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martedì 8 maggio 2012

L’essere #umano è solo un veicolo #Murakami Haruki #1Q84 #geni #genoma #male #bene #Aomame #citazione




Come al solito, Tamaru accolse Aomame all'ingresso.
– Ho guardato la luna, ieri notte, – esordì.
– Davvero? – disse Aomame.
– Sei stata tu a mettermi questo pensiero in testa. Non so da quanto tempo non la guardavo, e devo dire che è davvero bella. Trasmette un senso di pace.
– L'hai vista mentre eri in dolce compagnia?
– Sì, – disse Tamaru. Poi si passò un dito su un lato del naso. – Allora, che problema c'era con la luna?
– Non è che ci fosse un problema, – disse Aomame. Poi, scegliendo le parole, aggiunse: – È solo che da qualche tempo m'inquieta un po'.
– Senza ragione?
– Senza una ragione precisa, – rispose Aomame.
Tamaru annuì in silenzio. Probabilmente stava facendo delle congetture. Quell'uomo diffidava di cose che non avessero una ragione pratica. Ma senza insistere oltre, l'accompagnò come sempre al solarium, precedendola di qualche passo. La signora, che indossava una tuta da ginnastica, stava leggendo un libro seduta su una sedia, ascoltando Lachrimae, un brano strumentale di John Dowland. Era una composizione che amava molto. Anche Aomame, avendola sentita spesso, ne ricordava la melodia.
– Scusi se l'ho fatta chiamare ieri per oggi, – disse la signora. – Avrei dovuto fissare prima l'appuntamento, ma mi sono ritrovata con questo tempo a disposizione.
– Con me non deve farsi questi problemi, – disse Aomame.
Tamaru preparò una tisana e portò la teiera su un vassoio. Versò il liquido in due tazze di raffinata fattura, quindi uscì dalla stanza richiudendo la porta dietro di sé. La signora e Aomame bevvero la tisana in silenzio, ascoltando la musica di John Dowland, lo sguardo rivolto alle azalee che nel giardino fiorito splendevano come fiamme. «Venire qui è sempre come entrare in un mondo parallelo, – pensò Aomame. – L'aria è più densa, e anche il tempo sembra scorrere a un ritmo diverso».
– A volte, ascoltando questa musica, si ha l'impressione che i confini del tempo svaniscano, – disse la signora, come se le avesse letto nel pensiero. – Perché quattrocento anni fa le persone ascoltavano la stessa musica che ascoltiamo adesso. A pensarci, non le sembra strano?
– Sì, molto, – disse Aomame. – In effetti, le persone di quattrocento anni fa vedevano anche la stessa luna che vediamo noi.
La signora guardò Aomame un po' sorpresa. Quindi annuì.
– È vero. Ha ragione. Tutto sommato non è poi così strano che ascoltiamo la stessa musica a quattro secoli di distanza.
– Magari sarebbe più giusto dire che vedevano più o meno la stessa luna.
Dette quelle parole, Aomame guardò la signora. Ma la sua frase non sembrava aver provocato alcuna reazione.
– Per la registrazione di questo CD i brani sono stati eseguiti con strumenti d'epoca, – disse la signora. – Hanno utilizzato strumenti antichi e seguito la partitura originale. Quindi il risultato dell'esecuzione dovrebbe essere più o meno uguale a quello di un tempo. Come la luna.
Aomame disse:
– Ma anche se le cose in sé sono le stesse, è probabile che la percezione delle persone fosse molto diversa. A quel tempo l'oscurità della notte era ben più profonda, e in quel buio la luna doveva apparire assai più luminosa. Le persone di allora, non avendo dischi, cassette e CD, non potevano ascoltare la musica a proprio piacimento, in qualsiasi momento della giornata, con la naturalezza con cui lo facciamo noi. Allora si poteva farlo solo in occasioni particolari.
– Certo, – concordò la signora. – Vivendo in un mondo come questo, dove tutto è più facile, la nostra sensibilità si è fatta più ottusa. Anche se la luna che sta in cielo è la stessa di sempre, forse quella che vediamo noi è un'altra. Credo che quattro secoli fa gli uomini possedessero un animo più ricco e vicino alla natura.
– Ma era anche un'epoca crudele. Più di metà della popolazione infantile moriva prima di raggiungere l'età adulta a causa delle epidemie e della denutrizione. Si moriva facilmente di poliomielite, tubercolosi, vaiolo e morbillo. Tra il popolo, non erano in tanti a superare i quarant'anni. Le donne partorivano nidiate di figli e arrivate a trent'anni avevano già perso i denti e sembravano vecchie. Le persone erano spesso costrette a ricorrere alla violenza per sopravvivere. I bambini venivano obbligati fin da piccoli a lavori pesanti che gli deformavano le ossa, e la prostituzione delle ragazzine, e anche quella dei ragazzi, era una pratica quotidiana. La maggior parte delle persone conduceva una vita poverissima in un mondo che non aveva alcun rapporto con la sensibilità e la ricchezza d'animo. Le strade delle città erano piene di gente dal corpo deforme, mendicanti e  criminali. Probabilmente solo una piccola parte della popolazione si commuoveva guardando la luna, ammirava il teatro di Shakespeare o ascoltava con devozione le bellissime musiche di Dowland.
La signora sorrise.
– Lei è davvero una persona sorprendente.
Aomame disse:
– Sono una persona molto comune. Ma amo leggere. In particolare mi interessano i libri di storia.
– Anche a me piace leggere libri di storia, perché c'insegnano che noi uomini siamo sempre gli stessi, oggi come allora. Per quanto possano essere mutati l'abbigliamento e gli stili di vita, nel modo di pensare e di agire non ci sono grandi differenze. L'essere umano alla fine è solo un veicolo, un tramite per il patrimonio genetico. I geni si trasmettono viaggiando attraverso di noi da generazione a generazione, sostituendoci come si fa con i cavalli quando non possono correre più. Non si preoccupano affatto di ciò che è bene e di ciò che è male. Se noi siamo felici o infelici non li riguarda. Non siamo altro che un mezzo. Hanno considerazione soltanto per quello che può essere utile a loro.
– E ciò nonostante, noi non possiamo fare a meno di pensare a ciò che è bene e a ciò che è male. È così?
– È così, – annuì la signora. – L'uomo non può fare a meno di interrogarsi su questi temi. Ma a governare i fondamenti del nostro modo di vivere sono i geni. È naturale che ciò produca una contraddizione, – concluse sorridendo.
La conversazione sulla storia si fermò lì. Le due donne finirono di bere la tisana, e iniziarono a esercitarsi nelle arti marziali.




(Murakami Haruki, 1Q84, traduzione dal giapponese di Giorgio Amitrano, Torino, Einaudi, 2011, pp. 266-69)




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