letto. Era stato condannato a morte in contumacia nel 1963, ma aveva beneficiato di un'amnistia nel 1968. Nato in Algeria, Watin si era schierato contro l'indipendenza nella guerra di Algeria e si era battuto anche contro la decisione di de Gaulle di concedere la sovranità all'ex territorio francese, nel luglio 1962. Lo "Sciacallo" era il capo della "Missione Tre", sezione dell' Organizzazione Armata Segreta (Oas, gruppo terroristico di destra), e responsabile di uno dei nove tentativi di assassinio organizzati contro de Gaulle. In un' intervista rilasciata nel 1990, Watin spiegò  che l' intenzione originaria era di rapire de Gaulle e di "processarlo davanti a una corte marziale, e solo dopo giustiziarlo", per il tradimento perpetrato concedendo l'indipendenza all'Algeria. Ma il piano fallì per un cambiamento di programma nell'itinerario della vettura presidenziale, e allora i congiurati tentarono, senza successo, di colpire de Gaulle in strada. Dopo l'attentato Watin fuggì in Svizzera, dove venne arrestato, ma le autorità svizzere rifiutarono l'estradizione a quelle francesi e preferirono espellerlo. Dopo di che Watin si trasferì in Spagna, e infine in Sudamerica, dove si stabilì in Paraguay, nel 1965. E' morto a casa sua, ad Asuncion, il 20 febbraio 1994 per un attacco di cuore.

lunedì 21 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 21 agosto.
Il 21 agosto 2006 viene dimostrata l'esistenza della "Materia Oscura".
 La nascita della Materia Oscura è profondamente legata ai grandi progressi fatti in Cosmologia, la branca della Fisica che studia la nascita e l’evoluzione del nostro Universo. Fino alla prima metà del 1900 si credeva che la quasi totalità della massa dell'Universo risiedesse nelle stelle; oggi invece sappiamo che queste costituiscono soltanto una percentuale irrisoria della materia cosmica (circa il 4%). La restante parte della massa dell’Universo non è visibile e a tale massa mancante si dà appunto il nome di Materia Oscura.
Gli scienziati, inoltre, pensano che accanto alla Materia Oscura esista una particolare forma di energia (nota come Energia Oscura), la quale, secondo il principio di equivalenza di Einstein (E = mc2), è in grado di dar conto della maggior parte della massa dell’Universo.
Quali sono le osservazioni sperimentali che hanno portato alla formulazione del problema della Materia Oscura?
Sono state le osservazioni di stelle, galassie e ammassi di galassie da parte di astronomi e astrofisici a far nascere l’idea che l’Universo avesse molta più massa di quella visibile.
Le galassie sono costituite da un nucleo molto luminoso e massiccio attorno al quale ruotano le altre stelle, distribuite in maniera tale che la loro concentrazione diminuisce man mano che ci si allontana dal nucleo galattico. Dalla legge di gravitazione universale di Newton si ricava che in un sistema gravitazionale come quello di una galassia, la velocità delle stelle che si trovano nella regione esterna al nucleo deve decrescere all’aumentare della distanza. Al contrario, le osservazioni effettuate su centinaia di galassie hanno dimostrato che la velocità delle stelle anche lontane dal nucleo era molto maggiore di quella attesa e inoltre non diminuiva con la distanza . Questo può essere spiegato solo se si assume che la galassia contenga della materia invisibile e non concentrata nel nucleo, la cui attrazione gravitazionale è responsabile del moto delle stelle.
Le galassie inoltre, sotto l’influsso della mutua interazione gravitazionale, tendono a formare degli agglomerati noti come ammassi di galassie. Sempre utilizzando la legge di Newton siamo in grado di determinare quale deve essere il moto relativo di ciascuna galassia di un ammasso, mediante la conoscenza della massa totale del sistema, cioè la somma delle masse delle galassie che lo compongono. Anche in questo caso, osservazioni sperimentali di un gran numero di ammassi hanno dimostrato che le velocità delle galassie erano anche 400 volte maggiori di quelle calcolate, il che indicava che l’ammasso era molto più “pesante” di quanto non sembrasse.
