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martedì 8 maggio 2012

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 Shiva Pashupati


Nella fantastica mitologia che attraversa l’Occidente da più di un secolo, l’India si staglia dunque come l’antenata ancestrale. Prima i gesuiti missionari, poi i geografi della Compagnia delle Indie e gli esploratori vittoriani, seguiti dai teosofi, antroposofi, Evola, Eliade, Zimmer, fino a Jung ed oltre, hanno ricuperato al conscio collettivo il subcontinente indiano.

Infatti, se l’illusione nazionalsocialista della continuità ariana fra i popoli germanici e gli arii conquistatori dell’India, è storicamente e felicemente decaduta, rimane indiscutibile la continuità culturale fra le civiltà polari al bacino mediterraneo, continuità data da un comune crogiuolo geografico, culturale ed etnico.
Alle origini della civiltà indiana, oltre ai popoli proto australoidi, originari abitanti dell’India, si trovano due altre popolazioni, quella ariana e quella dravidica. I Dravida furono un popolo dalla pelle scura e dai capelli lisci, oggi sono conosciuti come Tamil e la loro lingua ha rapporti con il sumerico, il georgiano e il basco. Furono soppiantati dagli arii, ma dal terzo millennio a. C., per oltre venti secoli, dominarono culturalmente un bacino che si estende fino al Mediterraneo e al cui centro l’isola di Creta e la civiltà minoica furono l’espressione occidentale di questa cultura.

Nel fulcro di tutto ciò, legato agli animali che popolavano le pianure infinite e le montagne scoscese, le colline riarse e le sgocciolanti foreste, le acque di zaffiro e i celesti spazi di quell’immensa sacra terra, sedeva il signore degli animali, Rudra, che poi divenne Śiva e accanto a lui, assisa su un trono di bianche montagne la signora dell’Himalaya, Parvāti, mentre a qualche migliaio di leghe verso il tramonto del sole, in quell’isola che fu la patria del nostro parlare, gli stessi furono conosciuti come Zagreo (Dioniso) e Cibele.
I fedeli del dio che furono βαχχηοι in Grecia (baccanti), oggi sono chiamati bhakta in India. essi furono prima: ora sono fra i Tamil dell’India, ma furono anche fra gli abitanti di Creta, fra i baschi e gli abitanti del Caucaso con i quali si accomunarono per la lingua, ma anche con i popoli del Belucistan, perché i rapporti fra Sumeri, Georgiani e Tamil poi non lasciano dubbi. E finanche i Pelasgi incontrati da San paolo nel naufragio sulle coste di Malta, i misteriosi etruschi e gli oscuri Lidi che diedero patria a Dioniso, e che componevano quel popolo barbaro citato anche da Erodoto (Storie, I, 57). parteciparono al culto di Rudra che poi divenne Śiva, in un policromo e rutilante substrato primigenio di uomini e donne appartenenti ad un’unica terra illuminata dal sole, fusi in una natura rigogliosa e spietata.

Quando giunsero gli arii, il dio da loro conosciuto come Śiva venne confuso con Rudra, il dio del tempo e della morte e pertanto della natura. La componente estrema e terrifica del selvaggio dio oltre che le sue origini collegate ad un popolo sottomesso, lo fecero tuttavia esiliare dai sacrifici anche se una sua forma rimase necessaria all’espletamento di essi sotto l’aspetto di fuoco: Agni. Così che se Dioniso seguì, Rudra, il furente dio arciere vedico, il Signore degli Animali, precedette Śiva, Śiva-Rudra furono l’elemento base precedente alle religioni indoeuropee, entrambi similmente a Dioniso funzioni della Grande madre, perché ciò che rappresentò veramente questa costellazione archetipica fu fondamentalmente una religione della natura, nella sua primigenia inesorabile verità.

Śiva apparso agli occhi degli uomini fin dal principio come un giovane dio maschio, dalla testa di toro e dal fallo eretto, percorse il mondo da Giava a Bali, poi verso occidente fino al labirinto di Creta ed in seguito su, nel paese degli iperborei a connotare con la sua presenza i menhir itifallici proto celtici E che Śiva sia giunto fino alle foreste del Nord è sottolineato dal fatto che l’epiteto, Ann, di origine sconosciuta, ma comunemente collegato al nome di Śiva si è trovato accostato come appellativo alla divinità femminile Ann hittita, all’Anat Cananea e all’Ana celtica conosciuta oggigiorno con il nome di St. Anna.

(Enrico Borla ed Ennio Foppiano, Losfeld. La terra del dio che danza, Bergamo, Moretti & Vitali, 2005, pp. 151-53)


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