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venerdì 28 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 28 febbraio.

Il 28 febbraio 1912 nasce a Roma Clara Petacci.

Clara Petacci, detta Claretta, nasce a Roma il 28 febbraio 1912. Appassionata di pittura e con velleità cinematografiche, pare fosse innamorata del Duce fin da giovanissima.

Il 24 aprile 1932 la speranza di Claretta viene esaudita. L'incontro con Benito Mussolini avviene alla rotonda di Ostia: Claretta ha vent'anni, è nel pieno della sua giovinezza e della sua bellezza; il Duce ne ha quarantotto.

Nonostante tutto Claretta sposa il fidanzato, il tenente dell'aeronautica Riccardo Federici, da cui si separerà nel 1936. Dopo la sua separazione inizierà la relazione intima con il Duce.

Claretta lo aspetta ogni giorno pazientemente nella stanza dei loro incontri e anche se gelosissima sopporta tutte le umiliazioni, che nonostante le volesse bene, Mussolini le infligge. Claretta non chiederà mai a Mussolini di lasciare la moglie per lei. Accettava quello che il suo uomo poteva darle, fino alla fine, fino a voler morire vicino a lui, per dimostrargli fino in fondo la sua dedizione e per compensarlo, a suo modo di vedere, di tutti gli abbandoni subiti nella fase finale del suo potere.

Travolta dagli eventi della Seconda guerra mondiale, alla caduta del regime, Clara Petacci viene arrestata il 25 luglio 1943 per essere poi liberata il giorno 8 settembre, quando viene annunciata la firma dell'armistizio di Cassibile. Tutta la famiglia abbandona Roma e si trasferisce nel nord Italia controllato dalle forze tedesche, dove poi sorge la Repubblica di Salò.

Clara si trasferisce in una villa a Gardone, non lontano dalla residenza di Mussolini. Il 25 aprile, sia Clara sia Marcello si allontanano da Milano assieme alla lunga colonna di gerarchi fascisti in fuga verso Como. Il 27 aprile 1945, durante l'estremo tentativo di Mussolini di sottrarsi alla cattura, Clara viene bloccata a Dongo.

Il giorno seguente, il 28 aprile, dopo il trasferimento a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como, Benito Mussolini e Claretta Petacci vengono fucilati, sebbene su Clara non pendesse alcuna condanna. La versione ufficiale della morte di Mussolini è stata tuttavia contestata ed esistono diverse versioni sull'andamento dei fatti. Il giorno dopo (29 aprile) i corpi vengono esposti in piazzale Loreto a Milano (assieme a quelli delle persone fucilate a Dongo il giorno prima e Starace, che venne giustiziato in Piazzale Loreto poco prima), appesi per i piedi alla pensilina del distributore di carburante, dopo essere stati oltraggiati dalla folla. Il luogo viene scelto per vendicare simbolicamente la strage di quindici partigiani e antifascisti avvenuta il 10 agosto 1944, messi a morte per rappresaglia in quello stesso luogo.

Non appena il cadavere della Petacci fu appeso alla pensilina, don Pollarolo, cappellano dei partigiani, dietro pressione di Anna Mastrolonardo e altre donne presenti tra la folla, chiese alla sarta Rosa Fascì una spilla da balia per fissare la gonna indossata dal corpo di Clara. Tale soluzione si rivelò però inefficace e così intervennero i pompieri, sopraggiunti con gli idranti a sedare l'ira della folla, a provvedere a mantenere ferma la gonna con una corda.

Attorno alle ore 15, i corpi giunsero all'Obitorio Civico di via Giuseppe Ponzio.

Al calar della notte del giorno dopo, il 30 aprile, per ordine del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), la salma di Claretta Petacci venne sepolta (così come Mussolini e altri) in una fossa del Campo 16 del Cimitero Maggiore di Milano, lasciata anonima per evitare ulteriori oltraggi; dopo 2 giorni, di notte, per creare ulteriore difficoltà alla sua individuazione, sempre per ordine del CLN, la salma di Claretta venne esumata e traslata in una fossa del Campo 10, il campo perpetuo destinato ai caduti della RSI, sotto il nome fittizio di Rita Colfosco. Qui rimase fino a marzo 1956 quando, con autorizzazione del ministro dell'interno Fernando Tambroni, la salma di Claretta Petacci venne esumata, trasportata a Roma e tumulata nella tomba di famiglia al Cimitero Comunale Monumentale Campo Verano, il giorno 16.

In seguito alla morte dei discendenti diretti tra gli anni 1960 e 1970, e il trasferimento dei rimanenti negli Stati Uniti, la tomba è stata nel 2015 dichiarata "manufatto in stato di abbandono" dall'amministrazione cimiteriale. Un'associazione ha proposto il recupero del manufatto, mentre l'ex sindaco di Sant'Abbondio Alberto Botta ha proposto di traslare la salma a Mezzegra, luogo della morte della donna. Successivamente la tomba è stata restaurata nell'autunno del 2017, dopo una raccolta fondi da parte di un'associazione.

giovedì 27 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 27 febbraio.

Il 27 febbraio 380 gli imperatori Graziano, Teodosio e Valentiniano emanano l’Editto di Tessalonica e il cristianesimo diventa la confessione ufficiale dell’Impero Romano secondo i canoni del credo niceno.

Sono passati 67 anni dall’Editto di Milano con cui, il 13 giugno 313, Costantino e Licinio legalizzavano la fede cristiana, chiudendo definitivamente le persecuzioni che fino a due anni prima avevano insanguinato l’impero, proprio nel momento in cui a Spalato moriva l’uomo che aveva legato il suo nome alla più feroce di quelle campagne: Diocleziano.

Se il 23 febbraio del 303 con l’Editto di Nicomedia erano stati bruciati i libri sacri cristiani, distrutte le chiese, confiscati i beni, vietate le assemblee e proibita qualsiasi difesa in azioni giuridiche, tolte le cariche e i privilegi ai cittadini di alto rango, inibiti onori per i nati liberi e l’emancipazione per gli schiavi, fino ad arrivare ad arresti, torture ed esecuzioni sommarie, novant’anni dopo il primo dei Decreti teodosiani datato 24 febbraio 391 avrebbe messo al bando ogni genere di sacrificio pagano, anche in forma privata, sancito il divieto di ingresso nei templi e proibito anche solo avvicinarsi ai santuari e adorare statue o manufatti. L’anno successivo un altro decreto avrebbe proibito esplicitamente anche i culti pagani privati (quelli dei lari, dei geni, e dei penati), e equiparato al reato di lesa maestà l’offerta di sacrifici, che avrebbe comportato la perdita dei diritti civili, la confisca delle abitazioni dove si fossero svolti i riti, e ingenti multe per i decurioni che non avessero fatto rispettare la legge, fino ad arrivare alla pena di morte.

Nel frattempo, ad Alessandria il vescovo Teofilo chiederà e otterrà da Teodosio il permesso di convertire in chiesa il tempio di Dioniso, generando scontri feroci con i pagani che porteranno ad una guerra civile culminata con il massacro di Ipazia.

Sarà colpito anche il tempio di Artemide di Efeso, una delle sette meraviglie del mondo, mentre l’arcivescovo Giovanni Crisostomo organizzerà una spedizione ad Antiochia per demolire i templi e uccidere gli idolatri.

Per compiacere sant’Ambrogio, poi, Teodosio nel 393 arriverà ad abolire i Giochi Olimpici mettendo fine alla più importante manifestazione sportiva del mondo, durata più di mille anni con 292 edizioni, e bisognerà aspettare un millennio e mezzo prima che qualcuno li riporti in vita.

Eppure, a dispetto dalle apparenze, l’atto di Teodosio e Graziano (Valentiniano ha appena nove anni al momento dell’editto) non segna il compimento del percorso avviato da Costantino e Licinio 67 anni prima ma, al contrario, una vera e propria inversione di tendenza, sotto tutti i punti di vista.

Se l’editto del 313 rappresenta il trionfo della laicità e della libertà religiosa, infatti, quello del 380 segna l’inizio della teocrazia.

D’altra parte Costantino e Teodosio – considerati gli ultimi due grandi imperatori romani – non avrebbero potuto essere più diversi tra loro per il carattere ma soprattutto per il modo di gestire quella che rappresenta comunque una realtà minoritaria dell’impero, dove la maggioranza dei cittadini professa ancora i culti pagani.

Costantino aveva emancipato i cristiani guidato da uno spirito ecumenico che puntava ad unificare l’impero sotto un culto monoteista, mescolando quelli di Cristo, di Mitra e del Sole.

L’imperatore nato in Serbia voleva che la religione non rappresentasse un motivo di divisione nell’impero, ma – al contrario – lo rendesse più forte sotto la protezione dell’unico Dio; Dio del quale, però, solo Cesare è il rappresentante in terra.

Mantenendo per tutta la vita una forte ambiguità sul suo credo personale, Costantino si era assunto la responsabilità di guidare tutte le confessioni, tanto da essere contemporaneamente il Pontefice Massimo della religione pagana e il promotore del primo grande concilio del cristianesimo: quello di Nicea. E se da una parte aveva trasformato il giorno del Sole Invitto – il 25 dicembre – in quello natale di Cristo, dall’altra aveva coniato la settimana moderna assegnando a tutti i giorni i nomi di divinità pagane: luna, marte, mercurio, giove, venere, saturno e sole.

Insomma Costantino inseguiva una pace religiosa che vedeva le varie confessioni unite in un sostanziale monoteismo e sottomesse alla sua tutela, mentre alle chiese cristiane non era concessa alcuna forma di potere: il cristianesimo, come il paganesimo, restava espressione dell’autorità imperiale.

Graziano e Teodosio fanno esattamente l’opposto, inaugurando il nuovo corso della storia cristiana che caratterizzerà tutto il Medioevo, e nel far questo più che seguire l’esempio di Costantino lo sconfessano e addirittura lo scomunicano.

Con l’editto di Tessalonica, infatti, l’autorità imperiale non solo sceglie il cristianesimo come religione di Stato contrapponendolo ai culti pagani, ma ne sancisce l’autenticità nel credo di Nicea e lo affida all’autorità dei vescovi di Roma e di Alessandria, condannando solennemente l’eresia ariana alla quale lo stesso Costantino aveva aderito formalmente quando, prima di morire, si era fatto battezzare.

La legalizzazione del cristianesimo nel 313 era stata un capolavoro di diplomazia e strategia politica che nulla aveva a che fare con una conversione dell’impero alla fede di Cristo: non a caso, se Costantino era un “simpatizzante” cristiano anomalo e ambiguo, Licinio era restato saldamente ancorato al paganesimo.

Totalmente opposta la situazione settanta anni dopo: entrambi gli imperatori, infatti, sono convinti cristiani, anzi fedeli cristiani che non si limitano ad aderire al credo, ma si sottomettono apertamente ai ministri della Chiesa rinunciando a quel ruolo sacerdotale di garante, fermamente rivendicato da Costantino.

La discriminazione avviata da Graziano e Teodosio segna dunque anche l’abdicazione al ruolo religioso dell’autorità imperiale e – di fatto – l’inizio dello sfaldamento culturale e politico dell’impero romano.

Non a caso è proprio Graziano il primo imperatore a rinunciare al titolo di “Pontefice Massimo”: il grado religioso supremo della società romana che a partire da Augusto era stato appannaggio dell’imperatore e che sarà ereditato – significativamente – proprio dal papa di Roma, il cui potere, temporale e spirituale, crescerà progressivamente fino a fargli rivendicare – nel mezzo dell’Età di mezzo – un’autorità assoluta in tutto il mondo cristiano.

