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lunedì 7 maggio 2012

Il #bodhisattva e altri “misteri” della #vita quotidiana #Buddhismo #Mahāyāna #bodhi #illuminazione #samsara #nirvana Charlotte #Joko Beck #zen #pratica #meditazione #citazione




fonte http://lapraticaquotidiana.blogspot.it/2010_12_01_archive.html



Bodhisattva (devanāgarī) è un sostantivo maschile sanscrito che letteralmente significa "Essere (sattva) 'illuminazione' (bodhi)". Secondo Nakamura Hajime il termine bodhisattva indica nel Buddhismo un essere la cui intima natura corrisponde al "Risveglio" oppure "colui che cerca di conseguire il 'Risveglio'" o ancora "colui la cui mente (sattva) è fissa sulla bodhi". Paul Williams offre una definizione precisa, ovvero "colui che sta percorrendo la via per diventare un buddha". Williams nota tuttavia che mentre non ci sono dubbi sul termine bodhi proveniente dalla radice indoaria budh (da cui Buddha) che indica il Risveglio spirituale, il termine sanscrito sattva offre diverse interpretazioni: "essere senziente", "essenza", "coraggio" e in questo senso può indicare l'"essere che si incammina verso la bodhi", oppure colui che è di "essenza-bodhi", o ancora colui che un "eroe del Risveglio".È un termine proprio del Buddhismo […]
Secondo le dottrine del Buddhismo Mahāyāna, […] lo stato di buddha può essere conseguito da qualsiasi "essere senziente", possedendo ogni "essere senziente" la "natura di buddha" (tathāgatagarbha). Ne consegue che chiunque pronunci con sincerità il voto di bodhisattva (praidhāna) è un bodhisattva e col prosieguo del tempo può realizzare la piena "buddhità" (anuttarā-samyak-sabodhi) e divenire esso stesso un buddha perfettamente illuminato (samyaksabuddha)".
(da http://it.wikipedia.org/wiki/Bodhisattva )

« Per quanto innumerevoli siano gli esseri in tal modo guidati verso il Nirvana proprio nessun essere è stato guidato verso il Nirvana. Perché? Se in un bodhisattva dovesse intervenire la nozione di un essere, egli non potrebbe venire chiamato bodhisattva. E perché? Non si dovrà chiamare bodhisattva colui nel quale interviene la nozione di un essere, o la nozione di un' anima vivente o di una persona »
(“Vajracchedikā-prajñāpāramitā-sūtra”, 3)

« Si noti, ed è un punto importante, che alla luce di tutto ciò è troppo semplicistico parlare semplicemente di nirvāna nel contesto del buddhismo mahāyāna. [...] È usuale nei testi mahāyāna contrapporre il nirvāa al sasāra [= ciclo morte/rinascita, oceano dell’esistenza, sofferenza in senso lato] , salvo poi dire che il bodhisattva, e quindi un Buddha, ottenendo la libertà dalla sofferenza ma non abbandonando gli esseri che sono ancora nel sasāra oltrepassa la dualità nirvāa-sasāra. Lo stato di illuminazione ottenuto da un Buddha viene perciò chiamato "nirvāa non dimorante" o "non determinato" (apratiṣṭhitanirvāa) […]
Diventa allora molto difficile dire, come fanno molti libri diffusi in Occidente, che il bodhisattva pospone il nirvāa. Quale nirvāa si suppone posponga? »
(Paul Williams, “Il Buddhismo dell’India”)

« Il sasara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal sasara. I confini del nirvāna sono i confini del sasara. »
(Nāgārjuna,. “Mūlamadhyamakakārikā”)

« Nel Buddhismo non c'è nessun nirvāna separato dal ciclo di vita morte [...]; non c'è nessun Dharma buddhista al di fuori della vita quotidiana »
(Dōgen, “Shōbōgenzō”)


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«Programmare il futuro non è sbagliato, dobbiamo fare così. Il fatto è che, agitandoci, invece di programmare diventiamo ossessionati. Rigiriamo i problemi in mille modi. Se non sappiamo cosa vuol dire praticare con i pensieri ansiosi, cosa accadrà? I pensieri producono un’emozione, col risultato che l’ansia aumenta. L’agitazione emotiva è sempre causata dalla mente. Se diamo via libera all’agitazione, diventiamo ammalati o depressi. Ma, se la mente affronta la situazione con consapevolezza, lo farà il corpo. Il corpo ci tirerà fuori. E’ come se di cesse: “Se tu non te ne curi, devo farlo io”. Così ci viene il raffreddore, l’eczema, l’ulcera o quello che è nel nostro stile. Una mente non consapevole causa la malattia. Non è una critica: non conosco nessuno che non si ammali, me compresa. Quando il desiderio di preoccuparci è forte, creiamo le difficoltà. Con la pratica regolare, lo facciamo semplicemente un po’ meno. Tutto ciò di cui non siamo consapevoli produrrà i suoi effetti sulla nostra vita, in un modo o nell’altro.
Dal punto di vista umano, le cose che vanno male sono di due tipi: esterne e interne, e tra queste ultime la malattia. Entrambe sono pratica, e le affrontiamo nell’identico modo. etichettiamo i pensieri che vi costruiamo sopra, e li sperimentiamo nel corpo. Questo lavoro è la vera e propria pratica seduta.
A parole sembra semplicissimo, ma farlo davvero è tremendamente difficile. Non conosco nessuno in grado di applicare la pratica in ogni circostanza, ma ne conosco alcuni che ci riescono il più delle volte. Se facciamo così, se alimentiamo la consapevolezza di tutto ciò che ci accade, interno o esterno che sia, la vita si trasforma. Acquistiamo forza e intuizione, e conosceremo momenti di vita illuminata, il che si significa vivere la vita così com’è. Non c’è alcun mistero»

(Charlotte Joko Beck, Zen quotidiano. Amore e lavoro, Roma, Ubaldini, pp. 30-31)

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