Negli ultimi anni, i risultati di diversi esperimenti hanno portato alla scoperta che il nostro Universo è piatto, ovvero che la sua curvatura spazio-temporale è nulla. Questo comporta che la densità di massa totale dell’Universo debba essere uguale a un valore noto, detto Densità Critica e pari circa a 10-30 g/cm3. La massa luminosa dell’Universo, però, non basta a dare questo valore di densità. E’ nuovamente necessario ipotizzare che la maggior parte della massa dell’Universo sia invisibile e presente sotto forme diverse dalla materia ordinaria che siamo abituati a considerare.
Di cosa è fatta la Materia Oscura?
La natura della materia oscura è ancora sconosciuta. Essa può avere varie componenti: una di tipo barionico (materia "ordinaria", cioè fatta da atomi) e una, più “esotica”, di tipo non barionico.
La componente barionica, costituita da oggetti massicci ma non luminosi, può essere costituita da pianeti, nane bianche (stelle che hanno finito di bruciare), nane brune (stelle che non hanno mai cominciato a bruciare), stelle di neutroni e buchi neri.
Questi oggetti vanno sotto il nome di MACHOs (Massive Astrophysical Compact Halo Objects = Oggetti astrofisici massicci e compatti di alone) ed emettono per loro natura una quantità di luce troppo scarsa per poter essere rivelati. Esiste però un diverso sistema di rivelazione di questi oggetti, basato su un effetto detto lente gravitazionale: immaginiamo che lo spazio sia come un lenzuolo esteso e ben tirato alle estremità. Se mettiamo sul lenzuolo una pallina di piombo molto pesante esso tende a deformarsi in corrispondenza del punto di contatto. Analogamente, nell’Universo, lo spazio si incurva in presenza di oggetti molto pesanti. Quando osserviamo nello spazio degli oggetti luminosi distanti da noi, le immagini di questi oggetti possono essere deviate e deformate se fra loro e noi si frappone un oggetto di massa molto elevata, come una galassia od un ammasso di galassie. Questo effetto, chiamato “lente gravitazionale”, avviene perché la curvatura dello spazio dovuta alla galassia o all’ammasso (la stessa che si presenta in corrispondenza della pallina di piombo) può provocare la deviazione della traiettoria della luce.
Se osserviamo una sorgente luminosa e un oggetto massivo (MACHO) si frappone fra noi e la sorgente, il fenomeno a cui assistiamo è chiamato microlente (microlensing), perché la massa del MACHO non è grande abbastanza da creare una lente gravitazionale. Il fenomeno è molto simile a quello di una lente gravitazionale, solo che le varie immagini sdoppiate non sono rilevabili perché troppo vicine. Ne consegue che non potendo osservare più immagini separate, le vedremo tutte assieme, con un conseguente incremento di luminosità dell’oggetto che stiamo osservando. Questo aumento di luminosità è legato alla massa del MACHO.
La Materia Oscura non barionica, che prima abbiamo chiamato “esotica”, non è costituita da oggetti compatti ma da particelle. Queste particelle, note con il nome di WIMPs (Weakly Interacting Massive Particles = particelle massive debolmente interagenti), sono molto massive (100 volte più pesanti di un protone o più), ma interagiscono pochissimo con la materia, ancor meno dei neutrini.
Esse vagherebbero nel Cosmo, addensandosi in prossimità delle galassie a causa dell’attrazione gravitazionale. I fisici ritengono che le WIMPs altro non siano che delle particelle previste da alcune teorie (per esempio la supersimmetria), ma non ancora osservate neanche nei più potenti acceleratori.
E l’Energia Oscura?
La cosiddetta “Energia Oscura” (Dark Energy, DE) rappresenta la componente più rilevante del nostro Universo. Secondo le più recenti osservazioni sperimentali, essa sembra costituire il 70% della densità dell’Universo.
Negli anni trenta Einstein, nel formulare la sue teoria della relatività generale, introdusse una costante, che egli stesso chiamò “costante cosmologica”. Tale quantità rappresenta in maniera semplificata l’energia che si può associare allo spazio vuoto e quindi è presente in ogni parte dell’Universo.
Einstein introdusse la costante cosmologica per fare in modo che la sua teoria descrivesse un Universo statico (come al tempo si pensava che fosse). Quando si scoprì che l’Universo era invece in espansione, egli riscrisse le sue equazioni senza la costante cosmologica, definendola “il suo più grande sbaglio”, ma senza sapere che in un futuro non troppo lontano essa sarebbe stata ripresa in considerazione.