Teodosio – da parte sua – appena due giorni dopo essere arrivato a Costantinopoli caccerà il vescovo ariano Demofilo affidando la chiesa della città al capo della minoranza cattolica Gregorio Nazianzeno, mentre nel 381 renderà festivo il Giorno del Sole ribattezzandolo però “Giorno del Signore” (Dies Dominici).

Per certi versi, quindi, forse è proprio il 27 febbraio dell’anno 380 dall’incarnazione di Gesù Cristo, che finisce davvero l’impero romano.

Perché è con l’Editto di Tessalonica, che Roma (che già non è più Roma da un pezzo, visto che la capitale dell’impero romano si è spostata a Milano e Costantinopoli) imponendo per la prima volta una verità dottrinale come legge dello Stato, abbandona quell’idea di integrazione religiosa che aveva caratterizzato tutta la sua storia e aveva visto la creazione di un singolare pantheon in cui trovavano posto antichi culti italici, l’olimpo greco, le divinità germaniche, quelle egiziane e quelle arrivate dall’Oriente.

Ma non sono solo la libertà e il pluralismo religioso, ad essere minati dall’Editto: il 27 febbraio 380 i tre imperatori abdicano infatti anche, come detto, al ruolo di suprema autorità religiosa che tutti i loro predecessori avevano rivestito a prescindere dalla fede professata, consentendo così la nascita di quel contro-potere incarnato dalla gerarchia cattolica che finirà per ribaltare i ruoli: se fino a quel momento nell’impero cristiano c’era un potere religioso affidato a un’autorità laica (come avviene ancora oggi nell’Islam), per quasi due millenni sarà il potere laico ad essere sottoposto all’autorità religiosa.

Più che con l’ininfluente deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore dell’occidente, nel 476, è allora forse proprio con l’Editto del 380 che si dovrebbe dare inizio ufficialmente al Medioevo.


mercoledì 26 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 26 febbraio.

Il 26 febbraio 1606 Willem Janszoon scopre l'Australia.

L'Australia ha una storia decisamente affascinante, soprattutto per noi europei che rispetto all'Isola continente siamo gli antipodi, sotto ogni profilo. L’Australia è abitata da circa 40/50 mila anni, da quando vi giunsero i progenitori degli attuali aborigeni australiani provenienti dall'odierno sud-est asiatico. La grande isola lontana non venne scoperta dagli europei fino al XVIII secolo, quando fu avvistata e visitata da numerose spedizioni. La popolazione aborigena, all’epoca, si calcola contasse fra 500 mila e un milione di unità.

L'esistenza di un continente opposto all'Europa, però, fu ipotizzato da Greci e Romani. I nostri progenitori lo nominarono “Terra Australis Incognita” e lo immaginarono molto più grande, quasi sconfinato. Nel XVIII secolo le esplorazioni lungo il Pacifico spinsero molti a dubitare dell'effettiva esistenza della Terra Australis. Spedizioni nei secoli precedenti da parte di marinai portoghesi, spagnoli e olandesi portarono a credere che quella parte del mondo fosse composta essenzialmente dalle sparpagliate isole dell'Oceania.

L'Australia, in realtà fu avvistata. Più precisamente nel 1606 da Willem Janszoon, che sfiorò quello che oggi è Capo York. Nel 1616, Dirk Hartog, a bordo dell'Eendracht, fu il primo europeo a scendere sul suolo australiano. Gli olandesi Peter Nuyts e, soprattutto, Abel Tasman esplorarono fra il 1635 e il 1645 gran parte della costa meridionale e l'attuale isola di Tasmania, giungendo fino in Nuova Zelanda. Gli olandesi, credettero erroneamente che il sud dell'Australia costituisse un'isola diversa da quella toccata da Hartog e le diedero il nome di Nuova Olanda, senza però colonizzarla o reclamarla poiché la ritenevano solo un immenso deserto privo di risorse. L'Australia fu avvistata anche da marinai portoghesi.

Il primo ad avventurarsi fino a quelle terre, in maniera organizzata fu, nel 1770, il capitano James Cook. Nello stesso anno due terzi orientali del continente vennero reclamati dal Regno Unito. Il 26 gennaio 1788 fu istituita una colonia penale britannica. Il resto fu reclamato dal Regno Unito nel 1829. La maggior parte degli stati che più tardi si federarono formando l'Australia non erano comunque nati come colonie penali.

Il 1 gennaio 1901, nacque il Commonwealth, o federazione d'Australia, come dominio, all'interno dell'Impero britannico. L'Australia era oramai indipendente, anche se gli ultimi legami legali con il Regno Unito non furono recisi fino al 1986. L'Australia è attualmente una monarchia costituzionale, di cui Carlo III d'Inghilterra è regnante quale Re d'Australia. Nel 1999,la popolazione è stata chiamata a votare un referendum per effettuare un cambio costituzionale e trasformare l'Australia in una repubblica, con un presidente a sostituire la allora regina Elisabetta come capo dello Stato, ma è stato rigettato.

martedì 25 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 25 febbraio.

Il 25 febbraio 1803 ha luogo a Ratisbona la Deputazione Imperiale.

Il recesso della Dieta imperiale fu l'atto deliberativo (25.2.1803) della deputazione imperiale straordinaria insediata dalla Dieta di Ratisbona. Questa commissione ebbe il compito di regolamentare, con la mediazione congiunta di Francia e Russia, la cessione della sponda sinistra del Reno alla Francia, concordata tra la Francia, l'imperatore Francesco II e il Sacro Romano Impero nella pace di Lunéville del 9.2.1801, e l'indennizzo dei principi laici espropriati. Il risultato fu la più grande modifica territoriale della storia tedesca.

La Secolarizzazione dei principati ecclesiastici - tra l'altro anche dei principati vescovili di Basilea, Costanza e Coira -, l'abolizione dell'immediatezza imperiale per quasi tutte le città imperiali e cessioni territoriali produssero un notevole ingrandimento dei cosiddetti Stati medi della Germania sudoccidentale. Lungo il Reno e il lago di Costanza, la Svizzera si trovò così a confinare con il Baden, il Württemberg e la Baviera, che presero il posto di numerose piccole signorie (tra cui il principato vescovile di Costanza). Dato che alcuni principi imperiali detenevano possedimenti e diritti nella Confederazione, così come signori territoriali svizzeri nell'Impero (ad esempio l'abbazia di San Gallo in Svevia), nel novembre del 1802 il Comitato esecutivo elvetico inviò lo sciaffusano David Christoph Stokar von Neunforn a Ratisbona. Con l'aiuto della Francia, quest'ultimo ottenne l'inserimento di un articolo svizzero (paragrafo 29) nel recesso della Dieta imperiale. A titolo di indennizzo per le perdite territoriali nell'Impero, alla Svizzera furono attribuite le due enclave imperiali di Tarasp e Hof Chur. Tutti i diritti e titoli detenuti da principi imperiali in Svizzera e viceversa si estinsero. La Confederazione poté riscattare in base ai propri vantaggiosi parametri tutti i tributi che i membri dell'Impero riscuotevano in Svizzera. Con il recesso della Dieta imperiale vennero sciolti gli ultimi legami con l'Impero; la Confederazione ottenne la piena sovranità sul territorio nazionale con le sole eccezioni della signoria di Rhäzüns, austriaca fino al 1819, e del principato di Neuchâtel, tornato sotto sovranità prussiana dal 1814 al 1848.

lunedì 24 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 24 febbraio.

Il 24 febbraio 1920 a Monaco di Baviera nasce il partito Nazista.

La sconfitta della grande guerra fu pagata a caro prezzo dalla Germania, messa in ginocchio e ridicolizzata dai vincitori con il trattato di Versailles. Nonostante la proclamazione della Repubblica di Weimar, il Paese era disastrato dalla fame, dalla disoccupazione, con l’inflazione che raggiunse livelli talmente spaventosi da ridurre il marco a mera carta straccia. I tumulti di piazza, i disordini erano all’ordine del giorno e il governo appariva troppo debole per poter arginare la protesta e le insurrezioni che rendevano sempre più concreto, lo spettro di una rivoluzione filo-bolscevica.

In questo quadro angosciante e caotico, si ritrovò a convivere un reduce di guerra di origine austriache, Adolf Hitler, sconvolto da una sconfitta attribuibile, nei suoi pensieri, al tradimento degli ebrei e dei comunisti, da lui considerati i veri nemici del popolo tedesco.

Nel luglio 1919 il giovane Hitler entrò in contatto con il partito dei lavoratori tedeschi, un piccolo gruppo nazionalista di estrema destra guidato da Anton Drexler, che traeva le proprie origini da circoli e sette esoteriche come la Thule e dall’influenza di tetri e enigmatici personaggi come Dietrich Eckart, Karl Haushofer, Helena Petrovna Blavatsky, Jorg Lanz Von Liebenfels, tutti fattori che hanno contribuito a creare un macabro alone di mistero e di occulto, circa presunti lati oscuri del nazional-socialismo e circa il suo legame con il mondo del paranormale.

Dopo aver scritto nel settimanale del partito, il Völkischer Beobachter di Monaco e dopo aver esposto, il 24 febbraio 1920, in una birreria di Monaco (la "Hofbräuhaus"), in venticinque punti, il suo programma, fondato su teorie razziali, il 10 luglio 1921 Adolf Hitler fu nominato capo del movimento che era stato ribattezzato "partito nazional-socialista dei lavoratori tedeschi"; l’emblema della formazione divenne la svastica, un’ antica immagine della tradizione indoeuropea simboleggiante la fortuna, nota nella religione nordica per essere legata al Sole e rappresentante Thor, il Dio del Fulmine; nelle teorie occulte della Blavatsky, la svastica era il simbolo esoterico più importante, da lei indicato come l’emblema della razza ariana.

Il partito fu anche organizzato militarmente, attraverso la nascita delle SA (squadre d’assalto), i gruppi paramilitari nazisti, diretti dal comandante Ernst Rohm, che vennero impiegati da Hitler e dai suoi seguaci, nel cosiddetto putsch di Monaco, il fallito colpo di stato del novembre 1923, che provocò l’arresto del futuro fuhrer e la sua condanna a cinque anni di reclusione nel carcere di Landsberg; nella realtà la prigionia durò meno di un anno e fu proprio durante la sua detenzione che Hitler dettò al fedele amico Hess, camerata della prima ora, il "Mein Kampf", la bibbia della dottrina nazional-socialista ove furono esposti i principi cardine di un’ideologia fondata sulla necessità di garantire alla razza ariana la giusta espansione verso i territori orientali ed il dominio sui popoli inferiori tra cui, in primis, quello ebraico, considerato la causa di tutti i mali e, come tale, da eliminare; nel "Mein Kampf, la storia è vista nell’ottica di una guerra, nella quale le razze superiori sottomettono quelle inferiori, attraverso la necessaria costituzione di uno stato fortemente autoritario, volto a creare le basi per la creazione di una società razziale.

Uscito dal carcere, in seguito ad amnistia, Hitler riorganizzò il partito che, nel giro di pochi anni sarebbe, tragicamente, passato dall’anonimato delle elezioni del 1925, agli 800 mila voti e 12 deputati nel 1928 e ai sei milioni e mezzo con 107 deputati del 1930, grazie alla veemente arte oratoria del suo capo, che colpiva profondamente l’animo frustrato dei tedeschi, umiliati dalle condizioni di Versailles, con discorsi invocanti la nascita di una grande Germania, votata alla rivincita.

