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martedì 23 luglio 2013

#Bali fantome, #Niskala e #Sekala (di Ennio #Foppiani), #Balitime #Calendari #citazione

BALITIME-CALENDARI

Incrociamo una cerimonia nei pressi del tempio di Pecatu. Chiedo a Wayan di fermarsi, vorrei vedere sapere cosa è. “Cremasi ceremony” dice Wayan non accennando neanche alla possibilità di potersi fermare. “Non ci fermiamo?”. “No, non è un giorno buono”. “Cosa vuoi dire Wayan con giorno buono?” “Ci sono giorni buoni, dewasa luwung e cattivi giorni, dewasa jelek, per fare le cose”. “E come si fa per capire quali sono i giorni buoni?”. “Dipende da Pawukon e da Saka”.

Stiamo di nuovo parlando del tempo, di nuovo balitime penso, e nel pensiero mi viene in mente una strana associazione col blues.

Ad Amed Balitime assumeva l’aspetto di Reincarnation Road adesso appare come Bad Times. Good Times. Le mie associazioni mi portano agli Animals, a John Lee Hooker, al blues. Comincio a pensare che il tempo a Bali sia come il blues.

Puoi provare a capirlo il blues, ma per suonarlo lo devi avere dentro, lungo le arterie e le vene, cambia nome e si chiama età. Quanti anni hai? Quarantadue, settantaquattro, quarantatré, settantaquattro.

Provo a chiedere a Wayan se mi può parlare del tempo e lui mi risponde “Desa, Kala, Patra”. Desakalapatra, di nuovo un suono tutto di un fiato, un lungo solo suono che significa nel luogo (Desa), nel tempo (Kala) e nel modo o situazione (Patra) appropriati.



[continua]


(Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in “Radure. Quaderni di materiale psichico”, rivista del Centro Studi Psicodinamiche di Torino, numero speciale “Terre alchemiche”, volume I, anno VI, 2002, pp. 85-86 – immagine, Bali, cerimonia di cremazione, tratta da http://forums.randi.org/showthread.php?p=9301762)


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#Bali Fantome, #Niskala e #Sekala (di Ennio #Foppiani, puntata 7/27), #Kaja #Kelod, #spazio, #citazione

KAJA KELOD

Orientarsi è importante, qui è fondamentale. Orientarsi fa parte dell’adat, dell’Agama tirtha.

L’abbiamo capito a nostre spese nell’affannosa ricerca di Bukit Jambal.

Se hai visto almeno due foto di Bali, certamente una è Bukit Jambal, le terrazze di riso più fotografate al mondo, le terrazze che salgono lungo i pendii che portano a Besakih ed all’Agung.

La strada non è facile, diversi bivi, strade bianche, mappe non precise.

La strada non è facile, ma è facile chiedere informazioni.

“Per Bukit Jalan?” “Kaja, kaja”.

Alla parola kaja la fedele guida del turista traduce nord e come non credere ad un libro, pubblicato in tutto il mondo, certificato, consigliato, mitizzato? Quindi a Nord!

Ti fermi altra informazione, altra risposta: kaja. Ancora a Nord.

Non sbagliammo mai, neanche una volta, la linea del nord e, con precisione assoluta, non giungemmo mai a Bukit Jalan.

Kaja è la direzione variabile che guarda verso l’ombelico del mondo, il Gunung Agung, la sacra montagna, o, se non si sa dove sia il Gunung Agung, al più alto monte che si presenta nel cerchio dell’orizzonte. Kaja è l’alto, kaja sono gli dei.

Poi c’è, opposto a kaja, kelod, verso il mare, il basso, verso i demoni.

Il luogo dove sorge il sole è kangin, mentre kaud indica il tramonto.

Le quattro punte si combinano in una gioia ottuplice cui si aggiungono poi lo zenit, il nadir ed il centro. Così si arriva a d undici, al sacro undici che solo Siwa può avere, il sacro undici che tiene il mondo e che è santificato ogni 120 anni per tramite dell’Eka Dasa Rudra.

A Bali tutto è kaja-kelod.

I villaggi sono kaja-kelod.