La particolarità dell’energia oscura è che essa agisce come una gravità negativa, ovvero tende a far espandere l’Universo e si contrappone alla decelerazione dovuta all’attrazione gravitazionale della materia ordinaria e della materia oscura.
Quello dell’Energia Oscura è un campo ancora molto poco chiaro ma allo stesso tempo intrigante e studiato da un gran numero di cosmologi. Osservazioni sperimentali possono essere eseguite in maniera indiretta per determinare la concentrazione di Energia Oscura: la sua esistenza infatti, determinerebbe una accelerazione nell’espansione dell’Universo che può essere rivelata osservando sorgenti di luce molto intense e molto distanti dalla Terra, come le supernovae lontane.
Come si rivela la Materia Oscura?
La rivelazione della Materia Oscura non barionica, cioè sotto forma di particelle (WIMPs) è estremamente difficile a causa della loro debolissima interazione con la materia.
Per poter rivelare la presenza di una particella WIMP è necessario che essa interagisca in qualche modo con il nostro strumento di misura, dando un segnale. Purtroppo queste interazioni sono molto rare (ancora più rare delle interazioni dei neutrini). Per di più il segnale che otteniamo è difficilmente distinguibile da quello di altre particelle (elettroni, fotoni e soprattutto neutroni).
Esiste però un modo di rivelare le particelle WIMP basato sul cosiddetto effetto di “modulazione annuale”. Le WIMPs che si trovano nell'alone galattico investono la Terra con un flusso maggiore in estate (quando la velocità di rivoluzione della Terra si somma a quella del sistema solare nella galassia) e minore in inverno (quando le due velocità sono in direzioni opposte). Ci aspettiamo, quindi, che il numero di segnali di WIMP che contiamo sia massimo in estate (giugno) e minimo in inverno (dicembre). Su questo metodo di rivelazione si basano gli esperimenti dei LNGS DAMA/LIBRA, unici al mondo in grado di osservare questa modulazione.
Un esperimento che voglia rivelare le particelle WIMP deve essere necessariamente allestito in un laboratorio sotterraneo, dove solo particelle che interagiscono molto poco possono giungere e la presenza di altre particelle che possono disturbare le misure e costituire un rumore di fondo è ridotta al minimo.

domenica 20 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 20 agosto.
Il 20 agosto 1989 la nave Marchioness affonda nelle acque del Tamigi a seguito di una collisione.
Migliaia di turisti si accalcano il giorno dopo sulle rive del Tamigi per vedere il macabro spettacolo del battello Marchioness, teatro del tragico incidente che è costato la vita a 60 persone e che è ora incagliato tra le sabbie del lato nord occidentale del fiume. La scena è orrenda. La grande barca sembra la carcassa di una belva. Altri la paragonano ad una immensa bara. Eppure la chiamavano nella sua matura età di 65 anni pleasure boat, una imbarcazione dei piaceri. E così avrebbe dovuto essere nei programmi di Antonio Vasconcellos, un portoghese finanziere di quelli che nella City chiamano yuppies, per il loro rapido successo e per i lussi sfrenati.
