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sabato 26 aprile 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 26 aprile.

Il 26 aprile 1518 ad Heidelberg Martin Lutero espone le sue tesi relative alla Teologia dela Croce nella omonima disputa.

La Teologia della Croce ha preso corpo e si è rivelata nella famosa “Disputa di Heidelberg” del 26 Aprile 1518. E' in questa disputa che per la prima volta Lutero manifesta pubblicamente e decisamente la sua originalità e la sua opposizione alla teologia imperante, la quale tentava di capire Dio in termini di pensiero logico, ragionando dal visibile verso l’invisibile, deducendo l'esistenza di Dio dalla realtà del creato.

La disputa fu parte dell'azione della Santa Sede romana contro Martin Lutero per screditarlo. Roma aveva assegnato il compito agli Agostiniani di effettuare una "disputatio", in cui Lutero avrebbe dovuto spiegare le sue tesi sulle indulgenze. Nella disputa Lutero entrò, ma non sulla questione delle indulgenze, ma trattando il soggetto del Principio di legalità (dal punto di vista religioso) e la theologia crucis in contrasto con la theologia gloriae. Nella tesi da lui sostenute nel corso della disputa, Lutero ha fornito l'idea di base della sua nuova teologia, la completa dipendenza dell'uomo dalla grazia di Dio. Non dalle opere degli uomini si può ottenere la grazia di Dio, ma soltanto attraverso la sua fede.

Tra i docenti coinvolti nella difesa della facoltà teologica Lutero non ha avuto consenso, ma ha guadagnato molti seguaci tra gli studenti e i maestri della Facoltà di Arti. Riformatori degli anni successivi come Martin Bucer, Erhard Schnepf, Franciscus Irenicus, Martin Frecht e Johannes Brenz erano tra il pubblico.

La Disputa di Heidelberg ha avuto grande importanza per la diffusione della dottrina della Riforma di Lutero. Molti dei suoi ascoltatori diffusero la Riforma in Germania sud-occidentale. Nella riforma nella regione del Kraichgau, in particolare, hanno avuto grande influenza Johannes Brenz ed Erhard Schnepf, che predicarono dal 1520 la dottrina luterana. La maggior parte dei pastori più tardi attivi nel Kraichgau e predicatori nelle Prädikaturen (Predicature) avevano studiato a Heidelberg nel 1518 e sono stati impegnati dalla difesa della Riforma.

Non è facile esporre in una breve sintesi sistematica un pensiero teologico, per natura sua fortemente dinamico, nato e progredito in modo vulcanico a partire da concrete situazioni storiche, sia personali che collettive. Si può dire che il nucleo centrale dell’eccezionale ricerca religiosa di Lutero, e di conseguenza, anche della sua riflessione teologica, sia la realtà, umanamente incomprensibile, di un Dio, il quale nell’insondabile mistero del suo amore totalmente gratuito, ha immolato il Figlio suo sulla croce, a favore dell’uomo peccatore.

Non è possibile comprendere Lutero senza esaminare con una certa accuratezza quella che egli chiama la “Teologia della croce”, che è il centro di tutto il suo pensiero e dalla quale scaturiscono come conseguenze logiche tutte le sue altre concezioni teologiche.

Nell’ottica di una Theologia crucis, quindi, Dio è per Lutero un Deus absconditus, che si rivela “di spalle” (posteriora Dei per passione set crucem), cioè sub opposita specie (sotto l’apparenza contraria) nell’abbassamento del Figlio. Lutero parla quindi di un Deus absconditus, un Dio nascosto. È un Dio che non possiamo afferrare con le nostre capacità razionali, un Dio che è al di sopra delle nostre categorie del bene e del male, quindi è un Dio del tutto inaccessibile a noi. Se noi conosciamo Dio, lo facciamo grazie alla sua rivelazione. In Gesù Cristo Egli si rivela come Dio d’amore. «In Gesù Cristo Dio ha scelto di soffrire con la sua creatura e di vincere la lotta contro il male nel luogo più inaspettato, scandaloso: la croce. Il Cristo in croce è la solidificazione dell’amore di Dio. Diceva il mistico Angelo Silesio: “L’amore trascina Dio nella morte”. All’apice della sofferenza, avviene la vittoria di Dio sulla sofferenza. Il redentore sofferente è la forma più sublime ed esclusiva del pensiero cristiano. Qui l’onnipotenza di Dio si mostra come la potenza della sua impotenza. Il patibolo (la croce) che doveva manifestare la vittoria della morte e la morte di Dio, svela invece la vittoria della vita e la morte della morte». (Quest’espressione viene riportata in “Giornale di Metafisica” IV, Tilgher edizioni, Genova 1982)

Non lo fa, togliendo tutta la sofferenza in un solo colpo, ma egli rivela il suo amore nella debolezza, condividendo la sofferenza umana e morendo sulla croce. Nella fede riconosciamo Dio come Dio d’amore. È una rivelazione che in un certo senso contraddice la nostra percezione della natura crudele. Lutero parlava di un credere in Dio contro Dio, cioè credere nella rivelazione di Dio contro l'impressione suscitata dai fatti incomprensibili.

«Fin dai primi scritti, Lutero affermava che in qualche modo Dio si rivela in maniera paradossale, e lo fa attraverso l’umanità sofferente di Gesù Cristo. Vale a dire che Dio si nasconde per rivelarsi, e che la sua rivelazione può essere colta soltanto dal credente che si affida alla Parola e che accetta nella vita e nella sofferenza personale la presenza paradossale di Dio». (M. Lienhard, Martin Lutero la passione di Dio)

Perciò l’uomo è sempre giusto nella fede in Cristo, ma anche sempre peccatore, se considerato in se stesso (simul iustus et peccator). Sicché è sempre in stato di penitenza, in quanto a partire dall’esame del proprio peccato è sempre di nuovo proteso verso Cristo, giustizia del peccatore. La fede, allora in ultima analisi è un comprendere, in un’appropriazione personale Cristo come dono “per me”; un Cristo “per me” morto e risorto, “per me” vincitore del peccato, della morte, della narrazione.

Certamente questa distinzione luterana tra Deus absconditus e Deus revelatus è soltanto concettuale, ma è comunque di grande valore. Essa non cerca di spiegare ciò che non è spiegabile e rispetta con ciò la “sacralità” della sofferenza umana, richiamando nello stesso tempo l’uomo all’umiltà e alla fede. 

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