[continua]


(Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in “Radure. Quaderni di materiale psichico”, rivista del Centro Studi Psicodinamiche di Torino, numero speciale “Terre alchemiche”, volume I, anno VI, 2002, pp. 78-79 – immagine tratta da http://gedebudiarta.blogspot.it/2012/06/about-bali.html  )


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martedì 9 luglio 2013

#BALI FANTOME. #NISKALA E #SEKALA (di Ennio #Foppiani, puntata 6/27),#Balitime, #tempo #Pawukon #Saka #Oton #citazione

BALITIME: UN GIORNO HA DODICI NOMI

“Ci vediamo fra tre giorni intorno alle nove del mattino” dice Wayan, lasciandoci presso un warung(3) isolato negli isolati di Amed.

Wayan, meglio I Wayan Nama, il miglior driver di Bali, ci era apparso nel cortile assolato del Puri Bambu. Appena lo vedi pensi alle tigri di Mompracen, ai praho, a Salgari. Poi aggiusti il tiro della fantasia e stabilisci che non avrebbe sfigurato nel cast di Once were warriors.

Wayan sorriso splendido ed accattivante, guida morbida e flessuosa, ci lascia dunque ad Amed.

Amed ha davanti l’oceano, dietro i sacri monti, all’alba mandrie di galli salutano il sole; Amed ti fa tornare indietro di un secolo: no telefono, no computer, no radio, no televisione. Solo mare e corallo e pescatori, con barche dal muso aguzzo con gli occhi dipinti a prua per vedere la via, ed oli ed essenze e Ni Madè a curare ogni nostro bisogno.

Tre giorni dopo, alle nove meno un quarto, siamo pronti, in attesa di essere portati a Goa Lawa, la grotta dei pipistrelli, uno dei luoghi più sacri e puzzolenti che possa capitare di incontrare.

Wayan non arriva, gli zaini sul ciglio della strada, 40 miglia dal più vicino villaggio con telefono, spersi nel nostro orientamento, paling come direbbe Nyoman il pescatore.

Qualche passo lungo la strada ed ecco un cartello col nome del luogo su cui ci troviamo.

Un sorriso nel leggere sul bianco legno incerte lettere nere: Reincarnation Road 99.

Un’ora, due, poi col sorriso arriva Wayan.

“Era per le nove”, lui mi guarda e sussurra “Certo, le nove, ma balitime”.

Balitaim tutto di un fiato, Balitaim un’unica parola senza pause, Balitaim un unico flusso di lettere.

Balitaim, reincarnationroadnaitinain.

“E’ difficile capire balitime, come funziona?”

La risposta è, nella calura subequatoriale, agghiacciante.

“Per te che giorno è oggi?” “Domenica?”. “Solo Domenica?” “Come solo Domenica?” “Sì, vedi qui a Bali un giorno possiede dodici nomi ed in base ai nomi si fanno le cose appropriate”. “Cosa vuol dire dodici nomi Wayan?” “Dodici nomi, di solito, perché possono essere undici e certe volte tredici”.

Poi tace e guida e sorride. Balitaim, balitaim, non so cosa chiedere per capire e così, visto che cercare di comprendere è quello che cerco di fare per lavoro, provo un’altra via nell’intorno del tempo.

“Quanti anni hai Wayan?” “Dipende, per te ne ho 42, ma se seguo il Pawukon ne ho 74”, mentre col Saka quasi 43. Ma se voglio proprio essere preciso allora devo dirti 74 Oton, sì proprio 74 Oton. Guarda quella è Goa Lawa! Siamo arrivati”.

[continua]

Note
(3) Piccoli punti di ristoro.

(Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in “Radure. Quaderni di materiale psichico”, rivista del Centro Studi Psicodinamiche di Torino, numero speciale “Terre alchemiche”, volume I, anno VI, 2002, pp. 78-79 – immagine, teatro balinese,  tratta da www.fortport.com/balinese-performance-art/    - post a cura di Ezio Falcomer)


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domenica 7 luglio 2013

#BALI FANTOME. #NISKALA E #SEKALA (di Ennio #Foppiani, puntata 5/27), #Agama tirtha, #citazione, #brahman, #atman, #adat


AGAMA TIRTHA

E’ così che qui chiamano la religione, una varietà dell’induismo con alcune iniezioni d’animismo.

