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lunedì 3 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il novembre.

Il 3 novembre 1955 esce nelle sale americane il film Bulli e Pupe.

Dopo il clamoroso successo ottenuto a Broadway dall’omonimo musical, nel 1955 arriva nei cinema di tutto il mondo Bulli e pupe (Guys and Dolls in originale), per cui la Samuel Goldwyn Company arriva a sborsare una cifra astronomica all’epoca per i diritti (circa un milione di dollari) e a investire altri soldoni sonanti per assicurarsi la presenza nel film di grandi star come Marlon Brando, Frank Sinatra e Jean Simmons e per garantirsi l’operato del regista Joseph Mankiewicz, reduce dai grandi successi di Lettera a tre mogli ed Eva contro Eva. L’investimento si rivela azzeccato, e Bulli e Pupe, grazie anche alla strada aperta da musical di successo dell’epoca come Cantando sotto la pioggia, Un americano a Parigi e Spettacolo di varietà, conquista i botteghini, incassando nei soli  Stati Uniti circa 13 milioni di dollari e si ritaglia un ruolo di primo piano fra i classici del genere musical.

Nathan Detroit (Frank Sinatra) e “Sky” Masterson (Marlon Brando) sono due incalliti giocatori d’azzardo newyorkesi, amanti della bella vita e restii a impegni sentimentali seri e duraturi. Nathan in particolare non si è ancora deciso a convolare a nozze con la fidanzata Adelaide (Vivian Blaine), nonostante i due siano fidanzati da 14 anni. L’uomo è decisamente più interessato alla prosecuzione del suo vizio, e per procacciarsi i fondi per allestire una bisca clandestina propone a Sky una scommessa sulla carta già vinta con una posta di 1000 dollari: il suo socio dovrà riuscire a portare a cena con lui Miss Sarah Brown (Jean Simmons), fervente religiosa e arruolata nell’Esercito della Salvezza. Nel tentativo di portare a casa la vittoria, Sky userà tutte le sue migliori armi, ma dovrà fare i conti con un cambiamento interiore che non si sarebbe mai aspettato.

Bulli e pupe si propone fin dalle prime battute come un musical leggero e frizzante, puntando forte sulla classe e sul carisma dei propri formidabili interpreti. Il risultato finale è un prodotto a tratti ancora godibile, ma invecchiato decisamente male. Dopo aver offerto un ritratto cinico e disincantato del teatro e dello spettacolo nel suo capolavoro Eva contro Eva, Joseph Mankiewicz qui non riesce mai a staccarsi dal tema portante della pellicola, composto dal progressivo ribaltamento dei ruoli nella nascente storia d’amore fra una donna in partenza seriosa e calata con anima e corpo nella propria attività (Jean Simmons) e un uomo in apparenza guascone e immorale (Marlon Brando), che in realtà si rivela più profondo di quanto gli altri credano. Un contrasto lui spavaldo\lei “rigidina” che nel 1955 poteva ancora essere apprezzato, ma che visto oggi perde gran parte del proprio fascino. La trama lineare e ampiamente prevedibile viene ulteriormente indebolita da una durata della pellicola francamente spropositata (poco meno di 150 minuti), che riesce a mettere in difficoltà anche lo spettatore più allenato. Nonostante questi difetti, Bulli e pupe riesce però a non naufragare mai, soprattutto grazie alle ottime musiche di Frank Loesser (fra le altre meritano una citazione A Woman in Love, Adelaide’s Lament e If I Were a Bell) e a dialoghi freschi e vivaci, che sentiti oggi fanno sorridere, ma che riescono ancora nell’intento di ravvivare il film nei momenti meno efficaci. Per quanto riguarda gli interpreti, fra i due litiganti Marlon Brando (sempre ottimo sul fronte della recitazione, ma decisamente a disagio per quanto riguarda il lato cantato) e Frank Sinatra (al contrario superbo nelle canzoni, ma imprigionato in un ruolo bidimensionale e di scarso spessore) a emergere a sorpresa è la splendida Jean Simmons, che conferisce grande profondità a un personaggio che a conti fatti si rivela il più riuscito del film, rendendo alla perfezione la progressiva perdita dei freni inibitori di Sarah e il suo lento avvicinamento ai comportamenti che all’inizio della storia rigettava. Di grande effetto ancora oggi la fotografia, che ci mostra una New York fatta di luci al neon e colori sgargianti e che fece guadagnare a Bulli e pupe una delle sue quattro nomination all’Oscar, insieme a quelle per scenografia, costumi e colonna sonora.