Il ventiseienne bon-viveur aveva deciso di festeggiare il suo compleanno in stile con una notte di libagioni del migliore champagne, danze, cabaret, chiromanti e tante, tante affascinanti modelle, di quelle leggendarie, alte e sensuali, dalle curve perfette. Il suo amico Jonathan Phong, fotografo mondano, si era rivolto all' agenzia giusta che aveva provveduto ad assicurare una trentina di modelle e di tredici loro colleghi. La festa, che non avrebbe potuto concludersi in modo più drammatico, era cominciata nel migliori dei modi. I festeggiamenti sono iniziati alle otto di sera. A mezzanotte i 150 ospiti sono stati invitati a raggiungere il molo di Charing Cross dove la marchesa li avrebbe presi a bordo. Il giovane finanziere avrebbe voluto salpare poco dopo l' una ma i dj della discoteca sono arrivati in ritardo. L' imbarcazione dei piaceri non è partita fino all' una e mezza. Venti minuti dopo la stessa marchesa ha raggiunto il Southwark bridge. E' uno dei dieci ponti che collegano le sponde del Tamigi lungo le 18 miglia da Hampton a Putney Bridge. Ogni ponte ha una sua particolare fisionomia. Richmond Bridge è tra i più vecchi ed ha duecento anni. Fino ad ora non era stato teatro di grandi tragedie ma tutto è avvenuto nello spazio di pochi secondi, quando la Marchioness invece di attraversare sotto un arco a destra ha mantenuto la sua rotta più diretta e si è infilata sotto quello principale. Secondo l' Independent, il capitano Faldo avrebbe ricevuto dal capitano della Bowbelle, la gigantesca e veloce draga che seguiva il suo battello, l' invito a spostarsi perché la stessa Bowbelle era troppo alta per passare sotto altri archi che non quello principale. Alcune fonti aggiungono che a quest' invito sarebbe seguito un battibecco tra i due, e pochi attimi dopo la Bowbelle speronava la Marchioness. E' stato come se un carro armato andasse a cozzare contro una Mini, dice l' armatore proprietario del battello colato a picco, Ken Dwan. La vecchia marchesa non ha avuto scampo. In meno di due minuti era completamente travolta dalle acque nere del fiume percorso da forti correnti che muovevano verso ovest. Pochi minuti prima una chiromante Jackie James che leggeva le carte aveva esclamato: Attenzione ai viaggi sull' acqua. La donna si è salvata come altre sessantasei persone mentre i morti saranno sessantatré. Anche il capitano come l' anfitrione ha perso la vita nel naufragio. La draga ha invece riportato danni superficiali. Malgrado i tentativi di soccorso siano stati effettuati con la massima efficienza il bilancio è disastroso. La notte terribile ha visto all' opera sommozzatori, lance, elicotteri e squadre di agenti di polizia e pompieri che con le loro torce hanno tentato di far luce sotto i ponti del Tamigi. Sulle coste c' erano anche una cinquantina di autoambulanze. Soltanto i più fortunati ed i più robusti sono riusciti a scampare vivi a questa notte di tragedia. La polizia ha subito proceduto al fermo dello skipper e del marinaio della Bowbell che sono stati anche sottoposti all' esame dei medici per verificare la possibilità di un abuso di bevande alcoliche.
L' imbarcazione che era stata ufficialmente affittata dalla Syncro Model Agency avrebbe dovuto portare un massimo di 110/120 persone ma c' è chi parla di un carico di 150 passeggeri. Molti di loro si trovavano nella parte più bassa dell' imbarcazione dove erano state collocate sia la discoteca che le tavole con cibo e bevande. La signora Thatcher, che si trovava in vacanza in Austria, è stata svegliata di notte dai funzionari del numero 10 di Downing Street e appena ha ricevuto la terrificante notizia ha raggiunto insieme al marito Londra, da dove si è fatta portare direttamente sul luogo del disastro. Anche il nuovo ministro dei Trasporti, Cecil Parkinson, ha deciso di sospendere le sue vacanze in America e dopo avere incontrato i funzionari di polizia ed avere fatto anche lui un sopralluogo sul luogo dello scontro ha emanato una serie di provvedimenti. Sono previste più ispezioni, molte più unità di sorveglianza e di protezione, le imbarcazioni devono passare maggiori controlli e soprattutto deve essere obbligatoria la lista dei passeggeri.
Parkinson con il suo dinamismo ha dimostrato un forte contrasto con il suo predecessore anche lui conservatore, ma che veniva spesso definito il ministro dei disastri. Per esempio l' ex ministro, Paul Channon, dopo il disastro aereo del Natale precedente aveva preferito partire quasi subito per le sue vacanze nei Caraibi. Parkinson invece è rimasto al suo tavolo di lavoro tutto il giorno e tutta la notte.
Sette anni dopo il disastro sul Tamigi, anche la draga Bowbelle andò perduta. Venduta a una società di Madeira e ribattezzata Bom Rei, si spezzò in due e affondò il 25 marzo 1996 al largo della costa di Ponta do Sol, Madeira. La nave fu localizzata sei mesi dopo l'affondamento. Il relitto è ancora in buone condizione ed offre rifugio a un variegato insieme di pesci ed altra vita marina. Dopo poco tempo, sul relitto sono cresciute piante marine in abbondanza ed oggi il battello è un'attrazione per i sub.