Qualcosa bisogna capire di Agama tirtha, almeno per orientare lo sguardo su di un tempio, per sapere cosa guardi e come lo guardi.

Dunque, da un lato c’è l’ordine, rappresentato dai dewa o dewi, dall’altro il disordine, e sono i bhutas e i kalas. Se si preferisce dirlo con linguaggio meno mitologico e più filosofico lordine è il dharma, il disordine, l’adharma.

In ogni caso lo scopo è essere in armonia col dharma, si deve rispondere al desiderio, kama, con azioni, karma, appropriate al dharma. In tal modo il ciclo di reincarnazioni, samsara, continua fino a che lo spirito, l’atman, si libera da tutti i vincoli mondani.

Diversi sono i modi per giungere al moksa, al nirwana.

Puoi meditare (jnanamarga) o fare offerte (bhaktimarga) o fare qualcosa che ti piace (karmamarga) in accordo con uno dei tuoi talenti, guna.

Se sei un pedanda, un sacerdote, seguirai il Tri Panama(2), scegliendo tra l’assoluta osservanza, lo studiare, interrogandosi e traendo nuove conclusioni oppure la meditazione sottile.

Solo così l’atman può giungere al moksa, fondendosi con Ida Sangyang Widi Wasa, il brahaman.

Agama tirtha non chiede di essere buoni, richiede di essere appropriati, adat.

Appropriati a che cosa? Spesso parlando di Agama tirtha ritorna la frase tat twan asi, tu sei ciò, tu sei questo. Tat twan asi ricorda che il brahaman, l’essenza sottile, ha il suo sé (atman) in tutte le cose che esistono, ricorda che tu sei l’universo.

Non so trovare altra risposta che non sia: appropriati all’universo.

Note
(2) la tripartizione avrà qui i nomi di Agama Pranama, di Anumana Pranama e di Pratyaksa Pranama.

[continua]


(Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in “Radure. Quaderni di materiale psichico”, rivista del Centro Studi Psicodinamiche di Torino, numero speciale “Terre alchemiche”, volume I, anno VI, 2002, pp. 78-79 – immagine tratta da  http://baliadvisor.blogspot.it/2013/04/balinesereligion-bali-hinduismis.html  - post a cura di Ezio Falcomer)


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#BALI FANTOME. #NISKALA E #SEKALA (di Ennio #Foppiani, puntata 4/27), #nomi, #citazione, #caste, #bahasa bali

NOMI

Wayan, Madè, Nyoman, K’tut, Wayan, Madè, Nyoman, K’tut, Wayan, Madè, Nyoman, K’tut così all’infinito.

Si nasce e l’ordine è questo, ti possono aggiungere Ni o I per chiarire il genere, femmina o maschio, nel caso i tuoi occhi non possano funzionare, ti possono sussurrare Ida o Agus o Dewi per suggerire la casta e così quale tipo di bahasa bali (1) utilizzare, ma in ogni caso i nomi sono ruote che girano instancabilmente, che ritornano sempre al punto di partenza. Hai l’impressione che uno non abbia il nome, ma che abbia una combinazione, una chiave di lettura della sua storia.

Ci sono due parole che incontro spesso sulla bancarelle, sfogliando libri sull’isola, sono Sekala e Niskala: ciò che cade sotto i sensi, il visibile, e ciò che non è percepibile dai sensi, l’invisibile oppure ciò che può essere detto e ciò che deve restare ineffabile…

Credo d’averle già incontrate all’aeroporto.

Prendo un taxi e l’autista si presenta: “Jerry”. – “Ah Jerry, ma qual è il tuo nome balinese?” – “Io sono Nyoman”.

Ad un tratto Jerry/Nyoman, immerso nel caotico traffico della Jalan Ulu Watu, chiede “Quanti anni hanno le tue figlie?” “Nove e cinque” e, per lui, i nomi sono chiari Ni Wayan e Ni Madè; però poi ti guarda e domanda “Come si chiama la maggiore?” – “Martina”. – “Ah, Martina! E’ un bel nome, tipico nome balinese”.

