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martedì 15 maggio 2012

Affondare le nostre #radici nel suolo originario Ernst #Jünger, Trattato de l# ribelle, #paura #Titanic #Leviatano #singolo #sicurezza #pericolo #tecnica #angoscia cosmica #terrore



La paura è uno dei sintomi del nostro tempo. Tanto più essa suscita costernazione in quanto è succeduta a un’epoca di grande libertà individuale, in cui la stessa  miseria, per esempio quella descritta da Dickens, era ormai quasi dimenticata.
Di che modo è avvenuto questo passaggio? Se volessimo scegliere una data fatidica, nessuna sarebbe più appropriata del giorno in cui affondò il Titanic. Qui luce e ombra entrano bruscamente in collisione: l’hybris del progresso si scontra con il panico. il massimo comfort con la distruzione, l’automatismo con la catastrofe che prende l’aspetto di un incidente stradale. E’ un fatto che i rapporti tra i progressi dell’automatismo e quelli della paura sono molto stretti: pur di ottenere agevolazioni tecniche, l’uomo è infatti disposto a limitare il proprio potere di decisione. Conquisterà così ogni sorta di vantaggi che sarà costretto a pagare con una perdita di libertà sempre maggiore. Il singolo non occupa più nella società il posto che l’albero occupa nel bosco: egli ricorda invece il passeggero di una veloce imbarcazione che potrebbe chiamarsi Titanic o anche Leviatano. Fintanto che il tempo si mantiene sereno e il panorama è piacevole, il passeggero quasi non si accorge di trovarsi in una situazione di minore libertà: manifesta anzi una sorta di ottimismo, un senso di potenza dovuto alla velocità. Ma non appena si profilano all’orizzonte iceberg e isole dalle bocche di fuoco, le cose cambiano radicalmente. Da quel momento non soltanto la tecnica abbandona il campo del comfort a favore di altri settori, ma la stessa mancanza di libertà si fa evidente: sia che trionfino le forze elementari, sia che taluni individui, i quali hanno conservato la loro forza, esercitino un’autorità assoluta.
I particolari sono noti e molti li hanno più volte descritti; fanno parte integrante della nostra esperienza più intima. Qui si potrebbe obiettare che in passato sono esistite epoche di terrore, di panico apocalittico, non orchestrate o accompagnate da questo carattere di automatismo. E’ questa una questione sulla quale non intendiamo soffermarci giacché l’automatismo diventa terrificante soltanto se si rivela una delle forme della fatalità, di cui anzi è  lo stile precipuo, come nell’insuperabile raffigurazione che ne ha dato a suo tempo Hieronymus Bosch. Che il terrore dei moderni abbia della caratteristiche particolari, o sia  semplicemente lo stile che l’angoscia cosmica adotta oggi, in uno dei suoi perenni ritorni? Non vogliamo soffermarci su questa questione, ma piuttosto rispondere alla domanda speculare che è quella che davvero ci sta a cuore: è possibile attenuare il terrore mentre l’automatismo perdura, o, come è prevedibile, mentre esso si avvicina sempre più alla perfezione? Non sarebbe insomma impossibile rimanere e sulla nave e conservare la nostra autonomia di decisione – ossia non soltanto preservare, ma addirittura rafforzare le radici che ancora affondano nel suolo originario? E’ questo il problema fondamentale della nostra esistenza.


(Ernst Jünger, Trattato del ribelle, Milano, Adelphi, 2004, pp. 44-46)



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