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domenica 5 maggio 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 5 maggio.
Dal 5 maggio 1948 l’Italia repubblicana ha il suo emblema, al termine di un tortuoso percorso creativo durato ventiquattro mesi, due concorsi pubblici e un totale di 800 bozzetti, presentati da circa 500 cittadini, fra artisti e dilettanti.
Tutto iniziò nell’ottobre del 1946: il Governo di De Gasperi istituì una Commissione, presieduta da Ivanoe Bonomi, per la realizzazione dell’emblema della neonata Repubblica italiana. Appena uscita dal referendum, l’Italia aveva necessità di un simbolo che sostituisse lo stemma del Regno d’Italia, e quello temporaneo stampato sulle schede – un’Italia circondata da una cinta di torri tra due rami di alloro – non era soddisfacente.
Si decise allora di bandire un concorso nazionale aperto a tutti: il futuro emblema veniva percepito dallo stesso Bonomi come il frutto di un impegno corale, il più ampio possibile.
Il brief era scarno ma rigoroso: esclusione dei simboli di partito, inserimento della Stella d’Italia (una stella bianca a cinque punte che da molti secoli rappresenta la terra italiana) e “ispirazione dal senso della terra e dei comuni”.
Ai primi cinque classificati sarebbe andato un premio di 10.000 lire (circa mezzo milione di oggi).
Al primo concorso arrivano 341 domande di candidatura e 637 bozzetti in bianco e nero. Solo cinque vengono selezionati. Ai cinque vincitori la Commissione chiede di fare nuove proposte basate su un brief più preciso: “una cinta turrita che abbia forma di corona”, come simbolo della resistenza contro il nazifascismo, racchiusa da una ghirlanda di fronde della flora italiana, con la rappresentazione del mare in basso, la stella d’Italia in alto e le parole “unità” e “libertà”.
La scelta cadde sul bozzetto di Paolo Paschetto, al quale andarono ulteriori 50.000 lire e l’incarico di preparare il disegno definitivo. Il disegno venne trasmesso dalla Commissione al Governo per l’approvazione, e fu esposto insieme con gli altri finalisti in una mostra in Via Margutta, nel febbraio 1947.
L’emblema, però, non piacque, qualcuno lo definì addirittura una “tinozza”, mentre ognuno diceva la sua e voleva uno dei suoi simboli all’interno: i cattolici avrebbero voluto al centro la croce, i comunisti la falce e il martello, ecc.
E anche Alcide de Gasperi in una lettera a Umberto Terracini lo definisce “un simbolo non molto ben riuscito e rappresentativo”.
Fu nominata una nuova Commissione, presieduta da Giovanni Conti, che bandì attraverso la radio un secondo concorso.
Del nuovo bando non rimane alcuna traccia negli archivi, ma secondo l’esame di alcune lettere, risulta che l’indicazione – quindi il nuovo brief – fosse quella di privilegiare un simbolo legato all’idea del lavoro, a richiamo del primo articolo della Costituzione Italiana.
Anche questa volta, su 197 disegni risultò vincitore Paolo Paschetto, il cui elaborato grafico fu sottoposto a ulteriori ritocchi da parte dei membri della Commissione. Finalmente la proposta approdò all’Assemblea Costituente dove, con non pochi contrasti, fu approvata nella seduta del 31 gennaio 1948.
Ultimati altri adempimenti e stabiliti i colori definitivi, il 5 maggio il presidente della Repubblica Enrico De Nicola ratifica la scelta firmando il decreto legislativo n. 535, che consegna all’Italia il suo simbolo.
Ciclicamente si sono presentate proposte di restyling dell’emblema.
A partire dal 1987, quando Bettino Craxi lanciò un concorso internazionale per rinnovarlo e/o ridisegnarlo in occasione del quarantesimo anniversario della fondazione della Repubblica. La Commissione incaricata riceve 239 proposte e nessuna viene ritenuta soddisfacente. Fra i giurati era presente anche Umberto Eco.
Negli anni Novanta una nuova proposta di restyling dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, secondo cui l’emblema “è il simbolo del socialismo reale”.
L’unica modifica minima fu apportata durante il secondo governo Berlusconi, che racchiuse l’emblema nell’ellissi del logo della presidenza del Consiglio dei ministri.
L'autore dell'emblema della Repubblica, Paolo Paschetto, di famiglia valdese, nacque il 12 febbraio 1885 a Torre Pellice, in provincia di Torino, dove è morto il 9 marzo 1963.
Professore di ornato all’Istituto di Belle Arti di Roma dal 1914 al 1948, fu artista polivalente, passando dalla xilografia alla grafica, dall’olio all’affresco, dalla pittura religiosa al paesaggio.
Fu autore, tra l’altro, di numerosi francobolli, compresa “la rondine” della prima emissione italiana di posta aerea.
L’emblema della Repubblica Italiana è caratterizzato da tre elementi: la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di quercia.
La stella è uno degli oggetti più antichi del patrimonio iconografico italiano ed è sempre stata associata alla personificazione dell’Italia, sul cui capo appunto, una stella splende raggiante. Così fu rappresentata nell’iconografia del Risorgimento e così comparve, fino al 1890, nel grande stemma del Regno unitario (il famoso stellone); caratterizzò la prima onorificenza repubblicana della ricostruzione del secondo dopoguerra, la Stella della Solidarietà Italiana e ancora oggi indica l’appartenenza alle Forze Armate del nostro Paese nella stellette indossate dai militari italiani sui colletti delle uniformi e compare sulla polena delle navi della Marina Militare.
La ruota dentata d’acciaio, simbolo dell’attività lavorativa, traduce il primo articolo della Carta Costituzionale: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Il ramo di ulivo simboleggia la volontà di pace della nazione, sia nel senso della concordia interna che della fratellanza internazionale, mentre la quercia incarna la forza e la dignità del popolo italiano. Entrambi, poi, sono espressione delle specie più tipiche del nostro patrimonio arboreo
Erroneamente viene spesso definito come “stemma”, ma è privo dello scudo, che costituisce la parte essenziale di uno stemma, appunto, secondo la definizione araldica. Per questo risulta più corretto riferirvisi con il termine di emblema della Repubblica Italiana.

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