Note
(1) Vi sono diversi livelli di linguaggio nell’isola. Sotto l’uso comune del bahasa indonesia, vi è il bahasa bali, suddiviso in tre (bahasa ia, bahasa ipun, bahasa ida) o cinque (basa lumrah, basa sor, basa alus, basa madia, basa siggih) diversi bahasa a seconda della casta, del clan, o del ruolo sociale, della situazione comunicativa.
 

[continua]


(Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in “Radure. Quaderni di materiale psichico”, rivista del Centro Studi Psicodinamiche di Torino, numero speciale “Terre alchemiche”, volume I, anno VI, 2002, pp. 78-79 – nell’immagine, offerta nel tempio, a Bali, foto di Rony Zakaria,  tratta da http://vervephoto.wordpress.com/tag/bali/ )


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#BALI FANTOME. #NISKALA E #SEKALA (di Ennio #Foppiani, puntata 3/27), #citazione #Aum #Tri Loka #gamelan #bidu

BALI

Parto per Bali con questa storia che abita i miei pensieri, anzi parto per Bali per questa storia.

Mi chiedo che cosa so di Bali è la risposta è poco, nulla. Bali, isoletta indonesiana, grande più o meno la Corsica, gran produttrice di riso, il migliore del mondo, bel mare, clima gradevole, un po’ d’induismo, sapori esotici.

Che altro so di Bali? Nient’altro, eppure… è il principio. Quiete e buio: questo esisteva soltanto al principio. Poi un giorno quella oscura quiete vene rischiarata da una vibrazione, un suono. Il suono AUM avviò la creazione, e da quel suono si irradiò una luce potente nella inseparabile triade ANG (Dewa Brahma, il Creatore), UNG (Dewa Wisnu, il Conservatore) e MANG (Dewa Siwa, il Distruttore). Uniti in un’unica eternità ANG UNG e MANG crearono il grande suono AUM e in questa forma tripartita furono la grande fonte di energia che chiamata Tinta governa unitamente sul Tri Loka, sui tre regni universali del cosmo infinito, sul Bur, sul Buwah, sullo Swah.

Tinta ovvero Ida Sanghyang Widi Wasa, colui che dimora nel Gunung Agung.

Che altro so di Bali? Poco, nulla. Splendidi ristoranti, alberghi da mille una notte come il Four Seasons, surfing e snorkeling e massaggi, fantastici massaggi balinesi, oli, essenze, e poi quel mirabile parco giochi acquatico che è il Waterboom Bali.

Nient’altro, eppure… è un pesce. Il Gunung Apat, a ovest, è la pinna caudale, a nord il Kubutambaha è la pinna dorsale, l’est, il Gunung Seraya con le sue pianure costiere forma il muso, mentre la ricurva baia di Padangbai a sud-est è la bocca. L’occhio di questo pesce è il cratere del Gunung Agung, la montagna suprema, l’ombelico del mondo.

Che altro so di Bali? Poco, nulla. Il gamelan certo, non l’ho mai sentito il gamelan, lo conosco solo perché lo citano Jon Hassel e Lou Harrison, e poi i Beatles, col loro periodo mistico, e l’Hard Rock Cafè di Kuta, quello con l’armonica di Bob Dylan e gli stivali di pelle di Grace Slick. Nient’altro, eppure… Uno, la terra cinta d’acqua. Due, il riso piantato nella terra. Tre, la montagna asse del mondo. Quattro, il mare che cinge la terra. Cinque, la foresta avvolta di fogliame. Sei, la pianura con le mandrie brucanti. Sette, i veggenti benedetti dagli dei. Otto, il cielo sopra la terra. Nove, gli dei, modello all’uomo. Dieci, il re, gioiello fra gli uomini. Bali è l’undicesimo, l’eka dasa, il ricominciare del ciclo.