Nonostante i consensi ottenuti e l’appoggio, finanziario, dei grandi industriali, il partito nazional-socialista venne sconfitto alle elezioni presidenziali della primavera 1932 dal vecchio maresciallo Hindenburg ma, ciononostante, grazie alle divisioni dello schieramento avversario, ad abili mosse politiche e a delicati meccanismi di alleanza, Adolf Hitler fu nominato, il 30 gennaio 1933, dallo stesso Hindenburg, cancelliere del reich; il primo atto di una storia fatta di orrori e sofferenze era stato dunque scritto.

domenica 23 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 23 febbraio.

Il 23 febbraio 1892 Rudolf Diesel brevetta il motore che porterà il suo nome.

Rudolf Christian Karl Diesel nasce il 18 marzo del 1858 a Parigi, figlio di genitori tedeschi: la madre è una governante e tutrice che insegna tedesco, mentre il padre è un artigiano del cuoio piuttosto famoso.

Dopo avere frequentato con ottimi risultati le scuole elementari, Rudolf Diesel all'età di dodici anni viene iscritto alla Ecole Primaire Superieure, ritenuta una tra le migliori scuole medie della capitale francese.

Con l'esplosione della guerra franco-prussiana nel 1870, tuttavia, la famiglia Diesel viene considerata un nemico, e quindi si rifugia in Gran Bretagna, a Londra, così da trovare asilo in una nazione neutrale.

Successivamente, grazie anche all'aiuto di un cugino, Diesel - a guerra ancora in corso - si reca ad Augusta, la città di provenienza della sua famiglia, e qui viene ammesso alla Real Scuola di Commercio della Contea: eccellente studente, all'età di quattordici anni scrive una lettera ai suoi genitori comunicando loro la sua intenzione di diventare un ingegnere.

Dopo avere completato gli studi obbligatori nel 1873, entra nella Scuola Industriale di Asburgo, appena fondata, e due anni più tardi ottiene una borsa di studio alla Technische Hochschule di Monaco, in Baviera, che accetta nonostante il parere contrario dei genitori, che vorrebbero che iniziasse a lavorare; in questo periodo, diventa un pupillo di Carl von Linde.

Nel 1880 Rudolf Diesel consegue la laurea: è da quel momento che si impegna alla ricerca di un sostituto del vapore (più efficace) per le macchine termiche.

Nel frattempo lavora a Winterthur, in Svizzera, come tecnico e progettista per due anni, prima di tornare a Parigi per essere assunto alle industrie di refrigerazione Linde, in qualità di ingegnere.

Nel 1883 si sposa, mentre due anni più tardi fonda la sua prima officina, che funziona anche come laboratorio. Potendo contare su una preparazione notevole sia in fisica che in matematica, si dedica alla progettazione di un motore caratterizzato da un rendimento più elevato rispetto sia a quello della macchina a vapore, sia a quello del motore inventato poco tempo prima da Nikolaus August Otto.

L'idea di Rudolf Diesel è quella di un motore che si avvalga unicamente della temperatura elevata che viene prodotta nella camera di scoppio dalla compressione dell'aria per l'accensione del carburante.

Il progetto non è ancora portato a termine quando Rudolf si trasferisce a Berlino, su richiesta della Linde; nel 1892 (il 23 febbraio) egli ottiene il brevetto per il suo motore in Germania, così da riuscire a trovare i finanziamenti e il supporto di cui ha bisogno per completare il progetto: fino al 1897, tuttavia, non viene creato alcun esemplare in grado di funzionare correttamente e in maniera completamente soddisfacente.

Nel frattempo, Diesel pubblica un saggio intitolato "Teoria e costruzione di un motore termico razionale, destinato a soppiantare la macchina a vapore e le altre macchine a combustione finora conosciute", risalente al 1893, nel quale spiega il principio di funzionamento della sua intuizione; nel febbraio del 1894, invece, porta a termine un motore caratterizzato da un singolo pistone, che in occasione di una dimostrazione pubblica viene fatto girare per un minuto e alimentato con del carburante polverizzato, introdotto da aria compressa.

È solo nel 1897, come detto, che l'invenzione di Rudolf Diesel viene completamente definita: mentre egli è al lavoro alla Maschinenfabrik Augsburg, costruisce un prototipo perfettamente funzionante, anche se simile, sotto molti punti di vista, a quello proposto da Herbert Akroyd Stuart due anni prima (per questo motivo vi saranno, negli anni successivi, molteplici controversie a proposito della paternità del brevetto).

Diesel presenta ufficialmente il suo motore durante l'Esposizione Universale di Parigi del 1900, dopo tre anni di studi: un motore che funziona con l'olio di arachidi come carburante e che viene prodotto quasi subito.

Nel giro di pochissimo tempo, Diesel ottiene una rendita milionaria, garantita dai brevetti riconosciuti in tutti i Paesi europei al motore, e diventa molto ricco. A partire dal 1904, egli intraprende una serie di conferenze negli Stati Uniti, in occasione delle quali ha modo di spiegare nei dettagli il suo progetto.

Rudolf Diesel muore improvvisamente il 30 settembre del 1913 nel Canale della Manica, cadendo in mare mentre è in viaggio in nave diretto in Inghilterra, dalla Francia verso Harwich. Le circostanze dell'episodio, tuttavia, non vengono mai chiarite: secondo alcuni, si tratterebbe di suicidio, come dimostrerebbe una croce disegnata sul diario di bordo ritrovato sulla barca vuota; secondo altri, a causare la morte di Diesel sarebbe stata addirittura la Marina tedesca, che in quel periodo stava iniziando a sfruttare i nuovi motori sui sommergibili, nonostante il parere contrario del loro inventore.

In base a quest'ultima teoria, il viaggio di Diesel lo avrebbe portato in Gran Bretagna presso la Royal Navy, alla quale sarebbe stato proposto l'uso dei motori in contrasto con l'utilizzo tedesco: ecco perché l'impero tedesco avrebbe dovuto eliminarlo.

Certo è che, nel testamento lasciato, Diesel chiede che sua moglie Martha riceva una valigia al cui interno sono presenti una modesta somma di denaro e un fascicolo molto voluminoso di documenti che testimoniano i debiti contratti da Rudolf con diverse banche: il motivo dei debiti supporterebbe quindi la teoria del suicidio.

Il cadavere di Rudolf Diesel, una volta ritrovato dai marinai, viene restituito al mare, secondo l'uso dell'epoca.

sabato 22 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi

 

Buongiorno, oggi è il 22 febbraio.

Il 22 Febbraio 1980 durante le Olimpiadi Invernali di Lake Placid la nazionale statunitense di Hockey sul ghiaccio si rese protagonista di un’impresa che è tra le più amate della storia dello sport a stelle strisce. Tanto impensabile da essere ribattezzata “il Miracolo sul Ghiaccio”. Ve la raccontiamo.

       All’epoca infuriava la Guerra Fredda e da più di trent’anni il mondo era diviso in due blocchi contrapposti: quello statunitense e quello sovietico. Un conflitto non armato che sfociava però in tutti gli altri àmbiti della vita politica e sociale: ideologie, economia, espansione e controllo territoriale fino alla rincorsa della Luna. Insomma, ci si sfidava su tutto. E fra quel tutto, non poteva assolutamente mancare lo sport, strumento assai utile per comprendere la Storia, non essendole in alcun modo estraneo.

Ma se agli inizi degli anni Settanta la Diplomazia del Ping Pong aveva avvicinato il governo cinese a quello statunitense, adesso invece sul tavolo si ponevano due questioni assai scottanti: l’invasione sovietica dell’Afghanistan e le prime minacce del presidente Jimmy Carter seriamente intenzionato a boicottare le imminenti Olimpiadi di Mosca.

       Prima, però, c’erano da disputare i casalinghi Giochi invernali. E una nuova occasione di un epico scontro tra le due potenze si avrà il 22 febbraio, quando le squadre di Hockey, quella americana e quella sovietica, si scontreranno su una pista di ghiaccio, dando vita a una partita che è rimasta indelebile nella storia dello sport con il nome di Miracolo sul Ghiaccio.

«A meno che il ghiaccio non si sciolga, o a meno che la squadra americana non compia un miracolo, ci si attende che i russi vincano la medaglia d’oro per la sesta volta negli ultimi sette tornei». Era questo il centro di un articolo apparso il giorno prima dell’inizio delle gare sul New York Times. L’Unione Sovietica era la squadra destinata a vincere l’oro e a sbriciolare tutti gli avversari che si sarebbe trovata di fronte.  Dunque, prima ancora che il puck si posasse sul ghiaccio, pare che i sovietici avessero già la medaglia appesa al collo. E come non cedere a un così facile pronostico d’altronde? La squadra capitanata da Boris Michajlov, 200 goal in carriera, è una delle più forti e vincenti che il mondo abbia mai visto: dal 1963 hanno vinto quasi tutte le edizioni annuali dei campionati del mondo. In più, vantano in formazione due difensori insuperabili, Fetisov e Kasatonov, oltre al leggendario portiere Vladislav Tretjak, e avanti alcuni giovani favolosi come Helmut Balderis e Vladimir Krutov. Hockeisti dilettanti, certo, ma solo sulla carta: perché nel blocco sovietico vige il dilettantismo di Stato. E dunque si gioca e si vince per l’ideologia, per la patria, per la grande madre Russia.

La squadra americana, invece, si presenta alla competizione olimpica con tutti i pronostici a sfavore. I ragazzi sono affidati all’allenatore Herb Brooks, forse l’unico a credere nell’impresa impossibile — anche più dei suoi stessi giocatori —, fermamente convinto sin dall’inizio che preparazione e determinazione possono ridurre o addirittura annullare qualsiasi gap tecnico, tattico e d’esperienza. Anche il più profondo. E per farlo decide di affidare la fascia di capitano al più anziano dei suoi giocatori a disposizione: Michael Anthony Eruzione, detto “Mike”, un italoamericano di 25 anni. Nonostante non apprezzi lo stile di gioco del ragazzo di origini napoletane, basato quasi totalmente sulla potenza, Herb Brooks, però, capisce di uomini prima che di Hockey e in un istante si accorge dell’invidiabile leadership e della carica emotiva di Eruzione che potrebbero servire tantissimo a una squadra con un’età media di 21 anni. Una banda di ragazzotti del Minnesota che nello spogliatoio guardano in cagnesco quelli di Boston che a loro volta neanche passano il disco a quelli di Wisconsin. Giocatori che fino a un minuto prima si erano disputati con botte da orbi il titolo universitario. Ecco perché a Brooks in quel momento serve un capitano capace di mettere assieme tutti, e Mike Eruzione diventerà proprio questo: l’uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto.

Nato a Winthrop, nel Massachusetts, il 25 ottobre 1954, Mike è figlio di un operaio e di una casalinga che a casa bada ai sei figli di una classica famiglia italoamericana. Mike ama giocare all’aria aperta e praticare qualsiasi sport che gli permetta di correre e divertirsi con gli amici. Se la cava abbastanza bene nel baseball e nel football, ma come molti ragazzi americani si ritrova completamente in difficoltà se gli passano un pallone da calcio. E viene da sorridere se si pensa agli strani casi della vita, perché una sua cugina, Connie, sposerà in prime nozze il compianto e discusso Giorgio Chinaglia.

Il colpo di fulmine definitivo per il disco sul ghiaccio, come veniva chiamato in Italia ai tempi del fascismo, arriva giocando alcune partite con la Winthrop Youth Hockey. Mike si accorge che con il bastone sulla pista di ghiaccio ci sa fare e durante un’amichevole estiva se ne accorge anche Jack Parker, l’allenatore della Boston University che nota immediatamente il suo talento e a fine partita gli dice: «Ragazzo, se per il prossimo anno non hai ancora scelto un ateneo, sappi che qui da noi per te un posto in squadra ci sarà sempre». Ed è così che Mike giocherà per cinque anni nei Boston College Eagles con cui segnerà 92 reti e servirà 116 assist, dimostrando che Parker quel giorno ci aveva visto giusto.