Nonostante alcuni difetti, Bulli e pupe è comunque una pellicola da recuperare per i cinefili appassionati di musical e per tutti i fan di Marlon Brando e Frank Sinatra, che non offrono le migliori performance delle rispettive carriere ma illuminano comunque il film con la loro eccezionale presenza scenica. Anche se il gusto, gli usi e i costumi del pubblico con il passare del tempo sono inevitabilmente mutati, a volte un salto indietro nel tempo può servire per capire da dove arriviamo, cosa siamo e dove stiamo andando. Ben venga quindi Bulli e pupe a farci compiere questo tuffo nel passato, anche con la sua ingenuità e leggerezza.

domenica 2 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 2 novembre.

Il 2 novembre 1960 si conclude il caso giudiziario di oscenità per il romanzo "L'amante di Lady Chatterley".

Si tratta del caso più eclatante di censura della storia letteraria; ancora oggi non si può nominare il titolo L’amante di Lady Chatterley senza ritenerlo in qualche misura sconveniente o controverso. È un romanzo che porta su di sé la patina del proibito, una sorta di condanna sopravvissuta ai secoli che ne accompagna la fama ponendola in simbiosi con un’oscura perversione. Nel 1960 si apriva in Inghilterra il processo che poneva sotto accusa l’opera di David Herbert Lawrence, nonostante fossero passati quasi trent’anni dalla morte del suo autore.

Lady Chatterley’s Lover era il libro incriminato, posto sul banco degli imputati in un’edizione Penguin da tre scellini e mezzo spietatamente dissezionata dai commenti di Lady Dorothy Byrne, moglie del giudice incaricato di presiedere l’udienza. «Permettereste a vostra moglie di leggere un libro simile?» aveva domandato il Pubblico Ministero Griffith-Jones alla giuria in un’arringa epica; e a quanto pare venne preso in parola da Sir Lawrence Byrne che lo sottopose al giudizio insindacabile della sua signora.

Nel 2000, in occasione del quarantesimo anniversario del processo, la copia da due soldi vergata da Lady Byrne fu venduta all’asta con un prezzo di partenza di 15mila sterline – una volta divenuta la prova testimoniale di un verdetto storico il suo valore si era miracolosamente quintuplicato.

L’amante di Lady Chatterley è ormai considerato uno dei capolavori del Novecento; tuttavia il suo valore non si limita all’indiscutibile merito letterario, travalica lo splendore della prosa per intrecciarsi a un discorso sulla libertà in grado di sferrare un duro colpo alla morale puritana della Gran Bretagna di inizio secolo. Si tratta di un libro raro e prezioso, poiché rappresenta la prova storica che la letteratura può farsi diretta promotrice del cambiamento sociale.

Esiste un prima e un dopo la pubblicazione di L’amante di Lady Chatterley: il libro della discordia, che ha determinato una rivalutazione del concetto di morale, proprio come il fatidico morso al frutto proibito ha provocato la cacciata dell’uomo dal Paradiso Terrestre.