Che altro so di Bali? Poco, nulla. Stringo fra le mani la Bali’s Lonely Planet, la sfoglio svogliato, ne fuoriescono frammenti di notizie che mi si incollano sulla retina, forse anche la oltrepassano, ma in me non c’è nessun desiderio di leggere, che oltrepassino pure, che vadano in giro per le circonvoluzioni, io sono in vacanza, sono qui per riposarmi e divertirmi, è stato un anno duro, faticoso, un anno con cui si è chiuso un ciclo, sono qui per rilassarmi, ristorarmi. Nient’altro, eppure… Bali è la terra dove l’uomo è formato da tre triangoli: il primo punta in basso, verso terra, è ANG, Brahma il rosso, poi due triangoli successivi puntano verso il cielo, UNG e MANG, Wisnu il nero e Siwa il bianco, insieme vibrano AUM e sono Ida Sanghyang Widi Wasa.

Bali è il bidu dove microcosmo e macrocosmo, visibile ed invisibile, spazio interno e spazio esterno, durata ed eternità si congiungono in un punto.

[continua]

 (Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in “Radure. Quaderni di materiale psichico”, rivista del Centro Studi Psicodinamiche di Torino, numero speciale “Terre alchemiche”, volume I, anno VI, 2002, pp. 78-79 – immagine, danzatrici del Gamelan Cudamani,  tratta da http://blogs.inlandsocal.com/iguide/2010/10/riverside-indonesian-music-and.html  )


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sabato 6 luglio 2013

#BALI FANTOME. #NISKALA E #SEKALA (di Ennio #Foppiani, puntata 2/27), #Puputan #citazione #suicidio rituale #adat

Il 20 settembre 1906 il generale Ross Van Tonningen pose assedio al palazzo reale di Badung.

Gli olandesi erano schierati, fucili puntati, cannoni armati, pronti all’impari scontro. Cosa potevano fare i sudditi di Tjokorda contro la tecnica, l’economia, il potere dell’Occidente?

Nell’irreale silenzio, rotto solo dal ritmico battere dei tamburi kulkul, dal palazzo si levarono fiumi e fiamme, poi si aprirono le porte della reggia.

Ne uscì una strana processione guidata dal re Tjokorda in persona.

Era seduto su un palanchino, trasportato da quattro uomini, con indosso gli abiti bianchi della cremazione, adorno di splendidi gioielli, il kriss d’oro fra le mani.

Dietro al re venivano i funzionari di corte, le guardie, i sacerdoti, le mogli, i figli, i sudditi più fedeli: tutti vestiti di bianco, tutti con fiori nei capelli, tutti armati di un kriss.

La processione avanzava verso la linea di fuoco olandese, i kulkul battevano, gli occhi si fissavano negli occhi, il silenzio doleva alle orecchie.

Mancavano un centinaio di metri, un nulla fra i cannoni, i fucili, le spade ed i kriss, Tjokorda fece un gesto e tutta quella macchia bianca si arrestò come un gamelan che interrompe bruscamente la sua musica. Il re scese dirigendosi verso un sacerdote, lo guardò e questi immerse il kriss nel petto del proprio sire.

Tutti, come babuten di una danza Barong, iniziarono a volgere le lame verso se stessi o a colpirsi l’un l’altro. Il bianco iniziò a striarsi di rosso senza che nessun fucile, nessun cannone, nessuna spada colpisse carne balinese.

Quattromila fra uomini e donne morirono quel giorno, quattromila effettuarono puputan, il suicidio rituale, quattromila uomini iniziarono e a loro seguirono quelli di Tabana e quelli di Karangasen e quelli di Gianyar e quelli di Semarapura.

Quattromila uomini che non potevano permettere che kama, l’armonia, fosse spezzata dal kala olandese.

Quattomila uomini immersi nei loro adat, immersi nella consapevolezza che la fine della nascita è la morte, che la fine della morte è la nascita, che questa è la legge.

Le uniche parole che Van Tonningen disse furono “Mio Dio, cosa abbiamo fatto”

Richi, il gran maestro del teatro della fissità, colui che dà luce e vita alla pietra, fermò le sue parole, versò lentamente il vino nei bicchieri e, riversandosi indietro sulla sedia, pose i suoi occhi nei miei.

“Mi chiedevi una ragione per partire, è questa. Cos’altro ti serve sapere per poter andare a Bali.