Mike, che sin da piccolo non coltivava chissà quali sogni di gloria, pare abbia già disegnato il suo futuro. In quel momento è fidanzato con Donna, la ragazza che diventerà sua moglie; guida una Chevrolet scassata che sarà la sua auto per altri quindici anni; ed essendo troppo piccolo per sperare di poter giocare un giorno con i professionisti della NHL (National Hockey League), studia educazione fisica e già si vede professore di ginnastica in qualche liceo o college. Una vita normale, nell’ombra. Be’ non sempre però le cose vanno come sono state previste. Perché prima c’è ancora un bel po’ di Hockey da giocare: i campionati mondiali e poi le Olimpiadi del 1980.

Durante le nefaste partecipazioni alle edizioni dei campionati del mondo, prima in Germania e poi in Polonia, gli Stati Uniti di Mike Eruzione hanno subito quasi solo sconfitte. Ci sono state pure due partite contro l’Unione Sovietica ma ogni volta sono tornati a casa dopo aver rimediato due memorabili scoppole: 13-5 e 13-1.

Poche settimane prima dell’inizio dei Giochi, però, durante la tournée di preparazione, gli Stati Uniti riconquistano un po’ di fiducia in se stessi sconfiggendo per ben quattro volte la squadra B dell’Unione Sovietica. Ma tre giorni prima dell’accensione del braciere olimpico, durante l’ultima amichevole giocata al Madison Square Garden, il tutt’altro che dolce risveglio: stavolta gli avversari sono quelli della vera Unione Sovietica, la quale vince passeggiando per 10-3 davanti a un mare di bandiere a stelle e strisce ammainate.

«Gli uomini hanno battuto i bambini», sentenzierà il giorno dopo un commentatore che, però, dimenticava come a volte succedano anche dei miracoli.

Nonostante la pesante sconfitta del Madison, Brooks è convinto che i russi siano in parabola discendente e che quindi si possano battere. Per rinforzare la sua idea e motivare i suoi, alla fine di ogni allenamento mostrerà alla squadra i filmati degli avversari sottolineando la scarsa allegria del gruppo che appariva effettivamente annoiato e poco coeso. A ogni primo piano del capitano Boris Michajlov, Brooks ferma il Super8 e dice: «Ma guardatelo, sembra Stan Laurel!» sottolineando la notevole somiglianza con il superlativo compagno di Ollio. La squadra ride e si carica. Prima, però, bisogna superare la prima fase a gironi, il che è tutt’altro che scontato.

Brooks ritiene che due delle avversarie del gruppo B, Norvegia e Romania, sono alla portata dei suoi ma dall’altra parte teme che Svezia, Cecoslovacchia e Germania Ovest siano più forti ed esperte. Siccome per passare il turno bisogna arrivare tra le prime due, un mezzo miracolo è necessario già dalle prime partite.

Di grande auspicio è il pareggio all’esordio con la Svezia, un 2-2 che dà a tutto il gruppo una maggiore consapevolezza di poter arrivare in fondo. Da lì, gli Stati Uniti prendono una grande spinta che li porterà a battere nell’ordine: Cecoslovacchia, Norvegia, Romania e Germania Ovest, con 23 goal segnati e 8 subiti.

Dall’altra parte, però, l’Unione Sovietica, annoiata o meno che fosse, ha letteralmente passeggiato sugli avversari, infliggendo 51 reti in cinque partite e subendone solo 11.

Per differenza reti, la Svezia si aggiudica il primo posto nel girone B apparecchiando così la tavola per la sfida delle sfide: la rivincita tra americani e russi. Un match che, come abbiamo detto, andava oltre lo sport. La guerra fredda combattuta su un campo di ghiaccio.

Il 22 febbraio del 1980 l’atmosfera elettrica dell’Olympic Fields House Arena (oggi Herb Brooks Arena) è talmente elettrica che sta per trasformare la beata gioventù dei giocatori americani in benedetta incoscienza. Attorno alla pista, sugli spalti, la folla sventola bandiere a stelle e strisce e intona inni patriottici. Sì, quel giorno a Like Placid sono in tanti a credere in un miracolo. L’inizio della semifinale olimpica, però, segue la logica. I sovietici chiudono subito gli americani nella propria metà campo e usano Jim Craig, l’eroico portiere di ventitré anni, come il centro del loro personalissimo tiro a bersaglio. Craig, però, nel solo primo periodo respinge ben sedici tiri degli avversari, prima di arrendersi alla tremenda rasoiata di Vladimir Krutov, che segna l’1-0. Logico d’altronde, pensa qualcuno. Ma a volte la logica non basta.

Dopo pochi minuti, infatti, William Schneider piega il guanto di Tretjak con un tiro dalla linea blu e pareggia. Quindi Sergej Makarov fa 2-1, poi a tre secondi dalla fine del primo periodo arriva l’episodio chiave della gara, quello che cambia definitivamente la partita: il rocambolesco pareggio di Mark Johnson.

I russi rientrano in campo con una novità: hanno cambiato il portiere, adesso para Myškin. È l’indizio che conferma le crepe e i punti deboli che Brooks aveva visto nei filmati. Anche se Aleksandr Malcev segna il 3-2 nel secondo periodo, ormai gli americani hanno capito di essere stati scelti dal destino. Così Johnson segna il secondo goal personale quando il cronometro segna meno di nove minuti alla fine della gara.

Ottantuno secondi dopo, in un clima delirante, arriva il leggendario momento di Michael Anthony Eruzione che entra nella storia dello sport con tutti gli onori del caso: è suo il goal decisivo del 4-3!

Dalla cabina stampa, il telecronista Al Michaels urla le ultime battute di un commento rimasto nella storia : «Restano undici secondi, ora dieci, il conto alla rovescia è partito! Morrow passa a Silk, mancano 5 secondi di gioco! Credete nei miracoli? Sì!». Do you believe in miracles? Yes!

Dopo quella miracolosa vittoria, la medaglia d’oro arriverà dopo il 4-2 contro la Finlandia in finale. Sì, perché the Miracle on Ice contro l’Unione Sovietica è avvenuto in semifinale, e non in finale come in molti erroneamente credono. Una partita talmente importante e talmente incastonata per sempre nell’immaginario collettivo americano, da doverla raccontare più volte al cinema. 

Quella contro gli scandinavi sarà ancora una vittoria in rimonta, ancora improbabile, ancora con un finale romanzesco. Per tutti, però, quell’oro è collegato alla notte del 22 febbraio del 1980. Quella del goal dell’italoamericano dal nome profetico: Eruzione. Forse perché neppure un vulcano avrebbe potuto sprigionare l’energia che gli Stati Uniti misero in campo quella sera.

Terminata la carriera sul ghiaccio dopo la vittoria olimpica a soli 25 anni, Mike Eruzione intraprese quella di commentatore televisivo per la ABC e la NBC. Insieme a tutta la nazionale americana di hockey del 1980, è stato l'ultimo tedoforo dei giochi invernali di Salt Lake City 2002.

venerdì 21 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 21 febbraio.

Il 21 febbraio 1917 quattro spie italiane iniziano a Zurigo quello che verrà poi chiamato il "colpo di Zurigo".

Quattro uomini scivolano nella strade di Zurigo in festa per il Carnevale, entrano nel consolato austriaco, aprono le porte con chiavi false, forzano la cassaforte e infine fuggono con l'elenco delle operazioni in corso e i nomi di agenti segreti e sabotatori operanti in Italia.

Non è la trama di un film di 007, bensì uno dei migliori colpi dei nostri servizi segreti, anzi «Il Colpo di Zurigo», messo a segno nel febbraio del 1917. Quanto all'efficacia dell'azione, gli alti gradi militari giudicheranno i suoi effetti «superiori a qualsiasi battaglia vinta» durante la Prima Guerra Mondiale.

Il colpo di mano viene deciso quando, dopo due anni di indagini, la Regia Marina scopre come non solo dietro una lunga serie di «incidenti» ci fosse la mano dei servizi segreti austriaci, non ci voleva molto, ma che la base delle operazioni in Italia è nel consolato viennese a Zurigo. In svizzera dunque si nasconde la mente dei sabotaggi iniziati il 27 settembre 1915 nel porto di Brindisi quando salta in aria la «Benedetto Brin», una delle migliori corazzate italiane affonda nel giro di pochi minuti, uccidendo 454 marinai. Un disastro replicato il 2 agosto 1916 quando le fiamme distruggono nel porto di Taranto un'altra corazzata, la Leonardo da Vinci, uccidendo 270 tra marinai e ufficiali. Quindi tutto un susseguirsi di «inspiegabili» disastri: l'incendio al porto di Genova, il piroscafo Etruria saltato in aria a Livorno, l'hangar dei dirigibili in fiamme ad Ancona. E ancora: la distruzione della fabbrica di esplosivi a Cengio nel savonese e del treno carico di munizioni a La Spezia e danneggiamento della centrale idroelettrica di Terni. Ma la fortuna alla fine volta le spalle agli austriaci e i carabinieri riescono ad arrestare un sabotatore mentre sta cercando di piazzare dell'esplosivo sotto la diga delle Marmore. È un italiano, ha tradito per denaro, come confermerà una secondo attentatore fermato in tempo presso le centrali elettriche del Chiamonte e del Sempione. I due forniscono anche il «preziario»: 300mila lire per distruggere un sommergibile, 500mila un incrociatore, un milione una corazzata, cifre enormi per l'epoca, equivalenti a svariati milioni di euro. Ma soprattutto indicano nel consolato austriaco a Zurigo la base operativa degli agenti segreti e nel diplomatico, il capitano di corvetta Rudolph Mayer, il loro capo.

Il governo affida al capitano di corvetta Pompeo Aloisi, 42 anni, il compito di distruggere la rete di spie. L'ufficiale mette sotto stretta sorveglianza l'edificio, matura il piano per penetrare nell'edificio e infine arruola una squadra di specialisti. Il primo l'avvocato livornese Livio Brin, rifugiato a Zurigo che offre appoggio logistico. Poi un agente segreto austriaco, il cui nome non sarà mai rivelato, che spiegherà dove trovare la cassaforte e fornirà i calchi per aprire le varie porte. Quindi uno specialista nel fare i doppioni, l'abilissimo fabbro Remigio Bronzin, un profugo triestino. Poi due ingegneri triestini, Salvatore Bonnes e Ugo Cappelletti, e il marinaio Stenos Tanzini, di Lodi, a cui vien affidato il compito di guidare il commando. Manca lo scassinatore, individuato in Natale Papini. Lo rintracciano in carcere a Livorno, dove era finito per avere svaligiato una banca di Viareggio. Gli fanno decidere tra recarsi a Zurigo e, in caso di successo del colpo, venire liberato e profumatamente ricompensato, oppure finire subito in prima linea. Scelta molto facile.

Aloisi decide di agire in pieno carnevale, la confusione può rendere più facile l'azione. Tanzini, Papini, Bronzin e Bini scivolano nelle strade piene di gente in festa, entrano nell'edificio, aprono 16 porte una dopo l'altra. Ma quando sembra fatta, ecco una diciassettesima, inattesa: l'agente doppiogiochista l'aveva sempre vista aperta e non pensava fosse necessario procurarsi un ulteriore calco. Il gruppo esce; la spia austriaca si procura anche quel calco, Bronzin fabbrica la chiave a tempo di record e il 24 il gruppo è pronto per il nuovo tentativo. Questa volta non sembra esserci ostacoli, i due guardiani sono assenti, il cane di guardia addormentato con il cloroformio e le porte si aprono una dopo l'altra. Non resta che attaccare la cassaforte con la fiamma ossidrica, ma un ultimo imprevisto per poco non fa strage del commando: dal buco aperto nella parete d'acciaio esce un gas venefico. Una trappola di cui i «nostri» se ne accorgono in tempo, aprono le finestre e continuano a lavorare con stracci bagnati sulla bocca. Dopo quattro ore il forziere cede e rivela i suoi tesori: l'intera rete di spie e le operazioni in corso. Ma anche una grossa somma di denaro, 650 sterline d'oro e 875 mila franchi svizzeri, gioielli e una preziosa collezione di francobolli.