Come è risaputo, tutte le grandi riforme sociali si ottengono attraverso un piccolo atto di infrazione. Soltanto un anno prima il libro era stato protagonista di un analogo processo, negli Stati Uniti, che vedeva sul banco degli imputati la casa editrice americana Grove Press, accusata di pubblicazioni oscene. L’assoluzione non era bastata a impedire che un secondo processo si svolgesse nel Regno Unito, stavolta contro la Penguin Books che malauguratamente aveva deciso di ripubblicare tutte le opere di D.H. Lawrence in occasione del trentesimo anniversario dalla morte dell’autore, offrendo per la prima volta al pubblico l’edizione integrale di Lady Chatterley’s Lover.

Il romanzo era stato pubblicato per la prima volta a Firenze, nel 1928, dall’editore Giuseppe Orioli in un’edizione semi-clandestina di appena mille copie. Per l’occasione, la copertina venne realizzata da Lawrence stesso: rappresentava una fenice in fuga da un nido in fiamme, vi si poteva leggere una chiara allusione alla forza prorompente del libro destinato a risorgere dalle proprie ceneri malgrado i tentativi governativi di censurarne il contenuto.

D.H. Lawrence scrisse le tre stesure nella residenza fiorentina di Villa Miranda, e proprio in terra toscana vide la luce la prima edizione stampata del libro, sfuggendo così alle maglie della censura inglese. Nonostante fossero state prese le dovute precauzioni, le copie in circolazione vennero sequestrate più volte e ne fu proibita l’esportazione nel Regno Unito. In seguito alla morte di Lawrence, il romanzo venne diffuso in alcune versioni censurate, e nel 1947 persino tradotto in lingua italiana da Manlio Lo Vecchio Musti, che omise tutti i vocaboli ritenuti osceni attraverso un’opera di traslitterazione che ne edulcorava il contenuto.  Così «fuck» divenne «baciare»; «cock» divenne «coda» e tutti i riferimenti agli organi genitali furono tradotti con espressioni metaforiche, astratte, che creavano un’inevitabile ambiguità nella lettura.

Negli anni Sessanta una delle ragioni che posero l’opera nella posizione scomoda di essere processata pare fosse dovuta proprio all’irrisorio prezzo di copertina della nuova edizione tascabile Penguin, che l’avrebbe resa apertamente fruibile alle masse; una narrazione tanto sconveniente doveva rimanere assoluto privilegio dell’élite, come un sacro segreto da custodire, non poteva certo essere divulgata al popolo. Nel 1959 in Inghilterra era entrato in vigore l’Obscene Publications Act, il cui ordinamento stabiliva che un’opera fosse da considerarsi oscena solo se il suo effetto era «tale da tendere a depravare e corrompere le persone.» La prima vittima della legge appena approvata dal Parlamento fu proprio il romanzo di D.H. Lawrence, definito dalla società benpensante «volgare»; «disgustoso»; «osceno», come riportano le cronache di età vittoriana: «Un affronto disgustoso e volgare al comune senso del pudore».

Un processo letterario che può vantare un precedente illustre, quello affrontato da Gustave Flaubert in seguito alla pubblicazione di Madame Bovary, nel 1857. A un secolo di distanza le cose non sembravano affatto cambiate: se Flaubert aveva dovuto rispondere all’accusa di immoralità, a Lawrence – o meglio, alla sua opera postuma – spettava l’imputazione di oscenità. I romanzi risultavano accomunati dalla medesima caratteristica colpevolizzante: davano voce a una donna che praticava adulterio e si poneva in aperta sfida contro la società.

Entrambe le opere rappresentavano un manifesto contro l’ipocrisia borghese: Flaubert mostrava, senza finzioni né abbellimenti, la vita asfissiante nella provincia francese e una donna che vi si ribella nel tentativo di non soccombere; mentre Lawrence dava voce, attraverso la sua protagonista, a una storia d’amore illecita pervasa di sensualità. Constance Chatterley, proprio come Emma Bovary, è colta e piena di vitalità, imprigionata nella monotonia irriducibile di un matrimonio infelice, e alla disperata ricerca di una via di fuga.