“Nient’altro”

[continua]


(Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in “Radure. Quaderni di materiale psichico”, rivista del Centro Studi Psicodinamiche di Torino, numero speciale “Terre alchemiche”, volume I, anno VI, 2002, pp. 74-76 – immagine, figura del teatro Wayang indonesiano,  tratta da http://www.campaniapuppets.it/Wayang.htm)


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venerdì 5 luglio 2013

#BALI FANTOME. #NISKALA E #SEKALA, di Ennio #Foppiani, puntata 1/27, #citazioni, #alchimia

(“E’ solo a frammenti / che / qualcosa / viene fuori”, William Carlos Williams)

AVVERTENZA

Sul finire del 2000 presi l’impegno di scrivere intorno all’alchimia, alla trasformazione del piombo in oro nei territori del cinema. Inizialmente pensavo di trovare materia nelle immagini di Andrej Tarkovskij, ma mi accorsi che in quei film vi era troppa poesia, troppo oro; così scesi sempre più di livello e mi ritrovai a ragionare sulla pornografia. Avevo trovato il piombo. Raccolsi un’innumerevole quantità di materiali, di appunti, di idee più o meno organizzate.

I giorni passavano mentre continuavo a pensare l’articolo, mentre tratteggiavo un inizio per poi subito cassarlo a favore di uno ulteriore, mentre rileggevo gli appunti, mentre acquisivo nuove fonti. Giunse l’Agosto senza che avessi prodotto alcunché.

Carico di libri e carte, partii in viaggio, partii per una pausa che, credevo, potesse attivare lo scrivere, attualizzare il pensiero.

Ero convinto di avere filo e stoffa, scoprii di mancare d’aghi.

Il viaggio mi portò intorno al mio cuore messo a nudo, mi portò dinanzi non al riconoscimento della mancanza dell’ispirazione ma all’accoglimento dell’inutilità, per me stesso, di quel tipo di ispirazione.

Scoprii che non mi ero perso nell’illusione del desiderio bensì che avevo smarrito il desiderio dell’illusione, consumato la voluttà di violare il segreto del desiderio.

Il viaggio mi portò di fronte all’affiorare di qualcosa fra i segni opachi che spiazzavano ciò che ero, ciò che sapevo, ciò che potevo. Quel qualcosa che appariva era una forma che oltrepassava le mie usuali forme senza negarle.

Oltrepassare un’idea, una teoria, è negarla. Oltrepassare una forma è trasformare questa in un’altra, rimarcare che il destino della forma altro non può essere che il permanere forma.

Questa suggestiva ed illusiva forma però era così radicale da dar da pensare su come il mondo, che ci appare, ci appaia molto prima di venire percepito, prima di essere interpretato, prima di aver acquisito un senso.

Carte e libri furono abbandonati.

La pornografia, la pornografia come iperrealtà dell’oggetto, come iperrealtà totalmente visibile, e con essa il rischio della psicoterapia di divenire sempre più infiltrata, abitata, dall’habitus pornografico, dal furore di una trasparenza diagnostica e terapeutica così assoluta da poter strategicamente incidere su pellicola l’infilmabile psichico, andarono a svanire, trasformati da quest’opacità, da quest’illusività, da questa velatezza, in un precipitato di frammenti di viaggio, di ridondanti elencazioni, di insistiti smarrimenti linguistici, di estenuanti tentati vidi spiegazione.

Ho sempre pensato che distillare fosse rendere sempre più chiaro, sempre più leggero, sempre più essenziale. Da qualche tempo comincio a credere che distillare sia invece un rendere sempre più concentrato, denso, opaco e ch, quindi, il rivelarsi di qualcosa sia l’esatto contrario del suo mostrarsi.

Buona visione.

[continua]


(Ennio Foppiani, “Bali Fantome. Niskala e Sekala”, in “Radure. Quaderni di materiale psichico”,  rivista del Centro Studi Psicodinamiche di Torino, numero speciale "Terre alchemiche" volume I, anno VI, 2002, pp. 74-76 – immagine, film “La grande bellezza”, di Paolo sorrentino (2013), tratta da http://ultimofilmsullaterra.wordpress.com/











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