Con il bottino vengono riempite tre valigie che Tanzini e Papini portano in stazione mentre Bronzin si reca al consolato italiano ad avvisare Cappelletti e Bonnes che tutto è andato bene. Poi Bonnes e Bronzin raggiungono Tanzini e Papini alla stazione e partono insieme per Berna, dove consegnano il materiale ad Aloisi. In tempo di esaminare i documenti, poi in Italia polizia e carabinieri iniziano ad arrestare i sabotatori. In beve l'intera rete di spie austriache viene smantellata, facendo prendere alla guerra una piega in favore dell'Italia. «Meglio di una vittoria in battaglia» sarà il commento degli altri gradi delle nostre Forze Armate.

giovedì 20 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi




 Buongiorno, oggi è il 20 febbraio.

Il 20 febbraio 1844 viene eseguito per la prima volta l'inno che divenne in seguito l'inno nazionale italiano, prima di quello di Mameli.

Nel febbraio del 1844 Carlo Alberto, sovrano del Regno di Sardegna, decide di lasciare momentaneamente la capitale Torino per far visita all'isola. Per celebrare l'occasione, il musicista sassarese Giovanni Gonnella dà vita a S'hymnu sardu nationale (L'inno sardo nazionale) una composizione in onore del Re. Come scrive il docente di storia della musica Gian Nicola Spanu, l'inno è da considerarsi come "una composizione dove i sardi dichiarano la loro fedeltà al Re". Le parole dell'inno sono scritte in Sardo Logudorese a opera di Vittorio Angius, erudito sardo deputato al parlamento di Torino e autore, tra l'altro, della monumentale opera del Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna. In principio inno ufficiale del regno di Sardegna, in seguito S'Hymnu accompagnerà la Marcia Reale come inno del Regno d'Italia dal 1861 al 1946, anno della nascita della repubblica.

Non stupisce che Angius, ex sacerdote e fervente liberale, invocasse il nome di Dio per proteggere il suo sovrano. Il "Conservet deu su Re" (Dio protegga, salvi, il Re) ricorda il "God save the Queen/King" inglese. Re Carlo Alberto, contento dell'omaggio concessogli dai sardi, nel 1848 decise di fare della composizione di Gonnella e Angius, l'inno ufficiale del Regno di Sardegna. Nel 1848 il regno sabaudo è in guerra contro l'Austria e S'Himnu accompagna i bersaglieri e le truppe regie durante le battaglie risorgimentali. Dal punto di vista musicale il ritornello a fanfara è convenzionale e militaresco, mentre è interessante è la terza sezione dell'inno, definita "Tipo della Nazione" che rappresenta la prima trascrizione di una melodia sarda, forse unu Dillu (un Ballo).

Il 1848 non è solo l'anno della prima guerra d'indipendenza ma anche quello della "fusione perfetta (della Sardegna) con gli stati di teraferma". La fusione ha una valenza giuridica. Prima dei Savoia, l'isola era in mano alla Spagna e i suoi rapporti con le monarchie aragonese e spagnola erano regolati da consuetudini. La legislazione dell'isola traeva spunto dall'antico codice medievale della Carta de Logu di Eleonora d'Arborea che - come scrive la storica Luisa Maria Plaisant - offriva valide garanzie al corpo sociale di vivere nel rispetto delle leggi e delle norme che la legislazione stessa e gli organi di governo riconoscevano come tali. In pieno clima risorgimentale i sardi scrissero l'inno dello stato sabaudo e rinunciarono alle loro autonomie, segno dell'adesione dell'élite sarda ai progetti di casa Savoia. Con la fusione - che cancella de iure et de facto le antiche autonomie - forse i maggiorenti dell'isola speravano di poter trarre beneficio dalle riforme liberali della monarchia sabauda e di trarre benefici dalla politica di Carlo Alberto.

Con l'unità d'Italia del 1861 S'hymnu affianca la Marcia Reale e a Giovinezza nel ruolo di inno ufficiale del Regno d'Italia e manterrà questo ruolo fino al 1946. Con la nascita della repubblica dopo la seconda guerra mondiale è sostituito dal Canto degli Italiani - erroneamente conosciuto come inno di Mameli. Curiosità: nel 1946 il Canto degli Italiani di Mameli è divenuto inno d'Italia solo in maniera provvisoria e manterrà questo status fino a una modifica costituzionale.

S'hymnu venne eseguito per la prima volta il 20 febbraio del 1844 al teatro civico di Cagliari in onore di Carlo Alberto. Nel 1937 fu eseguito nella Cappella Sistina, quando Papa Pio XI consegnò l'onorificenza della Rosa d'oro alla Regina Elena di Savoia. La melodia riecheggia negli anni '90 al Quirinale, in onore al Presidente Francesco Cossiga, per le sue origini sarde. L'ultima esecuzione ufficiale risale al 2001, durante i funerali di Maria José di Savoia ultima regina italiana, su desiderio espresso prima di morire.

Al giorno d'oggi, S'Hymnu sardu nationale rappresenta per i sardi un motivo d'orgoglio. Ma non per tutti. Buona parte di coloro che sono vicini alle correnti autonomiste e indipendentiste considerano l'inno come mero atto di omaggio e di sottomissione al monarca sabaudo. Cantare la sottomissione a un Re nel quale alcuni sardi non si riconoscevano e che non era e non è - per alcuni - considerato sovrano dell'isola non è ritenuto motivo di vanto.

mercoledì 19 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 19 febbraio.

Il 19 febbraio 2020 si registrano in Iran le prime due vittime da Coronavirus al di fuori della Cina.

All’inizio era il virus misterioso, di cui non si sapeva quasi nulla. Per qualcuno era poco più che una banale influenza, per altri una malattia sconosciuta e letale. Di certo, a distanza di alcuni anni , possiamo dire che il Covid-19 ha rivoluzionato le vite di tutti. E in tutto il mondo.

I lockdown, le mascherine, il green pass, le restrizioni, le accortezze, le tantissime vittime: il coronavirus ha cambiato tutto e ha segnato una sorta di spartiacque tra il prima e il dopo. Tra la vita prima del Covid e tutto ciò che è e sarà dopo lo scoppio della pandemia.

Ricostruiamo in una sorta di timeline tutti gli eventi più significativi che hanno riguardato il Covid-19, dai primi casi di Wuhan alle varianti, dai vaccini ai lockdown, provando a prendere in considerazione quanto successo nel mondo e in Italia.

I primi casi di Covid-19 sono stati registrati alla fine del 2019, anche se l’emergenza è scattata in tutto il mondo solo in un secondo momento. L’Italia è il primo Paese a essere colpito nel mondo occidentale, con il primo caso di Codogno. Vediamo cosa è successo nei primi mesi dell’emergenza sanitaria:

31 dicembre 2019: il governo di Wuhan, in Cina, conferma che le autorità sanitarie stavano curando decine di casi di polmonite. Alcuni giorni dopo viene identificato un nuovo virus della famiglia dei coronavirus.

11 gennaio 2020: viene riportato il primo caso di decesso dovuto al virus in Cina: muore un uomo di 61 anni che frequentava il mercato di Wuhan.

20 gennaio 2020: vengono confermati i primi casi di questo virus al di fuori della Cina.

23 gennaio 2020: Wuhan entra in una sorta di lockdown.

30 gennaio 2020: l’Oms dichiara l’emergenza internazionale.

31 gennaio 2020: confermati i primi due casi in Italia, si tratta di due turisti cinesi che verranno ricoverati allo Spallanzani di Roma; il governo dichiara lo stato d’emergenza.

11 febbraio 2020: l’Oms ribattezza il virus Covid-19, che sta per Coronavirus disease 2019.

21 febbraio 2020: scoppia l’epidemia anche in Italia, scoperto il primo caso d’infezione locale e data la notizia del primo decesso; proclamate le prime zone rosse in Lombardia, a partire da Codogno.

10 marzo 2020: in Italia scatta il primo lockdown generalizzato.

11 marzo 2020: l’Oms dichiara il Covid-19 una pandemia.

18 marzo 2020: vengono diffuse le immagini della colonna di mezzi militari che trasporta le bare delle vittime del Covid a Bergamo.

2 aprile 2020: la pandemia fa registrare più di un milione di casi in 171 Paesi, con oltre 50mila morti.

6 aprile 2020: il premier britannico Boris Johnson viene ricoverato in terapia intensiva a causa del Covid.

4 maggio 2020: in Italia finisce il lockdown duro e inizia l’allentamento delle misure che prosegue con ulteriori aperture il 18 maggio.

19 maggio 2020: il governo istituisce il reddito di emergenza a favore delle famiglie in difficoltà per l’emergenza sanitaria.

15 giugno 2020: viene lanciata l’app Immuni per il tracciamento dei contagi.

30 giugno 2020: l’Unione europea riapre le sue frontiere ai cittadini provenienti da alcuni paesi.

21 luglio 2020: raggiunto l’accordo Ue sui fondi europei per la ripresa, il cosiddetto Recovery fund.

Dopo l’estate del 2020 arriva la seconda ondata, ma anche il vaccino

Dopo un’estate in cui il peggio sembrava alle spalle, in autunno torna l’incubo del Covid con la seconda ondata e nuove restrizioni anche in Italia. Ma arrivano anche i vaccini.

28 settembre 2020: viene raggiunto un milione di morti a causa del Covid nel mondo.

2 ottobre 2020: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, risulta positivo al Covid e viene ricoverato.

4 novembre 2020: con la seconda ondata in Italia arrivano le zone gialle, arancioni e rosse con diverse misure restrittive in base all’incidenza dei contagi regionali.

2 dicembre 2020: il Regno Unito autorizza l’uso d’emergenza del primo vaccino contro il coronavirus, quello di Pfizer.

3 dicembre 2020: in Italia si registra il record di decessi, sono 993 in 24 ore.

8 dicembre 2020: per la prima volta viene somministrata una dose del vaccino anti-Covid Pfizer nel Regno Unito.

20 dicembre 2020: scoperta una nuova variante in Gran Bretagna, diventerà la variante Alfa (prima conosciuta come inglese).

Dicembre 2020: scoperta in India la variante che verrà poi ribattezzata Delta e diventerà predominante da maggio 2021.

21 dicembre 2020: viene autorizzato nell’Ue il commercio del primo vaccino anti-Covid, sviluppato da Pfizer e BioNTech.

27 dicembre 2020: vengono somministrate le prime dosi di vaccino Pfizer in Italia.

6 gennaio 2021: autorizzata l’immissione in commercio in Ue del vaccino di Moderna.

29 gennaio 2021: l’Ue autorizza il vaccino contro il Covid di AstraZeneca.

11 febbraio 2021: il Consiglio Ue adotta il regolamento che istituisce il Recovery fund.

1 marzo 2021: scatta, per la prima volta, la zona bianca in Italia per la regione Sardegna.

11 marzo 2021: nell’Ue viene autorizzato il vaccino monodose di Johnson & Johnson.

15 marzo 2021: viene sospesa la somministrazione del vaccino AstraZeneca dopo alcuni casi sospetti di trombosi.