Non era la descrizione – peraltro aggraziata – degli amplessi sessuali a rendere scandaloso il romanzo di Lawrence, piuttosto il fatto che a praticare adulterio fosse una donna – di alto rango, per giunta – che tradiva il proprio nobile marito nientemeno che con un guardiacaccia, quindi un individuo di classe sociale inferiore. La storia narrata in L’amante di Lady Chatterley, a giudizio dell’accusa, rischiava di influenzare negativamente altre donne di buona famiglia, conducendole sulla strada della depravazione e dell’immoralità. A rendere il libro tanto scandaloso per i lettori dell’epoca era l’atteggiamento controcorrente della sua protagonista: Lady Chatterley, di fatto, si oppone alle condizioni opposte dalla sua condizione nobiliare e al potere maschile. In questa veste Connie, proprio come Madame Bovary, è un’eroina ante-litteram che appare in rivolta contro l’intera società, simbolo illuminante del risveglio culturale femminile che pervade l’Europa degli anni Trenta.

Il rapporto carnale per Connie rappresenta una riscoperta di sé, una totale aderenza all’istinto vitale, un mezzo per affermare la propria forza di volontà e lo stretto connubio tra mente e corpo. È giusto tuttavia osservare che il soggetto principale del romanzo non sono i rapporti sessuali tra i due protagonisti, ma l’analisi di un’intera società: Lawrence ci fa respirare l’atmosfera della provincia inglese, focalizza la propria attenzione sulle condizioni di vita dei minatori, sullo sfruttamento da parte dei nobili della manodopera contadina, sul rapporto artificiale tra uomo e natura conseguente allo sviluppo dell’industria; il tutto narrato nella prosa raffinata e dettagliatamente descrittiva, degna di un grande classico. L’amante di Lady Chatterley è un romanzo che offre innumerevoli spunti di riflessione, ancora oggi attualissimi, che di certo non meritano di essere svalutati per la fama quasi pornografica che l’opera ha assunto in seguito alle sue vicissitudini storiche.

Flaubert venne assolto da ogni accusa tramite lo stratagemma del «discorso indiretto libero» che poneva in luce la distinzione sottile tra voce narrante e personalità autoriale; nel caso dell’opera di Lawrence la faccenda si presentava più controversa poiché a essere posto sotto accusa non era l’autore in prima persona ma il contenuto “disdicevole” del libro.

Il caso giudiziario di L’amante di Lady Chatterley pose in discussione il concetto di censura in epoca moderna, un fatto di per sé eclatante nei primi anni Sessanta quando l’Era dell’Indice dei Libri Proibiti doveva teoricamente essersi conclusa da un pezzo.

Il processo durò ben sei giorni e vide avvicendarsi sul banco dei testimoni tutta l’élite letteraria dell’epoca, da E.M Forster a Rebecca West. La giuria stessa fu chiamata a valutare il romanzo leggendolo ad alta voce nel corso dell’udienza. Furono tenute oltre trentasei deposizioni da parte di esperti, scrittori, accademici e persino uomini di chiesa. Il Pubblico Ministero Mervyn Griffith-Jones si dimostrò particolarmente agguerrito, mantenne una linea d’accusa molto netta che ancora oggi viene ricordata in alcuni manuali processuali. Jones lesse le parti più scabrose del romanzo in aula, ponendo l’accento sui termini giudicati osceni, e interpellò direttamente la giuria con frasi minacciose: «Fareste leggere questo romanzo ai vostri figli? Alle vostre mogli?». Determinanti per l’assoluzione dell’opera furono le testimonianze degli scrittori e, in particolare, di un cardinale che affermò pubblicamente la sacralità dell’amore tra Connie e il guardiacaccia Mellors, ribadendo l’importanza dell’amore carnale tra esseri umani.

Il processo si concluse il 2 novembre 1960 con un verdetto inatteso; il giudice Byrne giudicò il contenuto del libro accettabile per la società dell’epoca sancendo così la fine del moralismo vittoriano. In seguito alla sentenza, l’opera di D.H. Lawrence fu esposta in tutte le librerie e vendette tre milioni e mezzo di copie. Alla fine dell’anno la casa editrice Penguin venne addirittura quotata alla borsa di Londra.