Non lontano dal luogo del disastro sul Tamigi, nella cattedrale di Southwark, si può trovare un memoriale delle vittime; nello stesso luogo ad ogni anniversario viene tenuta una messa in loro ricordo.
Una sopravvissuta, Magda Allani, nel 2011 ha pubblicato la sua storia sul naufragio e sugli eventi di contorno, intitolato "Acque scure - Cronaca di una storia mai detta", che ha avuto una discreta diffusione sui media britannici.

sabato 19 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 19 agosto.
Il 19 agosto 14 d.C. muore Augusto, il primo imperatore di Roma.
Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto nasce a Roma nel 63 a.C., il padre è Gaio Ottavio e la madre è Azia, la figlia di Giulia, sorella minore di Giulio Cesare. Nel 45 a.C. Cesare lo adotta, poiché egli non ha discendenti maschi. Mentre si trova ad Apollonia, in Grecia, per motivi di studio in attesa di partire per la spedizione contro i Parti, Cesare Ottaviano riceve la notizia della morte di Giulio Cesare avvenuta il 15 marzo del 44 a.C. Torna a Roma per vendicare l'uccisione di Cesare e per raccogliere l'eredità da lui lasciata. All'età di diciannove anni Ottaviano dimostra grande caparbietà e coraggio, riuscendo a tenere testa ai suoi due acerrimi nemici, Marco Antonio e il Senato romano.
Il dissidio tra Ottaviano e Marco Antonio è da subito evidente, poiché quest'ultimo si rifiuta di consegnare subito nelle mani del primo l'eredità di Cesare. Il conflitto più aspro si ha a Modena, in cui Ottaviano appoggiato dai veterani di Cesare e dal Senato ottiene la vittoria contro Marco Antonio.
Nel 43 a.C., accortosi che il Senato appoggia fermamente la forma di governo oligarchica e per cercare di trovare una tregua con Marco Antonio, Ottaviano, in veste di Console, si mette d'accordo con quest'ultimo e Lepido per creare con loro il Triumvirato. Negli anni del Triumvirato i tre ordinano di uccidere i loro nemici, confiscano beni, distribuiscono terre ai veterani di Cesare e arruolano forze militari da impiegare nella battaglia contro i sostenitori di Bruto e Cassio, che si sono rifugiati in Grecia. I tre uomini si spartiscono i territori romani. Nel 42 a.C. le forze armate di Cesare Ottaviano e di Marco Antonio riportano una grande vittoria contro gli uomini di Bruto e Cesare a Filippi.
Nonostante un secondo accordo tra i triumviri e le spartizioni territoriali effettuate, lo scontro tra Marco Antonio e Ottaviano si riaccende, sfociando nella battaglia di Azio del 31 a.C., conclusasi nel 29 a.C. con la vittoria di Ottaviano che nel 27 a.C. riceve l'appellativo di Augusto. Egli ha il compito di riorganizzare l'Impero romano dal punto di vista politico, economico, militare e religioso. Rispettoso delle antiche Istituzioni romane, si appresta a dirigere in modo esemplare l'Impero romano. Egli inoltre alla carica di Console romano accumula anche quelle di princeps Senati e di Imperator, Prenome che può trasmettere agli eredi.
Augusto si rende conto che è arrivato il momento di porre fine alla forma di governo repubblicana, poiché il territorio dell'Impero è molto vasto. Egli, infatti, si rende conto che è giunto il momento di portare avanti nell'Impero una riforma costituzionale; è per questo motivo che nel 27 a.C. sanziona la fine dell'emergenza militare. Cesare Ottaviano Augusto porta avanti all'interno dell'Impero tutta una serie di importanti riforme tra cui la riforma costituzionale, il riordinamento delle Forze Armate, diminuendo il numero delle Legioni da cinquanta a ventotto e infine a diciotto, da l'ordine di realizzare numerose opere pubbliche per abbellire la Capitale imperiale, Roma. Inoltre a livello amministrativo crea nuove Colonie, Provincie e Prefetture, con l'obiettivo di romanizzarle.