3 giugno 2021: la somministrazione del vaccino anti-Covid viene autorizzata per tutti gli over 18 in Italia.

1 luglio 2021: scatta il green pass europeo, il certificato verde per circolare nell’Ue.

13 luglio 2021: via libera ai fondi del Recovery fund europeo per i primi 12 Paesi, tra cui l’Italia.

6 agosto 2021: in Italia diventa obbligatorio il green pass.

4 ottobre 2021: l’Ema dà il via libera alla terza dose del vaccino.

15 ottobre 2021: il green pass diventa obbligatorio anche sul lavoro in Italia.

24 novembre 2021: viene individuata in Sud Africa la nuova variante Omicron.

Dicembre 2021: inizia a circolare la variante Omicron 2.

20 dicembre 2021: in Ue viene autorizzato il vaccino Novavax.

8 gennaio 2022: in Italia il governo introduce l’obbligo di vaccinazione per tutti gli over 50.

11 febbraio 2022: viene eliminato l’obbligo di mascherina all’aperto in Italia.

1 aprile 2022: in Italia termina lo stato d’emergenza per Covid e vengono meno alcune restrizioni.

martedì 18 febbraio 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 18 febbraio.

Il 18 febbraio 1984 viene firmato l'Accordo di Villa Madama, un nuovo Concordato tra Santa Sede e Stato Italiano.

L'accordo costituisce una soluzione delle antinomie esistenti fra la Costituzione repubblicana e le norme pattizie del Concordato del 1929, resa necessaria anche dai cambiamenti che nel frattempo hanno interessato il tessuto sociale dell’Italia

Si articola in tre documenti:

Preambolo: la società italiana è cambiata, è stata promulgata una Costituzione repubblicana, il Concilio Vaticano II ha modificato i rapporti fra Stato e Chiesa.

Testo: 14 articoli.

Protocollo addizionale: lo scopo è di evitare eventuali successive difficoltà di applicazione.

I Patti lateranensi non dovevano prendere in considerazione una Costituzione rigida come quella del 1929: essi avevano chiuso la Questione Romana, mentre l’accordo di Palazzo Madama fa un ulteriore passo verso una visione più democratica dei rapporti fra Stato e Chiesa, adattabile alle nuove esigenze (concordato-cornice). Infatti, l’accordo di Palazzo Madama prevede numerosi stralci rinviati ad accordi successivi.

Gli aspetti più significativi sono:

Neutralità dello Stato: abolizione del termine “religione di Stato”. Lo Stato è neutrale, ma non agnostico nel senso che pur non facendo propria una scelta di fede precisa, tiene conto della rilevanza sociale del fenomeno religioso.

La Chiesa è autonoma nella sua organizzazione ed ha piena libertà nell’attribuzione degli incarichi degli uffici ecclesiastici, con l’obbligo di darne comunicazione alle autorità civili.

Lo stato garantisce assistenza spirituale e possibilità di culto in determinate strutture pubbliche, pur rispettando la libertà di ognuno.

Disciplina degli Enti ecclesiastici e impegno finanziario dello Stato: in parte cadono i privilegi e le esenzioni che nel tempo si sono accumulati dopo il 1929. Gli enti ecclesiastici con finalità religiose e di culto acquisiscono la personalità giuridica per cui ai fini tributari e per usufruire di sgravi fiscali, le finalità di culto e di religione sono uguali ai fini di beneficenza ed istruzione. Attività diverse sarebbero dovute essere soggette alle leggi dello Stato. In merito, abbiamo la Legge 20 maggio 1985, n° 222, elaborata da un ‘apposita Commissione paritetica che ha rivisto tutta la questione degli impegni finanziari.

Matrimonio: L’accordo di Palazzo Madama è intervenuto dopo la legge sul divorzio del 1970. Le sentenze di nullità del matrimonio dei tribunali ecclesiastici non sono più indispensabili per far cessare gli effetti del matrimonio canonico trascritto. Infatti il giudice, dopo aver esperito inutilmente ogni tentativo di conciliazione, accertato che la comunione spirituale fra i due coniugi non può essere mantenuta, pronuncia la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio. Inoltre le sentenze di nullità possono essere dichiarate efficaci nello Stato italiano alle stesse condizioni previste per ogni altra sentenza straniera

Istruzione religiosa: si è avuto un ribaltamento del concetto di obbligatorietà dell’insegnamento religioso. Pur riconoscendo che i principi religiosi cattolici fanno parte del patrimonio storico italiano, lo Stato continua a garantire l’insegnamento della religione cattolica , ma viene rispettata la libertà di coscienza e quindi il diritto di non avvalersi.

Sostentamento del clero: l’argomento viene affrontato dalla Legge 20 maggio 1985, n° 228. Viene introdotta la quota dell’8x1000 e la detraibilità delle donazioni in favore della Chiesa. Viene invece soppresso l’assegno di congrua (= assegno che lo Stato ha versato ai parroci fino al 1986). La stessa normativa vale anche per le altre confessioni religiose.

Sviluppo della legislazione regionale: a partire dal 1970, con l’introduzione dello Statuto dei lavoratori, si è assistito ad una sorta di promozione del fattore religioso per garantire lo sviluppo spirituale dell’essere umano. È così che alcune leggi regionali si sono occupate di istruzione religiosa, assistenza ospedaliera, carceraria, volontariato e aborto. In questo modo si è superata la dicotomia fra fonti statali e fonti concordatarie per favorire una legislazione extra-concordataria che fosse più vicina ai bisogni spirituali dei cittadini.

lunedì 17 febbraio 2025

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

 

Buongiorno, oggi è il 17 febbraio.

Il 17 febbraio 1909 muore Geronimo, il capo degli Apache.

Geronimo nasce il 16 giugno 1829 a No-Doyohn Canyon (località oggi conosciuta con il nome di Clifton), nell'attuale Nuovo Messico, all'epoca terra degli Apache Bedenkohe, pur essendo egli un Apache Chiricahua.

Viene educato secondo le tradizioni Apache: dopo la morte di suo padre, sua madre lo porta a vivere con i Chihenne, con i quali cresce; sposa una donna chiamata Alope, appartenente alla tribù dei Nedni-Chiricahua, all'età di diciassette anni, che gli darà tre figli.

Chiamato anche Sognatore, in virtù della sua (presunta) capacità di predire il futuro, diventa uno sciamano rispettato e un guerriero molto abile, spesso impegnato contro i soldati messicani.

La sua sete di lotta contro i messicani è dovuta a un episodio tragico della sua esistenza: nel 1858, infatti, durante un attacco portato a termine da una compagnia di militari messicani guidati dal colonnello Josè Marìa Carrasco, vengono uccisi sua madre, sua moglie e i suoi figli.

Sono proprio le truppe avversarie a dagli il soprannome di Geronimo.

Egli viene spedito dal suo capo, Mangas Coloradas, presso la tribù dei Cochise per ricevere aiuto.

Risposatosi con Chee-hash-kish, che gli dà due bambini, Chappo e Dohn-say, lascia la sua seconda moglie per unirsi nuovamente in matrimonio, questa volta con Nana-tha-thtith, che a sua volta gli regala una figlio.

In tutto, saranno otto le mogli della sua vita: oltre a quelle citate, ci saranno Zi-yeh, She-gha, Shtsha-she, Ih-tedda e Azul.

Celebre per il suo coraggio e per la sua capacità di sfuggire ai nemici (tra i diversi episodi, quello più leggendario avviene tra le Robledo Mountains, quando egli si nasconde in una caverna, ancora oggi conosciuta come Geronimo's Cave), capo Apache impegnato per più di un quarto di secolo contro l'espansione a occidente dei bianchi, egli si mette alla guida dell'ultimo gruppo di pellerossa intenzionati a non riconoscere l'autorità del governo degli Stati Uniti a Ovest: la loro lotta si conclude il 4 settembre 1886, giorno in cui in Arizona, a Skeleton Canyon, Geronimo si arrende a Nelson Miles, generale dell'esercito statunitense.

Dopo la resa, egli viene imprigionato in Florida a Fort Pickens, e da qui trasferito, nel 1894, a Fort Sill, in Oklahoma.

Divenuto celebre in età avanzata come personalità da ammirare, partecipa a numerose fiere locali (ma anche all'Esposizione Universale di Saint Louis del 1904), vendendo fotografie e souvenir ispirati alla sua vita, ma non riesce mai a ottenere la possibilità di tornare nella sua terra d'origine.

Protagonista in occasione della parata inaugurale di Theodore Roosevelt, eletto presidente nel 1905, muore a Fort Sill a causa di una polmonite rimediata dopo aver passato una notte all'addiaccio (essendo stato disarcionato dal suo cavallo sulla strada di casa), che lo stronca il 17 febbraio 1909.

Sul letto di morte Geronimo confessa a suo nipote di essersi pentito di aver preso la decisione di arrendersi: "Non avrei mai dovuto arrendermi: avrei dovuto combattere fino a quando non fossi rimasto l'ultimo uomo vivo". Il suo corpo viene seppellito a Fort Sill, nell'Apache Indian Prisoner of War Cemetery.

domenica 16 febbraio 2025

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 16 febbraio.

Il 16 febbraio 1943 la fanteria italiana mette in atto il cosiddetto "Massacro di Domenikon".

A Domenikon, piccolo villaggio della Tessaglia, in Grecia,  un attacco partigiano contro un convoglio italiano provocò la morte di nove soldati delle Camicie Nere. Come reazione il generale Cesare Benelli, comandante della Divisione 'Pinerolo', ordinò la repressione secondo l'esempio nazista: centinaia di soldati circondarono e dettero alle fiamme il paese, rastrellarono la popolazione e, nella notte, fucilarono circa 140 uomini e ragazzi dai 14 agli 80 anni. La storia di questo massacro dimenticato venne raccontata in un documentario - "La guerra sporca di Mussolini" - trasmesso nel marzo 2008 su History Channel. Fu proprio in seguito a questa trasmissione e ad alcuni articoli di stampa che venne incardinato un primo procedimento, archiviato nell'ottobre 2010. Un anno dopo, però, la denuncia di un cittadino greco, rappresentante dei familiari delle vittime della strage e nipote di uno dei civili fucilati, indusse il procuratore De Paolis (oggi procuratore generale militare) a disporre "ulteriori e più approfonditi accertamenti". Le indagini hanno in primo luogo ricostruito l'organigramma della Divisione 'Pinerolo', responsabile dell'eccidio, e poi i fatti avvenuti a Domenikon. Tutto ciò attraverso l'esame di una gran quantità di rapporti, relazioni e documenti trovati in diversi archivi militari dello Stato, una consulenza tecnica realizzata dalla storica Lidia Santarelli, della Columbia University, e le testimonianze delle pochissime persone "informate dei fatti" ancora in vita. All'esito di queste attività, undici persone sono state iscritte nel registro degli indagati per il reato di "violenza con omicidio contro privati nemici", aggravato dalla crudeltà e dalla premeditazione.

Un crimine di guerra più grave del delitto di rappresaglia, ipotizzato nella precedente inchiesta archiviata, e riguardante la "uccisione deliberata e consapevole di persone civili estranee alle operazioni belliche". L'elenco degli indagati includeva - insieme al generale Benelli, comandante della Pinerolo - il generale Angelo Rossi, comandante del terzo corpo d'armata e nove graduati, in gran parte del Gruppo Battaglioni d'assalto Camicie nere "L'Aquila". Ma tutti i principali autori del fatto - e cioè, scrive il pm, sia "chi dispose e organizzò la spedizione criminale", sia chi "ebbe a eseguire materialmente le uccisioni, obbedendo ad ordini manifestamente criminosi" - risultano essere morti o "ignoti", come i due Capi Manipolo delle Camicie Nere Penta e Morbiducci, che non è stato possibile localizzare e individuare compiutamente. Ugualmente "ignoti" tutti quei militari che hanno proceduto alle fucilazioni, che sono rimasti del tutto sconosciuti. Da qui la richiesta di archiviazione, poi disposta dal gip e nessun colpevole condannato.

sabato 15 febbraio 2025

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 15 febbraio.