La pubblicazione di L’amante di Lady Chatterley rappresentò una clamorosa vittoria sociale, ebbe il merito indiscusso di ridefinire il concetto di «tabù»: la sessualità non era dunque più da considerarsi alla stregua di un atto segreto o osceno, faceva parte della vita e in quanto tale poteva essere raccontata senza censure.

Un’importante battaglia era stata vinta. La letteratura, attraverso la sua peculiare capacità di nominare l’indicibile, aveva comportato una ridefinizione del senso di pubblico pudore. Il verdetto di assoluzione di Lady Chatterley’s Lover assunse un valore emblematico: era l’inizio di una nuova Era di liberalizzazione dei costumi e della morale.

Gli anni Sessanta avrebbero in seguito portato molte altre innovazioni sulla strada dei diritti: sarebbero stati l’epoca della prima pillola contraccettiva, della legalizzazione dell’aborto, della depenalizzazione dell’omosessualità. È bello pensare che il cammino verso la modernità sia iniziato grazie a un romanzo: la gente lo leggeva ovunque, sulle panchine del parco, durante le pause in ufficio, in metropolitana, scoprendo un senso di rinnovata libertà. Lady Chatterley’s Lover ha rappresentato la necessità dello scandalo in letteratura: l’importanza di dire, di affermare, di nominare perché solo l’arte può valicare il confine del proibito e rendere l’osceno accettabile.  Come ha notato il premio Nobel J. M. Coetzee in un saggio dedicato all’opera di Lawrence: «Ogni volta che il libro viene riaperto, in epoche successive, anche quando i tabù hanno perso la loro forza, ogni volta che il libro viene riletto quei tabù si rianimano e riassumono la loro cupa forza.»

Leggere L’amante di Lady Chatterley oggi è un privilegio, una libertà conquistata, e ogni volta che sfogliamo questo libro – malgrado le tematiche trasgressive ci appaiano ormai superate alla luce della contemporaneità – dovremmo ricordarci l’importanza benefica dello scandalo, l’urgenza di nominare le cose per conferir loro il diritto di esistere.

sabato 1 novembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il primo novembre.

Il primo novembre 1962 esce nelle edicole il fumetto Diabolik.

È impossibile raccontare la storia del fumetto di Diabolik senza partire dalla particolarità della vicenda delle sue creatrici. Angela Giussani e Luciana Giussani sono due signore borghesi di Milano, belle e colte, che d'un tratto nella loro vita si lanciano in un'impresa senza precedenti.

Angela Giussani nasce a Milano il 10 giugno 1922. Delle due sorelle è la più forte e intraprendente. In contrapposizione al costume corrente, infatti, negli Anni Cinquanta, guida l'auto e ha addirittura il brevetto di pilota di aerei.

È modella, giornalista e redattrice. Sposata all'editore Gino Sansoni dedica tutta la sua vita a Diabolik e alla casa editrice Astorina che dirige fino alla morte, avvenuta il 10 febbraio 1987 a Milano.

Di sei anni più piccola, Luciana nasce a Milano il 19 aprile 1928: lei è razionale e concreta. Appena diplomata, lavora come impiegata presso una nota fabbrica di aspirapolveri. Presto, però, lavoro al fianco della sorella nella redazione di Diabolik e si appassiona indissolubilmente all'avventura letteraria di Angela.

Luciana dirige la casa editrice dopo la scomparsa di Angela e firma le pagine di Diabolik fino alla sua dipartita, avvenuta a Milano il 31 marzo 2001.

Il primo numero di Diabolik esce il 1° novembre 1962. Costa 150 lire e si intitola "Il re del terrore". Il personaggio di Diabolik possiede da subito le caratteristiche per cui è celebre: ladro ingegnoso, capace di mirabolanti travestimenti supportati da maschere sottilissime inventate da lui stesso.

