Tutti già dormivano, il vento ululava nelle gole, le lamiere del tetto sbattevano, l’aria gelida entrava da ogni parte e Alessandro, riscaldato e rasserenato dall’abbraccio di Don Giustino, pareva addormentato, quando, con una mano, il prete si mise ad accarezzarlo sulle cosce cercando di non svegliarlo.
Ma Alessandro non dormiva, fantasticava sulla sua futura missione in Amazzonia, con la mente era tra i pericoli ed imprevisti che affrontavano assieme a Don Giustino per portare il messaggio di Cristo ai selvaggi. Erano in un arcipelago sconosciuto dove, novelli don Rua, per primi catechizzavano selvaggi mai raggiunti dall’uomo bianco, e quell’abbraccio lo rendeva sicuro e intrepido e gongolante di felicità perché amava Don Giustino come si ama un padre spirituale.
Ma le carezze che sentì lo richiamarono a sé, alla baita, al fienile dove si trovava. Spostò la testa per accertarsi che non sognava e si mise a riflettere: cosa gli stava facendo don Giustino?
Il prete restava immobile, la mano ricaduta sul fieno. “Dorme”, pensò Alessandro che cacciò via un brutto pensiero. Ma ecco che di nuovo la mano di Don Giustino scivolava sulla sua gamba e nello stesso istante sentiva un caldo bacio alla bocca e puzza grappa. “Come? Don Giustino mi ha baciato Che cosa vuol dire?”.
Quando la mano di Don Giustino andò sulla patta e ivi si fermò, un’idea penosa si piantò nel suo cervello, così penosa che Alessandro la scacciò, dicendosi: “Ma no, non è possibile, di sicuro sta sognando, sta sognando!”. Vorticosi pensieri, il cuore cominciò a martellargli in gola, a togliergli il respiro. Il prete proseguì. Sebbene lo sgomento fosse grande, e grande l’imbarazzo per quella incredibile iniziativa, Alessandro ebbe la reazione fisiologica che può avere un adolescente sulla soglia della pubertà. Ma era troppo sorpreso e sconvolto per avere la volontà di fare un movimento. Fece tutto Don Giustino, con l’abilità e l’attenzione di un adulto pratico. Alessandro subì passivo come un cadavere, con la passività che si ha in sogno, sogno che a un certo punto divenne incubo.
[…]
[Il giorno dopo]
[…]
Rimettendosi gli occhiali, [Don Giustino] si passò il fazzoletto sulla fronte, sudava. Non sapeva come iniziare. Poi si decise a parlare e spiegò che, per colpa di un sortilegio diabolico, quella notte erano caduti come burattini in mano a Satana che li aveva indotti a commettere un’azione orribile, “quella azione”, sottolineò il prete senza darle il nome che loro due sapevano, era, sì, peccato grave, ma Gesù era un Dio Misericordioso, compativa le debolezze degli uomini, aveva sempre il perdono a portata di mano per chi riconosceva e si pentiva della propria colpa. Alessandro sentì un po’ di sollievo. Don Giustino era completamente diverso da come lo conosceva. Il prete gli prese una mano e la portò alle labbra, la baciò, scosse la testa; capiva la delusione del suo beniamino.
“Perdonami, Alessandro, non puoi capire come Satana sia potente e tenti noi preti che abbiamo in affidamento anime cristalline come la tua, tentazioni che non sempre riusciamo a dominare, come hai visto, fino a indurci a commettere azioni che mai avremmo immaginato di poter fare. Credimi… m’ero davvero affezionate a te, sei così simile a come ero io alla tua età, un pulcino senza chiccia bisognoso di tenerezza, non so come ho potuto fare quello che ho fatto, proprio non capisco. Sono caduto… in un abisso. Perdonami, angioletto mio”.
Così disse il prete e lo baciò sulla fronte. Alessandro sentì il fiato che sapeva di vino. Poi cambiando tono di voce, facendosi impersonale, don Giustino disse: “Ottenuta l’assoluzione, su quest’episodio non devi tornarci mai più sopra, quello che è successo è successo, non devi parlarne con nessuno, nessuno dovrà saperlo, neanche altri confessori, per non ridestarne il ricordo e sfidare Satana che provoca rimuginamenti apposta per far tornare il desiderio”.
Alessandro aveva i nervi a pezzi, don Giustino l’aveva commosso, chiedeva comprensione e perdono e lui glielo dava. Mosso da pietà, prese la mano del prete che ora l’assolveva, la portò alle labbra e la bacio trattenendo le lacrime. Il prete fu colto dallo spasmo della felicità, si chinò sul ragazzo febbricitante, lo baciò e l’abbracciò forte. Quel prete, trincerato dietro occhiali scuri, ora singhiozzava come un bambino.
Anche Alessandro sentiva il bisogno di piangere, di gioia questa volta, e prese di nuovo la mano del sacerdote, la tenne tremante nella sua, avrebbe voluto che don Giustino lo accarezzasse, se la portò sul volto e il prete sentì fortissimo il desiderio riaccendersi. Rasserenato d’avere riparato un po’ allo scandalo commesso, prima di uscire disse ad Alessandro che, per penitenza, doveva dire tre Pater, Ave e Gloria e tornare sereno e allegro come prima, ed evitare in futuro occasioni simili. Fu così che Alessandro fu assolto dal peccato commesso dal prete.
(Bruno Zanin, Nessuno dovrà saperlo, Napoli, Tullio Pironti Editore, 2006, pp. 57-58, 61-62)
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