Il 15 febbraio 1995 un imponente spiegamento di forze dell'FBI irrompe in un anonimo appartamento di Raleigh, una piccola cittadina del North Carolina. Un'operazione di inedite dimensioni, con decine di uomini in assetto da guerra, elicotteri e squadre speciali. L'obiettivo però non è una gang di pericolosi narcotrafficanti oppure un sanguinario assassino, bensì un'occhialuto informatico 32enne dall'aspetto tutt'altro che spaventoso. Il suo nome è Kevin Mitnick ed è il più grande hacker della storia.

Fin da ragazzino Mitnick dimostra un'insolita capacità nell'utilizzo del computer, competenza messa subito a disposizione per intenti criminosi. A 13 anni viene espulso dalla scuola che frequenta per essersi intrufolato nei sistemi informatici degli altri istituti, poi viene "pizzicato" per aver trasferito la cospicua bolletta telefonica di un vicino ospedale sul conto di una persona che gli stava antipatica e quattro anni dopo arriva il primo di una lunga serie di arresti, questa volta per furto di materiali informatici.

Mitnick, che nel frattempo comincia ad utilizzare il nickname che lo renderà celebre, "Condor", sembra tutt'altro che intenzionato a smettere e comincia a svolgere incursioni ai danni di colossi tecnologici del calibro di Motorola, Nokia, Sun Microsystem, Fujitsu e Nec sfruttando errori nei sistemi e soprattutto la sua spiccata predisposizione verso l'ingegneria sociale, di cui verrà considerato uno dei massimi esperti. Oltre alle sue competenze  informatiche infatti, Mitnick sembra implacabile nell'acquisire le informazioni necessarie direttamente dalle persone coinvolte sfruttando più l'aspetto umano delle sue vittime piuttosto che complesse tecniche di hacking.

Naturalmente la sua attività porta le big company ad esercitare pressioni fortissime sulle autorità perché pongano fine agli attacchi informatici e così Mitnick si guadagna in poco tempo il suo posto tra i più ricercati negli Stati Uniti. Il Condor però si rivela una preda impossibile da catturare, grazie alle sue conoscenze informatiche riesce addirittura a penetrare i sistemi dell'FBI anticipando le mosse degli agenti e sfuggendo puntualmente ad ogni tentativo di arresto come nella migliore delle finzioni cinematografiche.

Pioniere nell'utilizzo della tecnica dell'ip spoofing (che consente di non essere rintracciati mentre si svolgono le operazioni in rete), Mitnick decide così di mettersi alla prova sfidando il celebre esperto di sicurezza informatica Tsutomu Shimomura, violando con numerosi attacchi le sue reti. Una vera e propria prova di forza che però convince lo stesso Shimomura a scendere in campo in prima persona per collaborare con i federali e contribuire alla cattura del temibile hacker.

Il contributo dello scienziato giapponese si rivela decisivo nell'arresto di Mitnick, avvenuto dopo una caccia all'uomo durata oltre 14 anni. Le autorità hanno così fretta di mettere sotto chiave il Condor che lo incarcerano senza nemmeno un processo regolare, rilasciandolo solo 5 anni dopo, con il divieto assoluto di accedere ad internet per i successivi tre anni.

L'epilogo di questa storia incredibile assomiglia molto a quanto accaduto per la stragrande maggioranza di pirati informatici finiti nelle mani della giustizia. Il Condor è ora infatti uno dei massimi esperti al mondo di sicurezza informatica e i servizi della sua azienda Mitnick Security Consulting LLC sono richiesti in tutto il mondo. Del resto, chi meglio del re degli hacker, può valutare la sicurezza di una rete?


venerdì 14 febbraio 2025

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 Buongiorno, oggi è il 14 febbraio.

Il 14 febbraio 1895 va in scena per la prima volta a Londra "L'importanza di chiamarsi Ernesto", di Oscar Wilde.

Algernoon e Jack sono due amici aristocratici che vivono nella menzogna. Algernoon ha creato un personaggio di nome Bunbury, un amico molto malato che gli permette di sfuggire ad eventi mondani con la scusa di andare ad accudirlo.

Jack, tutore della giovane Cecily, ha inventato l’esistenza di Earnest, suo scapestrato fratello e ogni volta che si annoia nella sua tenuta in campagna fugge via, con la scusa di andare a rimediare all’ennesima bravata del fratello immaginario. Jack, che quando fugge in città è conosciuto col nome di Earnest, ama Gwendolyn, la cui madre lo rifiuta come pretendente, in quanto orfano senza passato. Algernoon, fingendo di essere lo sbandato fratello di Jack, piomba nella sua villa di campagna e si innamora di Cecily, ragazza sognante che ha sempre desiderato fidanzarsi con un uomo che si chiamasse Earnest.

Da qui, inizia una serie di equivoci, scambi di personalità e incastri che rendono la commedia esilarante e avvincente, fino alla sua ironica e lieta conclusione.

L’umorismo di Wilde è pieno di nonsense, equivoci, ironia, giochi di parole. Il nome Earnest, tradotto in italiano corrisponderebbe al nome Franco, sinonimo di onesto, sincero ed è proprio questo che rende interessante la commedia, basata fin dal titolo su un contro-senso che vedrebbe i protagonisti, due bugiardi abitudinari, conosciuti col nome di Earnest. Cecily e Gwendolyn non li avrebbero mai sposati se non si fossero chiamati così: Earnest è un nome che le fa vibrare, fremere di gioia e soddisfa le loro fantasticherie adolescenziali, durante le quali favoleggiavano di un uomo che le amasse, sincero, onesto, ma soprattutto un uomo che corrispondesse a quel nome che ispira loro cieca fiducia. Ed è questo quadretto che rende la commedia ancora più divertente. Da una parte le donne, superficiali, vendicative, passionali, ma anche volubili e dall’altra gli uomini, bugiardi, vittimisti, manipolatori.

L’importanza di chiamarsi Ernesto racchiude un quadretto che attacca con stile le convenzioni del suo tempo, la stupidità delle etichette sociali, la comica ipocrisia dell’alta società, la vacuità che si annida nel romanticismo infantile di alcune adolescenti. Il tutto in una commedia frizzante e briosa, mordace, ma allegra, ironica, ma profonda.

giovedì 13 febbraio 2025

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 13 febbraio.

Il 13 febbraio 1983 l'incendio del Cinema Statuto a Torino provoca la morte di 64 persone.

Il 13 febbraio del 1983 era un giorno buio per la città di Torino. Una tipica domenica pomeriggio d’inverno, fuori la neve alta ricopriva le strade e la città un po’ dormiva e un po’ festeggiava il carnevale. Tutti i torinesi conoscono i fatti di quel giorno, ne abbracciano ancora lo sgomento. Sessantaquattro persone morte in pochi istanti di terrore

 Al cinema si proiettava un film comico: La Capra con Gérard Depardieu, ma dopo pochi minuti dall’inizio non si rise più. Un corto circuito provocò delle scintille che diedero fuoco ad una tenda, quella che separava il corridoio di destra dal quale si accedeva in platea che, cadendo, diede fuoco alle sedie adiacenti. Tanto fumo, tanto buio.

Le persone urlavano, cercavano di scappare. Erano circa 100 gli spettatori presenti quella sera al Cinema Statuto, in via Cibrario. Nonostante una delle vie d’uscita principali fosse invasa dalle fiamme, alcuni di loro riuscirono a mettersi in salvo recandosi alle varie uscite di emergenza, ma le trovarono quasi tutte chiuse. Cinque uscite su sei erano chiuse a chiave per evitare l’ingresso di persone senza biglietto dall’esterno. Le mani battenti sulle porte risuonano ancora. Il gestore, nell’atrio della biglietteria, sentì quelle mani che, freneticamente, sferravano colpi, ma decise di non accendere la luce per evitare il panico. Decisione fatale. Il buio, il fuoco, le porte bloccate e, sullo schermo, ancora il film. Intanto le persone in galleria, non si accorsero di nulla se non quando ormai era troppo tardi. Morirono tutti; molti corpi furono ritrovati ancora seduti, due fidanzati di vent’anni abbracciati, molti ammassati nei bagni, nel tentativo di ripararsi dalle fiamme. In galleria non si vide il fuoco, arrivò solo il fumo, quello tossico, quello assassino.

La combustione dei vari materiali usati per l’arredamento e quella del tessuto che ricopriva le poltrone emanò ossido di carbonio e acido cianidrico. La galleria si trasformò in una camera a gas e bastarono meno di tre minuti per far spegnere tutte quelle vite. Un mese prima, raccontò Raimondo Capella, proprietario del cinema, erano stati fatti tutti i controlli necessari per rendere “sicuro” quel posto. Era stato, infatti, ristrutturato da poco e i lavori erano stati diretti dal geometra Amos Donisotti, che aveva già curato la ristrutturazione di molti cinema.

Ai controlli effettuati da una Commissione di esperti, non fu riscontrata nessuna anomalia: il cinema era, sotto ogni aspetto, a norma di legge e fu rilasciata una regolare certificazione che attestava la totale sicurezza del luogo. Ma dopo questo nefasto evento ci si rese conto che la legge stessa era sbagliata. I maniglioni antipanico già esistevano, ma non erano obbligatori. La norma che sanciva la presenza di uscite di sicurezza nei luoghi pubblici affermava solo che esse dovevano essere nella condizione di poter essere aperte, il ché non escludeva la chiusura a chiave della porta perché avendo la chiave è possibile comunque aprirla. Da quel momento in poi cambiò radicalmente l’idea di sicurezza e l’Italia intera cominciò un’opera di risanazione dei luoghi pubblici. Ovviamente sempre dopo una tragedia. Ma cosa scatenò l’incendio quel triste pomeriggio? Le indagini intraprese dagli inquirenti si diressero su vari fronti.

Fu un processo difficile. Furono condannati definitivamente 6 persone degli 11 imputati, tra cui il proprietario (una condanna a 8 anni, ridotta poi a due), il geometra, il tappezziere e una maschera. Il reato: omicidio colposo plurimo. Quanta reale responsabilità ci sia poi dietro questa tragedia è tutta da vedersi. Se esperti ingegneri, geometri, elettricisti avevano certificato la “sicurezza” di quel posto,  quanta responsabilità attribuire al proprietario, uomo semplice e morto, qualche anno fa, mangiato dalla colpa? Quell’evento ha cambiato l’idea di sicurezza nei luoghi pubblici, è vero, ma una cosa che ancora oggi nei vari corsi sulla sicurezza che si propongono a dipendenti pubblici e privati (e che, diciamocela tutta, il più delle volte annoiano) non si affronta quasi mai è la gestione del panico, la capacità delle persone di fronteggiare le situazioni di emergenza. Le nozioni tecniche aiutano fino ad un certo punto. Il temperamento personale e la capacità di reagire alle situazioni di pericolo in modo ottimale fa il resto. Raimondo Capella è stato assolutamente incapace di fronteggiare una situazione di emergenza. Non era in grado, non era stato formato per questo. E probabilmente questa è stata la causa principale di tutte quelle morti. Ma siamo sicuri che, però, il cortocircuito sia stato accidentale? L’impianto elettrico era a norma, ogni filo completamente rivestito. Fuori nevicava, è probabile ci sia stata un’infiltrazione d’acqua che l’abbia causato. Ma perché gli investigatori per molto tempo non abbandonarono l’idea che fu un piromane? Nel giugno del 1982 ben tre cinema torinesi erano stati incendiati dolosamente. Non fu mai trovato nessun collegamento con l’incendio del Cinema Statuto. C’è un’altra cosa che non torna in tutta questa vicenda. In riferimento all’ interrogatorio sostenuto durante le indagini, l’ex proprietario dirà in un’intervista al giornale la Repubblica, testuali parole «In questura le domande me le faceva la dottoressa De Martino. Ma alle sue spalle c´era il procuratore capo Bruno Caccia. Quando raccontai di quell´ispezione, fu proprio Caccia ad ordinare l´immediato sequestro del rapporto. Andarono in Prefettura. Ricordo ancora le sue parole precise: “E´ andata bene che siamo andati subito – disse – il fascicolo era già fuori posto”. Qualcuno voleva farlo sparire».