Nel primo numero c'è anche il suo alter ego, l'ispettore Ginko: integerrimo e professionale.

Il giorno che Diabolik deciderà di uccidermi, nessuno potrà venirmi in aiuto. Saremo io e lui da soli.

(Ginko, da Atroce vendetta, 1963)

Innovativo, inoltre, anche il formato dell'albo: tascabile. Pare che le sorelle Giussani scelsero questa misura pensando in modo particolare ai viaggiatori in treno, che vedevano affrettarsi tutti i giorni sotto la loro finestra, in zona stazione centrale a Milano.

Diabolik è un ladro di professione. Si lancia in furti di preziosi e ingenti somme di denaro. A fronte dell'attività criminosa, Diabolik è ligio ad un codice d'onore molto ferreo che premia amicizia, riconoscenza e tutela dei più deboli a sfavore, invece, di mafiosi e malavitosi.

Della biografia di Diabolik si apprende, come fosse un prequel, in "Diabolik, chi sei?" del 1968. Salvato da un naufragio, il piccolo Diabolik viene allevato da una banda internazionale facente capo a un certo King.

In questo contesto apprende lingue e tecniche criminose. Diventa un esperto nel campo della chimica: da qui le note maschere, asso nella manica dei memorabili travestimenti.

Sono proprio queste maschere che gli rendono nemico King: quando gliele vuole sottrarre, Diabolik lo affronta, lo uccide e fugge. Ancora in fatto di "prequel", nell'episodio "Gli anni perduti nel sangue" del 2006 si legge di una stagione di apprendimento di tecniche di combattimento in Oriente, prima di trasferirsi definitivamente a Clerville, città in cui abita nella saga.

Al fianco di Diabolik, compagna di vita e di misfatti è Eva Kant, conosciuta nel terzo episodio, dal titolo "L'arresto di Diabolik" (1963). Questo episodio inoltre, fu causa di una prima serie di denunce e processi penali dei quali furono oggetto Diabolik e altri epigoni negli anni sessanta. Angela Giussani, al fine di promuovere la nuova testata, aveva avuto l'idea di distribuirne copie omaggio ai ragazzi delle scuole medie e questo venne visto come un tentativo di traviamento della gioventù. Ne seguì un processo che, il 6 luglio 1964, assolse Angela Giussani dal reato di incitamento alla corruzione anche perché, si legge nella motivazione della sentenza, nella copertina il personaggio compariva con le manette ai polsi e sullo sfondo di una lugubre ghigliottina, la qual cosa induceva a pensare che il criminale avrebbe pagato per le sue colpe.

Bionda e bellissima, Eva Kant è vedova di Lord Anthony Kant, morto in circostanze sospette. È fredda e determinata ma, al contempo, sensuale e raffinata.

Lo storytelling di questa partner è stato sempre più approfondito nel tempo al punto che Eva è divenuta protagonista di alcuni numeri e altre iniziative editoriali legate al personaggio. Questa sorta di spin off è culminato nell'albo "Eva Kant - Quando Diabolik non c'era" uscito nel 2003.

La grande notorietà del personaggio ha fatto sì che non vivesse più esclusivamente nel regno dei fumetti. Diabolik, infatti, è apparso per 5 volte come protagonista sul grande schermo: nel 1968 in "Diabolik" di Mario Bava, nel 2019 nel primo di tre lungometraggi firmati dai Manetti Bros e, infine, nel documentario "Diabolik sono io", sempre del 2019, diretto da Giancarlo Soldi.

Al ladro gentile delle sorelle Giussani, poi, è stata anche dedicata una serie tv, nel 2000, intitolata sempre "Diabolik". In fatto di letteratura, sono stati pubblicati una collana intitolata "Romanzi di Diabolik" e quattro libri firmati da Andrea Carlo Cappi. Infine, è apparso in spot pubblicitari, nel radiofumetto di RaiRadio2 ed è stato al centro di alcuni videogames.