Augusto ha nelle sue mani tutto il potere economico del Principato, ma cerca di assicurarsi del fatto che le risorse siano distribuite equamente, in modo tale da avere l'appoggio di tutte le popolazioni assoggettate. Nelle Provincie fa costruire strade, porti commerciali, nuove attrezzature portuali. Nel 23-15 a.C. riordina anche il sistema monetario. Il suo principato, conosciuto per i suoi caratteri pacifici, in realtà è stato funestato da numerose minacce e conflitti come ad esempio quello che interessa la parte nord-ovest della Penisola Iberica dal 29 a.C. al 19 a.C., la quale poi entra a fare parte dell'Impero. Dopo innumerevoli scontri militari anche il confine danubiano e quello renano vengono inglobati definitivamente nei domini imperiali.
Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto muore il 19 agosto del 14 d.C., lasciando nelle mani di Tiberio un grande Impero.

venerdì 18 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 18 agosto.
Il 18 agosto 1750 nasce a Legnago Antonio Salieri.
Antonio Salieri nacque a Legnago in provincia di Verona il 18 agosto 1750 e morì a Vienna all'età di 75 anni.
Fu il più famoso compositore di quei tempi, direttore d'orchestra e insegnante d'eccezione.
Ancora adolescente divenne studente di violino di Giuseppe Tartini, successivamente si trasferì a Venezia con il fratello Francesco per studiare contrappunto alla scuola di Giovanni Pescetti.
Nel 1766 seguì Florian Leopold Gassmann, Kapellmeister (Maestro di cappella) a Vienna alla corte di Giuseppe II d'Asburgo. Nello stesso anno debuttò con grande successo con l'opera "Le Donne letterate"; l'anno successivo replicò con l'"Armida".
Alla morte di Gassmann nel 1774, Salieri venne nominato Maestro di Cappella dell'Opera Italiana e iniziò così la sua folgorante carriera di compositore. Nel 1788 divenne Hof-Kapellmeister, cioè a capo di ogni attività musicale, incarico che mantenne fino al 1824.
Alle opere del debutto fece seguito la composizione dell'opera che lo avrebbe consacrato nel panorama musicale dell'epoca, "Europa riconosciuta", commissionatagli dall'imperatrice Maria Teresa d'Austria e che era destinata all'inaugurazione, il 3 agosto del 1778, del Nuovo Regio Ducal Teatro (l'attuale Teatro alla Scala) eretto a Milano.
Nel suo ruolo d'insegnante, Salieri, ebbe come allievi molti musicisti destinati alla celebrità: da Beethoven a Schubert, da Liszt a Czerny, Hummel ed uno dei figli di Mozart.
Fra le sue 39 composizioni per il teatro vanno ricordate: "La Scuola de' gelosi" (1778), "Der Rauchfangkehrer" (1781), "Les Danaïdes" (1784, attribuita in un primo tempo a Gluck), "Tarare" (1787), "Axur, re d'Ormus" (1788), "Palmira, Regina di Persia" (1795) e "Falstaff o sia le tre burle" (1799, tema tratto da Le allegre comari di Windsor di Shakespeare che sarà poi ripreso da Giuseppe Verdi per il suo Falstaff).
Salieri che nella sua produzione musicale vanta anche 26 variazioni su "La Follia di Spagna" (1815) e diverse serenate, morì a Vienna il 7 maggio 1825 e venne sepolto al cimitero Zentralfriedhof. Al suo funerale Schubert, suo allievo prediletto, diresse il Requiem che lo stesso Salieri scrisse diverso tempo prima per la propria morte.
Ai giorni nostri Antonio Salieri viene ricordato per la sua presunta rivalità con Mozart a cui seguirono oltre ad accuse di plagio anche, quella più grave, di aver assassinato il famoso compositore salisburghese, episodio mai dimostrato e tuttavia riproposto con forza visionaria dal regista Miloš Forman nel film Amadeus. Tale rivalità è in realtà piuttosto improbabile in quanto in quei tempi Salieri riceveva maggior apprezzamento rispetto a Mozart e, addirittura, qualcuno ipotizzò che fosse stato Mozart a plagiare Salieri.
Ricordiamo che a Legnago, città natia del compositore, gli è stato dedicato il Teatro della città dove vengono riproposte numerose sue opere e composizioni.

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