Quell’ispezione a cui si riferisce l’uomo è appunto quella effettuata dagli esperti un mese prima dell’incendio. Era il 1983. Erano gli anni di piombo. Gli anni del terrorismo e della corruzione. Gli anni in cui la legalità era ancora un’utopia di pochi magistrati che combattevano per essa. L’omicidio colposo è un reato che spesso lascia attonito anche chi lo commette. La colpa c’è, ma spesso anche il senso di colpa. Raimondo Capella si è ridotto al lastrico pur di ripagare tutte le famiglie delle vittime, costituitesi parti civili. Per la commissione di vigilanza che aveva emesso il referto, nessuna condanna. A favore dei membri, infatti, nel 1995, si pronunciò la Corte dei Conti.

 I fatti però ci dicono che alle ore 18.15 del 13 febbraio 1983 sessantaquattro persone sono morte. La legge ci dice che la colpa è del caso e punisce la negligenza perché non può punire il destino. E Torino ricorda ancora i 64 corpi inermi allineati sul marciapiede di Via Cibrario.

mercoledì 12 febbraio 2025

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 12 febbraio.

Il 12 febbraio 1914 viene posata a Washington la prima pietra del "Lincoln Memorial".

Il Lincoln Memorial, un punto di riferimento iconico sul National Mall di Washington DC, è un tributo al sedicesimo presidente degli Stati Uniti, Abraham Lincoln. Quello che si presenta agli occhi del visitatore è un’imponente struttura, ideata dall’architetto Henry Bacon, che riproduce le fattezze di un antico tempio dorico, su ispirazione del Tempio di Zeus ad Olimpia. Una volta superate le colonne di 10 metri, che circondano l’edificio, al suo interno si trova la statua di Lincoln (alta 3 metri), situata al centro del monumento, scolpita dai fratelli Piccirilli sotto la supervisione dello scultore Daniel Chester French. Dietro di essa sono incisi sulle pareti del Memorial i suoi discorsi più famosi, ad opera di Jules Guérin. Questo memorial, non è famoso solo per la sua architettura ma anche perchè è stato il sito di molti famosi discorsi ed eventi, in particolare il discorso di Martin Luther King Jr, nel 1963.

Circa 2 anni dopo l'assassinio di Abraham Lincoln, intorno al 1867, il Congresso degli Stati Uniti creò la Lincoln Monument Association con l'obiettivo di costruire un memoriale in onore di Lincoln. Tuttavia, i lavori non iniziarono fino al 1901 quando, alla fine, venne selezionata la posizione del memoriale. Poi ci sono voluti altri 10 anni perché i finanziamenti venissero rilasciati per costruire questa enorme struttura, costata 2 milioni di dollari. L'allora presidente degli Stati Uniti, William Howard Taft, firmò il "Lincoln Memorial Bill" a questo riguardo. Nello stesso anno, il giorno del compleanno di Lincoln, iniziò la costruzione, il 12 febbraio del 1914. Nonostante le continue revisioni, il 30 maggio 1922, il memoriale fu completato come da programma e fu dedicato al popolo americano. Questa cerimonia fu guidata dall’ex presidente degli Stati Uniti Taft e l'unico figlio sopravvissuto di Lincoln, Robert. I materiali che sono stati procurati per rendere questo memoriale sono stati portati da diverse parti del mondo perché c'era la necessità di offrire uno dei migliori tributi al presidente che ha plasmato il modo di vedere e di vivere di un paese. È stata prestata la massima attenzione per garantire che il monumento non fosse solo monumentale, ma potesse evocare sentimenti di libertà e uguaglianza in chi lo guardava. Questo perché Lincoln è stato una figura importante della storia americana e il memoriale era solo un mezzo per ristabilire la convinzione di come un uomo semplice potesse avere il potere di mostrare al mondo quale fosse il vero cambiamento per un paese migliore. La storia di questo monumento non finisce qui. Nel corso degli anni infatti, altri eventi storici hanno amplificato il valore di questo grande monumento e dell'uomo che rappresenta. Come per esempio "Il concerto della domenica di Pasqua", "La marcia su Washington" e l'ormai "I Have A Dream" di Martin Luther King, che ha cambiato il destino della nazione.

 La statua di Lincoln è alta 6 metri ed è formata da 28 blocchi di marmo, provenienti dalla Georgia.

 Le 36 colonne della struttura rappresentano i 36 stati dell'Unione al momento della morte di Lincoln.

 Il Lincoln Memorial è stato progettato in uno stile simile a un tempio greco.

 Sopra la testa di Lincoln c'è l'iscrizione: «In questo tempio come nei cuori della gente per le quali egli salvò l’Unione, la memoria di Abraham Lincoln è per sempre preservata».

martedì 11 febbraio 2025

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è l'11 febbraio.

L'11 febbraio 1916 Emma Goldman viene arrestata per aver tenuto alle donne una lezione sul controllo delle nascite.

Ci sono voci che si ergono più delle altre. Le loro parole sono strumenti che spronano le folle e le spingono laddove nessuno era stato mai prima di allora. Queste voci instillano odio e timore perché nulla è più potente degli ideali ed è per questo che piccoli uomini tentano di sopprimerle prima che penetrino nella mente dei sognatori. Emma Goldman ha plasmato i cuori di una generazione ed è stata degna rappresentante di quella schiera di anime che con le loro parole hanno segnato i destini di un'epoca.

Emma Goldman nasce in Lituania ma si trasferisce a San Pietroburgo negli anni dell'adolescenza. La sua famiglia è ebrea e risente del razzismo imperante in quel periodo. Non è però la Russia la terra di concime per la sua mente. A quindici anni infatti si trasferisce negli Stati Uniti d'America, laddove tutto inizia.

Non si sa cosa le abbia fatto scattare la molla del femminismo e quella dell'anarchia; forse la rigida educazione patriarcale del padre o forse un episodio che avvenne durante la sua adolescenza: l'impiccagione di cinque rivoluzionari che non avevano alcuna colpa se non quella di difendere i diritti di lavoratori sfruttati e sottopagati. Fatto sta che la Goldman cresce in uno spirito di rivolta anarchica e femminista con il solo obiettivo di combattere il potere pressante del capitalismo e del maschilismo.

La sua crescita morale avviene quando incontra Johann Most e Alexander Berkman, quest'ultimo suo compagno di ideali e di vita.

La frequentazione degli ambienti anarchici e la lettura di testi ribelli ne affinano la dialettica. Most la spinge a tenere conferenze in pubblico, inizialmente in russo e tedesco.

Ben presto Emma Goldman si allontana da Most e dal suo gruppo a causa di un evento significativo. Avviene nel 1892 un omicidio ad opera di Berkman. Le ragioni sono semplici e legate allo spirito anticapitalista della coppia. Un proprietario di fabbriche, Henry Clay Frick, ha deciso di ridurre tutti i salari in barba a qualsiasi sindacato e di licenziare gli operai qualora non si fossero sottomessi alla sua politica. Non bastano né gli scioperi né la stampa a fargli cambiare idea e non ci riesce nemmeno Berkman quando gli spara nel suo ufficio riducendolo in fin di vita.

Il giovane compagno della Goldman, al tempo solo ventunenne, viene arrestato e condannato. Il fatto divide l'opinione pubblica e politica tra chi osanna il coraggio e la concretezza del giovane contro il tiranno, chi ne condanna l'atto e chi rimane in una sorta di limbo, deciso a non prenderne le parti. Quest'ultimo era il caso di Most. Uno sgarbo troppo grande per Emma Goldman che decide così di troncare i rapporti.

Nel frattempo la sua dialettica migliora sempre di più. Emma presiede ai più grandi comizi del tempo grazie alla sua capacità di fomentare le folle e sostenere la lotta al regime capitalista. E' proprio per questo che il suo nome comincia a girare tra la polizia, impaurita dalla sua autorità. Ciò culmina con il suo arresto nel 1894 per "incitamento alla sovversione".

Rimane in carcere per un solo anno. Alla sua uscita non è più Emma ma "Red Emma" così come la chiamano i giornali, sempre più interessati alle sue vicende rocambolesche.

Nel 1906 Alexander Berkman esce di galera e finalmente insieme la coppia rafforza il proprio status, procedendo instancabile verso la propria lotta. Cominciano a pubblicare il giornale anarchico Mother Earth e a partecipare ai diversi comizi politici del tempo.

Ma è con la Prima Guerra Mondiale che la loro battaglia si indirizza con disprezzo e diniego verso il militarismo. Formano la Lega Anti-coscrizione e spingono i giovani chiamati in battaglia a disertare. E' la goccia che fa traboccare il vaso. Il governo americano - grazie al lavoro e alla pressione di J. Edgar Hoover - decide di arrestarli ed espellerli dal Paese. La Russia è la nuova meta della coppia.

Questa terra era vista come un miraggio socialista dagli americani, ma la realtà è molto lontana. Red Emma deve fare i conti con la verità. Ovvero che Lenin ha in atto un'aspra battaglia contro gli anarchici, arrestandone i principali esponenti. La rivoluzione sopravviveva ma non era viva.

Ciò spinge la coppia a lasciare la Russia, volando di città in città, battaglia dopo battaglia, alla ricerca di quella scintilla di vita capace di temprare le loro idee. Emma Goldman, in particolare, si avvicina alle idee femministe quando ancora non esiste un vero e proprio movimento. Di fatto la si può definire precorritrice dei tempi, grazie alla sua lotta per l'emancipazione femminile, in particolar modo sul tema del controllo delle nascite.

Emma Goldman sosta in diverse città (Stoccolma, Monaco, Londra, Barcellona) e in ognuna di esse lascia un pezzo di sé. Diventa un simbolo per la lotta. Partecipa ad ogni comizio anarchico per far valere ancora una volta la propria voce. La polizia continua ad arrestarla ma le parole sono più forti, più tenaci di qualsiasi reclusione.

L'anarchica riesce anche a trovare il tempo per dedicarsi alla sua autobiografia "Vivendo la mia vita", divisa in quattro volumi. Si tratta di uno scritto onesto, passionale e sincero. Un libro che rappresenta pienamente la Goldman, fiera, donna e combattente.

Risulta impossibile descrivere le sue gesta in poche righe, né rappresentare il suo spirito con l'ausilio del linguaggio. Emma Goldman è un concetto inspiegabile: ogni spiegazione ne riduce l'intensità.

Per inquadrare la sua persona basti pensare che muore durante un suo comizio, in preda a un discorso sentito e intenso, a Toronto, in Canada. E' il 14 maggio 1940 quando si spegne, poche settimane prima di compiere 71 anni. Ed è proprio il Canada la terra che ne ospita le spoglie.


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